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Opponibilità scritture contabili al curatore: la Cassazione

Un creditore, fornitore di carburante, chiedeva l’ammissione al passivo del fallimento di una società di autotrasporti. Il tribunale rigettava la domanda, negando l’opponibilità delle scritture contabili al curatore, considerato terzo. La Cassazione cassa la decisione, stabilendo che se il curatore riassume un giudizio pendente (nel caso, un’opposizione a decreto ingiuntivo), subentra nella stessa posizione processuale della società fallita. Di conseguenza, vige l’opponibilità delle scritture contabili come prova tra imprenditori.

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Opponibilità delle scritture contabili al curatore: la Cassazione fa chiarezza

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale nel diritto fallimentare: l’opponibilità delle scritture contabili come prova di un credito nei confronti del curatore. La Corte di Cassazione chiarisce che quando il curatore subentra in una causa già pendente, la sua posizione processuale cambia, con importanti conseguenze sul piano probatorio.

I Fatti di Causa

Una società fornitrice di carburante otteneva un decreto ingiuntivo contro una ditta di autotrasporti per fatture non pagate. La ditta di autotrasporti si opponeva al decreto, sostenendo che il carburante fosse contaminato e chiedendo, a sua volta, un risarcimento danni.

Durante questo procedimento, la ditta di autotrasporti veniva dichiarata fallita. Di conseguenza, la società fornitrice di carburante presentava domanda di ammissione al passivo del fallimento per vedersi riconosciuto il proprio credito. Il giudice delegato e, in seguito, il Tribunale in sede di opposizione, rigettavano la domanda. La motivazione? Il decreto ingiuntivo non era esecutivo prima del fallimento e le scritture contabili (fatture ed estratti conto) non costituivano prova sufficiente contro il curatore, considerato un soggetto ‘terzo’ rispetto ai rapporti dell’impresa fallita.

L’Opponibilità delle Scritture Contabili e la Posizione del Curatore

Il cuore della questione giuridica risiede nell’interpretazione degli articoli 2709 e 2710 del codice civile, che regolano l’efficacia probatoria dei libri e delle scritture contabili. Di norma, queste registrazioni fanno piena prova tra imprenditori per i rapporti inerenti all’esercizio dell’impresa.

Il Tribunale di merito aveva ritenuto che questa regola non si applicasse al curatore fallimentare, poiché egli agisce come gestore del patrimonio per conto della massa dei creditori, e quindi è considerato ‘terzo’ rispetto agli atti compiuti dall’imprenditore fallito. Tuttavia, la società creditrice ha impugnato questa decisione in Cassazione, sollevando un punto decisivo che era stato trascurato.

Il Fatto Decisivo: la Riassunzione del Giudizio

Il ricorrente ha evidenziato che il curatore fallimentare non si era limitato a resistere alla domanda di ammissione al passivo, ma aveva attivamente ‘riassunto’ il giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo che era stato interrotto a causa del fallimento. Riassumendo la causa, il curatore è subentrato nella stessa identica posizione, sia sostanziale che processuale, che era quella della società prima del fallimento. Non agiva più, quindi, come un soggetto terzo, ma come successore della parte originaria del processo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritenendo fondato il motivo basato sull’omesso esame di un fatto decisivo: la riassunzione del giudizio da parte del curatore. La Corte ha ribadito un principio consolidato della sua giurisprudenza: l’articolo 2710 c.c. si applica anche quando una delle parti è fallita, se il rapporto obbligatorio è sorto prima del fallimento e il curatore è subentrato in esso.

In pratica, quando il curatore agisce come avente causa dell’imprenditore fallito, esercitando un diritto o continuando un’azione già presente nel suo patrimonio (come in questo caso), non vi è ostacolo all’applicazione delle norme sulla prova tra imprenditori. Egli ‘eredita’ la posizione processuale della società fallita, con tutti i diritti e gli oneri che ne derivano, inclusa la piena efficacia probatoria delle scritture contabili della controparte.

Il Tribunale, non considerando la circostanza della riassunzione, ha commesso un errore di valutazione, trattando il curatore come un terzo quando, in quel contesto specifico, non lo era. Questo ha portato a negare ingiustamente valore probatorio a documenti che, secondo la legge, avrebbero dovuto essere considerati validi.

Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato il decreto del Tribunale e ha rinviato la causa per un nuovo esame. La decisione ribadisce un principio fondamentale: la posizione del curatore fallimentare non è monolitica. Sebbene spesso agisca come terzo a tutela dei creditori, quando sceglie di proseguire un’azione legale iniziata dall’imprenditore fallito, ne assume la medesima posizione processuale. Questa pronuncia offre un’importante tutela per i creditori che, in contesti simili, possono legittimamente fare affidamento sulle proprie scritture contabili per dimostrare il loro diritto nell’ambito di una procedura fallimentare.

Le scritture contabili di un’impresa valgono come prova contro il curatore fallimentare di un’altra impresa?
Sì, ma a una condizione precisa. Secondo la Corte, se il rapporto commerciale è sorto tra due imprenditori prima del fallimento e il curatore decide di ‘riassumere’ un giudizio già pendente, egli subentra nella stessa posizione della società fallita. In questo caso, le scritture contabili dell’altra impresa hanno piena efficacia probatoria, come previsto dall’art. 2710 del codice civile.

Cosa significa che il curatore fallimentare ‘riassume’ una causa?
Significa che il curatore decide di proseguire attivamente un processo che era stato interrotto a causa della dichiarazione di fallimento. Con la riassunzione, il curatore si sostituisce alla società fallita come parte processuale, ereditandone la posizione, i diritti e gli obblighi relativi a quella specifica causa.

Perché il tribunale di merito aveva inizialmente respinto la richiesta del creditore?
Il tribunale aveva considerato il curatore fallimentare sempre e comunque come un ‘terzo’ rispetto ai rapporti della società fallita, ovvero come un rappresentante della massa dei creditori. Di conseguenza, aveva ritenuto che le scritture contabili del creditore non fossero una prova sufficiente contro di lui. La Cassazione ha corretto questa visione, specificando che la posizione del curatore cambia a seconda dell’azione processuale che intraprende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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