Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26316 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26316 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 29/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29424 – 2020 proposto da:
COGNOME, titolare dell’impresa edile COGNOME Giorgio, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso, con indicazione de ll’ indirizzo pec del difensore;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME e avv. COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentati e difesi la prima dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME e il secondo da quest’ultimo e da sé stesso,
giuste procure in calce al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 2230/2020 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, pubblicata in data 11/8/2020 e notificata il 13/9/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/1/2025 dal consigliere NOME COGNOME
letta la requisitoria del PM in persona del sostituto procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato in data 11/8/2009, NOME COGNOME in proprio e quale titolare dell’omonima impresa edile, convenne in giudizio dinnanzi al Tribunale di Rimini i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo la dichiarazione di risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di compravendita stipulato con loro in data 19/3/2004, avente ad oggetto un appartamento sito al piano terra, dotato di garage e giardino, compreso nel comparto PEEP di Viserba, nonché la loro condanna al risarcimento dei danni conseguenti ad una asserita illegittima occupazione dell’immobile , oltre al rimborso di spese condominiali, imposte e tasse.
Per quel che qui ancora rileva, l ‘attore rappresentò che l’appartamento promesso era stato da lui costruito dopo aver ottenuto, in data 5/12/2002, la concessione edilizia da parte del Comune di Rimini, in cui era prescritto di «dare inizio ai lavori del comparto P.E.E.P. di Viserba entro il 9/12/2002, scadenza fissata dalla regione Emilia Romagna per mantenere i finanziamenti pubblici assegnati a cooperative ed imprese»; rappresentò che, in conseguenza, aveva dovuto iniziare i lavori prima di sottoscrivere la convenzione urbanistica
con il Comune e senza che quest’ultimo avesse ancora approvato il capitolato aggiornato; dedusse, quindi, che i convenuti si erano resi inadempienti rifiutando di procedere al rogito secondo le condizioni previste nel preliminare e chiedendo, invece, di aggiornare il prezzo alla misura stabilita dalle delibere comunali nel frattempo sopravvenute (gli accertamenti dell’amministrazione avevano dapprima fissato il prezzo del bene in euro 113.658,54 e poi in euro 107.661,00, a fronte di euro 134.000,00 stabiliti in preliminare).
1.1. Costituendosi, NOME COGNOME e NOME COGNOME lamentarono che NOME pretendesse il pagamento di un prezzo maggiore rispetto a quello massimo consentito dal Comune di Rimini e chiesero in riconvenzionale, previa declaratoria di nullità parziale del corrispettivo pattuito nel preliminare, la pronuncia di una sentenza ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. che trasferisse loro la proprietà dell’immobile al prezzo di euro 107.661,00 oltre IVA, come previsto dal capitolato approvato dal Comune.
Con sentenza n. 195/2017, il Tribunale di Rimini, ritenuto che gli atti adottati dal Comune avessero carattere imperativo, dichiarò la sostituzione automatica del prezzo fissato nel preliminare con quello determinato dall’amministrazione e rigettò la domanda di pagamento delle spese condominiali e le altre domande dell’attore; in accoglimento della riconvenzionale, dispose il trasferimento in favore dei coniugi convenuti dell’immobile oggetto della controversia, previo pagamento del residuo prezzo di vendita, determinato in euro 24.661,00. Infine, compensò tra le parti le spese legali, ad eccezione di quelle di una c.t.u. comunque espletata , poste a carico esclusivo dell’attore.
Con sentenza n. 2230/2020, la Corte di appello di Bologna, rigettò l’appello principale proposto dall’imprenditore , accogliendo
invece l’impugnazione incidentale proposta dai coniugi COGNOME limitatamente alla statuizione sulle spese.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, la Corte d’appello rimarcò che i promissari acquirenti avevano in più occasioni manifestato la propria intenzione di procedere con la stipula del definitivo, preclusa quindi dalla mancanza di un accordo sulla quantificazione del saldo da versare, risultando il prezzo pattuito nel preliminare superiore a quello stabilito dalle delibere comunali intervenute successivamente; escluse, quindi, la necessità di rinnovare la c.t.u. per verificare la congruità del prezzo dell’immobile perché la determinazione del prezzo era demandata ex lege , in via esclusiva, al Comune. In conseguenza, rigettato l’appello principale, in accoglimento dell’incidentale , condannò il COGNOME a rifondere le spese del doppio grado ai coniugi.
Avverso questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, a cui i coniugi Traversa e COGNOME hanno resistito con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memorie.
Il Pubblico ministero ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, NOME COGNOME ha denunciato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione della normativa dettata in materia di edilizia convenzionata: l a Corte avrebbe applicato acriticamente l’art. 18 del d.P.R. n. 380/2001, senza considerare che le differenze di prezzo stabilite dai provvedimenti amministrativi successivi non erano imputabili all’impresa e l’immobile oggetto della convenzione era stato comunque migliorato; in tal senso, il prezzo di cessione era stato determinato di concerto da tutti i partecipanti al Consorzio, in assenza
di convenzione e in attesa della modifica del piano convenzionato P.E.E.P. e stabilito non arbitrariamente, ma con riferimento alle disposizioni del Regolamento del Comune di Rimini, dell’art. 18 comma 4 del d.P.R. n. 380/2001 e della delibera regionale n. 326/2002; la modifica successiva del prezzo era stata, perciò, conseguenza dell’avere il Comune di Rimini rilasciato le concessioni edilizie sulla base del c apitolato vigente all’epoca, senza provvedere preventivamente alla sua integrazione né alla sottoscrizione della convenzione.
1.1. Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già più volte statuito, anche decidendo su ricorsi dello stesso ricorrente (Cass. Sez. 2, n. 9719 del 2024; Sez. 2, n. 9675 del 2024; Sez. 2, n. 26689 del 24/11/2020 massimata; Sez. 2, n. 28256 del 09/10/2023; Sez. 1, Sentenza n. 8507 del 19/11/1987; Sez. 2, Sentenza n. 576 del 20/01/1983), che in ipotesi di alloggi realizzati nell’ambito di un progetto di edilizia residenziale pubblica, sulla scorta delle convenzioni di approvazione del Piano di edilizia economica e popolare (convenzioni P.E.E.P.), la predeterminazione del prezzo della cessione ed i limiti della possibilità di sua revisione spiegano influenza sul contratto definitivo, nel senso di invalidarlo per la parte in cui, attuando il preliminare, fissi un prezzo eccedente quello consentito; il prezzo di cessione degli alloggi in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della legge n. 865/1971 non può, infatti, essere superiore a quello massimo consentito, atteso che la normativa persegue lo scopo di assicurare un alloggio alle fasce più deboli della popolazione; è consentito, perciò, alle parti, soltanto concordare un prezzo inferiore a quello massimo stabilito nella convenzione Comune -costruttore, stipulata ai sensi dell’ art. 35 cit..
In conseguenza, a fronte di un prezzo massimo stabilito, le parti non possono procedere alla stipula del definitivo senza avere
conoscenza di tale prezzo massimo, provvedendo soltanto dopo la produzione dell’effetto traslativo all’aggiornamento del corrispettivo.
Ai sensi dell’art. 35 della legge n. 865/1971, che delega al Consiglio comunale la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia di edilizia sovvenzionata, gli atti amministrativi relativi, in quanto emanati in forza della predetta delega legislativa, da questa direttamente traggono un carattere di imperatività, sicché debbono ritenersi compresi nella previsione dell’art. 1339 cod. civ. , alla quale si collega quella dell’art. 1419, secondo comma, cod. civ.: la difformità della clausola negoziale di determinazione del prezzo è sanzionata con la nullità della clausola stessa, non dell’intero contratto, perché per la sostituzione della pattuizione opera, di diritto, la norma imperativa (Cass. Sez. 2, n. 26689/2020 cit.; Sez. 2, n. 21 del 03/01/2017; Sez. 2, n. 3018 del 10/02/2010; Sez. 2, Sentenza n. 11032 del 21/12/1994).
Con il secondo motivo, il ricorrente ha sostenuto, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione delle norme dettate in materia di inadempimento contrattuale, di risoluzione del contratto e di contratto preliminare: in particolare, la Corte d’Appello avrebbe erroneamente sovrapposto i concetti giuridici della disponibilità a stipulare con l’ offerta formale del prezzo, ritenendo sufficiente , per escludere l’inadempimento dei due coniugi, le loro manifestazioni di disponibilità a stipulare il definitivo, seppure in mancanza di un’idonea offerta formale di pagamento del prezzo.
Con il terzo motivo, NOME COGNOME ha quindi lamentato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2932 cod. civ.: la Corte avrebbe erroneamente escluso l’inadempimento de i promissari acquirenti,
nonostante la loro volontà di procedere al rogito per un prezzo sensibilmente diverso da quelle pattuito, con ciò riconoscendo loro un ingiustificato potere di «autotutela negoziale».
3.1. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, sono infondati.
La Corte d’appello ha rimarcato che la conclusione del definitivo è stata impedita dal perdurante contrasto sull’entità del saldo prezzo e ha, quindi, correttamente applicato i principi esposti al precedente punto 1.1. per ribadire il diritto dei promissari acquirenti al pagamento del corrispettivo nella misura stabilita dalle delibere successive al preliminare; ha ritenuto, perciò, idonea l’offerta dei convenuti di adempiere alla loro prestazione, previo adeguamento del prezzo all’importo autoritativamente determinato , con automatica sostituzione della clausola che aveva fissato un prezzo superiore ed era perciò nulla.
Così decidendo, la Corte d’appello ha perciò correttamente applicato anche il principio, più volte affermato da questa Corte, per cui, se le parti di un preliminare di vendita immobiliare hanno convenuto che il pagamento del prezzo debba essere effettuato alla stipulazione del definitivo, il requisito dell’offerta di cui all’art. 2932, comma 2, cod. civ. è da ritenersi soddisfatto con la proposizione della domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre, perché in essa necessariamente implicito; in tale ipotesi, deve senz’altro essere emessa la sentenza produttrice degli effetti del contratto non concluso ed il pagamento del prezzo va imposto come condizione per il verificarsi dell’effetto traslativo derivante dalla pronuncia del giudice. (Cass. Sez. 2, n. 14372 del 05/06/2018; Sez. 2, n. 24339 del 16/10/2017; Sez. 6 – 2, n. 29849 del 29/12/2011).
Con il quarto motivo, il ricorrente ha infine prospettato, in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 cod. civ., 115 e 191 e ss. cod. proc. civ., per avere la Corte erroneamente ritenuto superflu i l’espletamento e la rinnovazione della c.t.u. svolta in primo grado per la determinazione del prezzo e utilizzata dal Tribunale per stabilire il saldo: la Corte d’appello avrebbe così contraddittoriamente negato in diritto, da un canto, l’utilizzabilità della consulenza espletat a e la possibilità di rinnovarla e, dall’altro, tuttavia, avrebbe confermato la decisione che la presupponeva.
4.1. Il motivo è inammissibile per più profili.
Innanzitutto, quanto alla censura avente ad oggetto il rigetto dell’istanza di rinnovazione della c.t.u. , questa Corte ha sempre ribadito che la violazione dell’art. 2697 cod. civ. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal successivo art. 116 (Cass. Sez. 6 – 3, n. 26769 del 23/10/2018; Sez. 5 – , n. 26739 del 15/10/2024).
La violazione denunciata, evidentemente, esorbita per sua stessa formulazione dai limiti fissati da questo principio.
A ciò deve poi aggiungersi l’inconferenza dell’argomentazione rispetto alla ratio decidendi della sentenza: la Corte d’appello ha riportato, nella parte narrativa della sentenza (pag. 5) che il Tribunale ha dichiarato «la sostituzione automatica del prezzo fissato nel preliminare con quello determinato dall’amministrazione» e ciò perché aveva ritenuto che «gli atti adottati dal Comune avessero carattere imperativo», non perché avesse ritenuto congrua la misura del prezzo quantificata dal c.t.u., sia pure nello stesso ammontare determinato dall’amministrazione comunale .
Quindi, a pag. 7 della motivazione, la stessa Corte d’appello ha ribadito che la rinnovazione della c.t.u. sarebbe risultata inutile perché in alcun modo i prezzi determinati dal Comune avrebbero potuto essere modificati.
In tal senso, allora, la lettura delle ragioni poste a fondamento della decisione sia di primo che di secondo grado risulta erronea.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME al rimborso delle spese processuali in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate in dispositivo in relazione al valore, con la distrazione come chiesta dai difensori dichiaratisi antistatari.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME al pagamento, in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge, con la distrazione come chiesta dai difensori dichiaratisi antistatari.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di Cassazione del 29 gennaio 2025.
La Presidente NOME COGNOME