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Maggior danno: la prova spetta sempre al creditore

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15232/2024, ha stabilito che in caso di obbligazioni pecuniarie, come quelle derivanti da un vecchio libretto di deposito, il creditore deve provare il cosiddetto ‘maggior danno’ derivante dalla svalutazione monetaria. La rivalutazione non è automatica. La Corte ha respinto il ricorso degli eredi di un correntista, i quali richiedevano la rivalutazione di un saldo fermo dal 1944, confermando che senza una prova specifica del danno subito, si applica il principio nominalistico.

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Maggior Danno da Svalutazione: La Cassazione Ribadisce l’Onere della Prova a Carico del Creditore

Il concetto di maggior danno da svalutazione monetaria è un tema cruciale nelle obbligazioni pecuniarie, specialmente quando intercorre un lungo periodo tra la nascita del debito e il suo effettivo pagamento. Con l’ordinanza n. 15232 del 30 maggio 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su questo argomento, chiarendo un principio fondamentale: la rivalutazione monetaria non è automatica e spetta al creditore dimostrare di aver subito un danno ulteriore rispetto agli interessi legali. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa: Un Libretto di Deposito Dormiente dal 1944

Il caso nasce dal ritrovamento, da parte di alcuni eredi, di un libretto di deposito bancario intestato al loro avo. Il conto era stato aperto nell’agosto del 1944 e non era più stato movimentato da allora. Gli eredi hanno quindi agito in giudizio contro l’istituto di credito per ottenere il pagamento del saldo, maggiorato della rivalutazione monetaria per compensare la drastica perdita di potere d’acquisto subita dalla somma in oltre settant’anni.

Il tribunale di primo grado aveva accolto la domanda degli eredi, riconoscendo sia il capitale che la rivalutazione e condannando la banca anche per responsabilità processuale aggravata. La Corte d’Appello, tuttavia, ha riformato parzialmente la sentenza: pur confermando il diritto degli eredi al saldo nominale, ha escluso la rivalutazione. Secondo i giudici d’appello, trattandosi di un’obbligazione pecuniaria soggetta al principio nominalistico (art. 1277 c.c.), il maggior danno da svalutazione doveva essere specificamente provato dai creditori, prova che nel caso di specie non era stata fornita.

La Decisione della Corte di Cassazione e la Prova del Maggior Danno

Gli eredi hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’errata applicazione dell’art. 1224, comma 2, del codice civile. La Suprema Corte ha però rigettato integralmente il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello e consolidando l’orientamento già espresso dalle Sezioni Unite nel 2008.

I giudici hanno ribadito che l’obbligazione di pagare una somma di denaro è un’obbligazione di valuta, governata dal principio nominalistico. Questo significa che il debitore si libera pagando l’importo nominale originariamente dovuto. Il creditore che, a causa del ritardo nel pagamento, subisce un danno superiore a quello coperto dagli interessi moratori (ad esempio, a causa dell’inflazione) ha diritto al risarcimento del maggior danno, ma ha l’onere di provarlo.

le motivazioni

La Corte ha smontato punto per punto i motivi di ricorso.
1. Sulla Prova del Danno: Il nucleo della decisione si basa sulla distinzione tra obbligazioni di valuta e di valore. Per le prime, la rivalutazione non è un automatismo. Il creditore deve dimostrare che, se avesse ricevuto la somma tempestivamente, l’avrebbe impiegata in modo da proteggerla dall’erosione dell’inflazione. Questa prova può essere fornita anche tramite presunzioni, ma non può mancare del tutto.
2. Sulla Sanzione per Abuso del Processo: La Corte ha chiarito che la condanna ex art. 96, comma 3, c.p.c. è strettamente legata alla soccombenza totale. Poiché la banca aveva ottenuto una parziale riforma della sentenza di primo grado in appello, non poteva essere considerata totalmente soccombente, e quindi la sanzione era stata giustamente revocata.
3. Sulla Decorrenza della Mora: Gli eredi sostenevano che la mora dovesse decorrere da una data molto antecedente alla loro richiesta formale. La Cassazione ha specificato che, nelle obbligazioni contrattuali, la mora non è automatica (mora ex re) se non nei casi previsti dalla legge (es. fatto illecito). La mora è iniziata solo con la costituzione in mora formale, ovvero la richiesta di pagamento inviata alla banca.

le conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un’importante conferma dei principi che regolano le obbligazioni pecuniarie e il risarcimento del danno da ritardo. La lezione per i creditori è chiara: chi vanta un credito di denaro risalente nel tempo non può aspettarsi una rivalutazione automatica. Per ottenere il risarcimento del maggior danno causato dall’inflazione, è indispensabile allegare e provare, anche in via presuntiva, quale pregiudizio concreto il ritardo nell’adempimento abbia causato al proprio patrimonio, dimostrando come la somma, se ricevuta a tempo debito, sarebbe stata investita per preservarne il valore.

Chi deve provare il “maggior danno” da svalutazione monetaria in un’obbligazione pecuniaria?
Secondo la Corte, l’onere della prova del maggior danno spetta al creditore. Non è sufficiente invocare la svalutazione, ma bisogna dimostrare, anche tramite presunzioni, che la somma, se pagata tempestivamente, sarebbe stata impiegata in modo da evitare la perdita di potere d’acquisto.

La sanzione per abuso del processo (art. 96 c.p.c.) può essere applicata se la parte sanzionata vince parzialmente la causa?
No. La Corte ha stabilito che la condanna per abuso del processo ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. presuppone la soccombenza totale della parte. Se una parte ottiene un accoglimento, anche parziale, delle proprie domande in appello, non può essere sanzionata.

In un debito contrattuale, quando inizia a decorrere la mora del debitore?
La mora decorre dal momento della richiesta formale di pagamento (costituzione in mora) inviata dal creditore al debitore. Non è automatica (mora ex re), a meno che il debito non derivi da fatto illecito o il debitore non abbia dichiarato per iscritto di non voler adempiere.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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