Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18696 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 18696 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 18916 del ruolo generale dell’anno 2024 , proposto da
Comune di Rocca di Papa (C.F: P_IVA), con sede in Rocca di Papa, INDIRIZZO in persona del Sindaco p.t. Dott NOME COGNOME (C.F: CODICE_FISCALE, elett.te dom.to in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE), che lo rapp.ta e difende, in virtù di procura speciale ex art. 83 c.p.c. su foglio separato, da intendersi in calce al ricorso anche ai sensi dell’art. 18 comma 5 D.M. Giustizia n. 44/2011, come sostituito dal D.M. Giustizia n. 48/2013 e ss.mm.ii., giusta deliberazione Giunta Comunale n. 110 del 2.8.2024, la quale dichiara di voler ricevere comunicazioni e/o notificazioni relative al ricorso e relativo procedimento ai seguenti recapiti fax NUMERO_TELEFONO – indirizzo PEC: EMAIL
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE (c.f. P_IVA), in persona del legale rapp.te p.t. NOME COGNOME, con sede in Roma, INDIRIZZO rappresentata e difesa dagli avv. NOME
COGNOME (c.f. TARGA_VEICOLO CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (c.f. MCN CODICE_FISCALE –EMAIL), entrambi del Foro di Roma, con domicilio digitale EMAIL ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO per procura speciale in calce al controricorso.
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n° 784 depositata il 5 febbraio 2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16 maggio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Il Comune di Rocca di Papa inviava alla RAGIONE_SOCIALE un avviso di pagamento per il Canone di occupazione di spazi ed aree pubbliche (Cosap) relativo ad un traliccio e ad un box posti dalla società predetta sul Monte Cavo, sito nel Comune menzionato.
La Ritzland adiva il tribunale di Velletri chiedendo di accertare che il Canone non era dovuto e il tribunale accoglieva la domanda.
2 .-Su impugnazione del Comune, la Corte d’appello di Roma confermava la decisione.
Osservava la Corte che il primo motivo di impugnazione, col quale il Comune deduceva la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., per non aver il giudice di primo grado valutato adeguatamente tutte le relazioni peritali agli atti che sconfessano la proprietà privata dell’area come affermato dalla Ritzland Records, nonché la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2700 cod. civ., e la carenza di motivazione, era infondato: infatti, né il c.t.u., né il tribunale avevano affermato che i manufatti insistevano su un’area privata, essendo anzi acclarata la natura pubblica del sito.
Ciò che il primo giudice aveva ritenuto non provato era, semmai, che l’area pubblica fosse ‘ riconducibile ‘ al Comune.
L’appellante aveva dedotto, a sostegno della ‘ natura pubblica comunale ‘ del suolo alcuni atti formati dal Comune o da suoi dipendenti, che non erano tuttavia idonei a comprovare quanto allegato, in quanto non aveva sottoposto a critica la motivazione del primo giudice, a tenore della quale la prova della proprietà di un immobile non poteva essere data con atti interni dell’ente.
L’appellante, inoltre, richiamava perizie svolte in altri procedimenti che sconfesserebbero la tesi di una proprietà privata dell’area ove insistono i manufatti, ma tale tesi in verità non era mai stata sostenuta dalla controparte.
Ancora, il Comune invocava l’atto notarile di vendita del 30 gennaio 1991 n° 38240 di repertorio, a rogito Notaio NOME COGNOME di Roma, nel quale l’area veniva descritta come destinata alla viabilità del sito, senza tuttavia prendere posizione su quanto affermato dal primo giudice circa l’assenza di fede privilegiata degli atti notarili nella loro parte meramente descrittiva.
L’ultimo motivo dell’appellante, con cui affermava l’inclusione dell’area nella viabilità pubblica e la non appartenenza della strada al demanio statale, era fondato su documenti inammissibili, in quanto prodotti in violazione dell’art. 345 cod. proc. civ.
Del pari prive di rilievo erano le pronunce rese inter alios , anche dalla stessa Corte d’appello, allegate alla memoria conclusionale dall’appellante, per l’ovvia considerazione che non poteva trarsi da esse la prova della titolarità comunale dell’area, che doveva essere offerta nel processo.
3 .- Avverso tale sentenza ha interposto ricorso per cassazione il Comune, affidando il gravame a cinque motivi.
Resiste la COGNOME che conclude per l’inammissibilità e per l’infondatezza di tutti i mezzi.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Entrambi i litiganti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3 .- Col primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 342 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n° 4 dello stesso codice.
Il giudice di appello avrebbe ritenuto inammissibile il gravame per omessa critica del passaggio motivazionale del tribunale, col quale era stato affermato che la prova della proprietà di un immobile non può essere data con atti interni dell’ente che ne professa il dominio e che gli atti notarili non avrebbero fede privilegiata nella loro parte meramente descrittiva: affermazioni poste dal primo giudice a sostegno della non riconducibilità dell’area pubblica al Comune di Rocca di Papa per difetto di prova.
Il ricorrente assume, invece, di aver criticato col primo e col secondo motivo di appello le conclusioni cui era giunto il tribunale, facendo osservare che la proprietà dell’area dove insistono i manufatti (uno spiazzo da considerare continuazione e allargamento della Antica INDIRIZZO INDIRIZZO pertanto strada INDIRIZZO) emergeva dalla consulenza a firma geometra COGNOME nella quale era stato anche chiarito che le consulenze a firma ingegner COGNOME e architetto COGNOME erano basate su estratti di mappa non aggiornati e viziate da arbitrarie variazioni catastali, poi annullate d’ufficio.
La natura di strada pubblica risulterebbe inoltre non solo dalla certificazione del Responsabile dell’Ufficio tecnico comunale, ma anche dalla documentazione dell’Agenzia delle entrate e da quella catastale.
Di tutte tali critiche alla sentenza del tribunale non vi sarebbe traccia nella sentenza d’appello, mentre la Corte territoriale avrebbe dovuto considerare che, qualora l’appellante denunci l’erronea valutazione delle prove, è sufficiente, ai fini dell’ammissibilità dell’impugnazione, che egli si limiti a domandare un nuovo esame delle stesse.
Col secondo motivo il Comune si duole, ai sensi dell’art. 360 n° 5, cod. proc. civ., dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.
La Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare le abusive variazioni catastali presentate, prima e dopo l’atto di vendita a ministero notaio COGNOME del 30 gennaio 1991, per aumentare la consistenza catastale della particella 172 (trasferita con tale atto), onde includere in essa la porzione di suolo sulla quale insistevano i manufatti.
Tali variazioni vennero annullate dall’U.T.E. il 17 gennaio 1996, su istanza del Comune, con ripristino dello stato anteriore: fatti che, ove rilevati, di per sé avrebbero consentito di ritenere che lo spiazzo formato sulla vetta del Monte INDIRIZZO dall’anello della antica strada consolare non era compreso nella particella 172 ed era di proprietà comunale.
Col terzo mezzo il ricorrente deduce la violazione e/o la falsa e/o omessa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n° 285/1992 e 22, terzo comma, della legge n° 2248/1865, nonché degli artt. 2728 e 2729 e 2697 cod. civ., in relazione dell’art. 360 n° 3 del codice di rito, per aver il giudice di appello ritenuto non provata la riconducibilità dell’area al Comune nonostante le previsioni di legge e le presunzioni in tal senso.
La strada consolare di Monte Cavo congiungerebbe il centro urbano del Comune e le zone periferiche dello stesso e, pertanto, sarebbe ex lege di proprietà del Comune, con presunzione iuris tantum non vinta dalla controparte, mentre la Corte d’appello avrebbe posto a carico del Comune l’onere di provarne la titolarità.
