Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 17954 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 17954 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1159/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO COGNOME RAGIONE_SOCIALE.; RAGIONE_SOCIALE.; FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE, ciascuna in persona del rispettivo curatore, tutti rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale ex lege ;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 443/2021 della CORTE D’APPELLO DI LECCE, SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata in data 22/12/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/4/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 22/12/2021, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha condannato NOME COGNOME al risarcimento, in favore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, del Fallimento RAGIONE_SOCIALE e del Fallimento RAGIONE_SOCIALE, dei danni da questi ultimi subiti a seguito dell’illegittima occupazione, da parte della COGNOME, di un immobile di proprietà dei fallimenti attori;
a fondamento della decisione assunta la Corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva ritenuto adeguatamente comprovato, su base presuntiva, il danno concretamente subito dai fallimenti attori in conseguenza dell’illegittima occupazione del proprio bene, evidenziando, infine, l’irrilevanza della mancanza del certificato di agibilità dell’immobile occupato, trattandosi di un difetto tale da non impedire l’effettivo godimento del bene e la speculare possibilità per i fallimenti attori di ricavare profitto dalla relativa locazione;
avverso la sentenza d’appello, NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di otto motivi d’impugnazione;
il Fallimento RAGIONE_SOCIALE, il Fallimento RAGIONE_SOCIALE e il Fallimento RAGIONE_SOCIALE resistono con un comune controricorso;
entrambe le parti hanno depositato memorie;
considerato che ,
con il primo motivo, la ricorrente si duole della nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. (in
relazione all’art. 360 n, 4 c.p.c.), per avere la Corte territoriale omesso di provvedere sul motivo di appello avanzato in sede di gravame da parte dell’odierna istante, avente ad oggetto l’eccepita nullità dell’atto di citazione avversario, tempestivamente contestato dalla COGNOME all’atto di costituirsi in giudizio;
il motivo è infondato;
osserva il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, deve ritenersi inconfigurabile il vizio di omesso esame di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise – sia pure con una pronuncia implicita della loro irrilevanza o di infondatezza – in quanto superate e travolte, anche se non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di altra questione, il cui solo esame comporti e presupponga, come necessario antecedente logico-giuridico, la detta irrilevanza o infondatezza (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 13649 del 24/06/2005, Rv. 582099 -01; Sez. 1, Sentenza n. 11844 del 19/05/2006, Rv. 589393 -01; Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014, Rv. 630315 -01);
ciò posto, nel caso di specie, una volta rilevata, ad opera della Corte territoriale, la correttezza della decisione del primo giudice nella parte in cui aveva accolto nel merito la domanda risarcitoria originariamente proposta dai fallimenti attori (e dunque sull’implicito presupposto della piena validità dell’atto di citazione avversario), incombeva sull’odierna ricorrente l’onere di prospettare il vizio (proprio o derivato) della decisione d’appello per la violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c., in considerazione del carattere errato della soluzione implicitamente data dal giudice d’appello alla questione sollevata dalla parte;
in ogni caso, varrà considerare come, in sede di citazione, pur facendosi formalmente riferimento alla categoria del danno in re ipsa , il risarcimento per l’illegittima occupazione era stato domandato evocando l’avvenuta sottrazione del bene alla possibilità di locazione in attesa della vendita fallimentare e l’eccezione di nullità della citazione per omessa o incerta indicazione degli elementi dell’ editio actionis (arg. ex artt. 163, nn.3 e 4, e 164, quinto comma, cod. proc. civ.), asseritamente derivante dalla mancata osservanza dell’onere di allegazione delle effettive conseguenze pregiudizievoli dell’occupazione abusiva, era stata espressamente rigettata dal primo giudice e tale statuizione è stata implicitamente, ma perspicuamente -nonché correttamente -confermata dalla Corte d’appello, la quale ha osservato come fosse presente in atti una relazione dell’11 aprile 1996, inviata dai Curatori al Giudice Delegato, da cui risultava, oltre alla richiesta allo stesso giudice di autorizzare il trasferimento oneroso in via transattiva degli immobili (con salvezza del diritto delle Curatele fallimentari di conseguire o ripetere dagli occupanti abusivi quanto dovuto a titolo di indennità di occupazione o di canoni di locazione), anche -e prima ancora -l’intenzione di locare gli immobili in attesa della vendita verso un canone mensile di Lire 510.000 per i soci e 550.000 per i non soci;
