Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 3851 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 3851 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 15/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 13404-2019 r.g. proposto da:
COGNOME rappresentata e difesa, giusta procura speciale in atti, dall’Avv. NOME COGNOME
–
ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore il curatore fallimentare, rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in atti, dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME.
-controricorrente – avverso il decreto del Tribunale di Venezia, depositato in data 25.3.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 16/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con il decreto impugnato il Tribunale di Venezia ha rigettato l’opposizione allo stato passivo presentata da COGNOME nei confronti del RAGIONE_SOCIALE avverso il provvedimento del g.d., con il quale era stata respinta la sua domanda di insinuazione al passivo, in via privilegiata ex art. 2751 bis n. 3 c.p.c., per crediti nascenti dall’esecuzione di un rapporto di agenzia (provvigioni per euro 52.221,93; indennità sostitutiva di preavviso per euro 17.407,31; indennità suppletiva di clientela per euro 1566,65; FIRR sulle provvigioni per euro 956,65).
2. Il g.d. aveva respinto l ‘ istanza di insinuazione con la seguente motivazione: ‘ Escluso il credito richiesto, posto che il rapporto contrattuale e tutte le sue eventuali ulteriori vicende non sono adeguatamente provate e, soprattutto, non risultano opponibili alla procedura’, aggiungendo, anche dopo le osservazioni al progetto di stat o passivo, che ‘per le provvigioni richieste non vi è prova della provenienza da parte della mandante del tabulato relativo alle vendite promosse per il conteggio delle provvigioni; per le indennità sostitutiva di preavviso e suppletiva non vi è prova dell’avvenuta risoluzione del rapporto in data anteriore all’ammissione della procedura, in quanto l’allegata lettera di recesso è priva di data certa e di prova dell’avvenuta trasmissione/ricezione, – per il firr richiesto non è stata prodotta alcuna documentazione’.
Il Tribunale, nel rigettare la proposta opposizione, ha rilevato ed osservato, per quanto qui ancora interessa, che: (i) il diritto alle provvigioni presuppone la prova da parte dell’agente sia della promozione di un affare da parte dell’agente , sia della conclusione di tale affare da parte del preponente; (ii) nella fattispecie in esame, l’agente avrebbe dovuto dunque provare non solo di avere raccolto gli ordini (ovviamente sottoscritti dai clienti: la promozione dell’affare), in relazione ai quali rivendicava la provvigione, ma anche l’accettazione d i tali ordini da parte della preponente MCS (e dunque la conclusione dell’affare promosso); (iii) l’opponente si era limitata, invece, a produrre un semplice tabulato che non era idoneo a dimostrare il diritto alle provvigioni maturate, in quanto mancante la prova, in ogni caso, dell’accettazione degli ordini da parte della preponente, come
espressamente richiesto invece dall’art. 7 del contratto di agenzia; (iv) più in particolare, l’agente, per dimostrare la sussistenza del proprio diritto alle provvigioni, avrebbe dovuto provare: – la trasmissione per via telematica alla preponente delle proposte di contratto (cfr. art. 7 del contratto); l’invio alla MCS delle condizioni generali di vendita e dell’ordine cartaceo, debitamente sottoscritto dal cliente, entro 15 giorni dalla trasmissione; – la documentazione attestante l’avvenuta accettazio ne della preponente delle proposte contrattuali; (v) nel caso in esame non era stata perciò fornita la prova della promozione degli affari e, a maggior ragione, della ‘conclusione’ degli affari, non esistendo alcun ordine sottoscritto dai clienti e, conseguentemente, alcun ordine sottoscritto per accettazione da RAGIONE_SOCIALE; (vi) in assenza della prova dei fatti costitutivi del diritto di credito alle provvigioni rivendicate, non poteva trovare ingresso la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. aventi ad oggetto i predetti ordini (trattandosi di documenti che, qualora esistenti, avrebbero dovuto essere nella disponibilità dell’opponente), né la prova testimoniale in quanto relativa a circostanze superflue da provarsi documentalmente, generiche ed implicanti valutazioni; (vii) le questioni attinenti alla risoluzione del rapporto e alla conseguente richiesta di indennità di preavviso risultavano assorbite, non potendosi riconoscere il diritto all ‘ indennità se non vi era la prova di provvigioni maturate nel periodo; (viii ) risultava ‘superfluo’ osservare che, prima della data del fallimento, non era stata comunque mai domandata giudizialmente la risoluzione del contratto, né era stata inviata una diffida ad adempiere, né MCS aveva dichiarato di avvalersi di una clausola risolutiva espressa; (ix) peraltro, i documenti depositati dall’opponente – asseritamente volti a provare la risoluzione del rapporto in data anteriore alla dichiarazione di fallimento – difettavano della prova della trasmissione e della ricezione; (x) prima del fallimento non era stata proposta l’azione giudiziale di risoluzione del contratto, né si era verificata la risoluzione negoziale del rapporto contrattuale e risultava peraltro ‘pacifico’ che l’azione di risoluzione del contratto proposta dopo il fallimento era inammissibile, ai sensi dell’art. 72, 5 comma, l. fall., con la conseguenza che l’agente non aveva diritto alla indennità sostitutiva del preavviso né all’indennità suppletiva di clientela.
Il decreto, pubblicato il 25.3.2019, è stato impugnato da COGNOME con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 1749, 3 comma, cod. civ., dell’art. 210 cod. civ., dell’art. 2697 c.p.c., dell’art. 61 c.p.c., nonché dell’art. 1748, quarto comma cod. civ., dell’art. 6, comma ottavo, degli AEC 20 marzo 2002 e 30 luglio 2014, anche in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., sul rilievo che il Tribunale avrebbe fatto mal governo dei principi che regolano la ripartizione degli oneri della prova, avendo affermato erroneamente che sarebbe stato onere dell’agente dimostrare anche l’accettazione d egli ordini da parte della preponente ed integrando tale prova una dimostrazione diabolica.
1.1 Sostiene la ricorrente che l’accettazione degli ordini era stata dimostrata peraltro tramite il tabulato proveniente dalla stessa mandante, con la conseguenza che spettava a quest’ultima, come preponente nel contratto di agenzia, dimostrare che gli ordini non fossero stati accettati, con la specificazione delle ragioni del rifiuto.
1.2 Con le sopra riferite e qui censurate statuizioni giudiziali, il Tribunale non avrebbe neanche tenuto conto del principio di riferibilità ovvero vicinanza dei mezzi di prova, invece affermato dalla giurisprudenza di legittimità proprio in relazione al contratto di agenzia.
1.3 Sostiene, infine, la ricorrente che, sempre secondo gli insegnamenti del giudice di legittimità, l’agente sarebbe titolare, nell’ esecuzione del contratto di agenzia, di un vero e proprio diritto all’accesso ai libri contabili in possesso del preponente che siano utili e necessari per la liquidazione delle provvigioni.
1.4 Conclude pertanto la ricorrente nel senso che la richiesta di esibizione ex art. 210 c.p.c. della documentazione attestante la conclusione degli affari risultava legittima, in quanto unico strumento processuale per dimostrare la fondatezza della sua pretesa creditoria.
1.5 Le doglianze così articolate sono, per una parte, infondate (quanto al rilievo sulla ripartizione degli oneri della prova) e, per altra parte, inammissibili, perché solo genericamente formulate.
1.5.1 Quanto al sopra riferito profilo di infondatezza, va subito detto che la motivazione del decreto impugnato è conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di questa Corte di legittimità e dunque non merita censura.
Sul punto va infatti ricordato che, in tema di contratto d’agenzia, nel giudizio di accertamento del diritto alla provvigione, l’agente – al quale l’art. 1748 c.c., nel testo modificato dall’art. 2 d.lgs. n. 303 del 1991, riconosce il diritto di esigere tutte le informazioni necessarie per verificare l’importo delle provvigioni liquidate – ha l’onere di provare che gli affari da lui promossi siano comunque andati a buon fine o che il mancato pagamento sia dovuto a fatto imputabile al preponente (così, Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 34690 del 12/12/2023). È stato anche precisato sempre dalla giurisprudenza di legittimità che ‘l a proposizione della domanda di pagamento delle provvigioni relative ad un rapporto di agenzia, riguardando un diritto il cui fatto costitutivo è rappresentato non dal rapporto predetto (che, di per sé, è solo il presupposto della nascita del credito azionato), ma dalla conclusione di affari tra preponente e clienti per il tramite dell’agente, esige che siano indicati, con elementi sufficienti a consentirne l’identificazione, i contratti conclusi per il tramite dell’agente ‘ (Sez. L., Ordinanza n. 23345 del 29/08/2024).
Ne consegue che il Tribunale lagunare, nell’affermare i principi qui sopra ricordati, non ha affatto invertito le regole dettate dalla giurisprudenza di legittimità in materia di ripartizione degli oneri della prova in ordine alla dimostrazione dei fatti costitutivi del diritto alla provvigione maturato dall’agente in esecuzione del contratto di agenzia ed anzi ne ha fatto corretta applicazione.
1.5.2 Del resto, è sempre la giurisprudenza di questa Corte ad aver ulteriormente chiarito che solo qualora il preponente non abbia trasmesso all’agente i dati e le informazioni necessarie per esercitare i suoi diritti di credito quantificando esattamente negli atti di causa le sue spettanze, il giudice deve, su istanza di parte, emanare nei confronti del preponente
l’ordine di esibizione delle scritture contabili ex art. 210 c.p.c., sussistendo il diritto dell’agente ad ottenerne l’esibizione anche nel caso in cui egli pretenda il pagamento delle provvigioni c.d. indirette (così, Cass. n. 34690/2023, cit. supra ). Ne consegue che anche le ulteriori censure sollevate dalla ricorrente in ordine alla mancata attivazione degli ordini di esibizione ex art. 210 c.p.c. devono ritenersi inammissibili in ragione della loro generica formulazione, non avendo la ricorrente stessa spiegato se la preponente, nel caso di specie, fosse venuta meno ai suoi obblighi informativi.
1.5.3 A ciò va anche aggiunto che, nella fattispecie qui in esame, lo stesso Tribunale aveva affermato che la richiesta di emissione dell’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c. non era accoglibile perché l’agente non aveva dimostrato neanche l’esistenza degli ordini dei clienti , prima ancora delle relative accettazioni da parte del preponente. E tale ratio decidendi non è stata in alcun modo censurata, così rendendo le doglianze qui da ultimo in esame vieppiù inammissibili.
Ne discende il complessivo rigetto del primo motivo di ricorso.
Con il secondo mezzo si deduce violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 1453 cod. civ., art. 72 l. fall., sul rilievo che il Tribunale avrebbe errato nell’affermare che non aveva proposto alcuna domanda di risoluzione del contratto prima del fallimento e che anche qualora la avesse proposta in sede endofallimentare la stessa sarebbe stata inammissibile.
Con il terzo motivo si censura il provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 95 e 99 l. fall., nonché dell’art. 111 Cost., in relazione al profilo della violazione dei ‘nova’ da parte del curatore ed in via subordinata per violazione e falsa applicazione dell’art. 96, secondo comma, n. 4, l. fall., per ‘violazione del diritto di difesa del creditore opponente questione di costituzionalità per contrasto con l’art. 24 Cost.’, sul rilievo che il curatore, nel costituirsi nel giudizio di opposizione, avesse eccepito per la prima volta che il contratto si era sciolto con la dichiarazione di fallimento e dunque per causa non imputabile alla mandante, eccezione che sarebbe stata volta ad
immutare il thema probandum ed il thema decidendum , limitato all’accertamento dell’ inadempienza della mandante.
Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 72, 78 l. fall., artt. 1751 c.c., art. 9, 10 AEC 30 luglio 2014 e 20 marzo 2002, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. .
4.1 Sostiene la ricorrente che, a seguito della riforma, risulterebbe ora pacifico che la normativa applicabile al contratto di agenzia sia quella dettata dall’art. 72 l. fall., per la quale il contratto deve considerarsi sospeso nella sua esecuzione sino al momento in cui il curatore, autorizzato dal comitato dei creditori, dichiari di subentrarvi ovvero di sciogliersi dal rapporto, senza alcuna distinzione tra le figure dei contraenti.
4.2 Gli ulteriori tre motivi qui sopra elencati sono in realtà inammissibili, perché riguardano questioni ritenute assorbite dal Tribunale in ragione della mancata dimostrazione del diritto alle provvigioni (che rendeva ‘superfluo’, cioè, l’esame delle ulteriori doglianze relative alla risoluzione del rapporto contrattuale e alle conseguenziali indennità).
Questa ratio decidendi (quella, cioè, relativa alla declaratoria di assorbimento) non è stata in alcun modo censurata e rende la ricorrente priva di interesse a sollevare doglianze rispetto alle questioni dichiarate assorbite, anche in ragione del mancato accoglimento del primo motivo di ricorso che riguardava proprio la prima ratio decidendi sopra ricordata, posta a fondamento della statuizione di assorbimento.
Anche la questione di legittimità costituzionale agitata nel terzo motivo deve ritenersi inammissibile in ragione della sua generica formulazione.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida
in euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13. Così deciso in Roma, il 16.1.2025