Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18091 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 18091 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9529-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente principale –
contro
COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
ricorrente incidentale nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
ricorrente principale -controricorrente incidentale nonché contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
Oggetto
Risarcimento danni rapporto privato
R.G.N. 9529/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 02/04/2025
CC
– controricorrente –
ricorrente incidentale –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE
ricorrente principale –
contro
ricorrente incidentale – nonché contro
COGNOME
– intimato – avverso la sentenza n. 4513/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/02/2022 R.G.N. 3705/2019; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 02/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 4513/2021 la Corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede che, a seguito della riassunzione ex art. 59 legge n. 69/2009 del giudizio precedentemente incardinato presso la Corte dei Conti, ha dichiarato inammissibile la domanda proposta da RAGIONE_SOCIALE nei confronti del dirigente NOME COGNOME mentre ha respinto le domande avanzate dalla società nei confronti degli altri due dirigenti NOME COGNOME e NOME COGNOME dirette ad ottenere la condanna dei tre convenuti al pagamento della complessiva somma di euro 76.890.700,00 (così ripartita: in via principale a carico del C atasta e in via sussidiaria, limitatamente all’importo di euro 49.351.083,00, a carico di COGNOME e COGNOME).
La pretesa risarcitoria della società era fondata sul fatto che i tre dipendenti avevano, nel periodo tra l’anno 1999 e l’anno 2003, quando rivestivano determinate posizioni dirigenziali alle dipendenze di Poste Italiane S.p.a., cagionato un danno
in qualità di autori della diseconomica gestione di prodotti finanziari (cc.dd. derivati).
I giudici di seconde cure, dopo avere ripercorso tutto l’iter che si era susseguito tra i vari processi che avevano riguardato le parti in causa, hanno rilevato che: a) l’istituto della translatio iudicii si applicava senza dubbio anche all’ipotesi di difetto di giurisdizione contabile in favore di quella ordinaria, per cui era necessaria conseguenza la diversità delle parti attrici, così come il soggetto in favore del quale era stato chiesto il risarcimento del danno; b) il giudicato formatosi nel giudizio di impugnativa del licenziamento del COGNOME, con riguardo alla domanda di risarcimento spiegata dalla società in via riconvenzionale, conclusosi con la definitiva declaratoria di illegittimità dello stesso, spiegava effetto anche sulla valutazione della condotta del dirigente, quale fonte di responsabilità nel presente giudizio, dovendosi ritenere i fatti addebitati gli stessi; c) la domanda di Poste Italiane S.p.a., nei confronti degli altri convenuti, era inammissibile per la parte eccedente gli euro 3.304.803,22 perché la Procura Generale della Corte dei Conti, a seguito dell’accordo intervenuto tra Poste Italiane S.p.a. e la banca J.P. Morgan, aveva ridotto la originaria pretesa di oltre 49 milioni di euro; d) dalle risultanze istruttorie e dalle due consulenze tecniche di ufficio espletate nel giudizio che aveva coinvolto il Catasta, erano emersi anche elementi per escludere, a fortiori, ogni profilo di responsabilità soggettiva (dolo o colpa) anche per i dirigenti COGNOME e COGNOME; e) sussistevano eccezionali ragioni per compensare per metà le spese di giudizio e porre la restante parte, liquidata in favore di ciascun dirigente, in euro 16.220,00 a carico di Poste.
Avverso la sentenza di secondo grado RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi. NOME COGNOME ha resistito con controricorso presentando ricorso incidentale sulla base di sei motivi, di cui cinque in via subordinata all’accoglimento del ricorso principale, ed il sesto in via principale. Anche NOME COGNOME ha resistito con controricorso proponendo ricorso incidentale sulla base di un solo motivo, cui ha resistito a sua volta la società. NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva.
Le parti costituite hanno depositato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo del ricorso principale RAGIONE_SOCIALE denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, con specifico riferimento al principio del ne bis in idem . Sostiene la società chi i giudici di seconde cure non avevano considerato che le domande risarcitorie, di cui al giudizio pendente innanzi alla Corte dei Conti e di cui alla domanda riconvenzionale spiegata nel giudizio di impugnazione del licenziamento, erano diverse sia con riferimento alle parti in causa sia nella imputazione dei danni perché, nel primo procedimento, era stata contestata al Catasta la violazione consapevole e generale dell’obbligo di fedeltà e di lealtà nei confronti della datrice di lavoro mentre, nel secondo, la domanda risarcitoria era stata basata sulla assenza dei poteri autorizzatori, in capo al dirigente, per avere egli agito in contrasto con le deleghe e senza poteri di firma, tanto è che anche le somme richieste, a titolo di risarcimento dei danni,
erano diverse di talché nessuna preclusione del ne bis in idem poteva ritenersi integrata stante la diversità degli elementi costitutivi delle due azioni.
Con il secondo motivo del ricorso principale RAGIONE_SOCIALE censura la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 1218 cc e dell”art. 2104 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, con specifico riferimento alla responsabilit à contrattuale nell’ambito del rapporto di lavoro, per avere la Corte territoriale erroneamente escluso la responsabilità anche degli altri due dirigenti (COGNOME e COGNOME), violando le disposizioni in tema di diligenza richiesta al prestatore di lavoro e di responsabilità contrattuale.
Con il primo motivo del ricorso incidentale subordinato, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, NOME COGNOME denuncia la violazione dell’art. 303 cpc e dell’art. 59 legge n. 69/2009 nonché l’errore compiuto dalla società per avere riassunto, dinnanzi al Tribunale, il processo di appello tenutosi davanti alla III Sezione Giurisdizionale Centrale della Corte dei Conti, con conseguente improcedibilità e/o inammissibilità del relativo giudizio erroneamente non dichiarato estinto dal Tribunale e poi dalla Corte di appello.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale subordinato, ex art. 360 co. 1 n. 3 cpc, si censura la violazione degli artt. 303, 414 n. 3, 345 cpc e dell’art. 59 legge n. 69/2009 nonché la inapplicabilità, al caso di specie, dell’art. 59 della legge n. 69/2009, per insussistenza del presupposto necessario alla riassunzione.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale subordinato si obietta la violazione degli artt. 309, 414 n. 3 e 345 cpc, dell’art. 59 della legge n. 69/2009 nonché l’inapplicabilità, al
caso di specie, dell’art. 59 della legge n. 69/2009, sollevando questioni di legittimità costituzionale dell’art. 59 legge n. 69/2009, in relazione all’art. 3 della Costituzionale e al principio di ragionevolezza delle leggi.
Con il quarto motivo del ricorso incidentale subordinato si eccepisce la nullità dell’atto di citazione introdotto dalla società e la conseguente estinzione dei giudizi svoltisi dinnanzi alla Corte dei Conti nonché la violazione degli artt. 163 n. 3 e n. 4 e 410 cpc.
Con il quinto motivo del ricorso incidentale subordinato si deduce la mancata valutazione, per omessa pronuncia ex art. 360 co1 n. 5 cpc, dell’eccezione di prescrizione non valutata dal Tribunale e non presa in considerazione dalla Corte di appello.
Con il sesto motivo, infine, si lamenta l’erroneità della statuizione sulle spese adottata dalla Corte territoriale, per violazione degli artt. 91 e 92 cpc, sia in ordine alla disposta compensazione per metà delle spese di lite, sia perché non erano stati liquidati, attesa la oggettiva complessità della causa, i massimi tariffari.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale NOME COGNOME denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 59 della legge n. 69/2009, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per la insussistenza dei presupposti applicativi per la translatio iudicii in sede ordinaria del giudizio erariale promosso dalla Procura contabile.
Il primo motivo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE è infondato.
È un orientamento consolidato, in sede di legittimità, quello secondo cui il principio del “ne bis in idem”, posto dall’art. 39 cod. proc. civ., che è norma di ordine pubblico
processuale, non consente che il medesimo giudice o giudici diversi statuiscano due volte sulla stessa domanda e determina l’improcedibilità del processo che nasca dalla indebita reiterazione di controversia già in corso, imponendo la cancellazione dal ruolo della causa che risulti posteriormente iscritta (Cass. n. 7813/2014, Cass. n. 2064/1999).
Inoltre, è stato specificato che l’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, è correlato all’oggetto del processo e colpisce, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del “petitum” e della “causa petendi”, fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass. n. 33021/2022)
In relazione al principio secondo cui l’autorità del giudicato copre il dedotto e il deducibile, e cioè non solo le ragioni giuridiche fatte valere in giudizio ma anche tutte le altre – proponibili sia in via di azione che di eccezione – le quali, sebbene non dedotte specificamente si caratterizzano per la loro comune inerenza ai fatti costitutivi delle pretese anteriormente svolte, è stato affermato che è precluso proporre in un successivo giudizio una domanda fondata su ragioni giuridiche che, seppure non prospettate né espressamente enunciate in quello precedente, costituiscano tuttavia una premessa ed un precedente logico della relativa pronuncia, tali da non comportare la prospettazione di un autonomo “thema decidendum” (Cass. n. 21352/2005).
Orbene, la Corte di appello si è adeguata a tali principi e ha correttamente rilevato, in sostanza, che il risarcimento del danno chiesto al Catasta da parte della società nel presente giudizio (continuazione di quello innanzi alla Corte dei Conti) era riconducibile alla maggiore richiesta avanzata in sede di domanda riconvenzionale spiegata, sempre dalla società, nel giudizio di impugnativa del licenziamento (respinta in via definitiva nell’ambito di detto giudizio) ed attinente alla complessiva attività di negoziazione di strumenti derivati effettuati dal predetto dirigente e ai relativi complessivi risultati patrimoniali.
Inoltre, la Corte distrettuale ha valutato anche il titolo di responsabilità soggettiva, ritenendo che il dolo prospettato nel giudizio di responsabilità erariale era integrato dalle stesse anomalie fatte valere nella domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni e che anche la diversità dei criteri di determinazione del danno avrebbero potuto già essere calibrati nello stesso modo nell’a mbito dei due giudizi con la conseguenza che la differenza tra i contratti (su cui si basavano le richieste risarcitorie) indicati nell’uno e nell’altro procedimento non costituivano oggetto di fatti sopravvenuti.
Osserva questo Collegio che correttamente, quindi, la ‘consistenza’ (valutazione unitaria di petitum e causa petendi ) della pretesa fatta valere da Poste Italiane S.p.a. è stata considerata dai giudici del merito sempre la stessa e ha riguardato, come detto, in entrambi i giudizi la cattiva gestione, utilizzo e negoziazione di strumenti finanziari da parte del Catasta; ciò esclude che sia ravvisabile, quindi, l’asserita violazione dei principi affermati in tema di ne bis in idem.
Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
Invero, deve rilevarsi che le censure non si sostanziano in violazioni o falsa applicazione delle disposizioni denunciate, ma tendono alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda (Cass. n. 27197/2011; Cass. n. 6288/2011, Cass. n. 16038/2013), non consentita in sede di legittimità.
Ciò di cui si duole parte ricorrente è, in pratica, l’accertamento di fatto e la pertinenza delle prove articolate che costituiscono facoltà rimesse all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito ed il mancato esercizio di tale potere, al pari di quello riconosciuto al giudice del lavoro di disporre d’ufficio dei mezzi di prova, involgendo un giudizio di merito, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità, soprattutto se vi sia stata adeguata motivazione, come nel caso in esame (per tutte Cass. n. 10371/1995).
E’ un principio ormai consolidato, quindi, quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
Nella fattispecie, la Corte territoriale, con una adeguata e completa valutazione delle risultanze istruttorie, ha escluso
ogni responsabilità anche dei dirigenti COGNOME e COGNOME non ravvisando alcuna responsabilità in capo ad essi né il verificarsi di danni per la società a loro attribuibili.
Si verte in un chiaro accertamento di merito, non sindacabile in sede di legittimità e le critiche della società, come detto, si incentrano unicamente sulle valutazioni di fatto compiute dalla Corte territoriale e non su una erronea ricognizione, da parte della gravata sentenza, della fattispecie astratta recata da una norma di legge con conseguente necessario problema interpretativo della stessa.
Il rigetto dei suddetti motivi del ricorso principale rende assorbita la trattazione dei primi cinque motivi del ricorso incidentale, proposto da NOME COGNOME nonché del ricorso incidentale presentato da NOME COGNOME in relazione alla insussistenza dei presupposti applicativi per la translatio iudicii in sede ordinaria del giudizio erariale promosso dalla Procura contabile.
Al riguardo va precisato il ricorso incidentale proposto dalla parte totalmente vittoriosa nel giudizio di merito, che investa questioni preliminari di merito o pregiudiziali di rito, ha natura di ricorso condizionato all’accoglimento del ricorso principale indipendentemente da ogni espressa indicazione di parte; ne consegue che, là dove le medesime questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito siano state oggetto di decisione esplicita o implicita da parte del giudice di merito, tale ricorso incidentale va esaminato dal giudice di legittimità solo in presenza dell’attualità dell’interesse, ovvero unicamente nell’ipotesi della fondatezza del ricorso principale (Cass. n. 25694/2024).
L’unico motivo del ricorso incidentale che deve essere, invece, esaminato è il sesto, proposto dalla COGNOME in via
principale, relativo alla statuizione sulle spese di lite del giudizio di secondo grado.
Le censure ivi proposte sono infondate.
Quanto alla doglianza sulla disposta compensazione parziale, deve osservarsi che, con sentenza n. 77 del 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non consente, nelle ipotesi di soccombenza totale, di compensare parzialmente o per intero le spese di lite anche ove ricorrano gravi ed eccezionali ragioni, diverse da quelle tipizzate dal legislatore.
Siffatta disposizione, nella parte in cui permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano «gravi ed eccezionali ragioni», costituisce «una norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili “a priori”, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche» (cfr. Cass. n. 2883/2014; n. 21157 del 07/08/2019).
Nel caso in esame, a prescindere dalla rilevata reciproca soccombenza in parte, occorre valutare se la compensazione delle spese di lite sia stata operata in presenza delle ragioni di «gravità ed eccezionalità» normativamente previste; il giudice è tenuto, infatti, ad indicare esplicitamente nella motivazione della sentenza la presenza delle gravi ed eccezionali ragioni che impongono la compensazione delle spese processuali (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 15413 del 2011).
Nella fattispecie, deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha assolto a tale onere motivazionale avendo ravvisato dette
gravi ed eccezionali ragioni nella condotta tenuta della società che aveva dovuto intraprendere il giudizio a seguito delle pressioni istituzionali della Procura Generale presso la Corte dei Conti, onde evitare il rischio di essere evocata in giudizio per danno erariale, nonché sulla mancata imputabilità dei danni ai tre dirigenti sotto il profilo dell’elemento soggettivo (dolo o almeno colpa).
In tema di spese giudiziali, il sindacato di legittimità sulla pronuncia di compensazione è diretto ad evitare che siano addotte ragioni illogiche o erronee a fondamento della decisione di compensarne i costi tra le parti e consiste, come affermato dalla Corte costituzionale (sent. n.157 del 2014), in una verifica “in negativo” in ragione della “elasticità” costituzionalmente necessaria che caratterizza il potere giudiziale di compensazione delle spese di lite, “non essendo indefettibilmente coessenziale alla tutela giurisdizionale la ripetizione di dette spese” in favore della parte vittoriosa (Cass. n. 21400/2021).
Le ragioni individuate dalla Corte distrettuale, a parere del Collegio, non sono né erronee, perché riguardanti dati di fatto reali, né illogiche, in quanto ragionevoli e coerenti.
Inammissibile, infine, è la censura sulla mancata adozione dei massimi tariffari in quanto, in tema di liquidazione delle spese giudiziali ai sensi del d.m. n. 140 del 2012 (ma anche ai sensi del d.m. n. 55 del 2014), la disciplina secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, “di regola”, quelli di cui alla allegata tabella A, la quale contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare “ulteriormente” il compenso in considerazione delle circostanze concrete, va intesa nel
senso che l’esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla “forcella” di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (Cass. n. 12537/2019; Cass. n. 19989/2021).
Alla stregua di quanto esposto, il ricorso di Poste Italiane S.p.a. deve essere rigettato così come il sesto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME Resta invece assorbita la trattazione degli altri motivi articolati dalla COGNOME nonché del motivo presentato da NOME COGNOME
Per il criterio della soccombenza (totale per quanto riguarda NOME COGNOME e prevalente per NOME COGNOME) le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico di Poste Italiane S.p.a. Nulla va disposto per quelle relative a NOME COGNOME che non ha svolto attività difensiva.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo, limitatamente alla ricorrente principale e a NOME COGNOME
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE; rigetta il sesto motivo del ricorso di NOME COGNOME assorbiti gli altri motivi proposti da quest’ultima nonché il ricorso di NOME COGNOME Condanna RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE al
pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti COGNOME e COGNOME, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 22.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; nulla per NOME COGNOME. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di Poste Italiane S.p.a e di NOME COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 2 aprile 2025