la rituale produzione di questo documento, oltre a svolgere funzione di prova dei fatti posti a fondamento della pretesa azionata, concorreva anche a precisarne l’allegazione, poiché integrava le deduzioni relative alla perdita subita e al mancato guadagno collegabili, in via immediata e diretta (art. 1223 cod. civ.), all’illegittima occupazione;
al riguardo, giova ricordare che in tema di occupazione sine titulo i fatti costitutivi del diritto al risarcimento del proprietario-attore -che
egli ha l’onere di allegare e, se del caso (ove contestati dall’occupante -convenuto), di provare -sono, con riguardo al danno emergente, la concreta possibilità, andata perduta, di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante concessione a terzi dietro corrispettivo (restando, invece, non risarcibile il venir meno della mera facoltà di non uso, quale manifestazione del contenuto del diritto sul piano astratto, suscettibile di reintegrazione attraverso la sola tutela reale) e, con riguardo al lucro cessante, lo specifico pregiudizio subito, rappresentato dall’impossibilità di concedere il bene in godimento ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o di venderlo ad un prezzo più conveniente di quello di mercato (Cass., Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645);
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., dell’art. 12 delle preleggi, nonché per omesso esame di fatti decisivi controversi (in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato i contenuti dell’atto di citazione avversario, non avvedendosi dell’assoluta mancanza di allegazione in ordine alle pretese conseguenze dannose subite dai fallimenti avversari per effetto dell’illecito contestato a carico della COGNOME, giungendo, per altro verso, a fondare la propria decisione sulla base di una motivazione meramente apparente;
il motivo è inammissibile;
in conformità a quanto già dedotto in corrispondenza della decisione del primo motivo, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte territoriale ha perspicuamente -ancorché implicitamente -pronunciato sul motivo d’appello diretto a censurare la statuizione di rigetto della nullità della citazione, correttamente
confermando tale statuizione, sul rilievo della debita osservanza dell’onere di allegazione da parte delle Curatele attrici;
varrà sottolineare, sotto altro profilo, come l’inammissibilità del motivo in esame discenda dall’operatività della preclusione di cui all’art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (disposizione che ha trovato continuità normativa nel nuovo art. 360, quarto comma, cod. proc. civ., introdotto dal d.lgs. n.149 del 2022) in materia di doppia conforme; e tanto, a prescindere dall’impossibilità di attribuire a un motivo di gravame la natura di fatto storico, principale o secondario, in tesi rilevante in relazione al vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c.;
con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 2043, 1223 e 1226 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto corretta la decisione del primo giudice senza avvedersi dell’assenza di alcuna dimostrazione, ad opera delle controparti, delle effettive e concrete conseguenze dannose dalle stesse sofferte per effetto dell’occupazione del loro immobile, conferendo, viceversa, efficacia probatoria a circostanze di fatto del tutto prive di adeguata idoneità rappresentativa a tal fine;
con il quarto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale attribuito efficacia di prova presuntiva a circostanze di fatto del tutto prive dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza imposti dall’art. 2729 c.c. ai fini dell’ammissibilità della prova indiziaria;
con il quinto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c. (in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.), per avere la Corte territoriale deciso la controversia sulla base di un
obiettivo travisamento delle informazioni probatorie ricavate dagli elementi istruttori acquisiti al giudizio;
tutti e tre i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
al di là dell’assoluta impossibilità di configurare, nella fattispecie, il c.d. ‘travisamento’ del contenuto oggettivo della prova (nei rigorosi termini in cui esso è stato ammesso da questa Corte nel suo massimo consesso: Cass, Sez. Un., n. 5792 del 5/3/2024,), non essendo ravvisabile -e non essendo neppure stata dedotta -l’eventuale ‘svista’ del giudice in ordine al fatto probatorio, deve rilevarsi che le censure veicolate con il terzo, il quarto e il quinto motivo attengono, nella sostanza, a profili di fatto e tendono a suscitare dalla Corte di cassazione un nuovo giudizio di merito in contrapposizione a quello espresso dalla Corte d’appello, omettendo di considerare che tanto l’accertamento dei fatti, quanto la valutazione – ad esso funzionale delle risultanze istruttorie e della loro inferenza probatoria è attività riservata al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove in base al libero apprezzamento, ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499);
la Corte territoriale, con valutazione incensurabile in questa sede, ha reputato che la relazione inviata dai curatori fallimentari al Giudice Delegato circa l’intenzione di locare i cespiti occupati verso un canone già individuato nel suo ammontare tanto per i conduttori soci quanto per i non soci, dimostrava la concreta possibilità, impedita dall’occupazione illegittima, di esercizio, da parte dei proprietari, del diritto di godimento indiretto degli immobili, mediante concessione a
terzi dietro corrispettivo, e dunque dava prova delle conseguenze dannose risarcibili dell’occupazione, quanto meno sub specie di danno emergente;
avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte d’appello, i motivi di ricorso in esame si palesano inammissibili, in quanto tendono a provocare dalla Corte di cassazione una lettura delle risultanze istruttorie e un apprezzamento delle circostanze di fatto diversi da quelli motivatamente forniti dal giudice di merito, i quali sono insindacabili in questa sede di legittimità;
con il sesto motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1362, 1363, 1364, 1366 e 1369 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente interpretato l’atto con il quale la Pupino aveva chiesto al giudice delegato ai fallimenti avversari l’autorizzazione all’acquisto dell’immobile occupato, desumendo arbitrariamente da tale atto (in violazione di ciascuno dei criteri legali di ermeneutica negoziale specificamente analizzati in ricorso) il riconoscimento del diritto delle controparti al conseguimento di un’indennità o di un risarcimento per detta illegittima occupazione;
con il settimo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 1988 c.c. (in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente attribuito valore di ricognizione di debito alla dichiarazione della Pupino contenuta nella missiva del 29/10/2001 e da quanto dichiarato nell’atto di transazionetrasferimento del l’ 1/12/2003, in violazione della fattispecie prevista dall’art. 1988 c.c. destinata ad assumere unicamente l’efficacia di un’inversione degli oneri probatori tra le parti, e non già a rafforzare un’obbligazione priva di sostegno sotto il profilo causale, né a generare
autonomamente un’obbligazione risarcitoria priva dell’elemento determinante del danno-conseguenza;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come l’inammissibilità delle censure in esame discenda, in primo luogo, dalla circostanza che con essi viene indebitamente censurata l’interpretazione di dichiarazioni negoziali, la quale, traducendosi in un’operazione di ricerca ed individuazione della volontà del dichiarante, costituisce un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità se non per violazione delle regole ermeneutiche (ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.), oppure per inadeguatezza di motivazione (ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, ove applicabile), oppure, ancora, nel vigore del novellato testo di detta norma, per omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti (Cass. 14/07/2016, n. 14355; v. anche, tra le altre, Cass. 22/06/2005, n. 13399);
la ridetta inammissibilità discende inoltre (e soprattutto) dalla circostanza che i motivi in esame non si confrontano con la ratio della statuizione censurata, la quale non ha affatto desunto dalla dichiarazione negoziale interpetrata la sussistenza del riconoscimento, da parte del ricorrente, del proprio debito, bensì la sussistenza del riconoscimento del diritto delle Curatele di conseguire o recuperare dagli occupanti quanto da loro dovuto a titolo di indennità di occupazione o di canoni di locazione;
con l’ottavo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 1575 e 1578 c.c., dell’art. 24 d.p.r. n. 380/01, nonché dell’art. 35 della legge n. 47/1985 (in relazione all’art. 360 n, 3 c.p.c.), per avere la Corte territoriale erroneamente riconosciuto la
sussistenza di danni a carico dei fallimenti avversari in relazione all’occupazione di un immobile privo del certificato di agibilità: circostanza tale da attestare l’inidoneità dell’immobile ad essere utilizzato e concesso in locazione a terzi e, pertanto, a costituire una potenziale fonte di reddito per le controparti;
il motivo è inammissibile;
osserva il Collegio come la Corte d’appello non abbia in alcun modo dubitato del rilievo e dell’efficacia del certificato di agibilità quale atto amministrativo, né la sua necessità ai fini dell’attestazione della sussistenza nell’immobile dei requisiti di abitabilità e dell’esclusione della responsabilità del locatore verso il conduttore; piuttosto, il giudice del merito -traendo argomento da un dato di esperienza, nonché dalla circostanza concreta che la mancanza di tale atto nella fattispecie non aveva impedito all’occupante di trarre per anni indebitamente dall’immobile, senza pagare alcun corrispettivo al proprietario, la stessa utilità che quest’ultimo avrebbe potuto attribuire a terzi verso corrispettivo -ha tratto la conclusione che detta mancanza non costituiva ostacolo alla concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento sul bene, in via diretta o indiretta;
ciò posto, la censura in esame deve ritenersi inammissibile, non essendosi la ricorrente punto confrontata con il chiaro tenore della sentenza impugnata;
sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva infondatezza delle censure esaminate, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1quater , dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 4.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione