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Mobbing, condotta sistematica e protratta nel tempo

Il mobbing è costituito da una condotta protratta nel tempo diretta a ledere il lavoratore, specifico intento sua protrazione

Pubblicato il 03 February 2021 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI ROMA
SEZIONE LAVORO – PRIMO GRADO 3^

IL GIUDICE, Dott., quale giudice del lavoro, all’udienza del 29.01.2021 ha pronunciato la seguente

SENTENZA n. 842/2021 pubblicata il 29/01/2021

nella causa iscritta al n. /2020 R.G e vertente

TRA

XXX, elettivamente domiciliata in, rappresentata e difesa dall’Avv. per procura in atti.

RICORRENTE

E

AZIENDA OSPEDALIERA YYY, elettivamente

domiciliata in, rappresentata e difesa dall’Avv. per procura in atti.

RESISTENTE

NONCHE’

ZZZ, elettivamente domiciliato in , rappresentato e difeso dall’Avv. per procura in atti

RESISTENTE

NONCHE’

KKK, elettivamente domiciliata in , rappresentata e difesa dall’Avv. per procura in atti

RESISTENTE

FATTO E DIRITTO

XXX ha convenuto in giudizio l’Azienda Sanitaria YYY nonché il dott. ZZZ e la dott.ssa KKK, per sentir accogliere le seguenti conclusioni: “in via principale nel merito: accertare la sussistenza nel caso di specie di condotta concretizzante gli estremi del mobbing in danno della lavoratrice ricorrente e da parte della datrice di lavoro resistente nonché in particolare da parte dei superiori gerarchici Dott. ZZZ e

Dott.ssa KKK, per le ragioni esposte in narrativa; per l’effetto ordinare ai resistenti la cessazione della condotta mobbizzante; condannare l’azienda ospedaliera YYY, in persona del l.r.p.t., nonché il Dott. ZZZ e la Dott.ssa KKK al risarcimento del danno biologico nella misura del 10/15% pari ad € 29.758,54, oltre ad € 11.060,00 per 100gg. di invalidità temporanea totale, in ragione della quantificazione operata nella allegata perizia di parte, a cui vanno aggiunti € 10.204,63 per danno morale nella misura di ¼, ed il danno differenziale/complementare da quantificarsi in via equitativa. Il tutto, comunque, nella misura maggiore o minore ritenuta di giustizia all’esito dell’espletato giudizio; con condanna dei resistenti alla rifusione delle spese, competenze ed onorari professionali di giudizio in favore del sottoscritto avvocato che se ne dichiara sin da ora antistatario”.

Si è costituita l’Azienda Sanitaria YYY chiedendo, in via principale, di rigettare il ricorso con il favore delle spese.

Si sono altresì costituiti ZZZ e KKK eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva e chiedendo di rigettare il ricorso e in subordine di essere manlevati dall’Azienda.

E’ stata tentata inutilmente la conciliazione.

Infine all’odierna udienza, all’esito della camera di consiglio, la causa è decisa con la lettura del dispositivo ed il deposito della presente sentenza contestuale telematica contenente l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione.

****

Il ricorso appare infondato anche ove il giudice dovesse ritenere provato quanto in esso si legge, a prescindere cioè dalla documentazione prodotta dai convenuti che ne evidenzia la non veridicità.

La Sig.ra XXX, dipendente dell’Azienda Ospedaliera YYY dal 1989 con la qualifica di operatore profilo sanitario infermiere ed inquadrata nella categoria D,  deduce di essere stata vittima di plurime condotte vessatorie integranti un vero e proprio mobbing, in particolare tramite il trasferimento in vari reparti, tra cui Oncologia degenza prima e poi radiologia vascolare interventistica, l’assegnazione di mansioni incompatibili con il proprio stato di salute e la mancata assegnazione delle funzioni di coordinatrice nonostante il possesso dei requisiti prescritti.

Le allegazioni in punto fatto si rivelano ad una semplice lettura assai deboli e, anche nei confronti del dott. ZZZ e della dott.ssa KKK, che dovrebbero rispondere personalmente del presunto mobbing si rivelano del tutto generiche.

Nel suo ricorso la sig.ra XXX afferma che, sin dal momento dell’assunzione, avvenuta precisamente in data 15.03.1989, sarebbe stata assegnata al reparto pediatria, alla fine del 1989 e sino al 1997 spostata nel reparto di cardiologia, e quindi nel reparto di angiologia, UTIC e degenza cardiologica e,a far data dal 2007, al reparto di medicina nucleare. I suddetti spostamenti sarebbero stati disposti dall’azienda ospedaliera e solo l’ultimo del 2007 sarebbe stato richiesto dalla dipendente.

Ricorda poi di avere conseguito nell’anno 2005 la Laurea in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” (all. n. 2), nell’anno 2010 il Master Universitario di I livello in Management della Prevenzione, Salute e Sicurezza sul Lavoro presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” (all. n. 3), nell’anno 2012 il Master in Coordinamento presso L’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (all. n. 4).

E che,a far data dall’anno 2017, in concomitanza con la decisione aziendale di accorpare gli infermieri destinati agli esistenti due reparti di medicina nucleare, anche lei era stata ricompresa nella suddetta ristrutturazione.A seguito di tale accorpamento e stante il numero di infermieri addetto al reparto, ben 9, sarebbe stata prevista la figura del “coordinatore”.

Sebbene in possesso del master di coordinamento alla ricorrente sarebbe stata preclusa la possibilità di accedere a tale funzione.

In un incontro tenutosi nel mese di dicembre 2017 alla presenza del Dott. G. ZZZ e degli altri colleghi la ricorrente avrebbe rappresentato nuovamente di possedere i requisiti ed i titoli per poter disimpegnare la funzione di coordinatrice chiedendone l’assegnazione. Tuttavia la sua richiesta non veniva accolta e l’incarico sarebbe stato conferito ad altro membro del personale, ossia il Sig. ***, come facente funzione e privo dei titoli e dei requisiti necessari, invece posseduti dalla Sig.ra XXX. Nello stesso incontro la ricorrente sarebbe stata “liquidata” dal Dott. ZZZ il quale, a fronte delle rimostranze sollevate dalla Sig.ra XXX, le avrebbe risposto che non era quella la sede per valutare le sue richieste. La ricorrente, inoltre, in altro incontro richiesto con la Dott.ssa KKK tenutosi nel mese di gennaio 2018, avrebbe lamentato sia la mancata assegnazione delle funzioni di coordinamento sia l’arbitraria assegnazione ai reparti ed alle mansioni non compatibili col proprio stato di salute. La Dott.ssa KKK nonostante fosse stata messa a conoscenza di tali circostanze non avrebbe preso alcun provvedimento. Tale condotta ostativa sarebbe proseguita e proseguirebbe tuttora tanto che in tutte le occasioni in cui il citato collega coordinatore si assentava e si assenta per malattia, ferie, permessi, l’azienda pur di non farlo sostituire dalla Sig.ra XXX- sebbene in possesso di tutti i titoli e requisiti- lo sostituirebbe con altro dipendente (Sig. ***) anch’egli privo di titoli e requisiti per lo svolgimento della assegnata funzione di coordinatore.  In data 31.01.2018, rammenta ancora la ricorrente (all. n. 5), il medico competente la sottoponeva alla visita periodica di controllo all’esito della quale la Sig.ra XXX veniva considerata idonea alla mansione ed all’adibizione al reparto di medicina nucleare “alla condizione di essere esonerata dalla movimentazione manuale di pazienti non collaboranti”.

A far data dal mese di marzo 2018, a seguito del crollo di una parete del reparto di medicina nucleare e della dichiarazione di inagibilità dello stabile, tutto il personale infermieristico ivi addetto sarebbe stato trasferito presso l’interno del YYY, negli ambulatori specialistici, fatta eccezione per la sola ricorrente che veniva invece destinata al reparto di Degenza dell’Oncologia. Nel mese di aprile 2018 il reparto di medicina nucleare veniva riaperto e tutto il personale infermieristico prima ivi addetto sarebbe stato nuovamente ritrasferito nel detto reparto, ad eccezione della sola Sig.ra XXX che veniva assegnata al reparto di U.O. radiologia vascolare interventistica.  Sia l’assegnazione al reparto di oncologia degenza sia quella al reparto di radiologia vascolare interventistica sarebbero stati disposti in violazione del predetto giudizio reso dal Medico Competente a far data dal 31.01.2018 .Il giudizio di idoneità, a seguito della visita periodica di controllo, veniva confermato in data 23.07.2018 (all.ti nn. 6-7) sempre con la sussistenza della “condizione di esonero dalla movimentazione di pazienti non collaboranti” e con la integrazione della condizione di “esonero dalla movimentazione manuale dei carichi e del materiale sanitario > a 10 Kg”, stante l’assegnazione al reparto di radiologia interventistica.In data 27.07.2018 sempre in sede di visita di controllo il sopradetto giudizio di idoneità veniva sottoposto alla ulteriore condizione “di esonero dall’uso del camice piombato > 4 Kg” (all. n.8).

Nonostante tali esoneri certificati dalla medesima azienda ospedaliera la ricorrente sarebbe stata ugualmente assegnata allo svolgimento delle mansioni comportanti la movimentazione di pazienti non collaboranti, dei pesi superiori a 10 kg e l’utilizzo del camice piombato superiore a 4 kg. In sintesi, far data dall’anno 2017, la ricorrente sarebbe  stata sottoposta a condotta vessatoria da parte aziendale che, ignorando in maniera continuativa ed intenzionale sia le prescrizioni del medico competente che le richieste della lavoratrice, l’avrebbe spostata immotivatamente di reparto in reparto, per poi assegnarla al reparto di radiologia vascolare interventistica ed ora di medicina nucleare, imponendole di movimentare carichi di peso superiore al suo consentito, di spostare barelle sia senza che con pazienti non collaboranti, nonchè di indossare il camice piombato.

Tali imposizioni, oltre che aggravare la già compromessa condizione fisica della ricorrente,  avrebbero cagionato ingenti danni psichici alla lavoratrice vessata, danneggiata nella sua professionalità, ostacolata nell’espressione delle proprie capacità lavorative acquisite nel corso di una indiscussa esemplare esperienza ormai trentennale

L’azienda sanitaria, precisamente nella persona della Dott.ssa KKK, sorda alle richieste della lavoratrice,  le avrebbe addirittura offerto la variazione di reparto proponendole di riassegnarla all’iniziale reparto di pediatria ma alla sola condizione di una turnazione h 24, dunque con servizio anche notturno. Nel reparto di attuale assegnazione (reparto di medicina nucleare) la lavoratrice da febbraio 2018 a maggio 2019 vedeva articolato il suo orario di lavoro in turni di h12, mentre dal giugno 2019 lavora sino ad oggi in turni di h6 e solo di mattina.

Tutti i trasferimenti da reparto a reparto e l’adibizione alle mansioni descritte sarebbero stati disposti dal Dott. G. ZZZ, nella sua qualità di Dirigente Area Infermieristica-servizi diagnostici radiologici mentre la Dott.ssa KKK, direttore infermieristico (capo dipartimento infermieristico), avrebbe avallato tali assegnazioni, adottando una condotta omissiva ed ignorando le rimostranze della lavoratrice sia in ordine alla funzione di coordinatrice sia in ordine all’assegnazione ad un reparto confacente alle sue condizioni di salute.

****

Ciò che balza subito agli occhi, ad una semplice lettura del ricorso, è che la ricorrente riferisce di presunte sue attività di movimentazione di carichi di peso superiore al peso consentito e di pazienti non collaboranti, e che avrebbe non si sa bene come indossato il camice piombato, senza riuscire a indicare alcun episodio specifico e temporalmente individuabile in cui ciò si sarebbe verificato, pretendendo, per il resto, di far rientrare nel presunto mobbing subito, condotte che sono invece del tutto lecite e trasferimenti di reparto che costituiscono l’esercizio delle tipiche prerogative datoriali.

Ciò è particolarmente evidente quanto al presunto mancato conferimento delle funzioni di coordinamento visto che la ricorrente non può vantare alcun diritto in proposito e il datore di lavoro è tenuto solo ad assegnarle mansioni del suo livello, secondo il noto principio della equivalenza c.d. formale, e non certo a garantirle pure un progresso di carriera ovvero il conferimento di incarichi aggiuntivi.

Non si comprende allora di che cosa possa lamentarsi la ricorrente, non risultando che detto incarico  corrispondesse ad una qualifica superiore con previsione di emolumenti aggiuntivi e/o dovesse essere conferito a seguito di una qualche procedura selettiva di tipo concorsuale e appaiono obiettivamente sgradevoli le gratuite considerazioni circa la presunta minore idoneità all’incarico dei colleghi *** e ***, accompagnate da considerazioni tanto generiche, quanto offensive.

Non rileva quindi la documentazione che la ricorrente ha chiesto di depositare (v. verbale d’udienza) dalla quale si dovrebbe evincere che il *** ha in qualche caso autorizzato le ferie del personale, con una istanza, peraltro, palesemente tardiva e inammissibile, trattandosi di atti ben anteriori al deposito del ricorso e senza che possa rilevare in alcun modo la circostanza che si sarebbe trattato di una produzione in risposta alle comparse di costituzione, secondo principi del tutto consolidati nella giurisprudenza della Suprema Corte (per tutte, Cass. n. 12466 del 8.6.2011 e Cass. n. 6969 del 23.3.2009).

“Nel rito del lavoro, l’omessa indicazione dei documenti probatori nell’atto di costituzione in giudizio, imposta dall’art. 416, terzo comma cod. proc. civ., e l’omesso deposito degli stessi contestualmente a tale atto, determinano la decadenza dal diritto di produrli, salvo che i documenti si siano formati successivamente )”(così Cass. n. 19810 del 28.8.2013).

Peraltro il Sig. *** risulta ad oggi inquadrato quale infermiere professionale al pari della ricorrente (v. infatti relativo certificato di servizio del sig. *** doc. n. 3 del datore di lavoro) e non percepisce alcun emolumento extra per questo presunto incarico aggiuntivo.

Non appare, comunque, nè illogica, nè irrazionale, nè tantomeno arbitraria e discriminatoria la scelta dell’ azienda che dia preferenza all’infermiere più anziano e con maggiore esperienza.

Mentre lo spostamento della ricorrente dal reparto di Medicina Nucleare, avvenuto nel 2018, dopo diversi anni che la stessa prestava servizio presso il medesimo reparto,è avvenuto, come riferito dalla stessa ricorrente, per la sopravvenuta inagibilità dei locali in cui era ubicata la relativa Unità produttiva e non certo per qualche non meglio precisata intenzionalità punitiva o di isolare la dipendente. D’altronde, come giustamente evidenziato dai convenuti anche con riferimento agli altri spostamenti avvenuti, l’assegnazione presso i vari reparti non può essere certo considerata un “trasferimento” in senso tecnico, così come dispone l’art. 2103 c.c. e, conseguentemente, non possono trovare applicazione quelle garanzie, anche procedimentali che tale norma prevede.

In particolare, va precisato che il reparto di degenza oncologica e successivamente quello di radiologia vascolare interventistica non sono distinte unità produttive dell’Azienda, ubicate in sedi diverse da quella ove prestava l’attività lavorativa la dipendente, ma sono diverse articolazioni dell’Azienda convenuta che ha un’unica sede sita in.

Mentre, a norma dall’art. 3 del CCNL (biennio economico 2008-2009) “non si configura come mobilità, lo spostamento del dipendente all’interno della struttura di appartenenza, anche se in ufficio, unità operativa o servizio diverso da quello di assegnazione, in quanto rientrante nell’ordinaria gestione del personale affidata al dirigente responsabile”.

Peraltro, la normativa vigente, sia a livello legislativo (art. 5 D.Lgs 165/01) sia a livello di contrattazione collettiva nazionale che decentrata (art. 27 CCNL comparto sanità 2016-18 e art. 11 CIA (cfr. docc. nn. 1-2 parte resistente) assegna, unicamente al datore di lavoro, i poteri di organizzare i propri uffici, le proprie strutture e gli orari di servizio e di lavoro all’interno della stessa Azienda, come del resto di verifica per qualsiasi datore di lavoro privato.

Insomma l’azienda resistente e i superiori gerarchici della XXX non hanno violato alcuna norma  nelle assegnazioni della ricorrente, che sono avvenute per far fronte ad esigenze di carattere organizzativo e per la sofferenza e carenza di organico nei relativi reparti. Meno che meno si comprende come la sig.ra XXX possa lamentarsi dell’assegnazione presso la radiologia interventistica avvenuta, come si legge in ricorso,  su richiesta e d’accordo con la ricorrente, che voleva lasciare il reparto di oncologia dove, peraltro, ha lavorato solamente per otto giorni, di cui tre è stata assente per malattia.

Ne consegue che l’assegnazione presso il servizio di radiologia interventistica risultava,  a maggior ragione in quanto richiesta dalla stessa ricorrente, è certamente compatibile con le prescrizioni del medico competente che valutava la ricorrente “idonea alla mansione specifica-esonero alla movimentazione di paziente non collaboranti in assenza di mezzi di ausilio e la coadiuvazione di un collega”.

Peraltro, la ricorrente, al momento del suo ingresso nell’equipe di radiologia interventistica, era inserita in un gruppo composito e multidisciplinare costituito da ben otto infermieri turnanti nelle 24 ore, un operatore tecnico ed un OTA (operatore tecnico addetto all’assistenza), distribuiti prevalentemente nel turno di mattina ma anche di pomeriggio, nonché un C.I. presente durante il turno della mattina ed il tecnico di radiologia sempre presente (cfr allegato n.3 KKK e ZZZ).

Durante la permanenza della ricorrente presso il servizio di radiologia interventistica, l’orario era: 7.00-14.12 su 5 giorni lavorativi. E’ pacifico e risulta dagli atti che la dott.ssa XXX ha dato la sua disponibilità allo svolgimento di alcuni turni di servizio pomeridiani e di doppi turni di servizio, limitati a giorni di particolare criticità.

Dall’esame dei turni di servizio relativamente al periodo in cui la dipendente ha prestato servizio presso il Reparto di radiologia interventistica (cfr allegato n.4 KKK e ZZZ) si ricava che: -la dott.ssa XXX non si è mai trovata ad essere l’unica unità infermieristica in turno di servizio; la ricorrente ha lavorato prevalentemente in turno di mattina sempre con un altro infermiere idoneo al servizio e sempre coadiuvata da uno degli operatori tecnici a supporto dell’assistenza oltre che unitamente al tecnico di radiologia ed al C.I. della radiologia interventistica; le, comunque poche, volte in cui la ricorrente ha dato la propria disponibilità a svolgere il turno di servizio di pomeriggio, l’assetto organizzativo della suddetta unità operativa non subiva alcuna variazione: era infatti sempre in servizio insieme alla XXX un altro infermiere idoneo all’assistenza, un operatore tecnico ed un tecnico di radiologia.

E’ vero poi che, in precedenza nei primi mesi dell’anno 2018, per insindacabili scelte aziendali, si era proceduto all’accorpamento del servizio di Medicina Nucleare e del servizio dei Flussi coronarici che sono stati entrambi logisticamente collocati in un’unica struttura presso l’Ospedale ***. Detta riorganizzazione, ha determinato, quale inevitabile conseguenza, una rivisitazione delle linee di attività ed un accorpamento/integrazione del personale dei due servizi. A seguito di valutazione dello standard di personale necessario per il nuovo servizio unificato, si è proceduto alla elaborazione di una graduatoria di tutto il personale infermieristico in servizio sulla base di criteri, già da tempo in uso in Azienda ed applicati per casi analoghi: rilievo prioritario in tale graduatoria – ossia criterio principale – è stato attribuito all’anzianità anagrafica e di servizio (cfr. allegato n.1 KKK e ZZZ). Sulla base di tale impostazione, il personale più giovane – collocato nella parte più bassa della graduatoria – è stato trasferito in altre U.U.OO. aziendali che si trovavano in quel momento in condizione di sotto organico.

Nessuna discriminazione quindi e in virtù di tale graduatoria, la ricorrente, rientrando nel gruppo degli infermieri più giovani, era stata assegnata, previa prescrizione del medico competente, in data 7 marzo 2018, presso l’Unità Operativa Oncologica Medica, Struttura già in sofferenza per la carenza di organico integrativo. In tale unità operativa la dott.ssa XXX ha prestato servizio sino al mese di marzo 2018 effettuando – come risulta dalla tabella turni relativi al mese di marzo 2018 UOC Oncologia medica depositata dai convenuti (cfr. allegato n.2 KKK e ZZZ) – soltanto 8 turni di servizio di mattina su 25 giorni lavorativi del mese di marzo.

Come si è visto, durante il periodo trascorso presso il reparto di oncologia medica (pochi giorni), la ricorrente, seppur idonea alla mansione specifica, risulta esonerata dalla “movimentazione di pazienti non collaboranti in assenza di mezzi di ausilio e la coadiuvazione di un collega” (prescrizione del medico competente). In considerazione di ciò, la dott.ssa XXX veniva impiegata presso la stessa unità Operativa come terza infermiera di turno con l’indicazione precisa a non movimentazione i pazienti non collaboranti e, laddove improcrastinabile, movimentarli con mezzi di ausilio o con la collaborazione di un collega.

E’ incontestato che la ricorrente durante tutto il periodo in cui ha prestato servizio presso l’Unità operativa suddetta era coadiuvata, nello svolgimento delle attività assistenziali, da altre due unita infermieristiche idonee. Tali circostanze oggettive e riscontabili per tabulas dimostrano come le attività svolte dalla stessa ricorrente nella citata Unità Operativa fossero pienamente compatibili con la valutazione espressa nei suoi confronti dal medico competente.

Si intende dire i due trasferimenti (spostamenti) censurati sono avvenuti, il primo per l’inagibilità dei locali dove era ubicata l’unità produttiva di medicina nucleare, il secondo per venire incontro alle manifestate esigenze della medesima ricorrente.

Nulla a che fare con il mobbing.

E proprio il fatto che l’azienda ha soddisfatto la richiesta della sig.ra XXX conferma l’assenza di qualsiasi volontà prevaricatrice nei confronti della lavoratrice.

In entrambi i casi certamente manca l’intenzionalità di isolare o di perseguitare la dipendente.

Intento vessatorio/ritorsivo/discriminatorio dell’azienda e del sig. ZZZ che è smentito anche dalla circostanza che il giudizio sulla performance individuale della ricorrente è stato sempre positivo.

L’Azienda ha infatti depositato la valutazione riportata dalla dipendente (cfr. doc. n. 4) per l’attività prestata nel corso dell’anno 2017, dove è dato leggere testualmente “performance: molto buona”.Parimenti la valutazione riportata nell’anno 2018  testualmente prevede “Compie con precisione ed attenzione i compiti assistenziali nelle unità operative. Attenta ai processi organizzativi. Tiene in considerazione le esigenze del paziente con molta professionalità” (cfr. doc. n. 5). Anche per l’anno 2019, la valutazione espressa nei confronti della XXX è stata estremamente positiva:infatti nella relativa scheda di valutazione è riportato il seguente giudizio “è attenta ad ogni attività svolta ed opera con precisione altamente professionale” (cfr. doc. n. 6).

La citata documentazione, oltre a smentire la ricostruzione di parte ricorrente, da contezza del comportamento datoriale ed in particolare del convenuto ZZZ che ha sottoscritto le suddette valutazioni, per dimostrare che nessuna preclusione e nessuna intenzionalità vessatoria è mai esistita nei confronti della ricorrente.

****

Alla fine l’unico serio argomento spendibile dalla ricorrente al fine di dimostrare questo improbabile intento mobbizzante consiste nelle presunte violazioni quanto alle mansioni presso i reparti di oncologia medica e radiologia interventistica.

La ricorrente lamenta, con allegazioni come si è visto generiche e imprecisate, che durante l’attività prestata presso il reparto di oncologia medica e quello di radiologia interventistica avrebbe dovuto eseguire mansioni inerenti la movimentazione di carichi e di pazienti precluse dalla valutazione del medico del lavoro.

Con affermazione che, nel primo caso, rivela la sua palese inidoneità al fine della dimostrazione del mobbing e dello stesso danno concretamente subito ove si consideri che la XXX, come si è visto, è stata assegnata al reparto di oncologia medica per solo 5 giorni (più precisamente 8, ma in tre è stata assente per malattia).

Come si è pure già visto, in ogni caso, dalla documentazione prodotta dal YYY, così come da quella del ZZZ e della KKK, emerge che presso i suddetti reparti nei turni in cui era in servizio, la XXX era sempre coadiuvata o da personale tecnico di radiologia medica, o da ausiliario/operatore

tecnico e/o da altro infermiere, idonei a svolgere quelle attività per le quali la XXX risultava esonerata. Ciò è attestato dalla copia dei tabulati mensili relativi al personale che prestava servizio unitamente alla ricorrente (v. doc. n. 7 dell’azienda) al fine di compiere quelle attività alla stessa precluse.

Al riguardo, si è visto pure che la ricorrente è stata valutata idonea alla mansione specifica di infermiera professionale con esclusione di “… movimentare pazienti non collaboranti, in assenza di mezzi di ausilio e la coadiuvazione di un collega …”.La documentazione prodotta dai resistenti comprova incontestabilmente che la ricorrente veniva impiegata come terza infermiera di turno con l’indicazione precisa a non movimentare i pazienti non collaboranti ai quali dovevano provvedere i colleghi messi in turno appositamente con la stessa.

Anche l’ulteriore e altrettanto generica doglianza (rilevante comunque solo per il periodo successivo al 27.7.2018), secondo cui presso la Radiologia interventistica la ricorrente avrebbe dovuto indossare un camice piombato del peso superiore a quello consentito, in violazione del parere del medico del lavoro che la escludeva dal movimentare carichi superiori a 10 kg., è  infondata già in quanto i camici in uso presso la predetta unità operativa non superano i 3.045 gr. come attestato dal Dott. ***, direttore della Fisica Sanitaria, del 22/10/2020 (cfr. doc. n. 8 dell’azienda) e dalla relativa scheda tecnica (cfr. doc. n. 9).

Vano risulta il tentativo della difesa della ricorrente di travisare il contenuto della documentazione prodotta dai resistenti (v. ancora verbale d’udienza) cercando di trasformarla in una sorta di ammissione di colpevolezza.

Dalla documentazione prodotta dagli altri resistenti emerge invece che nella U.O di Radiologia interventistica, nell’anno 2018 erano in uso camici piombati anti rx della Xenolite, come descritti dal Direttore ff UOC Fisica Sanitaria dott. *** nella mail del 22.10.2020 (confronto allegato n. 5 KKK) del peso di 3045 grammi; nello stesso servizio, dal 1 gennaio 2019, i suddetti camici di piombo sono stati sostituiti da una nuova tipologia di camici (cfr. allegato n. 6 KKK e ZZZ, comunicazione a firma del dott. ***) DPI anti rx SAGOMEDICA, di diverse taglie, composte da un corpetto il cui peso massimo può raggiungere i 3100 grammi ed una gonna di peso variabile in rapporto alla misura.

 Ciò è quanto basta ad escludere non solo l’illegittima volontà persecutoria, ovvero “costrittività organizzativa” genericamente dedotta in ricorso, ma anche, più semplicemente, qualsiasi violazione dell’art. 2087 c.c.

Comunque, anche se fosse vero che in qualche caso l’azienda non ha rispettato la clausola di esonero dell’uso del camice piombato 4 Kg, di certo questo non sarebbe sufficiente a dimostrare il mobbing.

Infine, si rileva ben poco significativa al fine di confortare l’ipotesi dell’inesistente mobbing la relazione dell’ambulatorio di medicina del lavoro della ASL RM/2 e/o disagio da lavoro prodotta dalla XXX poiché tale documentazione si limita ad attestare una reazione da stress lavoro correlato, senza riuscire a ricollegare tale stato ad alcuna specifica condotta vessatoria e prevaricatrice dell’azienda e dei superiori gerarchici della XXX come tale diretta ad isolare o discriminare la ricorrente .

Semmai proprio questa documentazione conferma la confusione che caratterizza il ricorso tra le, certamente difficili e stressanti, specie in questo momento storico, condizioni lavorative dell’infermiere in un ospedale ed il mobbing.

****

Alla fine, il presunto mobbing si fonda praticamente sul nulla.

In pratica il mobbing consiste alla fine nel fatto che il datore di lavoro ha esercitato le prerogative che gli sono proprie.

I trasferimenti nel Reparto di oncologia prima e nel Sevizio di Radiologia interventistica, lungi dall’essere ispirati da volontà persecutorie, sono stati invece disposti per comprovate esigenze organizzative aziendali quali l’ accorpamentointegrazione del personale del Servizio di Medicina Nucleare e del Servizio flussi coronarici nonché dalla ridistribuzione del personale infermieristico sulla base dei consuetudinari standard aziendali (anzianità di servizio) tenendo conto delle  esigenze di organico dei vari reparti (è incontestato, infatti, che sia il reparto di oncologia che quello di radiologia interventistica erano al momento dell’ingresso della XXX sotto organico).

Si può discutere sulla validità ed efficacia di tali scelte e dei criteri ma di sicuro la condotta datoriale è del tutto legittima.

Tutte le condotte denunciate, quando non sono smentite per tabulas, sono infatti lecite e nemmeno risulta alcuna condotta violenta e vessatoria perchè il datore di lavoro non era affatto tenuto a garantire alla ricorrente prerogative come quelle inerenti l’incarico di coordinamento, in assenza di una regolare procedura selettiva/concorsuale.

Perchè di mobbing, come fenomeno giuridicamente rilevante, sicuramente non si tratta.

Secondo l’opinione prevalente il mobbing consiste infatti in una violenta e sistematica reiterazione di condotte vessatorie da parte del datore di lavoro capace di determinare, proprio per la frequenza e la durata del comportamento ostile, sofferenza mentale, disturbi psicosomatici e disagio sociale: attraverso le 4 fasi (che divengono 6 per Harald Ege) di evoluzione del mobbing, della modificazione, dell’isolamento, dell’ufficializzazione e dell’epilogo (Leyemann), la condotta datoriale finisce per distruggere la struttura psichica del lavoratore.

Il giudice di legittimità ha affermato che il “mobbing” si verifica allorché il datore di lavoro tiene una condotta sistematica e protratta nel tempo, che concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall’art. 2087 cod. civ.; tale illecito, che rappresenta una violazione dell’obbligo di sicurezza posto da questa norma generale a carico del datore di lavoro, si può realizzare con comportamenti materiali o provvedimenti del datore di lavoro indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali previsti dalla disciplina del rapporto di lavoro subordinato. La sussistenza della lesione del bene protetto e delle sue conseguenze dannose deve essere verificata considerando l’idoneità offensiva della condotta del datore di lavoro, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specialmente da una connotazione emulativa e pretestuosa, anche in assenza di una violazione di specifiche norme di tutela del lavoratore subordinato (Cass. n. 4774 del 6 marzo 2006; Cass. n. 7382 del 26.3.2010; Cass. n. 12048 del 31.5.2011; Cass. n. 13356 del 17 giugno 2011 ecc.).

Il mobbing (come espressamente dedotto e prospettato dalla ricorrente) è costituito da una condotta protratta nel tempo diretta a ledere il lavoratore. Lo specifico intento che lo sorregge e la sua protrazione nel tempo lo distinguono da singoli atti illegittimi (quale la mera dequalificazione ex art. 2103 cod. civ.). Fondamento dell’illegittimità è l’obbligo datoriale, ex art. 2087 cod. civ., di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore.

Peraltro (v. Cass. n. 21028 del 4 agosto 2008; Cass. n. 12735 del 20 maggio 2008;  Consiglio di Stato, sez. V, decisione n. 2515 del 27.5.2008) si richiede pur sempre la prova dell’esistenza di un vero disegno persecutorio datoriale nei confronti del singolo lavoratore, con l’obiettivo di isolarlo dagli altri, non riscontrabile affatto nel caso in esame.

Insomma (v Cass., n. 17698 del 2014 e, più di recente, Cass. n. 2012 del 26/1/2017 e Cass. n.12364/2020) ai fini della configurabilità del mobbing devono ricorrere: a) una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo, direttamente da parte del datore di lavoro o di un suo preposto o anche da parte di altri dipendenti, sottoposti al potere direttivo dei primi; b) l’evento lesivo della salute, della personalita’ o della dignità del dipendente; c) il nesso eziologico tra le descritte condotte e il pregiudizio subito dalla vittima nella propria integrità psico-fisica e/o nella propria dignità; d) l’elemento soggettivo, cioè l’intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi che è del tutto assente nel caso dello XXX.

Si ribadisce infatti come l’ambiente lavorativo aziendale, essendo un luogo di aggregazione e di interazione fra esseri umani, sia inevitabilmente anche luogo di conflitti e tensioni.

Nel caso in esame, quelli descritti in ricorso sono solo episodi di conflitto interpersonale nell’ambiente di lavoro, oppure vicende sintomatiche del soggettivo convincimento della ricorrente di essere in possesso di una professionalità non adeguatamente valorizzata, ovvero delle carenze e delle inadeguatezze e disfunzioni organizzative del datore di lavoro (come tali assolutamente inidonee ad integrare la fattispecie del mobbing, v. ad es. Cass. n. 4014 del 15.2.2017).

Più in generale, l’esistenza di una situazione di conflitto in azienda e la semplice violazione da parte del datore di lavoro di diritti individuali e collettivi non integra di per sé questa controversa figura (Cass. n. 3785 del 17.2.2009).

Come è stato ugualmente rilevato «non si può evidentemente pensare che ogni screzio, o inurbanità, o scortesia, o persino qualsiasi maleducazione o offesa, vengano attratte nell’imbuto cieco di una ipertrofia delle tutele risarcitorie. E’ opportuno riservare la valutazione di illiceità alle situazioni più gravi di patologia dell’organizzazione, al netto delle ipersensibilità soggettive».

Nello stesso senso Tar del Lazio, sez. III ter, 4 luglio 2005 n. 5454, nella nota motivazione di annullamento della circ. Inail n. 71/2003, afferma che «non è legittimo, né possibile ricondurre tutte le dinamiche delle relazioni di lavoro all’interno di un’impresa alla c.d. “costrittività organizzativa” giacché essa non è certo la garanzia del “diritto” del lavoratore ad operare in un ambiente professionale asettico, irenico o, comunque, cordiale, al più potendosi pretendere comportamenti di buona fede da tutte le parti del rapporto di lavoro, indipendentemente, quindi, dai dati caratteriali dei singoli attori di quest’ultimo». Con la conseguenza, anch’essa condivisibile, che condotta mobbizzante «può essere considerata tale solo quando è oggettivamente persecutoria, mentre onestà e buona fede vogliono che il lavoratore non pretenda nell’ambito del rapporto di lavoro una situazione più facile di quella normalmente sopportata nella vita quotidiana. Pertanto non possono essere considerate illecite condotte avvertite come lesive dal lavoratore solo nell’ambiente di lavoro oppure solo a causa della propria fragilità nei rapporti interpersonali». In sintesi, la convenuta aveva tutto il diritto di fare le sue scelte organizzative e gestionali e sono palesemente insussistenti quei comportamenti violenti e vessatori  che integrano il mobbing e che il lavoratore deve allegare, prima che dimostrare, in modo rigoroso (v, tra le molte recenti, Cass. n. 18942 del 16.9.2011; Cass. n. 2711 del 23.2.2012; Cass. n. 14643 del 11.6.2013; Cass. n.19088 del 9.8.2013; Cass. n. 898 del 17.1.2014;  Cass. n. 1149 del 21/1/2014; Cass. n. 2885 del 10.2.2014; Cass. n. 18039 del 14.9.2015; Cass. n. 158 del 8.1.2016; Cass. n. 2012 del 26.1.2017 ecc.).  Ovvero il c.d. “terrorismo psicologico”che, per definizione, richiede “sistematici e reiterati abusi” (Cass. n. 10424 del 14 maggio 2014) e comunque che si tratti di specifici comportamenti persecutori “protratti nel tempo” (Cass. n. 12725 del 23 maggio 2013), con la coscienza e l’intenzione del datore di lavoro di arrecare danno al lavoratore.

Perchè “costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo” (cfr Cass. 18836/1013; 17698/2014; Cass. n. 158/2016). Infatti: “la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo (Sez. L, Sentenza n. 18836 del 07/08/2013), sicchè, se occorre il compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali ed, eventualmente, anche leciti), questi devono essere diretti alla persecuzione o all’emarginazione del dipendente (Sez. L, Sentenza n. 18093 del 25/07/2013)..”

Proprio alla luce di una necessaria valutazione complessiva (v. Cass. n. 87 del 10/1/2012) degli episodi, come dedotti in giudizio e quali risultanti anche dalla documentazione allegata dalle parti, emerge, come si è già detto, la carenza dell’idoneità offensiva della condotta datoriale, del requisito oggettivo e comunque del requisito soggettivo del mobbing.

Si applicano allora principi giurisprudenziali oggi del tutto consolidati.

Con riferimento a simili allegazioni la Suprema Corte (Cass. n. 18942/2011) ha infatti affermato giustamente che: “Le circostanze rappresentate dal…..non possono di per sé essere qualificare come vessatorie o persecutorie…….”.

Dovendosi ribadire che la conflittualità, anche quanto alle reciproche sfere di competenza nel lavoro, con i superiori gerarchici non è sufficiente a configurare il mobbing (Cass. n. 3785/2009 cit).

Le allegazioni della sig.ra XXX si risolvono allora in una serie di congetture, di produzioni documentali e di affermazioni del tutto irrilevanti quanto alla responsabilità dell’ azienda resistente e dei superiori gerarchici che sono state soggettivamente vissute dalla ricorrente come vessatorie proprio nei confronti del datore di lavoro e dei suoi preposti.

In conclusione, si deve ribadire che non è mobbing la scarsa considerazione professionale che il datore di lavoro può avere, anche se erroneamente, nei confronti di un lavoratore a lui sottoposto.

Le esposte considerazioni risultano di carattere assorbente e impongono il rigetto immediato e senza dilazione del ricorso, secondo le regole del processo del lavoro (Cass. n. 27457 del 22 dicembre 2006;Cass. n. 13708 del 12.6.2007; Cass. n. 25575 del 22 ottobre 2008 ecc.).

Dovendosi ricordare che “La regola, costituzionalizzata ed immanente nel processo, della sua ragionevole durata sconsiglia l’esercizio di attività istruttorie che nel quadro probatorio complessivo non risultino decisive” (cfr. Cass. n. 878 del 16/1/2013).

Le spese, come liquidate in dispositivo ex DM 55/2014, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

definitivamente pronunciando:

respinge il ricorso; condanna XXX al pagamento delle spese processuali, che si liquidano in euro 2000,00 per compensi, oltre spese forfettarie al 15%., iva e cpa, in favore di ciascuna delle parti resistenti, da distrarsi in favore del procuratore dichiaratosi antistatario quanto al dott. ZZZ e alla dott.ssa KKK.

Roma 29.01.2021
Il Giudice

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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