Col quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 345, terzo comma, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n° 3 e n° 4 dello stesso codice.
Il giudice di appello avrebbe ritenuto tardiva e, pertanto, inammissibile la certificazione dell’Agenzia Demanio del 16 aprile
2019 (prot. 2019/4343), allegata alle note di udienza del 23 settembre 2020 del giudizio di appello, acquisita dopo la chiusura dell’istruttoria del procedimento di primo grado in relazione ad altro contenzioso tra parti diverse (Tribunale Velletri RG 399/2015).
L’esigenza di produzione di tale documento sarebbe sorta a seguito della decisione di primo grado e, in ogni caso, il documento non sarebbe nuovo, ma meramente ricognitivo di elementi gravi, precisi e concordanti già acquisiti agli atti del processo: essa, infatti, attesterebbe che l’Antica INDIRIZZO INDIRIZZO non è statale e che attraversa le particelle catastali 711, 707, 178 e 130 del foglio 11, tutte di proprietà del Comune, con l’ovvia conferma che essa sarebbe comunale.
Col quinto motivo l’Ente territoriale si duole della violazione e/o della falsa applicazione degli artt. 2727, 2728 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360 n° 3 cod. proc. civ., per aver il giudice di appello ritenuto irrilevanti le pronunce inter alios e le prove acquisite in altri procedimenti allegate dal Comune per ricondurre la strada all’Ente stesso.
Al contrario, le prove civili possono essere anche atipiche e tra queste rientrano anche le sentenze emesse in altri giudizi tra terze parti: pertanto le sentenze dalla stessa Corte d’appello di Roma n° 1063/2023 e n° 5680/2022 (aventi ad oggetto gli stessi manufatti e le medesime questioni), non erano irrilevanti, come dichiarato nella sentenza impugnata, ma dovevano essere considerate come prove documentali, unitamente alle perizie eseguite e ai i documenti acquisiti da altri consulenti d’ufficio in altri procedimenti, e, dunque, da valutare secondo il prudente apprezzamento del giudice, non potendo la Corte dichiararle prive di qualunque valore indiziario.
4 .-I motivi di ricorso -esaminabili congiuntamente -sono infondati, non cogliendo alcuno di essi l’aspetto dirimente della vicenda, già illustrato in precedenti decisioni di questa stessa
Corte, rese in fattispecie sovrapponili alla presente (Cass., sez. I, 20 dicembre 2024, n° 33491 e Cass., sez. I, 20 dicembre 2024, n° 33562).
Anche la Corte d’appello non affronta il tema decisivo in sentenza, ma, dato che il dispositivo è conforme a diritto, la motivazione va corretta ai sensi dell’art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
Tanto premesso, l’art. 63, primo comma, del d.lgs. n° 446/1997 stabilisce che i Comuni possano istituire un Canone per l’occupazione dello spazio e di aree pubbliche (Cosap, in sostituzione della Tassa, Tosa) a carico di chi occupa ‘ strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile ‘.
Il presupposto per l’applicazione del Canone è, dunque, che l’area occupata appartenga al Demanio del Comune o al suo Patrimonio indisponibile.
Ora, le strade, ai sensi dell’art. 822, secondo comma, cod. civ., fanno necessariamente parte del Demanio (statale, provinciale o comunale, a seconda dell’Ente al quale appartengono), ma, affinché un suolo possa essere così qualificato, occorre anzitutto che esso risulti di proprietà dell’ente pubblico territoriale in base a un atto o a un fatto (convenzione, espropriazione, usucapione, ecc…) idoneo a trasferirne il dominio e, secondariamente, che esso venga destinato, con una manifestazione di volontà anche tacita dell’ente, all’uso pubblico ( ex multis : Cass., sez. II, 28 settembre 2010, n° 20405).
