Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14740 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 14740 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 19719/2024 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso da ll’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
– controricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME
intimate avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 1206/2024 depositata il 20/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione in opposizione ex art. 404 c.p.c. ritualmente notificato COGNOME NOME impugnava la sentenza della Corte di Appello di Roma nel giudizio di secondo grado recante R.G. n. 6217/2003 promosso da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali eredi di COGNOME NOME nei confronti di COGNOME NOME
Il motivo dell’opposizione di terzo di COGNOME NOME era rubricato « proprietà del bene esecutato in capo all’opponente che non è stato parte del giudizio ed è terzo rispetto alla sentenza in corso di esecuzione ». L ‘opponente deduceva di essere proprietario del bene oggetto di causa, per essere stato acquistato dalla moglie COGNOME NOME, per atto notarile Dott. NOME COGNOME in Alatri del 12 ottobre 1976 (Rep. 23498, racc 16902), in regime di comunione legale con il coniuge COGNOME, e, in ogni caso, per averlo usucapito nella complessiva attuale consistenza per possesso ultraventennale, ininterrotto e pacifico di tali beni (avendo recintato il fondo nel 1990 e avendone curato, negli anni, la manutenzione). Deduceva, quindi, che nel giudizio, oggetto della presente opposizione, svoltosi fra la propria moglie ed i COGNOME, erroneamente egli non era stato convenuto, benché proprietario e comunque possessore del bene immobile oggetto del giudizio, per averlo usucapito. Precisava, infatti, che non trovava applicazione l’art. 1310 c.c. in materia di diritti reali, a mente del quale gli atti interruttivi del termine di prescrizione intervenuti nei confronti di uno dei debitori in solido interrompe detto termine nei confronti di
tutti gli altri, atteso che in tale materia non sussiste vincolo di solidarietà.
La Corte d’Appello rilevava che, come accertato dalla sentenza di appello n. 2915/2009, passata in giudicato sul punto, risultava ‘ per tabulas ‘ che con l’atto notarile del 1976 la COGNOME avev a acquistato l’utile dominio del mappale 20, subalterno 1, mentre i COGNOME risultavano essere proprietari del sub 2 del medesimo mappale, come a loro pervenuto dai propri genitori danti causa. La COGNOME non era, dunque, proprietaria del mappale 20, subalterno 2, e quindi il Sugamosto, non poteva vantare alcun titolo di proprietà, in relazione al medesimo bene, nonostante il regime patrimoniale di comunione legale in essere con la Volpari.
La circostanza, poi, che il COGNOME, in quanto coniuge convivente, avesse la diponibilità di tale bene in veste di possessore e avesse, quindi, usucapito il detto bene e fosse stato come tale ingiustamente pretermesso nei giudizi intentati dai COGNOME contro la Volpari era circostanza di fatto, meramente allegata, che l’opponente non aveva né provato né chiesto di provare, e che dunque era rimasta priva di alcun effettivo riscontro probatorio. Né l’effettivo maturarsi dell’usucapione del bene oggetto di causa in favore del COGNOME era stato mai accertato in altra sede giudiziale con sentenza passata in giudicato.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di sei motivi di ricorso.
NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
Le altre parti intimate non hanno svolto difese.
Il ricorrente con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insist ito nella richiesta di accoglimento del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza gravata per vizio di totale carenza della motivazione e motivazione apparente in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., in combinato disposto con l’art. 156, comma 2 c.p.c. e 111 Cost. in relazione al motivo di cui all’art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.
La gravata sentenza sarebbe nulla per avere la Corte d’Appello rigettato l’opposizione proposta ex art. 404 c.p.c. semplicemente asserendo, da una parte che il Sugamosto non sarebbe proprietario del bene in forza dell’acquisto per atto notarile del 1976 e , dall’altra , che lo stesso ricorrente non avrebbe né provato, né richiesto di provare il possesso del bene. Tale motivazione sarebbe del tutto nulla o apparente, in quanto espressa ‘in termini meramente assertivi’, tali da non esprimere il ragionamento log icogiuridico seguito dalla corte territoriale per giungere alla decisione resa, avendo al contrario il Sugamosto proposto rigorose argomentazioni giuridiche e fornito numerose prove documentali e logiche a cui il Giudice non ha dato riscontro alcuno, dimostrando di averle completamente ignorate.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141 e 1158 c.c. in relazione al motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. per aver ritenuto apoditticamente non provato il possesso utile all’usucapione.
Si osserva, in particolare, che l’art. 1141 c.c., comma 1, pone una presunzione iuris tantum di possesso in capo a colui che esercita il potere di fatto sulla cosa corrispondente all’esercizio di un diritto reale, sicché spetta a colui che contesta tale potere l’onere di provare che l’attività materiale corrispondente al
possesso sia iniziata eventualmente come mera detenzione. Nel caso di specie risulta provato e non contestato che il Sugamosto dal 1976 ha esercitato un potere di fatto sulla cosa e le controparti non hanno fornito prova alcuna che detto potere si potesse qualificare come mera detenzione. Addirittura, l’opponente Sugamosto, pur non essendovi onerato, ha fornito numerose prove documentali di aver esercitato un possesso uti dominus ultraventennale sull’immobile e non mera detenzione. Ove mai avesse correttamente applicato il disposto degli artt. 1140 e 1141 c.c, la Corte d’Appello avrebbe di conseguenza accolto la domanda del COGNOME, dichiarando l’intervenuta usucapione ex art. 1158 c.c..
2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.
Il ricorrente COGNOME era comproprietario dell ‘immobile acquistato dalla moglie con atto di affrancazione del 27 settembre 1976 repertorio n. 23498, raccolta n. 16902 avendo contratto matrimonio nel 1974 e non avendo provveduto ai sensi della disciplina transitoria di cui all’art. 228 della L. 19 maggio 1975, n. 151, ad esprimere una volontà contraria all’applicazione della comunione legale. Infatti, la norma citata prevede che, per le famiglie costituite prima della data di entrata in vigore della riforma di cui alla L. n. 151 del 1975 (nella specie come si è detto il matrimonio è stato contratto nel 1974), il nuovo regime di comunione legale ha ad oggetto anche gli acquisti effettuati dai coniugi (anche separatamente) nel periodo transitorio ricompreso tra la data di entrata in vigore della predetta legge e il termine
ultimo per manifestare la volontà contraria all’applicazione delle nuove norme (15 gennaio 1978), purché a tale data i beni si trovino nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati (v. Cass. n. 6954/1997, n. 2221/1993).
Dunque, l’immobile acquistato dalla moglie NOME COGNOME ricadeva nella comunione legale, sicché ha errato il giudice di merito a rigettare l’opposizione di terzo del Sugamosto in quanto questi avrebbe dovuto essere convenuto in giudizio da parte di NOME COGNOME al momento della proposizione della domanda di rivendica.
Costituisce orientamento del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte che l’azione con cui, a qualsiasi titolo, si rivendica la proprietà di bene deve essere proposta nei confronti di chi possiede il bene o ne è proprietario all’atto della domanda (Cass. n. 24260 del 2018; Cass. n. 17270 del 2015; Cass. n. 3086 del 2010; Cass. n. 5335 del 2000; Cass. n. 2828 del 1969). Ne discende che se in tali situazioni si trovano più soggetti, tutti devono essere convenuti in giudizio, verificandosi un’ipotesi di litisconsorzio necessario dal lato passivo.
Inoltre, costituisce orientamento altrettanto consolidato di questa Corte, che il litisconsorte necessario che sia rimasto estraneo al giudizio, perché non posto in condizioni di parteciparvi, ha piena legittimazione a proporre l’opposizione di terzo qualora vanti un diritto incompatibile con la statuizione della sentenza emessa in quel giudizio (Cass. n. 4665 del 2021; Cass. n. 11289 del 2020; Cass. n. 3925 del 2016; Cass. n. 9878 del 1997; Cass. n. 2134 del 1995).
È ammissibile la proposizione dell’opposizione di terzo avverso una sentenza di appello da parte dei litisconsorti necessari pretermessi fin dal primo grado, anche ove questi abbiano dedotto esclusivamente la violazione dell’integrità del contraddittorio; il giudizio su tale impugnazione si esaurisce, infatti, nella sola fase rescindente trovando applicazione, per effetto del rinvio contenuto nell’art. 406 c.p.c., l’art. 354 c.p.c., che per la violazione del contraddittorio preclude al giudice di secondo grado di decidere la controversia nel merito, prevedendo la rimessione delle parti davanti al primo giudice (Cass. Sez. 2, 18/01/2022, n. 1441, Rv. 663627 – 01).
L’accoglimento della opposizione di terzo proposta da un litisconsorte necessario pretermesso comporta, infatti, che l’efficacia della sentenza opposta venga meno anche tra coloro che erano state parti nel relativo processo, dal momento che, in questo caso, il pregiudizio del terzo è costituito dalla mancata partecipazione ad un giudizio che non poteva svolgersi in sua assenza, sicché è il giudizio stesso ad essere viziato da una nullità insanabile (Cass. n. 3925 del 2016; Cass. n. 2033 del 1969).
Pertanto, in un caso come quello di specie, ove il litisconsorte pretermesso proponga opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. e il giudice accerti la fondatezza dell’opposizione si deve provvedere ex artt. 406 e 354 c.p.c. (Cass. Sez. 2, 29/02/2016, n. 3925, Rv. 638833 – 01).
Quanto al secondo motivo, premesso che, per quanto sopra detto, nel caso di specie è sufficiente dedurre il vizio processuale al fine della rimessione al primo giudice, deve comunque evidenziarsi come a fronte della deduzione del ricorrente di aver provato, o
comunque non contestato, che egli dal 1976 ha esercitato un potere di fatto sulla cosa la Corte d’Appello non ha in alcun modo esaminato la situazione di fatto allegata dal ricorrente fondata sul suo possesso ultraventennale del bene immobile.
La decisione della Corte d’Appello sulla domanda del Sugamosto è sostanzialmente priva di motivazione fondandosi esclusivamente sull’erroneo presupposto che egli non fosse litisconsorte necessario e che non avesse la disponibilità del bene avendo solo allegato tale circostanza senza chiedere di provarla.
In altri termini rispetto alla domanda di usucapione del Sugamosto, terzo opponente la sentenza è anche del tutto priva di motivazione.
L’accoglimento dei primi due motivi determina l’assorbimento dei restanti che, per esigenze di sintesi, si riportano solo nella loro rubrica.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in combinato disposto con gli artt. 1140, 1141, 1158 c.c. per erronea applicazione dell’incidenza dell’onere della prova, laddove, ha ritenuto in danno del ricorrente COGNOME che non abbia fornito la prova del possesso, sebbene fosse incontestata e pienamente documentata la relazione fattuale dello stesso con il bene dal 1976.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omessa motivazione, in quanto la presunzione del possesso in capo al Sugamosto ex art. 1141 c.c. e gli elementi di fatto che la sostenevano, sono stati ampiamente dedotti nel giudizio di opposizione ex art. 404 c.p.c. e rappresentano fatti decisivi oggetto
di discussione tra le parti costituite e non sono stati minimamente esaminati dalla Corte d’Appello.
Il quinto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c.
Il sesto motivo di ricorso è così rubricato: la violazione e falsa applicazione degli artt. 4 e 5 DM 55/2014 e dell’art. 15 c.p.c.
L’accoglimento de i motivi determina la necessità di rimettere la causa al primo giudice in applicazione del seguente principio di diritto: quando risulta integrata la violazione delle norme sul litisconsorzio necessario, non rilevata né dal giudice di primo grado, che non ha disposto l’integrazione del contraddittorio, né da quello di appello, che non ha provveduto a rimettere la causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354, comma 1, c.p.c., resta viziato l’intero processo e si impone, in sede di giudizio di cassazione, l’annullamento, anche d’ufficio, delle pronunce emesse ed il conseguente rinvio della causa al giudice di prime cure, a norma dell’art. 383, comma 3, c.p.c. (in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza, emessa all’esito di opposizione di terzo ex art. 404 c.p.c. ad ordinanza di convalida di sfratto per morosità, per mancata integrazione del contraddittorio nei confornti del conduttore). (Cass. Sez. 3, 22/02/2021, n. 4665, Rv. 660603 – 01).
In conclusione, accolti i primi due motivi, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio della causa – ex art. 383, comma 3, cod. proc. civ. – al Tribunale di Frosinone, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia al Tribunale di Frosinone, in persona di diverso giudice, per la decisione nel merito, oltre che per la liquidazione delle spese anche del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione