Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20653 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20653 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 996/2021 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE
-intimato- sul controricorso incidentale proposto da
RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente incidentale- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 2126/2020 depositata il 15/06/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/04/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Svolgimento del processo
Con atto notificato l’ 8 gennaio 2021 la società RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione della sentenza numero 2126 del 15/06/2020 pronunciata dalla Corte d’appello di Napoli nei confronti del fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in relazione alla causa inerente risoluzione per inadempimento di un contratto di leasing stipulato inter partes il 5 maggio 2008, con il quale la società ricorrente ha concesso in locazione finanziaria beni da cantiere acquistati dalla società concedente per il prezzo di € 128.600,00, oltre IVA.
Il fallimento intimato ha notificato controricorso proponendo ricorso incidentale in relazione al provvedimento di liquidazione delle spese giudiziali pronunciato a suo favore, per violazione dei minimi tabellari.
Per quanto ancora di interesse, la Corte d’appello ha rigettato l’impugnazione della banca ricorrente avverso la sentenza di prime cure, assumendo che il contratto di leasing intercorso tra le parti, risolto di diritto per inadempimento dell’utilizzatore, dovesse ritenersi di natura traslativa e che pertanto dovesse essere restituito al fallimento l’importo di € 89.036,06 pagato per le rate scadute, in applicazione analogica dell’art. 1526 primo comma c.c. Riteneva che la domanda di indennizzo della concedente fosse tardiva perché proposta solo in sede di comparsa conclusionale, in tale modo confermando la
statuizione del primo giudice di inammissibilità della domanda risarcitoria e di condanna della concedente alla restituzione di quanto ricevuto a titolo di canoni, ex art. 1526 c.c., analogicamente applicato al contratto di leasing con funzione traslativa. Condannava la società concedente soccombente al pagamento delle spese di lite del grado, liquidate in € 4.758,00, oltre spese e accessori di legge.
Motivi della decisione
Con il primo motivo la ricorrente in via principale deduce violazione e falsa applicazione di legge ex articolo 360 n. 3 e 5 con riferimento all’articolo 1526 c.c. Il motivo denuncia che il leasing debba essere considerato finanziario in relazione al suo oggetto e alla obsolescenza dei macchinari concessi in leasing , che peraltro non sono mai stati ritrovati dopo il fallimento della utilizzatrice, anche in considerazione dell’articolo 3.b delle condizioni generali del contratto in cui si prevede, in caso di risoluzione del contratto, il diritto della società concedente alla restituzione del bene, all’acquisizione dei canoni già scaduti e la facoltà di richiedere all’utilizzatore, fatto salvo il risarcimento di eventuale maggiore danno, il pagamento dell’indennizzo pari alla somma di tutti i canoni non ancora scaduti alla data di risoluzione e del prezzo di eventuale acquisto finale attualizzato al tasso indicato nelle condizioni particolari, con il diritto per l’utilizzatore, una volta soddisfatte tutte le ragioni del credito del concedente, a ricevere dal concedente il pagamento di una somma pari al corrispettivo imponibile che questi avrà ricavato dalla vendita dei beni.
Con il secondo motivo deduce violazione/falsa applicazione di legge ex articolo 360 numero 3 c.p.c. con riferimento all’articolo 1526 c.c. in relazione all’articolo 72 quater legge fallimentare, denunciando che la Corte territoriale non ha ritenuto applicabile nella fattispecie detta disposizione, avendo ritenuto che, invece,
tale disposizione trovi applicazione solamente nell’ipotesi in cui il contratto non sia stato risolto prima della dichiarazione di fallimento; a tal fine cita la sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 18543 -2019, là dove ha ritenuto di dover applicare l’organica disciplina del contratto di leasing introdotta ex novo con la legge 124 del 2017.
Con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione della legge ex articolo 360 numero 3 c.p.c. con riferimento all’articolo 1526 c.c. in relazione all’articolo 1 legge 208/2015 ( leasing abitativo) e all’articolo 1 legge 124/2017. Assume il ricorrente che, per la esclusione dell’applicabilità, in via analogica, dell’articolo 1526 c.c. in tema di patto di riservato dominio, ulteriori ragioni si trovano nella disciplina della risoluzione del cosiddetto leasing abitativo e nella nuova disciplina di cui all’articolo uno, comma 136, L. n. 124/2017.
Il ricorso incidentale del fallimento è affidato a un motivo con cui si denuncia violazione del D.M. 55/ 2014 in tema di liquidazione delle spese giudiziali. Dopo che la Corte d’appello ha rigettato l’istanza del controricorrente fallimento di correzione di errore materiale sul punto, la sentenza è stata impugnata in merito all’onorario liquidato al di sotto dei minimi tariffari (per un importo di € 4.758,00), che in tesi non rispetterebbe lo scaglione da applicarsi in relazione al valore della lite. Sul punto la Corte di merito ha respinto la richiesta di correzione di errore materiale avanzata dall’attuale ricorrente.
I motivi del ricorso principale, da analizzarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
Quanto alla legge regolatrice del contratto di leasing in esame, qualificato come traslativo dai giudici di merito in esplicazione di poteri d’interpretazione del contratto ad essi spettante, i vizi di violazione di legge denunciati sono palesemente infondati alla luce dell’orientamento espresso di recente dalle Sezioni Unite
della Suprema Corte di Cassazione nella decisione numero 2061/2021, in base alla quale, per i contratti anteriormente risolti rispetto alla l. n. 124 del 2017, resta valida la distinzione tra leasing di godimento e leasing traslativo, con conseguente applicazione analogica, a quest’ultima figura, della disciplina dell’art. 1526 c.c., e ciò anche se la risoluzione sia stata seguita dal fallimento dell’utilizzatore, non potendosi applicare analogicamente l’art. 72 quater l.fall. per i contratti risolti in data antecedente al fallimento, come nel caso in esame.
Quanto alle ulteriori censure, sotto il profilo della errata valutazione delle circostanze attraverso le quali il giudice è giunto a qualificare il contratto di leasing come contratto avente funzione traslativa per beni mobili -macchinari -anche se soggetti ad obsolescenza, va sottolineato che nei motivi non si rinvengono censure collegate alla violazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e s., bensì delle norme applicate al contratto di leasing (art. 1526 c.c.), in assenza di ogni considerazione dell’attinenza dei fatti indicati alla violazione di legge denunciata.
Va al riguardo ulteriormente osservato che il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge, e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Ne consegue che l’interpretazione del contratto può essere sindacata in sede di legittimità solo nel caso di violazioni delle regole legali di ermeneutica contrattuale o del
regime probatorio, le quali non possono dirsi concretizzate in base al semplice rilievo che il giudice di merito abbia scelto una, piuttosto che un’altra, tra le molteplici interpretazioni del testo negoziale. Sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. Sez. 3 -, Ordinanza n. 11254 del 10/05/2018; Sez. 3, Sentenza n. 2560 del 06/02/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4178 del 22/02/2007). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi -violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta -è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestazione delle risultanze di causa sotto il profilo del mancato rispetto dei criteri ermeneutici per l’interpretazione del contratto o dei requisiti minimi richiesti per una valida motivazione (cfr. SU Cass. 8053/2014; Cass. SU n. 34476/2019).
Agli argomenti di cui sopra va aggiunta la considerazione che la fattispecie in esame, per come ricostruita dai giudici di merito con valutazione doppiamente conforme, è stata regolata in ossequio ai consolidati canoni giurisprudenziali che danno rilievo, nel leasing con funzione traslativa, all’investimento totale rispetto al valore iniziale del bene (nel caso specifico maggiore), alle rate convenute che si compongono della quota di costo del bene e degli interessi dovuti al finanziatore per l’anticipazione del capitale e alla rata di riscatto finale, d’importo di molto inferiore al valore residuo del bene ( Cfr., Cass. SU, 5 ottobre 2015, n. 19785). La causa traslativa della proprietà, nel contratto di leasing per come socialmente tipizzato, si individua
in relazione alla funzione economica dei canoni periodici indicati – volti a remunerare non solo il godimento del bene, ma anche il futuro trasferimento della proprietà in capo all’utilizzatore rispetto al valore del bene al tempo della stipula del contratto, in rapporto alla opzione finale di acquisto (riscatto) indicata contrattualmente, a nulla rilevando il valore finale del bene, che assume rilievo per la valutazione dell’equo indennizzo dovuto dall’utilizzatore al concedente in caso di risoluzione per inadempimento contrattuale dell’utilizzatore ( cfr. Cass. SU 2061 -2021, par. 4.4 ), non oggetto del presente giudizio.
Alla luce di quanto sopra, va pertanto dichiarata l’inammissibilità del ricorso principale.
Si rivela invece fondato l’unico motivo del ricorso incidentale relativo all’errata applicazione della normativa sulla liquidazione delle spese processuali in considerazione del valore della controversia (€ 89.036,06), in base al quale si lamenta essere stato liquidato un onorario (€ 4.758,00) di importo inferiore al minimo tabellare previsto dal D.M. n. 55 del 2014 ( come modificato con D.M. 8 marzo 2018 n. 37 ), con riguardo allo scaglione minimo di riferimento (pari a € 5.993,00), in assenza di alcuna indicazione della ragione che ha indotto il giudice a discostarsi dal suddetto parametro.
In tema di liquidazione delle spese processuali successiva al D.M. n. 55 del 2014, non sussistendo più il vincolo legale della inderogabilità dei minimi tariffari, i parametri di determinazione del compenso per la prestazione defensionale in giudizio e le soglie numeriche di riferimento costituiscono criteri di orientamento e individuano la misura economica ” standard ” del valore della prestazione professionale; pertanto, il giudice è tenuto a specificare i criteri di liquidazione del compenso solo in caso di scostamento apprezzabile dai parametri medi (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 30286 del 15/12/2017 ; Sez. 6 -2,
Ordinanza n. 10343 del 01/06/2020; Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 29184 del 20/10/2023). Atteso che la somma liquidata in concreto è il risultato della detrazione, dal minimo tariffario, dell’importo per trattazione nel giudizio di appello, si rammenta che il D.M.55 del 2014 non prevede alcun compenso specifico per la fase istruttoria, ma prevede un compenso unitario per la fase di trattazione, che comprende anche quella istruttoria, con la conseguenza che nel computo dell’onorario deve essere compreso anche il compenso spettante per la fase istruttoria, a prescindere dal suo concreto svolgimento (Cass. Sez. 2 -, Ordinanza n. 8561 del 27/03/2023).
All’accoglimento nei suindicati termini del ricorso incidentale, dichiarato inammissibile il ricorso principale, consegue la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384, 2° co., c.p.c. come segue: inalterato il resto, la liquidazione delle spese di lite del giudizio di appello va effettata come in dispositivo facendo riferimento allo scaglione del D.M. n. 55 del 2014.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
PQM
La Corte accoglie il ricorso incidentale; dichiara inammissibile il ricorso principale. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e decidendo nel merito ex art. 384, 2° co., c.p.c., fermo il resto, condanna la società RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di appello, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore del RAGIONE_SOCIALE Condanna la ricorrente principale società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 6.200,00, di cui euro 6.000,00 per onorari, oltre a
spese generali e accessori di legge, in favore del ricorrente incidentale RAGIONE_SOCIALE
Condanna la ricorrente principale al pagamento, al competente ufficio di merito, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 29/4/2024.