Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 15232 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 15232 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/05/2024
sul ricorso 17673/2020 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, e COGNOME NOME, domiciliati in Roma, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO COGNOME
–
ricorrenti – contro
BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO NOME COGNOME
– controricorrente –
CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 1938/2020
avverso la sentenza della depositata il 01/06/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/03/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza che si riporta in epigrafe, in parziale accoglimento del gravame dispiegato dalla Banca Nazionale del Lavoro s.p.a., ha riformato l’impugnata decisione di primo grado -oltre che nel capo in cui aveva fatto applicazione alla banca dell’art. 96 comma 3, cod. proc. civ. -anche nel capo in cui aveva condannato la banca a corrispondere il saldo, risultante da un libretto di deposito in conto corrente aperto dal loro dante causa nell’agosto 1944 e mai più movimentato fino al suo rinvenimento tra gli effetti personali del de cuius , maggiorato di rivalutazione monetaria sull’assunto che, trattandosi di obbligazione pecuniaria soggetta al principio nominalistico, il maggior danno riconosciuto a detto titolo dal primo giudice non poteva essere accordato agli istanti non avendo costoro provato, secondo i principi desumibili dalla giurisprudenza in materia di questa Corte, di aver sofferto a causa dell’inadempimento della banca un danno da ritardo. La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dai soccombenti con sette motivi di ricorso, seguiti da memoria, ai quali replica con controricorso la banca intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2.1. Il primo motivo di ricorso, mercé il quale si argomenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1224, comma 2, e 1277 cod. civ. per non aver il giudice del gravame valutato che la domanda di rivalutazione monetaria non era stata introdotta come domanda intesa a conseguire il pagamento automatico del capitale e
della rivalutazione monetaria, ma come maggior danno dovuto a mente dell’art. 1224, comma 2, cod. civ.; il secondo motivo di ricorso, mercé il quale si argomenta la nullità dell’impugnata decisione per vizio di motivazione apparente, incomprensibile, illogica e contraddittoria per aver il decidente statuito il rigetto del maggior danno sul presupposto che esso fosse stato richiesto come maggior danno da interessi moratori a mente dell’art. 1224, comma 1, cod. civ., quando, al contrario, gli interessi moratori non erano stati domandati ed il maggior danno era stato reclamato a mente dell’art. 1224, comma 2, cod. civ.; ed il terzo motivo di ricorso, mercé il quale si argomenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 90, 112, 163, commi 3 e 4, 343 e 345 cod. proc. civ. e dell’art. 1224, comma 2, cod. civ. per aver la Corte d’Appello, inquadrando la domanda attrice come domanda intesa a reclamare gli interessi di mora a mente dell’art. 1224, comma 1, cod. civ., disatteso la domanda attrice incardinata, viceversa, come domanda intesa a conseguire il maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, cod. civ., esaminabili congiuntamente in quanto strettamente avvinti si prestano ad un comune giudizio di infondatezza.
2.2. La Corte d’Appello rigettando la pretesa sul punto si è esattamente attenuta ai criteri già fissati da questa Corte con la sentenza delle SS.UU. 19499/2008, sicché, lungo questa linea di pensiero, il ragionamento da essa enunciato si articola nelle seguenti proposizioni, tutte immuni alle censure ricorrenti: a) l’obbligazione consistente nel pagamento di una somma di denaro, quale è quella pretesa dai Giuliano in relazione al saldo recato dal conto di deposito già in essere in capo al loro dante causa, costituisce un’obbligazione pecuniaria che soggiace in quanto obbligazione di valuta al principio nominalistico, di guisa che ai sensi dell’art. 1277 cod. civ. essa si estingue con la corresponsione di una somma di denaro
corrispondente al suo valore nominale; b) in caso di ritardato adempimento di un’obbligazione pecuniaria, sono dovuti, a mente dell’art. 1224, comma 1, cod. civ., dal giorno della costituzione in mora del debitore gli interessi di mora nel tasso di legge o in quello diversamente convenuto, anche in difetto di prova di un danno del creditore; c) il maggior danno, eventualmente accusato da costui che non trovi ristoro negli interessi moratori, è risarcibile a mente dell’art. 1224, comma 2, cod. civ. a condizione che il creditore ne dia prova; d) la prova del maggior danno può essere oggetto di presunzione in tutti i casi in cui, durante la mora, il saggio medio di rendimento netto dei titoli di Stato con scadenza non superiore a dodici mesi sia stato superiore al saggio degli interessi legali; e) se il creditore accampi un danno maggior di quello che è risarcibile in base al saggio di rendimento dei titoli di Stato, avrà l’onere di provare l’esistenza e l’ammontare di tale pregiudizio, anche in via presuntiva.
2.3. Le contestazioni che i ricorrenti muovono al ragionamento decisorio sviluppato dal giudice di appello esulano manifestamente da questa cornice argomentativa e si collocano in una prospettiva del tutto incongrua rispetto alla natura pecuniaria dell’obbligazione dedotta in giudizio. Anche a voler concedere che il maggior danno reclamato dai ricorrenti non coincida con il danno da svalutazione monetaria -sebbene non sia questo il caso, leggendo le conclusioni della costituzione in appello -il fatto stesso che esso sfugga perciò all’applicazione del regime presuntivo è fonte di uno specifico onere probatorio in capo al creditore, che, se, come qui, resta inevaso, porta all’inevitabile rigetto della relativa pretesa, e questo non senza dire -a fronte segnatamente della rivendicazione di detto maggior danno a far tempo dall’ultima movimentazione del conto risalente al 1947 -che un eventuale obbligazione in tal senso potrebbe prendere
autorità solo dalla costituzione in mora, avvenuta nella specie il 3.12.2008; mentre sotto altra angolazione andrebbe notato che la naturale fruttuosità che il denaro procura a chi lo possiede porta a ritenere, in caso di inadempimento di un’obbligazione pecuniaria, che la costituzione in mora è produttiva ex lege di un’obbligazione per interessi anche in difetto di prova, sicché non incorre certo in un vizio, che ne comporta la nullità, la sentenza che attenendosi alla domanda proceda alla loro liquidazione.
3.1. Il quarto motivo di ricorso, mercé il quale si censura l’impugnata decisione per aver riformato la sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la responsabilità processuale della banca ai sensi dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. quantunque questa avesse dichiarato di aver incamerato le somme reclamate, si fosse astenuta dall’ottemperare all’ordine di esibizione dei documenti contabili afferenti al rapporto, avesse omesso l’invio delle comunicazioni periodiche, avesse eccepito la prescrizione della pretesa ancorché ne fosse prevista l’imprescrittibilità ed avesse, più in generale, tenuto un contegno contrario ai principi della buona fede e della correttezza, tutti indici interpretabili come fonte della responsabilità anzidetta, è infondato.
3.2. Per vero, dal testuale disposto dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ. si apprende che la condanna ivi prevista per l’abuso dello strumento processuale, oltre a postulare un accertamento da effettuarsi caso per caso della condotta illecita ascritta alla parte per le attività dispiegate nel processo, da desumersi in termini oggettivi dagli atti di questo o dalle condotte in esso tenute (Cass., Sez. III, 30/09/2021, n. 26545), sì da consegnarsi in ogni caso ad un apprezzamento di merito non censurabile in questa sede, non è, d’altro canto disgiungibile dalla condanna alle spese del processo, disponendo infatti l’ incipit di essa che “in ogni caso quando
pronuncia sulle spese ai sensi dell’art. 91, … “. Ora, l’art. 91 cod. proc. civ disciplina la materia delle spese processuali in base al principio della soccombenza, sicché il rinvio operatovi dall’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., nel mentre rappresenta che non si può disporre la condanna per l’abuso del processo se non nel caso di condanna alle spese, implicitamente esclude che, radicandosi questa sul presupposto della soccombenza, vi si possa far luogo quando la domanda non sia stata totalmente accolta.
Poiché nella specie l’appello della banca ha trovato in parte accoglimento la Corte d’Appello ha del tutto rettamente concluso che «l’esito del giudizio e l’accoglimento solo in minima parte della domanda escludono la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione della sanzione», con ciò attenendosi al principio di diritto enucleabile dal combinato disposto degli artt. 93 e 91 cod. proc. civ. e sottraendosi di conseguenza alla sollevata censura.
4.1. Il quinto motivo di ricorso, mercé il quale si censura l’impugnata decisione per aver essa ritenuto che ai fini risarcitori accampati dai ricorrenti fosse necessaria la costituzione in mora, malgrado la condotta tenuta dalla banca, che aveva incamerato le somme giacenti sul conto e ne aveva rifiutato il pagamento valessero a costituirla in mora ex se a mente dell’art. 1219, comma 2, n. 1 e 2, cod. civ. e per aver ancora ritenuto che la mora decorresse dall’istanza fatta pervenire alla banca il 3.12.2008, sebbene essa datasse dal 18.2.1952, quando la banca aveva incamerato le somme giacenti decorso il quinquennio dall’ultima loro movimentazione, è infondato e non merita seguito alcuno.
4.2. Va, infatti, osservato che la mora ex se , per come si desume dalle argomentazioni ricorrenti, che richiamano il dettato dell’art. 1219, comma 1, n. 1 e 2, è rappresentabile “quando il debito deriva da fatto illecito” e “quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non
voler eseguire l’obbligazione”. Ora la previsione del n. 1, secondo un risalente insegnamento di questa Corte, mai dismesso (Cass., Sez. III, 18/08/1966, n. 2250), non trova applicazione relativamente alle obbligazioni contrattuali, mentre, quanto alla previsione del n. 2, il rifiuto della banca di adempiere è venuto ad esistenza solo a seguito dell’istanza in data 3.12.2008, riferendo al riguardo i ricorrenti, che la banca ebbe a manifestare la propria intenzione di non dare corso alla richiesta dapprima mantenendosi silente, indi formalizzando il rifiuto di adempiere nella forma prescritta dalla legge solo all’atto di costituirsi nel giudizio di primo grado.
Dunque, nell’uno e nell’altro caso, la determinazione sul punto assunta dalla Corte territoriale non si espone al rilievo in disamina.
5.1. Il sesto motivo di ricorso, mercé il quale si censura l’impugnata decisione per aver essa reputato ammissibili, malgrado il divieto dell’art. 345 cod. proc. civ., domande, eccezioni e fatti non rappresentati nella pregressa fase di giudizio, così incorrendo in un vizio che è fonte di nullità, è inammissibile per difetto di interesse.
5.2. Premesso, infatti, che l’appello proposto dalla banca ha trovato accoglimento unicamente in relazione al terzo motivo di ricorso con cui si era contestata la contraria determinazione adottata dal giudice di primo grado in ordine all’eccepita insussistenza del maggior danno di cui all’art. 1224, comma 2, cod. civ., sicché l’interesse impugnatorio può essere riconosciuto solo in rapporto a tale statuizione, va osservato che per nessuna delle anomalie decisionali ascritte alla decisione impugnata l’illustrazione che ne accompagna la deduzione si dà cura di rappresentarne l’incidenza in rapporto alla decisione finale, di modo che, a tutto concedere, la lunga elencazione operatane dal motivo si risolve in una postulazione senza effetti.
6. Il settimo motivo di ricorso, mercé il quale si censura l’impugnata decisione per aver compensato le spese del grado, quantunque la domanda attrice, pure all’esito del giudizio di appello, avesse trovato conferma, è inammissibile, giacché come è noto, in tema di spese processuali il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (Cass., Sez. VI-III, 17/10/2017, n. 24502; Cass., Sez. V, 19/06/2013. n. 15317; Cass., Sez. IV, 05/04/2003, n. 5386 ) .
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico dei ricorrenti del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 2700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 20.3.2024.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME