Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9680 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9680 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1771/2024 R.G. proposto da :
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME e domiciliato presso il domicilio digitale del medesimo, pec.
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e domiciliata presso il domicilio digitale del medesimo, pec:
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 1770/2023 depositata il 31/08/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Rilevato che:
NOME COGNOME in qualità di fideiussore della società RAGIONE_SOCIALE, propose opposizione ad un decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Firenze con il quale gli era stato intimato il pagamento, in favore di Monte dei Paschi di Siena, della somma di € 144.607,93, oltre interessi e spese. L’opponente sollevò una serie di eccezioni sia in rito sia nel merito, con particolare riguardo alla nullità della garanzia fideiussoria omnibus per contrasto delle clausole ivi contenute con l’art. 2, comma 2, lett. a) L. 287 del 1990; in subordine chiese di dichiarare la decadenza della banca ai sensi dell’ art. 1957 c.c. per essere l’obbligazione restitutoria a carico della debitrice scaduta in tempi remoti e per non avere la banca coltivato il credito nei confronti della debitrice principale nel termine di sei mesi prescritto dalla norma.
La Banca, nel costituirsi in giudizio, contestò le domande del COGNOME ed in particolare affermò che, anche nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato qualificato quale fideiussione e non quale contratto autonomo di garanzia, le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 della fideiussione avrebbero implicato solo la nullità parziale del contratto e non la nullità dell’intera fideiussione, ai sensi di quanto previsto dall’art. 1419 c.c. Sostenne altresì che all’opponente non fosse applicabile la disciplina di cui agli artt. 1469-bis c.c. atteso che lo stesso rivestiva la qualità di imprenditore e non anche di consumatore.
Il Tribunale adito revocò il decreto ingiuntivo per tardività della notifica, condannò il COGNOME a corrispondere a Banca Monte dei Paschi l’importo ingiunto, rigettò ogni altra domanda proposta nel giudizio di primo grado e condannò il COGNOME alle spese.
A seguito di appello del COGNOME, rimasta contumace Monte dei Paschi di Siena e a seguito di intervento in giudizio della RAGIONE_SOCIALE (di seguito RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito di MPS, la Corte d’Appello di Firenze , con sentenza n. 1770 del 2023, ha accolto in parte l’appello e condannato il COGNOME a pagare ad RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, la minor somma di € 42.310,26, compensando in parte le spese del doppio grado del giudizio.
Avverso la sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
Resiste con controricorso la società RAGIONE_SOCIALE che ha prodotto anche atto denominato ‘Note’, che non può considerarsi memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c., in difetto dei relativi requisiti di legge.
Considerato che:
con il primo motivo 1) Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1343, 1346, 1418, 1419 c.c., art. 2 co. 2 lett. a) e 3 co. 1 lett. a) legge 287/1990 ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. (pp. 10 ss. -punto n. 1 di diritto) il ricorrente impugna il capo di sentenza che ha ritenuto la nullità relativa della fideiussione e non ha dichiarato la nullità dell’intero contratto errando anche nella sua interpretazione che omette di valorizzarne la causa concreta.
Il motivo è inammissibile perché meramente riproduttivo dei primi tre motivi di appello, e privo del necessario confronto con la sentenza impugnata e con le norme regolatrici della fattispecie.
Infatti la sentenza impugnata ha diffusamente motivato sulla nullità solo parziale dei contratti di fideiussione che riproducono clausole poste in violazione delle norme sulla concorrenza in forza della pronuncia a S.U. n. 41994 del 30/12/2021 secondo cui ‘ I contratti di fideiussione “a valle” di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, comma 2, lett. a) della l. n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, comma 3 della legge citata e dell’art. 1419 c.c., in
relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata – perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti ‘ (Cfr. anche Cass., 3, n. 18794 del 4/7/2023, Cass., 3, n. 26957 del 20/9/2023).
Con il secondo motivo di ricorso deduce ‘ Violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art. 1957 I° comma cc ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. (pp. 20 ss. -punto n. 2 di diritto) sia in ordine al significato del termine ‘istanze’ sia in ordine alla decorrenza del termine (cd. dies a quo) per la proposizione delle istanze in esso contenuto ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘ Impugna il capo di sentenza che ha ritenuto idonea ad interrompere il termine di cui all’art. 1957, 1° comma c.c. anche un’istanza stragiudiziale e ciò in preteso contrasto con la giurisprudenza di questa Corte che, per ‘istanze’ di cui all’art. 1957 c.c., intende esclusivamente iniziative di natura giudiziaria.
Il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi dell’impugnata sentenza secondo cui una mera istanza stragiudiziale è adeguata a ritenere soddisfatto quanto previsto dall’art. 1957 c.c. quando si tratti di un contratto autonomo di garanzia o, come nel caso di specie, di una fideiussione con clausola a prima richiesta, clausola che intende con evidenza derogare al beneficium excussionis.
Dunque, mentre la giurisprudenza menzionata dal ricorrente non è pertinente occorre, nella fattispecie, dare continuità al consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui ‘I n tema di contratto autonomo di garanzia, ove le parti abbiano convenuto che il pagamento debba avvenire “a prima richiesta”, l’eventuale rinvio pattizio alla previsione della clausola di decadenza di cui all’art. 1957, comma 1, c.c., deve intendersi riferito – giusta l’applicazione del criterio ermeneutico previsto dall’art. 1363 c.c. – esclusivamente al termine semestrale indicato dalla predetta disposizione; pertanto, deve ritenersi sufficiente ad evitare la decadenza la semplice proposizione di una richiesta
stragiudiziale di pagamento, non essendo necessario che il termine sia osservato mediante la proposizione di una domanda giudiziale, secondo la tradizionale esegesi della norma, atteso che, diversamente interpretando, vi sarebbe contraddizione tra le due clausole contrattuali, non potendosi considerare “a prima richiesta” l’adempimento subordinato all’esercizio di un’azione in giudizio ‘ (Cass. 3, n. 22346 del 26/9/2017, Cass. 3 n. 30185 del 14/10/2022).
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente deduce Violazione e/o falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1418 e1419 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. con riferimento al dovere di pronunciare una sentenza di condanna sulla base di contratti e/o di singole clausole validi ed efficaci (pp. 30 ss. -punto n. 3 di diritto). Impugna il capo di sentenza che ha escluso la rilevanza della nullità parziale della fideiussione per derivazione dalla nullità delle clausole sub 2 e 8 per avere il ricorrente agito soltanto perché fosse pronunciata la nullità dell’intera fideiussione.
Anche questo motivo non attinge la ratio decidendi dell’impugnata sentenza ben esplicata dalla Corte d’Appello di Firenze alla p. 16 ‘Correttamente, inoltre, il primo giudice ha così argomentato: ‘ Gli artt. 2 e 8, invece, non vengono in considerazione nel nostro caso, essendo stata sollevata,per quel che rileva in questa sede, soltanto la questione del rispetto o meno dei termini previsti dall’art. 1957 c.c.; né, in ogni caso, gli articoli in esame incidono sulla causa del contratto, sì da determinarne la n ullità, incidendo piuttosto sull’oggetto del contratto’. Non vi sarebbe stata, infatti, alcuna necessità di rilevare, ex officio
, la nullità parziale neanche degli artt. 2 e 8 della fideiussione in esame, per il fatto che, nella fattispecie, non sono ravvisabili le ipotesi contemplate dalle suddette norme, non essendo stati tempestivamente allegati i relativi presupposti di fatto, né, per tali ragioni, il COGNOME avrebbe avuto un interesse, concreto ed attuale, ad impugnare sotto tale profilo, la sentenza. Lo stesso, infatti, ha appellato la pronuncia di
primo grado solo per ottenere una declaratoria di nullità totale della fideiussione da egli rilasciata, per derivazione anche dalla nullità delle clausole sub nn. 2 e 8.
In altri termini, lo stesso eventuale rilievo officioso della nullità delle clausole nn.2 e 8 non si sarebbe profilato rilevante nel giudizio di primo grado, ai fini di una successiva declaratoria di nullità parziale della fideiussione de qua, né si profila tale nel presente giudizio d’appello.’ Con il quarto motivo di ricorso -4) Violazione e/o falsa applicazione della norma di cui all’art. 1367 c.c. ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. (pp. 32 ss. -punto n. 4 di diritto) censura la sentenza nella parte in cui ha dichiarato di non poter dichiarare la nullità dell’intero contratto di fideiussione in quanto le clausole di cui agli artt. 2, 6 e 8 non sarebbero neppure da ritenersi essenziali sotto il profilo causale.
Ad avviso del ricorrente la sentenza avrebbe violato i criteri di ermeneutica contrattuale con precipuo riguardo al principio di conservazione del contratto, la cui operatività è subordinata all’uso di altri criteri non utilizzati nel caso in esame.
Il motivo è anch’esso inammissibile perché la corte del merito , nell’escludere la rilevanza delle predette clausole anche sotto il profilo della conservazione degli effetti del contratto, si è limitata a menzionare la pronuncia di questa Corte a S.U. e ad aggiungere la ratio neppure impugnata secondo cui ‘Gli istituti di credito hanno tutto l’interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole ad essi favorevoli posto che l’alternativa sarebbe quella di restare privi di garanzia dei propri crediti’.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
complessivi euro 5.200,00, di cui euro 5.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile