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Protesto per firma non autorizzata: chi paga i danni?

Un ex amministratore di società veniva protestato per un assegno emesso dopo le sue dimissioni. L’imprenditore citava in giudizio la banca e il notaio per i danni subiti, inclusa l’impossibilità di aprire un nuovo conto corrente per la sua attività. La Corte d’Appello ha respinto la richiesta, stabilendo che il protesto per firma non autorizzata era legittimo. La firma era infatti simile a quella depositata e l’onere di provare la falsità della firma spettava all’attore, prova che non è stata fornita. Inoltre, non è stato dimostrato un nesso causale diretto tra il protesto e il fallimento dell’attività commerciale.

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Protesto per firma non autorizzata: responsabilità e onere della prova

Ricevere un protesto è sempre un evento spiacevole, con conseguenze significative per la reputazione creditizia. Ma cosa succede se il protesto riguarda un assegno che si sostiene di non aver mai firmato? Una recente sentenza della Corte di Appello di Napoli fa luce su un caso di protesto per firma non autorizzata, delineando chiaramente i confini della responsabilità della banca e del notaio, e l’onere della prova a carico di chi si ritiene danneggiato.

I Fatti di Causa

Un imprenditore, dopo aver rassegnato le dimissioni dalla carica di amministratore unico di una società, si trovava protestato per un assegno di 8.800,00 euro tratto sul conto corrente della sua ex azienda. L’assegno era stato emesso e protestato dopo la sua cessazione dalla carica.

Successivamente, nel tentativo di avviare una nuova attività commerciale in proprio, l’imprenditore scopriva di essere stato iscritto nella Centrale di allarme interbancaria. Questa iscrizione gli impediva di aprire un nuovo conto corrente, ostacolando gravemente la sua nuova impresa fino a costringerlo a cessare l’attività. Ritenendo di aver subito un grave danno, l’imprenditore citava in giudizio la banca, il notaio che aveva levato il protesto e altre parti, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali.

In primo grado, il Tribunale rigettava la domanda, ma l’imprenditore decideva di appellare la sentenza.

La Decisione della Corte d’Appello sul protesto per firma non autorizzata

La Corte di Appello ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello e condannando l’imprenditore al pagamento delle spese legali. La decisione si fonda su alcuni punti cardine che chiariscono gli obblighi delle parti in casi di protesto per firma non autorizzata.

Il fulcro della questione non era la mancanza di fondi, ma la causale del protesto, ovvero “Mancanza di autorizzazione”. La Corte ha ritenuto che la banca avesse agito correttamente nel richiedere il protesto a nome dell’ex amministratore. Questo perché la firma apposta sull’assegno risultava “assolutamente sovrapponibile” a quella depositata in banca (lo specimen). Di fronte a una tale somiglianza, la banca non ha l’obbligo di effettuare una perizia calligrafica, ma deve solo verificare la corrispondenza visiva.

Inoltre, la Corte ha sottolineato un principio fondamentale: l’onere della prova. Poiché l’ex amministratore sosteneva che la firma fosse apocrifa (cioè falsa), spettava a lui dimostrarlo in giudizio, ad esempio tramite una richiesta di verificazione o una querela di falso. Non avendolo fatto, la sua semplice disconoscenza della firma non era sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria.

La Prova del Danno e il Nesso Causale

Un altro aspetto decisivo è stata la mancanza di prova del danno e del nesso di causalità. L’appellante ha lamentato la chiusura della sua nuova attività a causa dell’impossibilità di aprire un conto corrente, ma non ha fornito prove concrete e specifiche dei danni subiti (es. perdita di capitale, debiti con fornitori). La Corte ha definito la sua allegazione “quanto mai generica”.

Inoltre, i giudici hanno osservato che l’attività commerciale era stata avviata ad agosto, mentre il protesto era avvenuto a ottobre dello stesso anno. Questo significa che, al momento di avviare l’impresa, l’imprenditore non aveva ritenuto indispensabile aprire un conto corrente, indebolendo la tesi secondo cui l’impossibilità di farlo sia stata la causa unica del fallimento.

Le Motivazioni

La Corte ha basato il suo ragionamento su consolidati principi giurisprudenziali. Citando la Cassazione, ha distinto il caso di una firma palesemente diversa da quella del titolare del conto (in cui il protesto va levato a nome del traente inesistente) dal caso di contraffazione della firma del titolare. In quest’ultima ipotesi, come quella in esame, il protesto va correttamente elevato nei confronti del titolare del conto, la cui firma è stata apparentemente utilizzata.

La motivazione del protesto (“firma non autorizzata”) era corretta, in quanto rifletteva la situazione di un soggetto che, pur non avendo più il potere di firma per conto della società, aveva apposto una sottoscrizione graficamente compatibile con quella depositata. La banca, quindi, non poteva essere rimproverata per negligenza. Di conseguenza, nemmeno il notaio, che agisce su richiesta della banca, poteva essere ritenuto responsabile.

Infine, la Corte ha ribadito che, anche a voler ipotizzare un errore nell’inserimento del nominativo dell’imprenditore nell’elenco dei protestati, mancherebbe comunque la prova del danno e, soprattutto, del legame diretto tra tale presunto errore e le difficoltà economiche dell’appellante.

Conclusioni

Questa sentenza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, chi contesta un protesto per firma non autorizzata non può limitarsi a disconoscere la firma, ma deve attivarsi per provarne la falsità in modo formale. In secondo luogo, una richiesta di risarcimento danni deve essere sempre supportata da prove specifiche e concrete, che dimostrino non solo l’esistenza del danno, ma anche il legame causale diretto con l’evento contestato. Per le banche, la sentenza conferma che, in presenza di una firma visivamente compatibile con lo specimen, la richiesta di protesto è un atto dovuto e non una fonte di responsabilità, specialmente se la causale riflette correttamente la situazione (mancanza di potere di firma).

Se una firma su un assegno è molto simile a quella depositata in banca, l’istituto di credito è responsabile se protesta l’ex amministratore che l’ha apposta?
No. Secondo la sentenza, se la firma è ‘assolutamente sovrapponibile’ a quella depositata, la banca non ha colpa nel richiedere il protesto a carico di chi ha firmato, anche se non aveva più i poteri per farlo. La causale corretta in questo caso è ‘mancanza di autorizzazione’.

In una causa per un presunto protesto illegittimo, a chi spetta dimostrare che la firma sull’assegno è falsa?
L’onere di provare che la firma è falsa (apocrifa) spetta a chi muove l’accusa, ovvero alla persona che è stata protestata. Un semplice disconoscimento della firma non è sufficiente; è necessario intraprendere azioni legali specifiche per dimostrarne la falsità.

Per ottenere un risarcimento, è sufficiente affermare che il protesto ha causato il fallimento della propria attività commerciale?
No, non è sufficiente. La persona che chiede il risarcimento deve fornire prove concrete e specifiche dei danni subiti (ad esempio, perdite economiche documentate) e dimostrare un nesso di causalità diretto e inequivocabile tra il protesto e tali danni. Un’affermazione generica non basta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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