Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26267 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26267 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15854/2020 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che l a rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1072/2020 depositata il 12/02/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. RAGIONE_SOCIALE agì in giudizio nei confronti di RAGIONE_SOCIALE esponendo di aver sottoscritto in data 15.10.2002 un accordo contrattuale con la convenuta denominato ‘Patti inderogabili di Accordo operativo’ (cd. PIAO) ove erano richiamate precedenti intese relative al progetto ‘RAGIONE_SOCIALE‘ ed alla ricerca di enti finanziatori.
Fu chiesto: 1) di accertare l’inadempimento al pagamento da parte di RAGIONE_SOCIALE; 2) l’esatto adempimento, oltre al risarcimento dei danni; 3) in subordine dichiararsi la risoluzione del contratto oltre al risarcimento dei danni.
La domanda fu disattesa per essere l’accordo nullo stante l’indeterminatezza ed indeterminabilità dell’oggetto del cd. PIAO e la decisione venne impugnata dall’odierna ricorrente.
2.Il giudice di secondo grado, confermando l’iter motivazionale del Tribunale di Roma, respinse l’appello.
A fronte della lamentata omessa valutazione di taluni documenti, che nella prospettazione di RAGIONE_SOCIALE sarebbero stati decisivi ai fini della determinatezza dell’oggetto dell’accordo, la Corte d’appello ritenne che la motivazione del giudice di merito fosse completa ed esaustiva mentre i rilievi mossi dall’appellante si rivelavano generici e non spiegavano da quale documento potessero ricavarsi le concrete modalità per rendere operativo il progetto, ‘non essendo in alcun modo individuabile né il contenuto delle direttive richieste della RAGIONE_SOCIALE né l’apporto scientifico della RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 4 del contratto (PIAO)’.
Si osservò che non era stato individuato l’atto con cui NOME, indicato da COGNOME come possibile finanziatore del progetto, avrebbe specificato le richieste tecniche necessarie per l’effettiva operatività del progetto e si escluse che dette richieste fossero identificabili alla stregua della scheda descrittiva sintetica del giugno 2002.
Si ritenne, in particolare, che non vi fossero gli elementi di implementazione della scheda e che, in considerazione della data in cui era stata formata, non potesse riferirsi al contratto. Ciò era, inoltre, avvalorato dal fatto che in data 9.7.2002, antecedente al contratto in oggetto, era intervenuta, tra RAGIONE_SOCIALE e le società del gruppo RAGIONE_SOCIALE, una transazione per pregressi debiti con la quale le dette società si erano riconosciute condebitrici in solido della somma di euro 1.000.000,00.
2.1. Si escluse che nel contratto fosse presente la sinallagmaticità delle prestazioni, in quanto ‘a fronte dell’obbligazione a carico di RAGIONE_SOCIALE di corrispondere alla semplice sottoscrizione del contratto l’importo di euro 1425.000,00 come acconto sullo svolgimento di un’attività futura, quest’ultima non risultava concretamente verificabile’.
Si ribadì, quindi, che ‘le modalità indicate da RAGIONE_SOCIALE non sono ricavabili da nessun documento prodotto in giudizio e l’acconto non può considerarsi neppure il corrispettivo dell’attività svolta in quanto detta attività era già stata considerata e valutata nella transazione intervenuta tra le parti in data anteriore alla stipulazione del PIAO’.
D’altra parte si osservò come prima del contratto oggetto del giudizio, tra le parti vi fossero stati rapporti di collaborazione in vista della realizzazione del progetto RAGIONE_SOCIALE che RAGIONE_SOCIALE aveva affidato a RAGIONE_SOCIALE come studio di massima incaricando la stessa società di individuare un ente finanziatore.
2.2.Si ribadì, quindi, la bontà della decisione di prime cure evidenziando che l’ingente somma prevista come dovuta all’atto della semplice sottoscrizione non potesse che avere un solo significato e, cioè, un’anticipazione di fondi in vista della realizzazione di un progetto di ingente valore (17 milioni di euro) che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto realizzare: sicché ‘in realtà ritenendo indeterminabile la prestazione e quindi nullo il contratto, il riconoscimento della somma concordata come dovuta al momento della firma’ non aveva ‘più alcuna causa.’
3.Avverso la prefata decisione ricorre RAGIONE_SOCIALE con quattro motivi, resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale sono state depositate memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Preliminarmente deve darsi atto che RAGIONE_SOCIALE ha presentato istanza di sospensione del giudizio ex art. 337 c.p.c. ovvero ex art. 295 c.p.c.
2.La richiesta è originata dalla pendenza del giudizio di revocazione della sentenza oggetto del presente ricorso, rispetto alla quale la ricorrente ha dichiarato di voler chiedere che il procedimento venga posto in mediazione al fine di trovare un accordo con la società controricorrente, nonché dalla circostanza che in quel giudizio sarebbero emerse una serie di fatti che comproverebbero la sussistenza del dolo revocatorio.
3.L’istanza deve essere disattesa non sussistendo i presupposti giuridici necessari ai fini del suo accoglimento.
Non si è infatti al cospetto di un’ipotesi di sospensione necessaria perché non vi è da risolvere una questione pregiudiziale, non si è altresì al cospetto di una ipotesi di sospensione facoltativa perché non è invocata l’autorità di un’altra sentenza in questa sede.
Ed invero, la sospensione del procedimento di legittimità, in pendenza del giudizio di revocazione, ove questo proposto ex art.395 n.4 c.p.c. ed il primo, per omesso esame ex art. 360 c.p.c. comma 1, n.5 c.p.c., non può esser disposta ai sensi dell’art. 295 c.p.c. non ricorrendone i presupposti, dato che la sospensione necessaria del processo, quando non sia imposta da una specifica disposizione di legge, presuppone l’esistenza di una relazione sia di pregiudizialità logica (nel senso che la definizione di una controversia rappresenti un momento ineliminabile del processo logico relativo alla decisione della causa dipendente) sia di pregiudizialità giuridica (nel senso che la controversia pregiudiziale sia diretta alla formazione di un giudicato che, in difetto di coordinamento tra i due procedimenti, possa porsi in conflitto con la decisione adottata nell’altro giudizio), e dato che nel giudizio di revocazione la fase rescindente ha per oggetto l’accertamento del denunciato vizio della sentenza impugnata e non l’esistenza o il contenuto del rapporto giuridico in ordine al quale la sentenza stessa abbia giudicato, mentre solo l’eventuale fase rescissoria viene a rinnovare il giudizio su tali punti. Né il sistema delineato dal
codice di procedura civile appare non rispettoso delle esigenze di tutela dei diritti di cui agli artt. 24 Cost. e 6 CEDU, posto che l’art. 398, comma 4, c.p.c. collega la facoltà di sospensione del giudizio di cassazione e del relativo termine per impugnare, al mero requisito della “non manifesta infondatezza” della revocazione proposta (Cass. n. 20469 del 2018).
Deve, inoltre, osservarsi che nella memoria sono rappresentate numerose circostanze in alcun modo emergenti dalla sentenza impugnata e non relative alla causa in oggetto, delle quali pertanto non può tenersi conto in questa sede.
Allo stesso modo risultano allegati numerosi atti (tra cui sentenze delle Sezioni penali di questa Corte nonché il decreto di rigetto dell’istanza di fallimento Learsat.it) la cui produzione è inammissibile in questa sede e, pertanto, non può tenersene conto nel presente giudizio.
Ed infatti, nel giudizio di legittimità, secondo quanto disposto ex art. 372 c.p.c., non è ammesso il deposito di atti e documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, salvo che non riguardino l’ammissibilità del ricorso e del controricorso ovvero concernano nullità inficianti direttamente la decisione impugnata, nel qual caso essi vanno prodotti entro il termine stabilito dall’art. 369 c.p.c., rimanendo inammissibile la loro produzione in allegato alla memoria difensiva di cui all’art. 378 c.p.c. (da ultimo Cass. n. 13329 del 2025).
Possono essere ora trattati i motivi di ricorso.
4.Con il primo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1418 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1325 c.c. e 1346 c.c. per aver il giudice del gravame erroneamente interpretato, e per l’effetto applicato, la previsione normativa di cui all’art. 1418 c.c. letto in combinato con le disposizioni innanzi riportate.
Secondo la società ricorrente, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di secondo (ma anche primo) grado, la prestazione gravante su Learsat.it era determinabile. L’errore del giudice sarebbe stato originato dall’aver considerato la predetta prestazione non già alla luce testuale del contratto e dei documenti in esso richiamati quanto piuttosto considerando l’oggetto della specifica prestazione gravante su Learsat.it, complessa e meno immediata, ma
individuabile, a fronte di quella, immediata, meramente economica, gravante su Telespazio.
Il giudice di merito non avrebbe considerato di essere al cospetto di una fattispecie a formazione progressiva, contenente specifico differimento a successiva negoziazione quanto ad aspetti ulteriori che sarebbe stato necessario negoziare gradualmente.
Il cd. PIAO, in quest’ottica, ‘mai avrebbe potuto contenere ed esaurire, in modo assolutamente determinato e specifico, l’oggetto del rapporto contrattuale che, in quanto a formazione progressiva, come espressamente convenuto tra le parti, si caratterizza per lo sviluppo di un vero e proprio iter nel quale l’accordo viene raggiunto gradualmente’.
Al riguardo vengono richiamati i punti 3, 4, 6 e 7 del cd. PIAO a sostegno della ritenuta determinatezza e determinabilità della prestazione a carico di RAGIONE_SOCIALE.
5.Con la seconda doglianza si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art.1418 c.c. in relazione all’art. 1362 c.c. e all’art. 1346 c.c.
Il giudice di merito avrebbe commesso un errore di diritto sostenendo una insufficiente allegazione documentale, non risultando esplicitato da quale documento potessero ricavarsi le concrete modalità per rendere operativo il progetto. Il giudice avrebbe dovuto, in quest’ottica, interrogarsi sulla portata del testo sottoscritto anche in considerazione delle specifiche ragioni di doglianza di cui all’atto di appello, rintracciando la comune intenzione delle parti in base alle deduzioni ed allegazioni istruttorie ulteriori rispetto al PIAO.
Il motivo si snoda, poi, nell’evidenziare la ‘contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito’.
Da un lato l’oggetto sarebbe indeterminato, per mancata indicazione delle modalità di implementazione, ma dall’altro sarebbe stato individuato nella implementazione ed adeguamento della scheda.
Il punto 3 dell’accordo, diversamente da quanto affermato dal giudice di merito, conterrebbe la prestazione a carico di NOME.
Quindi la motivazione del giudice, a fronte del dato testuale, sarebbe illogica ed incongrua, non chiarendo le ragioni per cui il dato testuale non era
stato considerato nella sua interezza e non motivando, sufficientemente, le ragioni per cui specifiche clausole contrattuali non siano state ritenute adeguatamente atte alla individuazione della prestazione.
6.Con la terza censura si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., 1363 c.c. e 1367 c.c.
Il giudice di merito avrebbe errato nell’affermare, così ritenendo l’accordo nullo, che nel cd. PIAO non vi fosse sinallagmaticità delle prestazioni atteso che a carico di RAGIONE_SOCIALE vi era una prestazione determinata (versare l’acconto di euro 1.425.000,00) mentre a carico di RAGIONE_SOCIALE non vi era alcuna prestazione concretamente identificabile.
Il giudice di merito non avrebbe considerato che il pagamento della metà del prezzo alla firma del contratto, con fattura in due stralci, sarebbe dovuto avvenire con procedura accelerata entro quindici giorni naturali consecutivi dal ricevimento della fattura stessa. Ciò, secondo la ricorrente, avrebbe significato che l’importo che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto corrispondere era stato dalle parti inteso non come acconto su un’attività futura (ritenuta dalla Corte non identificabile) ma piuttosto, a ristoro delle esposizioni maturate dalla RAGIONE_SOCIALE.
Avrebbe così la Corte d’appello, ulteriormente, errato nell’affermare che l’acconto non potesse essere considerato come corrispettivo per l’attività già svolta in quanto detta attività era stata già valutata e considerata nella transazione intervenuta tra le parti prima della stipulazione del PIAO.
L’interpretazione data dal giudice di merito, che avrebbe considerato marginalmente la transazione intervenuta tra le due società, contrasterebbe con il dato letterale ed in particolare con il punto 5 dell’accordo che consentiva a RAGIONE_SOCIALE di emettere, a sua scelta, due fatture. Si osserva che ‘se l’importo riconosciuto alla sottoscrizione del contratto avesse dovuto essere destinato al ripianamento di pregresse esposizioni debitorie, certamente il relativo pagamento non sarebbe stato disciplinato con la previsione di alcun appoggio presso istituiti bancari ma, semmai, sarebbe stata prevista la compensazione’.
Secondo la ricorrente la Corte d’appello, inoltre, sembrerebbe mettere in discussione non solo l’oggetto del contratto ma anche la causa dello stesso PIAO, pur giungendo alle medesime conclusioni del Tribunale, affermando
contraddittoriamente l’esistenza della causa nella ‘anticipazione di fondi in vista della realizzazione di un progetto di ingente valore’ per poi escludere l’esistenza della causa del negozio intercorso tra le parti. Così facendo il giudice di merito avrebbe violato l’art. 1363 c.c. non interpretando le clausole del contratto le une per mezzo delle altre attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto.
Il giudice di merito avrebbe quindi dedotto la indeterminabilità dell’oggetto del contratto dalla mancata allegazione di un documento ulteriore e diverso, contenente gli specifici criteri di implementazione del progetto come richiesto da RAGIONE_SOCIALE, che tuttavia non sarebbe stato, secondo la prospettazione della ricorrente, necessario ai fini della determinatezza della prestazione.
6.Con la quarta censura si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. in combinato con l’art. 2697 c.c. nonché dell’art. 88 c.p.c.
La Corte d’appello non avrebbe in alcun modo motivato circa la mancata valutazione degli esiti della consulenza tecnica neppure dichiarandone l’irrilevanza ai fini del giudizio.
Il giudice di merito (con particolare riferimento al giudice di primo grado) avrebbe inoltre errato nell’affermare che le osservazioni del ctu, in punto di determinatezza dell’oggetto dell’accordo, sarebbero state mere valutazioni non rimesse al consulente.
Inoltre la pronuncia, sotto altro profilo, violerebbe l’art. 116 c.p.c. con riferimento alla valutazione del contegno processuale di RAGIONE_SOCIALE la cui condotta sarebbe stata violativa dei doveri di cui all’art. 88 c.p.c. per aver tentato di ottenere l’accertamento della falsità della sottoscrizione in calce al PIAO in sede penale per poi reiterarla in sede civile. La Corte d’appello, ‘nonostante la difesa di Learsat.it avesse ripetutamente stigmatizzato la strumentalità, e contrarietà al dovere di lealtà e probità’ di RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe motivato in alcun modo in merito.
7.Il primo motivo è infondato.
La ricorrente sostiene che nella specie, essendosi al cospetto di un contratto a formazione progressiva, sussistevano tutti gli elementi essenziali
perché l’accordo intercorso tra le parti fosse valido e, soprattutto, che l’oggetto dello stesso fosse determinabile.
La censura è infondata.
Infatti il contratto può certamente formarsi progressivamente ma esso deve prevedere l’oggetto di modo che esso sia determinato o determinabile.
Nella specie il giudice di merito ha accertato che dagli atti non risultava, nemmeno facendo riferimento alla documentazione allegata dalle parti, in cosa si sostanziasse effettivamente la prestazione a carico di RAGIONE_SOCIALE, così difettando la necessaria sinallagmaticità dell’accordo (in part. pag. 6 della sentenza). Al riguardo va inoltre evidenziato che la censura del ricorrente, alla pari delle altre, sembra non cogliere la ratio della decisione. Il giudice di secondo grado (alla pari del primo), infatti, ha preso in considerazione la vicenda contrattuale, alla luce delle diverse ed ulteriori intese intercorse tra le parti e, proprio alla luce della documentazione allegata e del contenuto dell’accordo, ha ritenuto che la prestazione a carico della odierna ricorrente per essere determinabile avrebbe richiesto la specificazione del ‘contenuto delle direttive richieste della RAGIONE_SOCIALE e’ l’apporto scientifico della Wise di cui all’art. 4 del contratto’. Ciò che mancava erano questi due elementi, necessari, al fine di rendere determinabile l’oggetto ma le censure non attingono a tale fondamentale aspetto. Deve quindi ribadirsi che l’accertamento della determinatezza dell’oggetto del negozio è affidato al giudice di merito, la cui valutazione sul punto è sindacabile in sede di legittimità quando la motivazione offerta sia priva di contenuto (Cass. n. 4948 del 2007). Circostanza nella specie non sussistente.
Sotto il diverso profilo della violazione dei canoni ermeneutici, anche in parte involgente la prima censura, di cui alla seconda doglianza, esso è inammissibile.
E’ acquisito il principio secondo il quale l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito e quindi il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuto anche a precisare in quale modo il giudice
di merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche e insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata (Cass. Sez. 1 9-4-2021 n. 9461 Rv.661265- 01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n.27136 Rv. 646063-01). Infatti, l’interpretazione del testo contrattuale accolta dalla sentenza impugnata non deve essere l’unica interpretazione astrattamente possibile, ma solo una delle possibili interpretazioni, sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice di merito dolersi in sede di legittimità che sia stata previlegiata l’altra (Cass. Sez. 3 28 -11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-02). Nella specie, la ricorrente utilizza lo schermo della violazione di legge in punto di mancata valutazione della volontà delle parti, così come emergente dal contratto, ma di fatto, essendo tale valutazione stata effettuata dal giudice di merito, che ha con ciò confermato l’iter motivazionale del Tribunale, la censura si traduce nella contestazione degli esiti dell’attività valutativa, contrastante con la sua ricostruzione dei fatti.
9. La terza censura è sostanzialmente inammissibile.
Trovano applicazione, anche in relazione al predetto motivo, le osservazioni e le conseguenze da esse derivanti, innanzi riportate, circa l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico quale indagine di fatto affidata al giudice di merito.
Anche con questa doglianza il ricorrente mira a contrapporre la propria valutazione delle emergenze processuali a quella effettuata dal giudice di merito.
A ciò deve, inoltre, aggiungersi che la doglianza riguarda tra l’altro un passo motivazionale (relativo alla valutazione dell’acconto versato ed alla transazione intercorsa tra le parti) non decisivo. Il giudice di merito, infatti, ha osservato che la prestazione a carico della odierna ricorrente per essere determinabile avrebbe richiesto la specificazione del ‘contenuto delle direttive
richieste della Tecnesud e l’apporto scientifico della RAGIONE_SOCIALE di cui all’art. 4 del contratto’.
Sicché le circostanze ed i rilievi posti a fondamento del terzo motivo non potrebbero condurre, comunque, ad un diverso esito.
Peraltro il motivo presenta ulteriori profili di inammissibilità nella parte in cui attribuisce al giudice di merito di aver messo ‘in discussione la causa del contratto’ laddove la motivazione posta a fondamento della decisione, chiaramente, è imperniata sulla ritenuta indeterminabilità dell’oggetto della prestazione a carico di RAGIONE_SOCIALE.
La quarta censura è altresì in parte infondata ed in parte inammissibile.
Il giudice di merito ha ritenuto che l’oggetto del contratto non fosse determinato né determinabile. Avendo affermato la nullità del contratto non poteva che conseguire la irrilevanza del contenuto della CTU essendo quest’ultima tesa a determinare il corrispettivo relativo all’attività svolta da RAGIONE_SOCIALE.
Né, evidentemente, si potrebbe ritenere determinato l’oggetto del contratto alla stregua dei rilievi del CTU e fuor d’opera è il richiamo alla cd. consulenza percipiente, su cui si richiama la pronuncia delle Sez.unite, 3086/22, seguita da numerose pronunce a sezione semplice ( Cass.32935/22, 21903/23, 26144/23).
Inammissibile è la prospettata violazione dell’art.116 c.p.c. e dell’art.88 c.p.c., atteso che, come affermato dalla pronuncia a Sez. unite, 20867/20, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei
rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione.
In conclusione il ricorso è respinto. Le spese sono liquidate come da dispositivo.
Deve darsi atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso, condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in E 12.000,00 oltre E 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.
Dà atto che ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile del 2 luglio 2025
La Presidente NOME COGNOME