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Leasing traslativo: le regole prima della riforma 2017

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20653/2024, ha stabilito che per i contratti di leasing traslativo risolti prima dell’entrata in vigore della Legge 124/2017, continua ad applicarsi in via analogica l’art. 1526 c.c. La società concedente è quindi tenuta a restituire i canoni riscossi, salvo il diritto a un equo compenso. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso principale della società di leasing e accolto quello incidentale del fallimento sulla liquidazione delle spese legali, ritenute inferiori ai minimi tariffari.

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Leasing Traslativo: la Cassazione conferma le regole pre-riforma 2017

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale per i contratti di leasing traslativo risolti prima dell’agosto 2017. La decisione chiarisce quale disciplina applicare in caso di inadempimento dell’utilizzatore, con importanti conseguenze per le società concedenti, specialmente quando l’utilizzatore è successivamente dichiarato fallito. Analizziamo insieme i dettagli di questa pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un contratto di leasing stipulato nel 2008 tra una società finanziaria e un’impresa, avente ad oggetto macchinari da cantiere. A seguito dell’inadempimento dell’impresa utilizzatrice, la società di leasing ha risolto il contratto. Successivamente, l’impresa è stata dichiarata fallita.

La controversia è giunta dinanzi alla Corte d’Appello, la quale ha qualificato il contratto come leasing traslativo. Di conseguenza, ha applicato in via analogica l’articolo 1526 del Codice Civile, che regola la vendita con patto di riservato dominio. La Corte territoriale ha quindi condannato la società di leasing a restituire alla curatela fallimentare i canoni già riscossi, per un importo di circa 89.000 euro, dedotto un equo compenso per l’uso dei beni. La società di leasing ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, sostenendo che dovessero applicarsi le nuove normative sul leasing (Legge 124/2017).

La Decisione della Cassazione sul Leasing Traslativo

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso principale della società di leasing, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito che la disciplina introdotta dalla Legge n. 124/2017 non ha effetto retroattivo. Pertanto, per i contratti risolti prima della sua entrata in vigore, rimane valida la distinzione giurisprudenziale tra leasing di godimento e leasing traslativo.

Parallelamente, la Corte ha accolto il ricorso incidentale proposto dalla curatela fallimentare. Quest’ultima lamentava che la Corte d’Appello avesse liquidato le spese legali in suo favore per un importo inferiore ai minimi tariffari previsti dal D.M. 55/2014, senza fornire alcuna motivazione per tale scostamento. La Cassazione ha ritenuto fondata questa censura, cassando la sentenza sul punto e liquidando nuovamente le spese nel rispetto dei parametri di legge.

Le Motivazioni della Corte

La motivazione centrale della decisione si basa sul principio tempus regit actum, secondo cui gli effetti giuridici di un atto sono regolati dalla legge in vigore al momento in cui l’atto stesso si perfeziona. Poiché la risoluzione del contratto è avvenuta prima dell’agosto 2017, non è possibile applicare la nuova legge sul leasing. La Corte, richiamando una sua precedente pronuncia a Sezioni Unite (n. 2061/2021), ha confermato che in questi casi si deve fare riferimento alla consolidata distinzione tra:
1. Leasing di godimento: la cui funzione è prevalentemente quella di finanziare l’uso di un bene che esaurisce la sua utilità economica entro la durata del contratto. In caso di risoluzione, si applica l’art. 1458 c.c., e i canoni pagati restano acquisiti al concedente.
2. Leasing traslativo: in cui i canoni costituiscono anche un anticipo del prezzo di acquisto di un bene destinato a conservare un valore significativo alla fine del contratto. In caso di risoluzione, si applica per analogia l’art. 1526 c.c., che prevede la restituzione dei canoni riscossi, salvo il diritto del concedente a un equo compenso per l’uso del bene e al risarcimento del danno.

Nel caso di specie, essendo stato qualificato il contratto come leasing traslativo, la decisione della Corte d’Appello di ordinare la restituzione dei canoni è stata ritenuta corretta. Per quanto riguarda le spese legali, la Cassazione ha ricordato che, sebbene i minimi tariffari non siano più inderogabili, il giudice che intende discostarsene, specialmente in misura apprezzabile, ha l’obbligo di fornire una specifica motivazione, cosa che nel caso di specie non era avvenuta.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un punto fermo per la gestione del contenzioso legato a vecchi contratti di leasing. Le società finanziarie devono essere consapevoli che, per i contratti risolti prima dell’agosto 2017, la qualificazione del rapporto come leasing traslativo comporta l’applicazione di una disciplina (quella dell’art. 1526 c.c.) potenzialmente meno favorevole rispetto alla nuova legge. Questa pronuncia serve anche come monito sull’importanza del rispetto dei parametri forensi nella liquidazione delle spese processuali, sottolineando l’obbligo di motivazione per il giudice in caso di significative deroghe.

Quale disciplina si applica a un contratto di leasing traslativo risolto per inadempimento prima dell’entrata in vigore della Legge n. 124/2017?
Si applica in via analogica la disciplina della vendita con riserva di proprietà, prevista dall’articolo 1526 del Codice Civile. Questa norma stabilisce che il venditore (in questo caso, la società di leasing) deve restituire le rate riscosse, salvo il diritto a un equo compenso per l’uso del bene, oltre al risarcimento del danno.

Perché la nuova legge sul leasing (L. 124/2017) non è stata applicata in questo caso?
La nuova legge non è stata applicata perché non ha efficacia retroattiva. Il principio giuridico seguito è ‘tempus regit actum’, secondo cui gli effetti di un fatto (la risoluzione del contratto) sono disciplinati dalla legge in vigore nel momento in cui si è verificato. Poiché la risoluzione è avvenuta prima del 2017, si applica la normativa e l’interpretazione giurisprudenziale precedente.

Un giudice può liquidare le spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari previsti dalla legge?
Sì, ma solo fornendo una specifica motivazione che giustifichi lo scostamento dai parametri medi. In assenza di tale motivazione, come nel caso di specie, la liquidazione è illegittima e può essere impugnata. La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso su questo punto, riaffermando l’obbligo di motivazione del giudice.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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