Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 550 Anno 2024
RAGIONE_SOCIALE Ord. Sez. 2 Num. 550 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1135/2018 R.G. proposto da:
COGNOMECOGNOME elett.te domiciliato in INDIRIZZO, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende per procura in calce al ricorso,
-ricorrente- contro
NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) per procura in calce al controricorso,
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n.1901/2017 depositata il 29.8.2017. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 22.1.2009 NOME conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Torino il fratello COGNOME NOME, sostenendo che la madre, COGNOME NOME, vedova NOME, deceduta il 24.1.2006, col testamento olografo del 2.7.2003, pubblicato il 13.2.2009, aveva istituito erede universale il figlio COGNOME NOME, non lasciandole alcun bene con la motivazione che la figlia avrebbe ‘ già ricevuto e prelevato valori e somme largamente eccedenti e superiori ‘ di quanto lasciato al figlio NOME; che tale testamento doveva ritenersi lesivo dei suoi diritti di legittimaria (diritto ad una quota di 1/3 ex art. 537 comma 2° cod. civ.); che nell’asse ereditario doveva essere ricompresa la quota del 50% della RAGIONE_SOCIALE, società proprietaria di un prestigioso immobile al sesto piano superiore nel condominio denominato Mirabeau di Montecarlo, donato da NOME al figlio NOME con l’atto del AVV_NOTAIO del 15.11.1988, immobile poi venduto a terzi dal convenuto; che NOME doveva conferire alla massa ereditaria la somma di € 153.042,10 che aveva prelevato dai conti correnti della defunta con gli interessi legali, nonché la somma di € 5.000,00, che aveva ricevuto dalla madre il 5.11.2003; che NOME occupava alcuni beni immobili della massa, per i quali dall’apertura della successione doveva corrispondere alla massa l’indennità di
occupazione, con interessi e rivalutazione monetaria; che l’intero asse ereditario andava diviso ed attribuito per 2/3 a COGNOME NOME e per 1/3 a COGNOME NOME, con condanna del primo a conferire alla massa l’immobile sito a Montecarlo, o in subordine con la riduzione della donazione relativa a tale immobile ai fini della reintegrazione della quota riservata all’attrice e con condanna del convenuto al pagamento dell’indennità di occupazione in misura non inferiore ad € 800,00 per gli immobili di COGNOME e ad €2.000,00 per l’immobile di Torino, oltre rivalutazione monetaria ed interessi.
Si costituiva nel giudizio di primo grado COGNOME NOME, che replicava che la sorella aveva taciuto di avere ricevuto dalla madre nell’aprile 1995 la somma di £ 670.000.000 depositata su un conto corrente bancario di Lugano, oltre a gioielli custoditi in una cassetta di sicurezza presso la stessa banca di Lugano per un valore di €193.000,00, come da valutazione della gioielleria RAGIONE_SOCIALE; che molti immobili di COGNOME non erano caduti in successione in quanto di essi la madre era solo usufruttuaria, per cui con la di lei morte, si era verificata semplicemente la riespansione della sua nuda proprietà in proprietà esclusiva; che in successione erano caduti solo il 50% di un appartamento in COGNOME con due box e l’appartamento di Torino da lui già occupato quando ancora era in vita la madre; che il padre delle parti, COGNOME NOME, deceduto nel 1979, aveva donato una certa somma a ciascuno dei figli, che essi avevano investito nell’acquisto di beni immobili; che con tale somma egli aveva acquistato l’immobile di Montecarlo, che era stato intestato alla società RAGIONE_SOCIALE per evidenti fini di ‘protezione’ fiscale e valutaria, attribuendone il 50% a NOME fiduciariamente allo scopo di permettere ai genitori di controllare la destinazione del bene; che con analoga somma, donatale successivamente, la sorella NOME aveva acquistato il 24.2.1977 la nuda proprietà dell’appartamento di
INDIRIZZO, INDIRIZZO, sulla quale ai genitori era rimasto l’usufrutto vitalizio per le stesse ragioni che avevano determinato l’intestazione fiduciaria dell’immobile di Montecarlo; che pertanto il trasferimento senza corrispettivo della quota del 50% della società RAGIONE_SOCIALE fatto da COGNOME NOME al figlio COGNOME NOME non era altro che la retrocessione di una quota societaria solo fiduciariamente intestata alla COGNOME; che inoltre all’acquisto dell’immobile di INDIRIZZO, INDIRIZZO della Libertà n.30, da parte di NOME aveva contribuito COGNOME NOME con una donazione in favore della figlia di £ 20.000.000.
Sulla base di tali presupposti COGNOME NOME chiedeva il rigetto dell’azione di riduzione per lesione di legittima della sorella NOME, ed anzi la condanna della stessa alla restituzione di quanto ricevuto per donazione in eccesso rispetto alla quota riservata a lei spettante di 1/3 del patrimonio della madre defunta.
Il Tribunale di Torino con la sentenza non definitiva n. 1857/2012 del 16.3.2012, oggetto di riserva d’impugnazione di entrambe le parti, accertava che dell’asse ereditario relitto da NOME facevano parte la somma di € 79.469,00 prelevata da COGNOME NOME, l’immobile di Torino INDIRIZZO e gli immobili individuati di COGNOME e riconosceva che NOME aveva donato a NOME il 5.11.2003 la somma di € 5.000,00 ed il 15.11.1988 il 50% delle quote della società RAGIONE_SOCIALE proprietaria dell’immobile di Montecarlo, ed a NOME, nell’aprile 1995, la somma di £ 670.000.000, e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio.
Con la sentenza non definitiva n. 6720/2014 dell’8.7/23.10.2014 il Tribunale di Torino riduceva le disposizioni del testamento olografo di NOME del 2.7.2003 in favore della figlia NOME, ed accertava che quest’ultima partecipava alla comunione ereditaria nella misura dell’82,49%, provvedendo con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio.
Avverso le indicate sentenze non definitive del Tribunale di Torino proponeva appello principale NOME, ed appello incidentale NOME, e la Corte d’Appello di Torino con la sentenza n. 1901/2017 del 18.7/29.8.2017 respingeva entrambi gli appelli e compensava tra le parti le spese processuali.
Avverso tale ultima sentenza, notificata il 19.10.2017, ha proposto ricorso alla Suprema Corte, notificato a NOME il 18.12.2017, NOME, affidandosi a sei motivi, e resiste con controricorso notificato il 20/26.1.2018 NOME.
La sola controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis. 1 c.p.c.
La causa è stata trattenuta in decisione nell’adunanza camerale del 18.12.2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., la mancata ammissione del giuramento decisorio deferito a COGNOME NOME, dell’interrogatorio formale e della prova per testi sui capitoli 5, 6, 7 e 8 della memoria ex art. 183 comma 6° n. 2) c.p.c. e la mancata ammissione dei documenti depositati con l’atto di appello, ossia di copie delle contabili, del pagamento del mutuo fondiario e di un appunto manoscritto della defunta COGNOME NOME della cui successione si discute.
Il richiamo nella rubrica al vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. è del tutto inconferente, in quanto non è individuato il fatto storico oggetto di discussione tra le parti che non sarebbe stato considerato, e comunque in base all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c. tale motivo sarebbe inammissibile per l’esistenza di una ‘doppia conforme’. Nel prosieguo dell’illustrazione del motivo il ricorrente sembra dolersi del fatto che la Corte d’Appello non abbia
ammesso il giuramento decisorio e l’interrogatorio formale di COGNOME NOME e della prova per testi sui capitoli 5, 6, 7 e 8 della memoria ex art. 183 comma 6° n.2) c.p.c. con una motivazione solo per relationem e meramente apparente. Ma tale doglianza è inammissibile quanto al giuramento decisorio, poiché non sono stati riprodotti i capitoli dello stesso per cui non è neppure possibile stabilire se essi fossero decisivi per l’esito della causa; e per tutte le richieste istruttorie è manifestamente infondato, in quanto la Corte d’Appello non si è limitata a motivare per relationem attraverso il richiamo della motivazione di rigetto delle richieste addotte in primo grado, avendo fatto seguire a tale richiamo anche un’autonoma specifica indicazione delle ragioni d’inammissibilità e di irrilevanza dei singoli capitoli.
Col secondo motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articoli 1325, 1706, 1414, 2727, 2729 cod. civ., 115 e 116 c.p.c. relativamente all’istituto del negozio fiduciario.
Si duole il ricorrente del fatto che la Corte d’Appello abbia escluso la sussistenza di un negozio fiduciario tra la defunta COGNOME NOME ed il figlio COGNOME NOME, in forza del quale la quota del 50% della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (proprietaria di un prestigioso immobile nel Principato di Monaco), acquistata direttamente con denaro di una donazione paterna e poi donata dalla COGNOME al figlio NOME con l’atto del AVV_NOTAIO del 15.11.1988, sarebbe stata intestata alla COGNOME, anziché al figlio, per esercitare un controllo sulla destinazione dei beni e per finalità di ‘protezione’ fiscale e tributaria. Pertanto, la donazione non sarebbe stata altro che un ritrasferimento da parte della fiduciaria COGNOME NOME della quota al fiduciante COGNOME NOME di un bene già suo, non dovendosene, quindi, tenere conto ai fini della riunione fittizia ( donatum + relictum ) compiuta per determinare il valore dell’asse ereditario sul quale era stata
calcolata la quota di 1/3 riservata alla legittimaria NOME.
La Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di un negozio fiduciario, osservando che, in generale in campo societario, tale negozio obbliga il fiduciario a tenere determinati comportamenti in relazione alla quota sociale entrata nel suo patrimonio personale al solo fine di consentire al fiduciante (attraverso il fiduciario) l’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali il cui titolo è la partecipazione al capitale sociale, mentre nel caso di specie il rapporto descritto da COGNOME NOME sarebbe stato rovesciato, partecipando RAGIONE_SOCIALE alla società RAGIONE_SOCIALE per permettere ai genitori delle parti un controllo sulla destinazione dei beni.
Il ricorrente ripropone la propria diversa interpretazione, secondo la quale il padre defunto, NOME, avrebbe donato una certa somma a ciascuno dei figli, con la quale COGNOME NOME avrebbe acquistato l’immobile di Montecarlo, intestato ad una società RAGIONE_SOCIALE per schermarlo al fisco, con intestazione a sé del 50% di tale società e del residuo 50% alla madre NOME. Ciò per assicurarle un controllo simile a quello esercitato sull’immobile di Torino, INDIRIZZO 30, acquistato dalla sorella NOME col denaro a lei donato dal padre e gravato dall’usufrutto vitalizio dei genitori a scopo di controllo, senza che ciò avesse inficiato l’intesa del ricorrente con la madre per cui in caso di scioglimento della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE gli avrebbe ritrasferito il 50% della società RAGIONE_SOCIALE, a lei solo fiduciariamente intestata.
Tale motivo di ricorso è inammissibile, in quanto contrappone apoditticamente una propria interpretazione a quella, pur plausibile, seguita dalla Corte d’Appello, ed è volto ad ottenere una ricostruzione in punto di fatto che è preclusa alla Suprema Corte, giudice di legittimità e non di merito, senza neppure spiegare come
possa essere superata l’argomentazione giuridica dell’impugnata sentenza relativa alla palese difformità e non corrispondenza della fattispecie prospettata, rispetto allo schema proprio del negozio fiduciario in ambito societario.
Col terzo motivo di ricorso COGNOME NOME contesta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., le statuizioni dell’impugnata sentenza relative al mancato riconoscimento della donazione indiretta di £ 20.000.000 per l’acquisto dell’immobile di Torino, INDIRIZZO, asseritamente effettuata da parte di COGNOME NOME in favore della figlia NOME.
Si duole il ricorrente che la Corte d’Appello, fornendo una motivazione solo per relationem, non abbia ritenuto sufficientemente provata la suddetta donazione indiretta di NOME in favore di NOME, escludendola quindi dalla riunione fittizia e dalla determinazione del valore della quota di 1/3 riservata alla controparte, ed invoca alcuni documenti prodotti che avrebbero dimostrato il contrario.
Il motivo è inammissibile, in quanto non sono individuati i fatti storici decisivi oggetto di discussione tra le parti dei quali sarebbe stata omessa la considerazione, e si è fatto piuttosto riferimento a risultanze documentali della causa, che se valorizzate nel senso indicato dal ricorrente avrebbero potuto eventualmente portare a riconoscere la sussistenza della donazione indiretta in questione. Per contro, la ricostruzione dei fatti è riservata ai giudici di merito, che hanno il potere di individuare il materiale probatorio ritenuto di maggior rilievo nella formazione del loro libero convincimento, ed il vizio dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è invocabile ex art. 348 ter ultimo comma in caso di ‘doppia conforme’. Ove poi, nonostante il mancato richiamo nella rubrica, si ritenga estesa la doglianza alla motivazione addotta dalla Corte d’Appello per escludere la prova della donazione indiretta in questione, va detto che la stessa non si è limitata a fornire una motivazione per
relationem, avendo espressamente ed autonomamente condiviso il rilievo del giudice di primo grado circa il fatto che il documento 10 prodotto in copia non contenesse indicazioni univoche nel senso indicato da COGNOME NOME, ed ha esteso tale giudizio anche al documento 17 manoscritto da COGNOME NOME prodotto in originale, ritenendo quindi superfluo valutare la tempestività del disconoscimento di COGNOME NOME di tali scritture della madre e verificare l’autenticità dei documenti.
Col quarto motivo di ricorso COGNOME NOME contesta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., le statuizioni adottate dalla Corte d’Appello sulle doglianze alla CTU esposte in sede di appello da COGNOME NOME.
Il motivo è inammissibile, in quanto l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è invocabile ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. in caso di ‘doppia conforme’ e non risultano neppure individuati i fatti storici decisivi oggetto di discussione tra le parti dei quali sarebbe stata omessa la considerazione, che non possono farsi coincidere con tutte le riprodotte argomentazioni di critica alla CTU che erano state mosse da COGNOME NOME nell’atto di appello, che non sono fatti storici trascurati, allo scopo di ottenere un giudizio di merito di terzo grado. La valutazione del materiale probatorio compete ai giudici di merito, che la effettuano nell’esercizio del libero convincimento, e non può essere richiesta alla Suprema Corte, giudice di legittimità (vedi in tal senso ex multis Cass. sez. un. 25.10.2013 n. 24148; Cass. 27.1.2011 n. 2056). Ove poi, nonostante la mancata menzione nella rubrica, si ritenga dedotto in fatto un vizio di motivazione apparente, ancora una volta il ricorrente scambia per motivazione apparente la motivazione non gradita, in quanto l’impugnata sentenza ha motivato le ragioni della condivisione della CTU espletata in primo grado nonostante le critiche mosse da COGNOME NOME nell’atto di appello.
La Corte d’Appello ha esposto, infatti, che la CTU ha descritto con sufficiente dettaglio lo svolgimento delle operazioni tecniche di rilievo ed accertamento ipocatastale, si è documentata presso agenzie immobiliari, ha fatto riferimento ai borsini immobiliari nella determinazione dei valori ai quali è pervenuta ed ha fornito risposta alle osservazioni dei CTP, condivise dalla Corte stessa.
Col quinto motivo di ricorso COGNOME NOME lamenta, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., che l’impugnata sentenza abbia totalmente omesso di esaminare la doglianza relativa alla sentenza non definitiva n. 6720/2014 esposta nell’atto di appello da COGNOME NOME, secondo la quale, ai fini della valorizzazione dell’asserita donazione da parte di COGNOME NOME a COGNOME NOME della quota della società RAGIONE_SOCIALE, doveva aversi riguardo al valore del quale si era privata la defunta COGNOME NOME, non corrispondente al 50% dell’intera proprietà dell’immobile sito nel Principato di Monaco.
Tale motivo è inammissibile, in quanto non può essere individuato il fatto storico non considerato ex art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. nell’asserita mancata pronuncia su un motivo di appello, e non è stata invocata la violazione degli articoli 360 comma primo n. 4) c.p.c. e 112 c.p.c., né in base all’art. 348 ter ultimo comma c.p.c. può essere invocato l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. in caso di ‘doppia conforme’. Il ricorrente inoltre contrappone una propria diversa valutazione economica in punto di fatto a quella fatta propria dall’impugnata sentenza, che sul punto ha condiviso la valutazione correttamente compiuta dalla CTU, ma come già rilevato, non può essere richiesta alla Suprema Corte una nuova valutazione di fatto, anziché di una violazione di legge.
Col sesto motivo di ricorso COGNOME NOME, in relazione all’art. 360 comma primo n. 5 c.p.c., contesta le statuizioni negative adottate dalla Corte d’Appello, asseritamente prive di motivazione, sui gioielli che sarebbero stati donati da COGNOME NOME a
NOME, che il ricorrente ha stimato in €193.000,00, gioielli che quest’ultima avrebbe prelevato da una cassetta di sicurezza presso la filiale di Lugano della Credit Suisse, nella quale essi sarebbero stati conservati, sulla base di una procura ricevuta dalla madre NOME.
Anche tale motivo è inammissibile, in quanto non è stato individuato il fatto storico decisivo oggetto di discussione tra le parti che non sarebbe stato considerato, ed in quanto l’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. non è invocabile in caso di ‘doppia conforme’ ex art. 348 ter ultimo comma c.p.c. Il vizio di difetto di motivazione si sarebbe dovuto censurare in base agli articoli 360 comma primo n. 4) c.p.c., 132 n. 4) c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c., e non in base all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c. Ove comunque si volesse ritenere lamentato in sostanza, anche se non formalmente, un difetto di motivazione, il rilievo sarebbe comunque infondato, in quanto la Corte d’Appello alla pagina 12 della sentenza impugnata ha spiegato le ragioni della mancata ammissione del giuramento decisorio che era stato deferito da COGNOME NOME alla sorella NOME al fine di dimostrare la donazione dei gioielli in favore della stessa da parte della madre, ha ritenuto insufficienti le foto prodotte a superare le censure di genericità dei capitoli del giuramento decisorio, ed in difetto di prova della donazione in questione, ha ritenuto superfluo l’espletamento di una CTU per la determinazione del valore dei gioielli che avrebbe finito per svolgere un’impropria funzione esplorativa e di acquisizione probatoria.
COGNOME NOME va condannato al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo in base al principio della soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, sezione seconda civile dichiara inammissibile il ricorso e condanna COGNOME NOME al pagamento in favore di COGNOME NOME delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €14.000,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Visto l’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto che sussistono i presupposti per l’imposizione di un ulteriore contributo unificato a carico del ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 18.12.2023