Non ha, dunque, rilievo l’art. 2 del cod. strada, in quanto la classificazione delle strade come ‘ comunali ‘ (quando esse ‘ quando congiungono il capoluogo del comune con le sue frazioni o le frazioni fra loro ‘), è fatta ai soli fini dell’applicazione dello stesso codice (art. 2, primo comma) e, comunque, presuppone che la porzione di suolo così definita sia già sottoposta ‘ ad uso pubblico ‘ e ‘ destinata alla circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli animali ‘.
Quanto agli altri beni immobili, non ricompresi nell’elenco della citata norma del codice civile, essi possono ricadere (non solo nel Demanio o nel Patrimonio indisponibile, ma anche) nel Patrimonio disponibile del Comune.
Ora -come deduce lo stesso Ente locale (ricorso pagina 3) -la pretesa concernente il Cosap 2015 derivava da un sopralluogo eseguito da un tecnico comunale effettuato il 31 gennaio 2002, confermato da un ulteriore sopralluogo del marzo 2013, all’esito dei quali era emerso che tra i numerosi box e tralicci posti sulla sommità del Monte Cavo il box contrassegnato dal n° 20 e il traliccio n° 15 ‘ siti sulla strada pubblica ‘ erano riferibili alla Ritzland.
Tanto premesso era evidente che il Comune fosse onerato non solo di provare l’appartenenza del suolo al suo Demanio o al suo Patrimonio indisponibile (presupposto per l’applicazione del Canone), ma che, trattandosi di strada, essa fosse già stata destinata all’uso pubblico e cioè, come sopra detto, alla circolazione di pedoni, veicoli ed animali.
Se questo era il tema del giudizio, è evidente, da un lato, che il dispositivo della sentenza della Corte romana appare conforme a diritto (benché la motivazione non appaia invece corretta); e, dall’altro, che i motivi del Comune ricorrenti si appuntano su aspetti della vicenda del tutto privi di decisività.
Il primo mezzo, infatti, censura la sentenza per non aver considerato le prove dirette a dimostrare la natura pubblica dell’area: critica priva di rilievo, in quanto andava semmai dimostrata l’appartenenza dell’area al Demanio comunale o al Patrimonio indisponibile, oppure, trattandosi di strada, l’anteriore adibizione di essa all’uso pubblico di pedoni, veicoli ed animali.
Il secondo si sofferma su un altro aspetto privo, all’evidenza, di concludenza, ossia l’omessa considerazione da parte della Corte territoriale delle variazioni catastali presentate, prima e dopo l’atto
di vendita a ministero notaio COGNOME del 30 gennaio 1991, per aumentare la consistenza catastale della particella 172 (intestata alla Ritzland).
Il terzo rimprovera alla Corte di non aver ritenuto provata la ‘ riconducibilità ‘ dell’area al Comune, in considerazione del fatto che l’antica via consolare collegherebbe il centro del Comune con le sue frazioni e sarebbe quindi di proprietà dell’Ente locale: tema anche questo fuori fuoco rispetto al punto nodale della controversia.
Il quarto denuncia un error in procedendo , consistito nel dichiarare inammissibile un documento, che però -anche accedendo benevolmente alla tesi del ricorrente -è del tutto irrilevante, ossia la certificazione Agenzia Demanio del 16 aprile 2019 (prot. 2019/4343), allegata alle note di udienza del 23 settembre 2020 del giudizio di appello, acquisita dopo la chiusura dell’istruttoria del procedimento di primo grado.
Il quinto, infine, rimprovera alla Corte di non aver tenuto conto di altre sue sentenze, delle quali -peraltro -non è stato nemmeno riassunto il contenuto.
5 .- In conclusione, il ricorso va respinto in toto , con la conseguenza che il Comune ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del presente grado in favore della resistente.
Per la loro liquidazione -fatta in base al valore della lite (1,1 mila) ed al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022 -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, inoltre, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in euro
2.200,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 16 maggio 2025, nella camera di