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Opzione put: la Cassazione ne conferma la validità

La Corte di Cassazione ha confermato la validità di una clausola di opzione put inserita in un patto parasociale a favore di un socio finanziatore. La Corte ha stabilito che tale clausola non viola né il divieto di patto leonino, né quello di patto commissorio, in quanto rappresenta un legittimo strumento di tutela dell’investimento e di garanzia per l’uscita dalla società. La sentenza ha però accolto un motivo di ricorso procedurale, chiarendo che il giudice d’appello deve tener conto dei pagamenti parziali avvenuti durante il processo e rifletterli nel dispositivo della sentenza.

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Opzione Put nei Patti Parasociali: La Cassazione ne Ribadisce la Legittimità

L’opzione put è uno strumento finanziario e contrattuale di fondamentale importanza nelle operazioni di investimento societario. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla sua validità, chiarendo i confini rispetto a figure vietate come il patto leonino e il patto commissorio. La decisione offre spunti cruciali per investitori, imprenditori e professionisti del diritto societario.

I Fatti di Causa

Una società finanziaria regionale aveva investito in una società target, sottoscrivendo un aumento di capitale e un prestito obbligazionario convertibile. L’operazione era supportata da una convenzione parasociale stipulata con gli altri soci. Tale accordo prevedeva una clausola cruciale: un’opzione put che dava diritto alla finanziaria di vendere, a una data successiva, l’intera sua partecipazione (azioni e obbligazioni convertite) agli altri soci a un prezzo predeterminato.

Al momento di esercitare tale diritto, uno dei soci si è opposto, rifiutandosi di adempiere all’obbligo di acquisto. La questione è così approdata in tribunale. Sia in primo grado che in appello, le corti avevano dato ragione alla società finanziaria, condannando i soci inadempienti. Uno di essi, tuttavia, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che la clausola di opzione put fosse nulla perché violava il divieto di patto leonino (art. 2265 c.c.) e di patto commissorio (art. 2744 c.c.).

La Decisione della Corte di Cassazione sull’Opzione Put

La Suprema Corte ha rigettato i motivi di ricorso relativi alla presunta nullità dell’opzione put, confermandone la piena legittimità nel contesto specifico. Tuttavia, ha accolto un terzo motivo di natura procedurale, cassando con rinvio la sentenza d’appello su un punto specifico.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha smontato le argomentazioni della ricorrente con un ragionamento giuridico solido e aderente ai precedenti giurisprudenziali.

Distinzione dal Patto Leonino

La ricorrente sosteneva che l’opzione a prezzo predeterminato la esonerasse completamente dal rischio d’impresa, configurando un patto leonino. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio consolidato: è lecito l’accordo negoziale (come un patto parasociale) con cui un socio si obbliga a manlevare un altro dalle conseguenze negative di un investimento. L’opzione put non esclude il socio finanziatore dal rischio d’impresa in modo assoluto, ma si limita a regolare le modalità della sua uscita dall’investimento. Tale meccanismo è meritevole di tutela, specialmente quando, come nel caso di una finanziaria regionale, l’investimento ha finalità pubblicistiche di sostegno alle imprese.

Inapplicabilità del Divieto di Patto Commissorio

Ancora più netta è stata la distinzione rispetto al patto commissorio. Il divieto di cui all’art. 2744 c.c. mira a impedire che il creditore si appropri del bene dato in garanzia in caso di inadempimento del debitore. Nel caso dell’opzione put, la situazione è rovesciata: il diritto (di vendere) è attribuito al venditore/investitore (creditore del prezzo), non all’acquirente/debitore. Non vi è alcun trasferimento automatico di proprietà a fronte di un inadempimento; si tratta semplicemente dell’esercizio di un diritto di vendita contrattualmente previsto.

L’Accoglimento del Motivo Procedurale

La Corte ha invece accolto la censura relativa a un aspetto procedurale. Durante il giudizio di appello, la ricorrente aveva effettuato un pagamento parziale di 40.000,00 euro. La Corte d’Appello ne aveva dato atto nella motivazione ma aveva omesso di decurtare tale importo dal dispositivo della sentenza, che si limitava a confermare la condanna di primo grado. La Cassazione ha chiarito che la sentenza d’appello, anche se confermativa, si sostituisce integralmente a quella di primo grado. Pertanto, essa deve tenere conto di tutti i fatti avvenuti nel corso del giudizio, inclusi i pagamenti parziali, per evitare la formazione di un titolo esecutivo per un importo superiore a quello effettivamente dovuto. Su questo punto, la causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per una nuova pronuncia.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la certezza giuridica per gli operatori economici. Le conclusioni principali sono due:
1. Validità dell’Opzione Put: L’opzione put in un patto parasociale è uno strumento valido e legittimo per regolare l’uscita di un socio investitore, e non integra di per sé un patto leonino o commissorio.
2. Dovere del Giudice d’Appello: Il giudice d’appello ha il dovere di considerare i pagamenti effettuati in corso di causa e di adeguare il dispositivo della sentenza di conseguenza, per garantire che il titolo esecutivo rifletta l’effettivo debito residuo.

Un’opzione put in un patto parasociale è un patto leonino vietato dalla legge?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un’opzione put è un accordo lecito e meritevole di tutela che regola le modalità di uscita di un socio da un investimento, senza escluderlo a priori dal rischio d’impresa, specialmente se serve a garantire un finanziamento partecipativo.

Perché il divieto di patto commissorio non si applica a un’opzione put concessa a un socio finanziatore?
Il divieto di patto commissorio si applica quando il diritto di acquisire un bene è attribuito al creditore in caso di inadempimento. Nell’opzione put, invece, il diritto (di vendere) è attribuito al venditore (il socio finanziatore), non all’acquirente. La logica è opposta e quindi il divieto non è pertinente.

Se un debitore effettua un pagamento parziale durante un processo d’appello, il giudice deve tenerne conto nella sentenza finale?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la sentenza d’appello si sostituisce a quella di primo grado. Pertanto, il giudice deve dare atto dei pagamenti intervenuti durante il giudizio di gravame e decurtarli dall’importo della condanna nel dispositivo, per evitare la formazione di un titolo esecutivo per una somma non più dovuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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