Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16162 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16162 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18048/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME domiciliazione ex lege all’indirizzo Pec in atti.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME domiciliata all’indirizzo Pec del difensore.
–
contro
ricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TRIESTE n. 124/2023 depositata il 27/04/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/03/2025
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME
Rilevato che
Con contratto di affitto di ramo d’azienda del 7 agosto 2019 C.C.D.F., proprietaria del Centro Commerciale denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, sito a Torreano di Martignacco (UD), articolato in molteplici rami d’azienda, concedeva in godimento alla RAGIONE_SOCIALE un punto vendita/ramo d’azienda all’interno del suo Centro Commerciale per l’esercizio dell’attività di vendita di generi di ‘oggettistica da regalo, biglietti di auguri, gadgets, articoli di cartoleria e cancelleria’.
Il contratto, della durata di cinque anni a far data dal 2 settembre 2019, poneva a carico della Art Merchandising l’obbligo di pagare un canone, con una componente fissa ed una variabile, quest’ultima legata al giro d’affari dell’affittuaria, e le spese per la fruizione dei beni e dei servizi di utilità dell’intero Centro Commerciale, nonché di rispettare -a pena di sanzioni in caso di violazione -il Regolamento Interno del Centro Commerciale allegato al contratto come parte integrante dello stesso. Inoltre, il Regolamento prevedeva l’applicazione di una penale di € 500,00 per ogni giorno di mancata apertura del punto vendita.
Poiché la Art Merchandising aveva lasciato insoluti alcuni canoni e alcune spese (per complessivi euro 21.347,00) ed aveva lasciato immotivatamente chiuso il punto vendita ad essa affidato a partire dal 29 dicembre 2020, per complessivi 59 giorni, aveva maturato penali per euro 29.500,00, importo di cui la CCDF le ingiungeva il pagamento in sede monitoria.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, in cui si costituiva, resistendo, la opposta CCDF.
4.1. In particolare, a fondamento dell’opposizione, RAGIONE_SOCIALE allegava che: -) il contratto tra le parti si era risolto a far data dal 29 dicembre 2020, giusta disdetta da essa comunicata a C.C.D.F. per eccessiva onerosità sopravvenuta, stante l’incidenza negativa sugli affari nel periodo Covid -19, e/o per malafede contrattuale di C.C.D.F. nell’esecuzione del contratto, per non avere questa concesso i promessi sconti sul canone per ridurre ad equità il contratto, sicché la ricorrente aveva rilasciato il ramo d’azienda, appunto a far data dal 29 dicembre 2020; -) tutte le competenze maturate a suo carico fino al 29 dicembre 2020 erano state saldate con l’escussione della fideiussione prestata a titolo di caparra a garanzia e nulla era dovuto per il periodo successivo; -) nulla era dovuto a titolo di penali, in quanto connesse alla mancata apertura volontaria del locale in costanza di rapporto locatizio, e applicabili, invece, in caso di definitiva cessazione del rapporto contrattuale.
4.2. La conduttrice opponente, inoltre, proponeva domanda riconvenzionale avente ad oggetto la cessazione del rapporto e l’esistenza di un suo credito restitutorio.
4.3. Chiedeva, pertanto, la risoluzione e la riduzione ad equità del contratto e la condanna di C.C.D.F. al risarcimento dei danni, corrispondenti alle spese di allestimento e smantellamento del punto vendita, nonché alla restituzione degli importi incassati a titolo di canoni, per la parte eccedente l’importo dovuto secondo equità ed i crediti effettivamente maturati al 29 dicembre 2020.
La CCDF, dal canto suo, in via preliminare eccepiva la tardività dell’opposizione perché proposta, in materia soggetta al rito speciale dell’art. 447 -bis c.p.c. (affitto di azienda), con atto di citazione, notificato il 40° giorno successivo alla notifica del decreto ingiuntivo, ma iscritto al ruolo il 41° giorno.
Con sentenza n. 537/2022 il Tribunale di Udine, previo
mutamento del rito da ordinario a locatizio, accoglieva l’eccezione di C.C.D.F., dichiarando inammissibile, in quanto tardiva, l’opposizione da RAGIONE_SOCIALE, anche con riferimento alle domande riconvenzionali proposte, in quanto relative a questioni dipendenti dal ricorso.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE proponeva appello; si costituiva, resistendo al gravame, la CCDF.
Con sentenza n. 124/2023, la Corte d’Appello di Trieste rigettava l’appello, confermando la sentenza di primo grado.
Avverso tale sentenza la RAGIONE_SOCIALE propone ora ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la CCDF.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni, né le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente denuncia ‘Violazione di legge (ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.): errata applicazione dell’articolo 40 terzo comma c.p.c.’.
Censura l’impugnata sentenza, là dove (v. p. 10) ha affermato ‘10.1. Pacifico che la domanda principale di pagamento formulata da RAGIONE_SOCIALE trovi titolo nel contratto di affitto di azienda e che, quindi, debba essere trattata con il rito locatizio. Tale conclusione vale, però, anche per la domanda di pagamento della penale prevista dall’art. 22 del regolamento interno del centro commerciale (All. E del contratto di affitto di azienda). Ciò dipende dal fatto che l’osservanza del regolamento, citato in più parti del contratto di affitto, è oggetto di specifico obbligo contrattuale ed il regolamento stesso non solo è materialmente allegato al contratto, ma anche, per espressa indicazione contrattuale, ne costituisce parte integrante (art. 20 del
contratto)’.
Deduce che la società conduttrice aveva indicato come fonte autonoma della penale prevista, il regolamento, inteso quale allegato al contratto, e non quale parte integrante del contratto di locazione.
Pertanto, i giudici di merito avrebbero dovuto tenere conto della prospettazione adottata e per l’effetto considerare applicabile non il rito del lavoro, bensì il rito ordinario ex art. 40, terzo comma, cod. proc. civ., rispetto al quale la proposta opposizione avrebbe pertanto dovuto essere ritenuta ammissibile, in quanto tempestiva.
1.1. Il motivo è manifestamente infondato.
Invero, dalla stessa contorta prospettazione svolta nel ricorso si comprende che il rapporto contrattuale era unico e che la previsione delle penali era clausola contrattuale.
Né parte ricorrente riesce ad identificare il diverso rapporto contrattuale, cioè un rapporto diverso dall’affitto di azienda, idoneo a giustificare le penali ed a costituirne il titolo.
Ne deriva, pertanto, che correttamente i giudici di merito, nel considerare l’unico rapporto contrattuale (di affitto di azienda) intercorrente tra le parti, hanno fatto applicazione dello speciale rito locatizio.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘Violazione di legge ( ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.): violazione e falsa applicazione degli artt. 647 c.p.c. e 2909 c.c.’.
Lamenta che ‘La sentenza di secondo grado taglia corto sulle domande riconvenzionali che nei motivi di appello avrebbero potuto sorreggere il giudizio anche una volta dichiarata l’inammissibilità dell’opposizione’.
Deduce che in tal modo, il contratto tra le parti, che è di durata, non è stato risolto ed essa esponente continua ad essere destinataria di decreti ingiuntivi.
2.1. Il motivo è fondato, sebbene con riferimento alle sole domande riconvenzionali riguardo alle quali era stato proposto appello, e cioè, come si evince dalla lettura dell’impugnata sentenza, quella di risarcimento dei danni in tesi causati per violazione delle norme sull’ esecuzione del contratto in buona fede e quella di risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta.
2.2. La corte istriana ha posto un principio -quello secondo cui ‘ la difesa di RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato le medesime difese sia per paralizzare la domanda di pagamento di RAGIONE_SOCIALE.p.a. e sia per formulare una vera e propria domanda riconvenzionale (…) Ne consegue che, una volta dichiarata inammissibile l’opposizione e definitivo l’accoglimento della domanda di pagamento, devono intendersi rigettate anche tutte le difese già formulate nei confronti di tale domanda, ivi comprese quelle fondate su elementi utilizzati per formulare anche le domande riconvenzionali. Con l’ulteriore conseguenza che il passaggio in giudicato della statuizione sulla domanda di pagamento, comprensiva del rigetto delle eccezioni contrarie, risulta, quindi, non compatibile con un riesame delle medesime questioni, già implicitamente rigettate nella veste di eccezione, anche nella diversa forma della domanda riconvenzionale’ -assolutamente non conforme agli insegnamenti di questa Suprema Corte.
Questa Corte, infatti, ha posto il principio esattamente opposto, e cioè che ‘In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la dichiarazione di inammissibilità o di improponibilità dell’opposizione comporta soltanto il passaggio in giudicato della statuizione contenuta nel provvedimento monitorio e non preclude l’esame della domanda riconvenzionale spiegata dall’opponente, atteso il suo carattere autonomo di controdomanda volta alla attribuzione di un bene della vita, che
la distingue dalla eccezione riconvenzionale che consiste in una prospettazione difensiva che, pur ampliando il tema della controversia attraverso l’allegazione di altro diritto, è finalizzata esclusivamente alla reiezione della domanda di controparte (v. Cass., n. 4131 del 14/02/2024: nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva ritenuto che l’inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo avente ad oggetto canoni locatizi comportasse l’inammissibilità della domanda riconvenzionale con la quale l’opponente aveva chiesto la restituzione del deposito cauzionale, erroneamente qualificata come eccezione riconvenzionale; v. già anche Cass., Sez. Un., 19/04/1982, n. 2387; Cass., 06/04/2006, n. 8083).
2.3. Peraltro, se anche il giudicato formatosi sulla pretesa creditoria oggetto del ricorso monitorio spiegasse qualche effetto preclusivo sulle due domande riconvenzionali indicate a p. 12 dell’impugnata sentenza, ciò non toglierebbe che tale effetto esigerebbe comunque una decisione su tali domande.
Invece, come emerge dalla lettura della impugnata sentenza, la corte triestina non ha disposto il rigetto delle riconvenzionali, ma ha affermato in modo del tutto generico che le difese svolte contro la pretesa creditoria sarebbero state fondate su elementi utilizzati per formulare le riconvenzionali e tale affermazione, fermo che non si è concretata in un rigetto delle riconvenzionali, ma nella giustificazione della declaratoria di inammissibilità del primo giudice, se anche si volesse intendere come rigetto nel merito, risulterebbe assolutamente incomprensibile, sì da integrare motivazione del tutto apparente sul preteso vincolo di giudicato.
In conclusione, il primo motivo va rigettato, mentre il secondo motivo deve essere accolto.
L’impugnata sentenza va cassata in relazione, con rinvio alla
Corte d’Appello di Trieste, ad altra sezione e comunque in diversa composizione, per nuovo esame, in forza dei suindicati principi di diritto, per cui il giudice di rinvio deciderà sulle due riconvenzionali e motiverà l’eventuale rilevanza riguardo ad esse della cosa giudicata formatasi sulla debenza del credito monitorio.
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso.
Cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Corte d’Appello di Trieste, in altra sezione e comunque in diversa composizione, anche per provvedere sulle spese del giudizio di legittimità
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza