Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2421 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2421 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16652/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
nonché contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro COGNOME NOME, COGNOME NOME
-intimati- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 365/2020 depositata il 05/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/12/2023 dal consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Milano NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedendo la condanna al risarcimento del danno. Espose, in particolare, quanto segue. Era stato costituito in pegno, in favore dell’attore, il 50% delle quote di RAGIONE_SOCIALE, di cui era proprietaria NOME COGNOME, a garanzia del credito vantato nei confronti di quest’ultima per Euro 122.710,16 (poi divenuti Euro 135.926,00 sulla base di decreto ingiuntivo), quote poi alienate dalla COGNOME a NOME COGNOME e sottoposte ad esecuzione forzata promossa dal COGNOME. Con rogito del AVV_NOTAIO la società, rappresentata dal legale rappresentante NOME COGNOME, aveva alienato i propri immobili, ed unici cespiti sociali, a NOME RAGIONE_SOCIALE, rappresentata dal legale rappresentante NOME COGNOME, al prezzo dichiarato di Euro 525.997,20, di
cui però era stato corrisposto solo l’importo irrisorio di Euro 35.500,00, come da art. 4 della compravendita, con perdita della garanzia del credito per l’attore.
Il Tribunale adito, ritenuto che l’alienazione era avvenuta senza sostanziale corrispettivo, non essendovi prova dei pagamenti effettuati direttamente da NOME COGNOME ai creditori di COGNOME per Euro 256.497,20 in data anteriore al 4 luglio 2006, e non avendo efficacia liberatoria l’accollo da parte della società acquirente dei debiti dell’alienante per l’importo di Euro 234.000,00, accolse la domanda nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, condannandoli in solido al pagamento della somma di 135.926,00 oltre interessi, e rigettò la domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME.
Avverso detta sentenza proposero appello NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME. Con sentenza di data 5 febbraio 2020 la Corte d’appello di Milano rigettò l’appello.
Osservò la corte territoriale che non vi era prova dei pagamenti effettuati direttamente da NOME COGNOME ai creditori di RAGIONE_SOCIALE per Euro 256.497,20, perché la documentazione richiamata (copia di assegni circolari, ordini di bonifico) non evidenziava in modo inequivoco l’imputazione quale acconto sul prezzo della cessione degli immobili ed inoltre tali versamenti non risultavano indicati nel bilancio 2013 della società RAGIONE_SOCIALE, non ricorrendo alcuna appostazione di crediti e/o debiti nei confronti di NOME COGNOME relativi al pagamento di acconti sul prezzo dell’immobile. Osservò ancora che, non essendovi prova di un accollo liberatorio circa i debiti per Euro 234.000,00, non vi era prova di corresponsione anche per tale parte di prezzo, sicché risultava dimostrato l’illecito commesso con la ‘spogliazione’ della società RAGIONE_SOCIALE, privando il COGNOME della sua garanzia pignoratizia, e quanto a NOME COGNOME per la violazione del dovere di custodia, previsto dall’art. 67 c.p.c., che imponeva il mantenimento del valore delle quote sociali.
Aggiunse che la finalità dell’operazione di consentire l’acquisto in favore di NOME COGNOME della proprietà confinante a quanto a lui pervenuto in successione, anche se reale, non escludeva il risultato della privazione della garanzia reale, con l’azzeramento del valore delle quote sociali in assenza di incasso di corrispettivo e di prova del pagamento dei debiti sociali. Osservò,
infine, che, se era vero che il contratto preliminare era antecedente alla domanda di decreto ingiuntivo, era tuttavia provato che il debito ed il pegno erano stati costituiti nel 2000, e dunque prima del preliminare concluso nel 2002.
Hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME e NOME COGNOME sulla base di un motivo e resistono con distinti controricorsi NOME COGNOME e NOME COGNOME. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
Considerato che:
con il motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.. Osserva la parte ricorrente che erroneamente, in violazione dell’art. 2697, è stato ritenuto che il COGNOME avesse assolto l’onere della prova dei requisiti di cui all’art. 2043 c.c. alla luce delle seguenti circostanze: NOME COGNOME non aveva partecipato alla compravendita, avendo questa ad oggetto gli immobili e non le quote sociali; NOME COGNOME aveva agito in adempimento della transazione conclusa dopo che NOME COGNOME, promissario acquirente, aveva introdotto l’azione ai sensi dell’art. 2932 c.c. per il contratto definitivo non concluso; non vi era prova del dolo dei ricorrenti (prova mancante anche per NOME COGNOME, rispetto al quale peraltro non vi era un obbligo di garantire il valore delle quote sociali, costituendo la diminuzione della garanzia per il deprezzamento economico della cosa un rischio assunto dal creditore pignoratizio – inoltre non vi era prova di quale fosse il valore delle quote al momento della costituzione del pegno); i documenti attestano il pagamento dei debitori fra il 2002 ed il 2006 effettuato da NOME COGNOME quale promissario acquirente, risultando pienamente provata l’imputazione dei pagamenti, sicché il valore delle quote ha beneficiato della riduzione del passivo della società; l’accollo era stato assunto per i debiti verso i creditori intervenuti nella procedura esecutiva, i quali avevano poi desistito dall’esecuzione, risultando così assorbita la questione della natura, in ipotesi non liberatoria, dell’accollo; non vi è prova del nesso causale fra la condotta, asseritamente illecita, e l’evento dannoso.
Il motivo è inammissibile. Va premesso che, con riferimento a NOME COGNOME, che non ha proposto ricorso, vi è per un verso difetto di legittimazione, per l’altro difetto di interesse a proporre l’odierna impugnazione.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti, sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. n. 13395 del 2018; n. 18092 del 2020).
La censura, formulata in termini di violazione di norma di diritto (peraltro, in presenza di c.d. doppia conforme, la denuncia di vizio motivazionale avrebbe sofferto il limite di cui all’art. 348 – ter c.p.c., applicabile ratione temporis ), è costituita esclusivamente dalla confutazione della valutazione delle prove svolta dal giudice del merito. Si tratta dunque di mera critica del giudizio di fatto (addirittura con richiesta al Collegio di accesso agli atti del processo di merito per un accertamento del fatto in termini diversi dalla valutazione del giudice del merito), critica che non può trovare ospitalità nella presente sede di legittimità.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Ricorre il presupposto della responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. per essere stato formulato il motivo di censura in radicale difformità rispetto al parametro del ricorso per cassazione (cfr. fra le tante Cass. n. 38528 del 2021), addirittura, come si è visto, chiedendo al Collegio di accedere agli atti del processo di merito per un accertamento del fatto in termini diversi dalla valutazione del giudice del merito. La parte ricorrente va quindi condannata al pagamento della somma determinata equitativamente nella misura del 50% dell’importo corrispondente al compenso.
Poiché il ricorso viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di
versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di Euro 2.500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ..
Condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore di NOME COGNOME, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge, nonché al pagamento della somma di Euro 2.500,00 ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ..
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il giorno 18 dicembre 2023