Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 8249 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 8249 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 23787/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato NOME COGNOME giusta procura in atti;
– ricorrente –
contro
COGNOME elettivamente domiciliata a ll’ indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE, l’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende giusta procura in atti;
-controricorrente –
nonché
CONDOMINIO ‘COGNOME PH2O’ e ARCH. APPENDINO NOMECOGNOME -intimati- avverso la sentenza n. 670/2021 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 14/06/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Osserva
1. NOME COGNOME citò in giudizio RAGIONE_SOCIALE e il Condominio RAGIONE_SOCIALE. Esposto di essere proprietaria del primo e del secondo piano di un fabbricato e di un terrazzo posto al primo piano, che la palazzina sorta dalla ristrutturazione, previa demolizione, di taluni capannoni attigui, in parte rimasta di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e per altra parte venduta, con costituzione del Condominio anzidetto, avrebbe dovuto rispettare le norme del codice civile in materia di distanze, non prevedendo deroghe i regolamenti locai del comune di Torino; che il nuovo fabbricato non rispettava la sagoma dei preesistenti capannoni, quanto ad altezza e procurava, altresì, illecite vedute sul fondo dell’attrice dai piani terzo, quarto e quinto fuori terra, sulla facciata fiancheggiante il terrazzo, essendo rimasto violato l’art. 905 cod. civ.; che le fioriere installate al terzo piano ostruivano una finestra dell’esponente; che altra parte del nuovo edificio, in violazione dell’art. 9, d.m. n. 1444/1968, era stata costruita a distanza inferiore ai dieci metri dalle pareti finestrate; che, infine, il pluviale, in violazione dell’art. 889 cod. civ., era stato collocato a meno di un metro dal confine, chiese demolirsi i manufatti ed eliminare le vedute ‘contra legem’.
La RAGIONE_SOCIALE, costituitasi, resistette alla domanda e chiese, inoltre, di potere chiamare in giudizio il progettista e direttore dei lavori per essere manlevata. Il Condominio chiese di essere tenuto indenne dalla società venditrice.
Il Tribunale, nella contumacia del chiamato, condannò entrambi i convenuti, ciascuno per la parte dell’immobile di rispettiva proprietà, a demolire o arretrare alla distanza di cinque metri dal confine la porzione di fabbricato, realizzata al terzo, quarto, quinto e sesto piano fuori terra, siccome individuata dal c.t.u.; condannò la Società convenuta a installare al terzo piano sul lato del terrazzo
dell’attrice un pannello di vetro satinato alto due metri, nonché a rimuovere la fioriera; condannò, infine, il Condominio a demolire o arretrare le parti dei subalterni specificati in dispositivo, sino ad assicurare la distanza di dieci metri dalla parete finestrata dell’attrice, anche in questo caso, sulla base dell’individuazione operata dal c.t.u.
La Corte d’appello di Torino, alla quale si era rivolta in via principale la RAGIONE_SOCIALE e invia incidentale il Condominio, rigettò entrambe le impugnazioni.
RAGIONE_SOCIALE ricorreva sulla base di cinque motivi, l’intimata resisteva con controricorso.
Il Consigliere delegato della Sezione ha proposto definirsi il ricorso ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
La ricorrente, con istanza sottoscritta dal difensore munito di una nuova procura speciale, ha chiesto decidersi il ricorso.
Il processo è stato fissato per l’adunanza camerale del 29 ottobre 2024, all’approssimarsi della quale la ricorrente ha depositato memoria.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 900 cod. civ., 9 d.m. n. 1444/1968, 111 Cost, 112, 132, n. 4, 113, 115 e 116 cod. proc. civ. e con il correlato secondo motivo denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente
Assume la ricorrente che la Corte di merito aveva errato a giudicare veduta l’apertura collocata nel bagno dell’attrice, trattandosi, invece, di una luce. Sul punto la ricorrente soggiunge che il costrutto motivazionale doveva considerarsi apparente, in quanto che il Giudice di secondo grado aveva affermato l’illiceità della veduta dalla predetta finestra aderendo all’asserita valutazione del Tribunale; per contro, viene precisato col motivo, il
Giudice di primo grado <>, né risultavano dirimenti le dichiarazioni testimoniali.
7.1. Il complesso censorio non supera il vaglio d’ammissibilità.
La sentenza impugnata ha motivatamente affermato che la finestra consentiva ‘inspectio’ e ‘prospectio’ (accertamento del c.t.u. e vaglio testimoniale).
Di conseguenza, appare del tutto evidente che la ricorrente, sotto l’usbergo della dedotta violazione di legge, invoca un improprio riesame di merito, precluso in questa sede.
Per vero, la denuncia di violazione di legge non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi il rivendicato inquadramento normativo, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la sussunzione nel senso auspicato dal ricorrente ( ex multis , Cass., Sez. Un., n. 25573 del 12/11/2020). E ancora, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (cfr. Cass., Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019).
Siccome ha già avuto modo questa Corte di più volte chiarire, la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che è pertanto, denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., Sez. Un., n. 8053 del 7/4/2014; Cass., Sez. Un., n. 8054 del 7/4/2014; Cass., Sez. 6-2, n. 21257 del 8/10/2014).
Qui non ricorre alcuna delle ipotesi sopra richiamate, avendo la sentenza reso giustificazione motivazionale pienamente pertinente e del tutto ripercorribile.
Inoltre, la prospettata liceità della finestra in discorso integra un mero generico asserto, privo di riscontro probatorio.
La ricostruzione probatoria, come noto, anche qualora sostenuta dall’asserita violazione degli artt. 115 e 116, cod. proc. civ., non può essere contestata in questa sede, poiché, come noto, l’apprezzamento delle prove effettuato dal giudice del merito non è, in questa sede, sindacabile, neppure attraverso l’escamotage dell’evocazione dell’art. 116, cod. proc. civ., in quanto, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito (cfr., da ultimo, Cass., Sez. 6, n. 27000 del 27/12/2016). Punto di diritto, questo, che ha trovato recente conferma nei principi enunciati dalle Sezioni Unite in epoca recente (sent. n. 20867 del 30/09/2020, conf. Cass.
n. 16016/2021), essendosi affermato che in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass., Sez. Un., 27/12/2019 n. 34474, con richiami pure a Cass. 19/06/2014 n. 13960 ovvero a Cass. 20/12/2007 n. 26965). E inoltre che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass., Sez. Un., 05/08/2016 n. 16598).
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, punto 34, 4, punto 42 bis, 4, punto 31,
lett. d), 4, punto 33 e 20, punto 12 delle NUEA del comune di Torino, nonché degli artt. 113, 115 e 116 cod. proc. civ.
La sentenza, secondo l’esponente, era incorsa in errore per non avere tenuto conto della disciplina del P.R.G., che distingueva la nuova costruzione da quella frutto di ristrutturazione, con la conseguenza che le opere di ristrutturazione, pur potendo condurre a realizzare un edificio <>, anche in altezza, non sono soggette <>.
8.1. Il motivo è manifestamente destituito di giuridico fondamento.
La Corte di Torino ha, fra l’altro, spiegato che l’intervento edilizio dell’appellante era illegittimo in quanto aveva procurato un’alterazione della sagoma e un aumento della volumetria rispetto all’edificio preesistente. Inoltre, ha soggiunto, il Tribunale aveva correttamente fatto applicazione dell’art. 873 cod. civ. e del P.R.G.C. <>. Quanto, poi, all’invocata <>. Infine, il principio di prevenzione non era invocabile trattandosi di manufatto che andava qualificato nuova costruzione.
La ricorrente lamenta ora che la pronuncia impugnata ha violato le norme locali di cui in rubrica affermando che le ristrutturazioni edilizie e le sopraelevazioni erano unicamente soggette ai parametri indicati alle lettere a) ed e) dell’art. 2, punto 34 del P.R.G.C., con espressa esclusione dal rispetto delle distanze dai confini e dai fabbricati e che la Corte di Torino aveva errato a reputare trattarsi di nuovo organismo edilizio perché difforme dal vecchio fabbricato per sagoma e volume, ponendosi in contrasto con il citato art. 4, punto 31, lett. d, (‘ Gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possano portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente …’); nonché con il punto 33 del medesimo articolo, il quale stabiliva che. ‘ Gli interventi di ristrutturazione edilizia sono soggetti al rispetto dei parametri edilizi, limitatamente a quelli relativi alle lettere a), b), d), e) di cui all’art. 2 punto 34 ed urbanistici della zona normativa di appartenenza fatto salvo quanto specificato al comma 32 ter ‘; nonché del punto 42 bis, il quale prescriveva che ‘ Le sopraelevazioni di edifici sono soggetti al rispetto dei parametri edilizi limitatamente alle lettere a) b) d) e) di cui all’art. 2 punto 34 e urbanistici della relativa zona ‘.
La critica, come anticipato, è destituita di giuridico fondamento. In materia questa Corte, con giurisprudenza ferma, ha più volte avuto modo di condivisibilmente precisare che <> (Sez. 2, n. 473, 10/1/2019, in motivazione).
Va di poi evidenziato che la ricostruzione con sopraelevazione rispetto all’edificio preesistente costituisce una nuova costruzione, poiché implica un aumento di volumetria, sagoma e superficie di ingombro, ancorché di ridotte dimensioni, ed è soggetta quindi all’obbligo di rispetto delle distanze legali dal confine; pertanto, in caso di inosservanza di tali distanze, la demolizione non deve essere limitata alle parti eccedenti le dimensioni dell’edificio originario, ma riguarda la nuova costruzione nella sua interezza (Cass., Sez. 2, n. 16804 del 13/06/2023; conf., ex multis , Cass.
Sez. 2, n. 20428/2022; Cass., Sez. 2, n. 4009/2022; Cass., Sez. 2, n. 38354/2021; Cass., Sez. 2, n. 14273/2019; Cass., Sez. 3, n. 15732/2018; Cass., Sez. 2, n. 74/2011; Cass., Sez. 3, n. 21059/2009; Cass., Sez. 2, n. 15527/2008; Cass., Sez. 2, n. 400/2005).
Ed ancora, in tema di distanze legali, esiste, ai sensi dell’art. 873 c.c., una nozione unica di costruzione, consistente in qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità ed immobilizzazione rispetto al suolo, indipendentemente dalla tecnica costruttiva adoperata. I regolamenti comunali, pertanto, essendo norme secondarie, non possono modificare tale nozione codicistica, sia pure al limitato fine del computo delle distanze legali, poiché il rinvio contenuto nella seconda parte dell’art. 873 c.c. ai regolamenti locali è circoscritto alla sola facoltà di stabilire una distanza maggiore (Cass., Sez. 2, n. 23843 del 2/10/2018; conf., ex multis , Cass. n. 144/2016 e Cass. n. 19530/2005).
Particolarmente chiara risulta sul punto la motivazione di cui alla sentenza di questa Sezione, n. 5163/2015: <>.
Quanto esposto rende vana la specifica disamina della normativa locale, peraltro, confusamente evocata dalla ricorrente.
Il quarto motivo, con il quale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2 e 3 della l. n. 13/1989, asserendosi che la demolizione avrebbe comportato l’eliminazione dell’ascensore, che per legge costituiva struttura indispensabile al fine dell’abbattimento delle barriere architettoniche, è inammissibile poiché non consta dalla sentenza d’appello che un siffatto motivo fosse stato sottoposto alla Corte locale, né la ricorrente oggi allega con sufficiente specificità il contrario.
Con il quinto motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1176, co. 2, cod. civ., 106, 115, 163, 167 e 269 cod. proc. civ.
Si deduce che la sentenza impugnata avrebbe dovuto condannare in manleva l’architetto COGNOME, progettista e direttore dei lavori.
10.1. Il motivo è inammissibile per due autonome ragioni.
In primo luogo, siccome riporta la sentenza della Corte territoriale, l’appellante aveva esclusivamente lamentato che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda svolta nei confronti del terzo. Il motivo è stato giudicato infondato dalla Corte di merito, la quale ha spiegato che il primo Giudice aveva deciso, e motivatamente, sul punto.
Di conseguenza il motivo oggi sottoposto a questa Corte non è scrutinabile perché nuovo.
Peraltro, e sotto altro profilo, la doglianza, sebbene si intrattenga sui principi generali in materia di responsabilità del progettista e/o del direttore dei lavori, non ha, in ogni caso, assoggettato a specifica critica la ‘ratio decidendi’ della sentenza d’appello, la quale, ha condiviso il ragionamento del primo Giudice, secondo il quale <>.
In conclusione il ricorso deve essere, nel suo complesso, rigettato.
Il regolamento delle spese segue la soccombenza e le stesse vanno liquidate, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonché delle svolte attività, siccome in dispositivo, in favore del controricorrente.
Alla declaratoria di rigetto del ricorso, conforme alla proposta di definizione anticipata, consegue, ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ., vigente art. 96, co. 3 e 4, cod. proc. civ., la condanna della ricorrente al pagamento in favore della controparte e della cassa delle ammende, delle somme, stimate congrue, di cui in dispositivo (cfr. S.U. n. 27195/2023).
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 7.000,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento e agli accessori di legge; condanna, altresì, la ricorrente al pagamento dell’ulteriore somma di € 7.000,00 in favore della controricorrente, ai sensi dell’art. 96, co. 3, cod. proc. civ.; nonché della somma di € 3.000,00, ai sensi dell’art. 96, co. 4, cod. proc. civ., in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02 (inserito dall’art. 1, comma 17 legge n. 228/12), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda