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Motivazione per relationem: quando è valida in appello

La Corte di Cassazione chiarisce i limiti della motivazione per relationem, rigettando il ricorso di alcuni eredi che contestavano una serie di atti patrimoniali compiuti dal loro parente defunto. La Corte ha stabilito che la sentenza d’appello può legittimamente richiamare le argomentazioni del giudice di primo grado, a condizione che dimostri di aver esaminato criticamente i motivi di gravame. Il caso verteva sulla presunta nullità di un preliminare di dazione in pagamento e di donazioni, ma il ricorso è stato respinto per carenze procedurali e infondatezza nel merito.

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Motivazione per relationem: quando è valida in appello

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre un’importante lezione sulla redazione degli atti d’appello e sui limiti della cosiddetta motivazione per relationem. Questo principio, che consente al giudice d’appello di richiamare le argomentazioni della sentenza di primo grado, non è una scorciatoia, ma una tecnica che richiede precisi presupposti per essere valida. Analizziamo la vicenda per comprendere i confini tra una motivazione legittima e una motivazione solo apparente.

I Fatti di Causa: una complessa vicenda familiare e patrimoniale

La controversia nasce dall’azione legale intrapresa dagli eredi di un uomo (il de cuius) contro il genero di quest’ultimo. Gli eredi contestavano una serie di operazioni patrimoniali avvenute prima del decesso, tra cui un contratto preliminare di datio in solutum (dazione in pagamento) con cui il defunto si era impegnato a trasferire un complesso immobiliare al genero per estinguere un presunto debito.

Inoltre, gli eredi sostenevano la nullità di cospicue dazioni di denaro, avvenute tramite assegni, qualificandole come donazioni indirette prive della forma dell’atto pubblico richiesta per legge. Le loro richieste includevano la nullità degli atti, la rescissione per lesione e la violazione del divieto di patto commissorio.

Le Decisioni di Merito: la doppia sconfitta degli eredi

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le domande degli eredi. I giudici di merito hanno ritenuto che non fosse stata fornita la prova dell’esistenza di donazioni (in particolare, dell’animus donandi) e che le operazioni immobiliari fossero legittime. La Corte d’Appello, in particolare, ha confermato la decisione del Tribunale, rigettando i vari motivi di gravame presentati dagli eredi. Proprio contro questa sentenza, che secondo i ricorrenti si era limitata a ‘sposare’ acriticamente le tesi del primo giudice, è stato proposto ricorso in Cassazione.

La motivazione per relationem e i motivi del ricorso

Il fulcro del ricorso per Cassazione si è concentrato sulla presunta nullità della sentenza d’appello per difetto di motivazione. I ricorrenti lamentavano che la Corte territoriale non avesse svolto un ‘autonomo e rinnovato giudizio’, ma si fosse limitata a riprodurre stralci della sentenza di primo grado e della consulenza tecnica, senza rispondere puntualmente alle specifiche censure mosse con l’atto d’appello. In sostanza, contestavano una motivazione per relationem che ritenevano meramente apparente e non satisfattiva del loro diritto a una revisione effettiva del giudizio (revisio prioris instantiae).

Altri motivi di doglianza

Oltre alla questione principale sulla motivazione, i ricorrenti hanno riproposto le loro doglianze nel merito, tra cui:
* La violazione delle norme sulla prova, per non aver riconosciuto l’esistenza di donazioni nulle.
* L’errata valutazione delle prove documentali e il mancato accoglimento delle istanze istruttorie.
* L’erronea conferma della prescrizione dell’azione di rescissione per lesione.
* La violazione delle norme sulla ripartizione delle spese di lite.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo in parte inammissibile e in parte infondato, fornendo chiarimenti fondamentali sul principio della motivazione per relationem.

La Corte ha ribadito che una sentenza d’appello motivata per relationem non è automaticamente nulla. È valida se, pur richiamando la decisione di primo grado, dimostra di aver preso in esame i motivi di gravame e di averli confutati. Il giudice d’appello può aderire alla motivazione precedente, senza doverla riscrivere o trovare argomenti nuovi, a condizione che il suo percorso logico-giuridico sia chiaro e attribuibile a lui.

Nel caso specifico, la Cassazione ha osservato che i ricorrenti si erano limitati a una critica generica, senza specificare quali argomenti della sentenza di primo grado, fatti propri dalla Corte d’Appello, fossero stati specificamente contestati nell’atto di gravame e perché tali contestazioni fossero state ignorate. La Corte ha sottolineato che, per denunciare una motivazione apparente, il ricorrente deve dimostrare che il giudice d’appello ha eluso i suoi doveri motivazionali, il che non era avvenuto.

La Corte ha inoltre dichiarato infondati gli altri motivi, evidenziando come molte censure si risolvessero in un’inammissibile richiesta di riesame del merito e della valutazione delle prove, attività preclusa in sede di legittimità. Ha confermato la correttezza della decisione d’appello anche in merito al rigetto delle istanze istruttorie (ritenute abbandonate perché non specificamente riproposte nelle conclusioni) e alla gestione delle preclusioni probatorie.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un importante monito per chi intende impugnare una sentenza. La decisione della Cassazione sottolinea tre punti chiave:
1. Specificità dell’Appello: Non è sufficiente contestare genericamente una sentenza. I motivi di appello devono essere specifici, dettagliati e devono confrontarsi analiticamente con le argomentazioni del primo giudice.
2. Validità della Motivazione per Relationem: La motivazione per relationem è uno strumento legittimo, ma il giudice d’appello deve dimostrare di aver effettivamente vagliato le critiche dell’appellante. La sua decisione deve essere un atto di condivisione ragionata, non di passiva adesione.
3. Limiti del Giudizio di Cassazione: Il ricorso per Cassazione non è un terzo grado di giudizio. Non si può chiedere alla Suprema Corte di rivalutare i fatti o le prove, ma solo di controllare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione.

Una sentenza d’appello è nulla se si limita a richiamare le motivazioni del giudice di primo grado?
No, non è automaticamente nulla. La sentenza è valida se, pur facendo riferimento alla decisione precedente (per relationem), dimostra di aver esaminato le critiche mosse con l’atto d’appello e le ragioni della loro infondatezza, rendendo chiaro il percorso logico che ha portato alla conferma della decisione impugnata.

Per contestare in Cassazione una motivazione d’appello ritenuta apparente, cosa deve fare il ricorrente?
Il ricorrente non può limitarsi a una critica generica. Deve specificamente identificare il tenore della motivazione del primo giudice condivisa dall’appello, le critiche precise mosse con l’atto di gravame e dimostrare come il giudice di secondo grado, con la sua motivazione, abbia di fatto eluso il dovere di rispondere a tali critiche.

Le richieste di ammissione di prove, se rigettate in primo grado, devono essere riproposte in appello?
Sì. Secondo l’orientamento consolidato, le istanze istruttorie rigettate dal giudice di primo grado devono essere riproposte in modo specifico al momento della precisazione delle conclusioni. In caso contrario, si presume che la parte vi abbia rinunciato e non possono essere riproposte con l’atto di impugnazione, salvo che non emerga una volontà inequivoca di insistervi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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