Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 25792 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 25792 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24834/2021 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante protempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell’Amministratore Unico e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che l a rappresenta e difende;
-controricorrente-
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che li rappresenta e difende;
-controricorrenti-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimati- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di TORINO n. 215/2021 depositata il 23/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/03/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Torino il 30 giugno 2016, la RAGIONE_SOCIALE ingiunse a NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, in qualità di garanti della RAGIONE_SOCIALE, il pagamento in solido delle somme dovute dalla RAGIONE_SOCIALE in ragione della risoluzione anticipata per inadempimento del contratto di leasing da essa, in forza di clausola risolutiva espressa ex art. 1456 c.c., a seguito della quale, secondo le previsioni contrattuali, risultava dovuto alla società finanziatrice, in aggiunta a tutte le somme già versate, tutto quanto dovuto per canoni scaduti e non pagati, per interessi convenzionali di mora, commissioni, spese e quant’altro già maturato alla data della risoluzione.
Proposero tempestiva opposizione gli ingiunti, i quali contestarono la fondatezza della pretesa azionata in INDIRIZZO monitoria, assumendo il superamento del tasso soglia di usura, nonché l’applicabilità
dell’art. 1526 c.c. Gli opponenti, inoltre, chiesero ed ottennero l’autorizzazione a chiamare in causa l’utilizzatrice RAGIONE_SOCIALE, per vederla condannare al rimborso delle somme eventualmente dovute ad RAGIONE_SOCIALE.
Si costituì in giudizio RAGIONE_SOCIALE, chiedendo il rigetto dell’opposizione. Dedusse in particolare l’inapplicabilità dell’art. 1526 c.c., in quanto oggetto del decreto ingiuntivo erano unicamente i canoni ed oneri scaduti (e non l’indennizzo previsto dall’art. 23 contratto) e per la natura finanziaria del contratto di leasing, a prescindere dalla sua qualificazione come traslativo o di godimento. Dedusse inoltre l’infondatezza della contestazione relativa all’usurarietà dei tassi di interesse applicati, sia per il mancato superamento del tasso soglia, sia per la circostanza che gli interessi di mora non andrebbero computati tra i corrispettivi ai fini della verifica dell’eventuale usurarietà dei tassi.
Si costituì in giudizio anche la RAGIONE_SOCIALE, aderendo alle tesi degli opponenti e chiedendo il rigetto delle pretese della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 835/2019 resa ex art. 281 sexies c.p.c., revocò il decreto ingiuntivo opposto e condannò RAGIONE_SOCIALE leasing alle rifusione delle spese processuali a favore, oltre che degli opponenti, anche della terza chiamata.
Il primo giudice, premesso che il carattere autonomo della garanzia trova un limite quando il contratto base contenga previsioni in contrasto con norme imperative, se da tale situazione scaturisca che non è dovuto il debito garantito, ha qualificato il rapporto contrattuale oggetto di contenzioso quale leasing traslativo, ritenendo quindi applicabile l’art. 1526 c.c, norma inderogabile posta a presidio dell’ordine pubblico economico, che prevede l’obbligo del concedente di restituire le rate riscosse, salvo il diritto ad un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
Alla luce di ciò, il Tribunale ha concluso che l’art. 21 del contratto -laddove prevedeva la possibilità in capo al concedente, non solo di ritenere le somme corrisposte, ma anche di pretendere dall’utilizzatore tutto quanto dovuto per canoni scaduti e non pagati e quant’altro già maturato alla data di risoluzione del contratto -era nullo per contrasto con norma imperativa.
Tale decisione è stata confermata dalla Corte di Appello di Torino, con la sentenza n. 215/2021, depositata il 23 febbraio 2021.
La Corte d’appello ha condiviso la motivazione della Corte d’appello, ritenuta congrua ed immune da vizi logici e giuridici, evidenziando:
che la qualificazione del contratto quale leasing traslativo non era stata specificamente impugnata;
che era pacifico che la RAGIONE_SOCIALE avesse dichiarato la risoluzione del contratto di locazione finanziaria avvalendosi della clausola risolutiva espressa ed avesse agito nei confronti sia dell’utilizzatrice, sia dei garanti, per il pagamento dei canoni e degli altri importi scaduti e rimasti insoluti;
che la bipartizione tra leasing traslativo e leasing di godimento è stata di recente riaffermata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo le quali la legge 124 del 2017 non ha effetti retroattivi e trova quindi applicazione solo per i contratti di leasing finanziario in cui presupposti della risoluzione per l’inadempimento dell’utilizzatore non si siano ancora verificati al momento della sua entrata in vigore, sicché per i contratti risolti in precedenza, rispetto ai quali sia intervenuto il fallimento dell’utilizzatore soltanto successivamente alla risoluzione contrattuale, rimane valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, dovendo per quest’ultimo tipo negoziale applicarsi in via analogica la disciplina di cui all’articolo 1526 c.c.;
che non è possibile applicare analogicamente l’articolo 72 quater della legge fallimentare, trattandosi di disciplina dettata per l’ipotesi specifica in cui lo scioglimento anticipato del contratto consegua alla dichiarazione di fallimento dell’utilizzatore (fattispecie distinta, sia per ratio che per gli elementi strutturali, dalla risoluzione contrattuale per inadempimento) e quindi di norma eccezionale, a valenza e portata endoconcorsuale;
che correttamente il giudice di prime cure aveva escluso che la somma oggetto di un eccezione fosse stata richiesta a titolo di equo compenso per l’uso della cosa, posto che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai fatto riferimento a tale qualificazione nei propri atti, ribadendo più volte che il credito azionato corrispondeva ai canoni di leasing scaduti e rimasti insoluti prima della risoluzione del contratto, e considerato che, comunque, la concedente non aveva fatto alcun cenno ai criteri di quantificazione dell’equo compenso, il quale non potrebbe comprendere per sua natura la quota del corrispettivo destinata al trasferimento finale del bene, ma unicamente la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso;
che pure correttamente il Tribunale aveva escluso che il pagamento della suddetta somma fosse stato invocato in funzione di risarcimento, non essendo avendo la RAGIONE_SOCIALE operato alcun riferimento ai presupposti per la nascita dell’obbligazione risarcitoria;
che, infine, l’art. 21 del contratto non poteva ritenersi compatibile con il secondo comma dell’art. 1526 c.c., che consente alle parti di prevedere che il concedente trattenga le rate pagate, non essendo quest’ultima norma estensibile alle rate esigibili prima della risoluzione, ma non ancora pagate.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione, sulla base di sei motivi, illustrati da memoria, la RAGIONE_SOCIALE, quale
mandataria della RAGIONE_SOCIALE, cessionaria del credito azionato in giudizio dalla RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione in forza di contratto concluso il 1° dicembre 2020.
RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE resistono con separati controricorsi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1936 c.c., nonché degli artt. 1175, 1322, 1375 e 1526 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerata l’inconfigurabilità nella specie dell’ipotesi dell” exceptio doli generalis per difetto del relativo presupposto, in quanto il contratto di leasing per cui è causa ( in particolare l’art. 21 ) non ha il fine di assicurare al creditore un risultato che l’ordinamento vieta, prevedendo un semplice meccanismo di decurtazione dal debito residuo di quanto ricavato dalla riallocazione del bene, volto al riequilibrio delle posizioni contrattuali, finalità invero analoga a quella sottesa all’art. 1526 c.c. , e pertanto, come riconosciuto da plurime pronunce della S.C., del tutto legittima, a prescindere dalla qualificazione giuridica del leasing come contratto unitario.
5.2. Con il secondo motivo denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonché dell’art. 1526 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.’.
Si duole non essersi dalla corte di merito correttamente individuato il petitum , costituito dai soli canoni nonché dagli oneri scaduti e non pagati al momento della risoluzione contrattuale, e non anche dalla penale risarcitoria, per il cui pagamento la creditrice si era riservata di agire in seguito.
5.3. Con il terzo motivo denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1526 e 1362 c.c., nonché dell’art. 72 L.F., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
S duole che la corte di merito abbia fondato la motivazione sulla persistente sussistenza della tradizionale dicotomia tra leasing traslativo e leasing di godimento, non tenundo in alcuna considerazione l’indirizzo giurisprudenziale, pacifico sino alla sentenza delle Sezioni Unite n.2061 del 2021, che aveva superato tale dicotomia tra leasing traslativo e di godimento e aveva riconosciuto che, per effetto della L. 124/2017, il contratto di locazione finanziaria aveva assunto i caratteri di una fattispecie negoziale autonoma, distinta dalla vendita con riserva di proprietà.
Tale orientamento, con specifico riferimento alle situazioni pregresse all’entrata in vigore della nuova legge, aveva affermato che le stesse dovevano essere decise sulla base dei criteri evincibili dalla disciplina in quel dato momento vigente e non mediante l’applicazione analogica di norme relative a figure negoziali estranee, quale l’art. 1526 c.c.
5.4. Con il quarto motivo denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 111 della Costituzione, degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 1 L. 124/17 e dell’art. 72 quater L.F. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
Si duole che la c orte d’appello abbia fondato la propria decisione su un arresto delle Sezioni Unite, pubblicato appena cinque giorni prima della pronuncia impugnata, che però, rappresentando un improvviso revirement giurisprudenziale, non può avere alcuna rilevanza ai fini della decisione del presente giudizio, in virtù dei principi di certezza del diritto e tutela del legittimo affidamento dela parte.
5.5. Con il quinto motivo denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1526 c.c., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.’.
Si duole che la c orte d’appello abbia erroneamente qualificato il contratto di leasing in esame, fondando il proprio convincimento sulla legittimità della tradizionale dicotomia, e comunque non
avrebbe tenuto in considerazione la ratio dell’articolo 21 del medesimo contratto di leasing, che sarebbe stata identica a quella dell’art. 1 della L. 124 del 2017, nonché a quella dell’art. 1526 c.c., essendo tale norma volta ad evitare l’indebita locupletazione del concedente, derivante dalla somma dei canoni e dal valore residuo del bene.
Infatti, la giurisprudenza riconoscerebbe che la ratio dell’art. 1526 c.c. potrebbe essere perseguita anche mediante l’applicazione di clausole idonee ad evitare squilibri tra le posizioni dei contraenti. Tale sarebbe l’articolo 21 del contratto, volto a contemperare i rispettivi interessi delle parti mediante un meccanismo di decurtazione, dal debito residuo dell’utilizzatore, del ricavato dalla riallocazione del bene.
5.6. Con il sesto motivo denunzia ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92, comma 2 c.p.c. e 1936 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’ e la ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91, 92 comma 2, c.p.c., nonché del D.L. 132/14, convertito nella L. 162/14, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.’.
Si duole che la c orte d’appello abbia motivato la liquidazione delle spese in favore della RAGIONE_SOCIALE non tenendo conto dell’autonomia della garanzia invocata, adducendo quale motivazione una facoltà spettante al fideiussore.
Lamenta che in ragione del carattere repentino del mutamento giurisprudenziale intervenuto in tema di leasing, ai sensi del D.L. 132/14 la corte di merito avrebbe dovuto fare luogo alla compensazione integrale delle spese nei confronti di tutti gli appellanti, o quantomeno della RAGIONE_SOCIALE.
6.1 . Il primo e il quinto motivo di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra di loro strettamente connessi.
Occorre premettere che questa Corte, nell’ambito di un giudizio instaurato dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti della RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE deciso con ordinanza n. 7367 del 14/03/2023 (R.G. n. 22853-2019) ha positivamente vagliato la validità di una clausola contrattuale analoga a quella in contestazione -second cui <>.
In tale sede questa Corte ha rilevato innanzitutto come costituisca principio pacifico quello secondo cui nel leasing traslativo ( cui si applica la disciplina della vendita con riserva di proprietà ) in caso di risoluzione per inadempimento dell’utilizzatore quest’ultimo, restituita la cosa, ha diritto alla restituzione delle rate riscosse, fatto salvo il diritto del concedente di trattenere un equo compenso per l’uso della cosa, oltre al risarcimento del danno.
L’equo compenso comprende la remunerazione del godimento del bene ed il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo ed al logoramento per l’uso, ma non il mancato guadagno da parte del concedente, mentre il risarcimento del danno può derivare da un deterioramento anormale della cosa dovuto all’utilizzatore (in tal senso v. Cass. civ. 24 giugno 2002, n. 9161, confermata in seguito, tra le altre, da Cass. civ. 27 settembre 2011, n. 19732, Cass. civ. 20 febbraio 2015, n. 3381, Cass. civ. 20 settembre 2017, n. 21895, Cass. civ. 13 novembre 2018, n. 29020, Cass. civ. 15 gennaio 2020, n. 519, Cass. civ. 24 gennaio 2020, n. 1581, nonché Cass. civ. 22 marzo 2022, n. 9210).
Nella sentenza n. 2061 del 2021 le Sezioni Unite hanno affermato che, nell’assenza di una regolazione legislativa, l’applicazione in via
analogica della disciplina dell’art. 1526 c.c. al contratto di leasing traslativo trae il suo fondamento dalla tradizionale distinzione tra quest’ultimo e il c.d. leasing di godimento, che si riflette anche sulla disciplina della risoluzione.
Mentre, infatti, nel leasing di godimento la risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite, in conformità a quanto disposto dall’art. 1458, comma 1, secondo periodo, c.c., nel leasing traslativo la risoluzione è soggetta, come si è detto, alle regole dell’art. 1526 cit.; norma, quest’ultima, che, come hanno evidenziato le Sezioni Unite, è finalizzata “all’esigenza di porre un limite al dispiegarsi dell’autonomia privata là dove questa venga, sovente, a determinare arricchimenti ingiustificati del concedente, il quale, seguendo lo schema da lui predisposto, si troverebbe a conseguire (la restituzione del bene e l’acquisizione delle rate riscosse, oltre, eventualmente, il risarcimento del danno, ossia) più di quanto avrebbe avuto diritto di ottenere per il caso di regolare adempimento del contratto da parte dell’utilizzatore stesso”.
La restituzione della cosa da parte dell’utilizzatore inadempiente, quindi, esercita, nella logica dell’art. 1526 c.c., un’indispensabile funzione di riequilibrio del sinallagma negoziale, posto che essa è condizione imprescindibile per consentire la determinazione dell’equo compenso in capo al concedente. Ferma restando, peraltro, l’ulteriore possibilità, prevista dal comma 2 dell’art. 1526 cit., secondo cui qualora sia stato convenuto tra le parti che le rate pagate restino acquisite al concedente a titolo d’indennità – il giudice può ridurre, secondo le circostanze, l’indennità convenuta (v. punto 4.7.1 della citata sentenza delle Sezioni Unite).
Esaminando alla luce dei suddetti principi la clausola contenuta nel contratto tra la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, questa Corte, nell’ordinanza n. 7367 del 14/03/2023, ha osservato che la stessa (come quella oggetto del presente giudizio) non riconosce al concedente il diritto di chiedere i canoni e contestualmente anche
di ottenere la restituzione del bene, trattenendo gli uni e l’altro, ma si limita a disporre che ‘il concedente ha diritto a trattenere i canoni periodici già in precedenza pagati e che l’utilizzatore dovrà corrispondere tutto quanto dovuto per canoni scaduti e non pagati’. La clausola in esame, quindi, non è, in astratto, affetta da nullità, perché appare conforme alla logica dell’art. 1526 cit.; il compratore (cioè l’utilizzatore) deve pagare le rate scadute e restituire il bene; a quel punto, onde evitare l’indebita locupletazione a favore del concedente, l’utilizzatore avrà diritto alla restituzione dei canoni pagati dando in cambio l’equo compenso.
In questo senso, va osservato che nella citata sentenza n. 2061 del 2021 le Sezioni Unite hanno ravvisato “manifestamente eccessiva la penale che, mantenendo in capo al concedente la proprietà del bene, gli consente di acquisire i canoni maturati fino al momento della risoluzione, ciò comportando un indebito vantaggio derivante dal cumulo della somma dei canoni e del residuo valore del bene” (in tal senso già l’ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1581), laddove risulta viceversa “coerente con la previsione contenuta nel comma 2 dell’art. 1526 c.c. la penale inserita nel contratto di leasing traslativo prevedente l’acquisizione dei canoni riscossi con detrazione, dalle somme dovute al concedente, dell’importo ricavato dalla futura vendita del bene restituito” (si vedano anche Cass. civ. 30 settembre 2021, n. 26531, 14 ottobre 2021, n. 28022, e 30 marzo 2022, n. 10249).
Dalla giurisprudenza sopra citata, pertanto, si ricava la conformità all’art. 1526, 2° comma, c.c. della clausola che consente al concedente di trattenere i canoni incassati e di detrarre dal prezzo di vendita del bene oggetto del contratto, una volta che sia stato restituito, l’importo dei canoni scaduti e non versati fino alla risoluzione, dovendosi viceversa ritenere contraria alla ratio legis una clausola che consenta al concedente di acquisire, oltre
all’intero importo del finanziamento, anche il valore del bene oggetto del contratto, in quanto essa determina una situazione paradossale, nella quale il concedente finirebbe col ricavare dall’inadempimento dell’utilizzatore un vantaggio maggiore di quello che gli sarebbe derivato dal regolare adempimento del contratto.
Nel caso di specie i motivi sono peraltro inammissibili per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. , in quanto formulati in modo non conforme alle prescrizioni dettate dall’art. 366 c.p.c., 1° comma nn. 4 e 6 c.p.c.
Risulta infatti non osservato il principio di specificità, anche declinato secondo le indicazioni della sentenza CEDU 28 ottobre 2021, Succi e altri c/ Italia, la quale ha ribadito, in sintesi, che il fine legittimo, in linea generale ed astratta, del principio di autosufficienza del ricorso è la semplificazione dell’attività del giudice di legittimità unitamente alla garanzia della certezza del diritto e alla corretta amministrazione della giustizia, (ai p.ti 74 e 75 in motivazione), investendo questa Corte del compito di non farne una interpretazione troppo formale che limiti il diritto di accesso ad un organo giudiziario (al p.to 81 in motivazione), esso (il principio di autosufficienza) può dirsi soddisfatto solo se la parte riproduce il contenuto del documento o degli atti processuali su cui si fonda il ricorso e se sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (così Cass., Sez. Un., 18/03/2022, n. 8950): requisito che può essere concretamente soddisfatto ‘anche’ fornendo nel ricorso, in ottemperanza dell’art. 369, comma 2°, n. 4 cod. proc. civ., i riferimenti idonei ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati rispettivamente, i documenti e gli atti processuali su cui il ricorso si fonda’ (Cass. 19/04/2022, n. 12481).
Benché a pag. 22, ultimo capoverso , dell’impugnata sentenza risulti dalla corte di merito affermato che non esservi stata domanda ‘a
titolo di equo compenso’, siffatta ratio decidendi risulta invero dall’odierno ricorrente non ( quantomeno idoneamente ) censurata.
6.2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Nell’impugnata sentenza risulta dalla corte di merito espressamente riconosciuto come la RAGIONE_SOCIALE avesse più volte ribadito che ‘il credito azionato in via monitoria corrisponde ai canoni di leasing maturati durante il periodo di godimento del bene da parte dell’utilizzatore, prima della risoluzione del contratto’, ‘di avere richiesto il pagamento dei canoni scaduti e rimasti insoluti che costituivano il corrispettivo per il godimento del bene leasing nel periodo di decorrenza fisiologica del contratto’ e che ‘i garanti avevano sollevato l’exceptio doli in relazione ad un credito relativo soltanto a canoni scaduti, la cui maturazione aveva presupposto l’utilizzazione e, quindi, il godimento del bene medesimo’.
6.3. Il terzo e il quarto motivo di ricorso, che possono essere
esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili. Nella specie risulta invero inapplicabile l’istituto del prospective overruling , che garantisce alla parte il diritto di azione e di difesa, neutralizzando i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, imponendo di ritenere produttivo di effetti l’atto di parte posto in essere con modalità e forme ossequiose dell’orientamento dominante al momento del compimento dell’atto stesso, poi ripudiato, non invocabile per il caso di mutamenti giurisprudenziali come nella specie relativi a norme sostanziali (Cass. civ., Sez. I, 23/05/2022, n. 16604, Cass. 14 gennaio 2021, n. 552; Cass. Sez. U. 12 febbraio 2019, n. 4135).
I mutamenti di orientamenti costanti di giurisprudenza della Corte di cassazione riguardanti l’interpretazione di norme sostanziali devono infatti distinguersi dai mutamenti concernenti norme processuali, dovendosi per i primi confermare il carattere in via di principio retrospettivo dell’efficacia del precedente giudiziario.
Peraltro, affinché possa parlarsi di overruling , oltre a vertere su di una regola del processo, il mutamento della giurisprudenza deve essere stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del pregresso indirizzo, tale da indurre la parte ad un ragionevole affidamento su di esso.
Pertanto non può parlarsi di overruling quando, come nel caso di specie, le Sezioni Unite risolvano un contrasto ermeneutico consolidando una delle opzioni interpretative precedentemente seguite. (Cass. civ., Sez. 3, 03/02/2023, n. 3436; Cass., Sez. 3, n. 9847 del 26/05/2020).
Al riguardo, si osserva infatti che la citata sentenza delle Sezioni Unite è intervenuta proprio a dirimere un contrasto giurisprudenziale tra ‘il diritto vivente formatosi sulla distinzione, in seno al contratto di leasing finanziario (…), tra leasing di godimento (…) e leasing traslativo (…) e della affermata diversità di regole applicabili all’una o all’altra fattispecie negoziale’ – orientamento, questo, che non era mutato nemmeno a seguito dell’introduzione dell’art. 72-quater L. Fall. (Cass., 29 aprile 2015, n. 8687; Cass., 9 febbraio 2016, n. 2538), né della L. n. 124 del 2017 (Cass., 19 febbraio 2018, n. 3945; Cass., 18 giugno 2018, n. 15975; Cass., 12 febbraio 2019, n. 3965) -e, dall’altro lato, ‘una serie di pronunce di questa Corte (a partire da Cass., 29 marzo 2019, n. 8980, seguita poi da: Cass., 20 agosto 2019, n. 18545; Cass., 30 settembre 2019, n. 24438; Cass., 28 ottobre 2019, n. 27545), inclini a valorizzare, in via interpretativa, proprio la novella legislativa del 2017, giungendo alla conclusione che, in ragione dell’innovazione del quadro normativo di riferimento (…), l’art. 1526 c.c. non possa trovare applicazione nel caso di risoluzione per inadempimento dei contratti di leasing’.
6.4. Il sesto motivo, con cui la ricorrente contesta la condanna alle spese nei confronti dei COGNOME e della chiamata in causa, rimane conseguentemente assorbito.
Le spese del giudizio di legittimità liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna parte controricorrente, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore di ciascuna parte controricorrente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza