Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4299 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4299 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13813/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore, NOME COGNOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE); pec:
EMAIL;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME, quale società incorporante la RAGIONE_SOCIALE, a sua volte incorporante la RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, e RAGIONE_SOCIALE CREDITI SOCIETA PER RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti in sofferenza di RAGIONE_SOCIALE, e per essa la RAGIONE_SOCIALE, procuratrice speciale della REV, in persona del
rappresentante legale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrenti- e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale p.t., NOME COGNOME, quale società incorporante la RAGIONE_SOCIALE, a sua volta incorporante la RAGIONE_SOCIALE IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, e RAGIONE_SOCIALE CREDITI SOCIETA PER RAGIONE_SOCIALE, cessionaria dei crediti in sofferenza di RAGIONE_SOCIALE, e per essa la RAGIONE_SOCIALE, procuratrice speciale della RAGIONE_SOCIALE, in persona del rappresentante legale, NOME COGNOME, elettivamente domiciliate in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentate e difese dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrenti incidentali-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Curatore, NOME COGNOME, , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME (CODICE_FISCALE); pec:
EMAIL;
-controricorrente all’incidentale- nonché contro
SCAMPAMORTE NOME, COGNOME PAOLO;
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di NAPOLI n. 4480/2019 depositata il 17/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato in fatto che :
la società RAGIONE_SOCIALE citava, dinanzi al Tribunale di Napoli, la RAGIONE_SOCIALE nonché NOME COGNOME e NOME COGNOME, al fine di far dichiarare risolti, a seguito di legittimo esercizio della facoltà di recesso prevista dall’art. 1456 cod.civ. e dall’art. 20 delle pattuizioni contrattuali ovvero risolti per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE, i contratti di leasing nn. NUMERO_DOCUMENTO, 2063546, 2063547, e, per l’effetto, di condannare la RAGIONE_SOCIALE e i suoi fideiussori in solido al pagamento di euro 86.827,92 relativamente ai tre contratti, e di euro 2.243.124,70, per la linea di capitale residua, nonché al pagamento a titolo di penale o di risarcimento dei danni di una somma pari ai canoni di locazione finanziaria che avrebbero dovuto essere corrisposti dalla data di risoluzione del contratto a quella dell’effettiva riconsegna degli immobili locati;
con domanda riconvenzionale la RAGIONE_SOCIALE chiedeva che fosse accertato il suo diritto alla restituzione di tutte le somme pagate nel corso dei rapporti in essere;
con la sentenza n. 14009/2014, il Tribunale di Napoli dichiarava risolti i contratti, essendo stata esercitata dalla concedente la clausola risolutiva espressa contenuta nell’art. 20 delle condizioni generali di contratto, riteneva nullo, per contrarietà con l’art. 1526 cod.civ., l’art. 20 nella parte in cui prevedeva che, in tutti i casi di risoluzione anticipata del contratto, il concedente avrebbe avuto diritto alla immediata corresponsione dei canoni scaduti e non
pagati nonché, a titolo di indennità di risoluzione, i restanti canoni a scadere; non rilevando in senso contrario né il fatto che sempre l’art. 20 prevedesse che dall’ammontare della clausole penale avrebbe dovuto detrarsi il ricavato dalla vendita degli immobili, data la estrema genericità di tale previsione rimessa alla discrezionalità della concedente per tempi, modi e condizioni di vendita, né l’art. 72 quater l. fall. che non disciplina la risoluzione del contratto, ma il suo scioglimento quale conseguenza del fallimento dell’utilizzatore; rigettava, quindi, la domanda attorea di pagamento dei canoni scaduti e a scadere nonché la domanda di risarcimento del danno, avendo la concedente ottenuto un titolo -l’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 700 cod.proc.civ. che la legittimava a rientrare nella disponibilità giuridica dei beni; accoglieva la domanda riconvenzionale con cui la utilizzatrice aveva chiesto la restituzione dei canoni versati, ai sensi dell’art. 1526 cod.civ., osservando che la eccezione riconvenzionale formulata dalla società RAGIONE_SOCIALE era stata formulata per la prima volta con la comparsa conclusionale, quindi, tardivamente, ma anche infondatamente, perché l’art. 20 delle condizioni generali di contratto non le riconosceva, in caso di risoluzione anticipata del contratto il diritto di trattenere i canoni corrisposti, riferendosi solo a quelli scaduti, ma non versati, e a quelli a scadere;
la Corte d’appello di Napoli, con la sentenza n. 4480/2019, resa pubblica in data 17/09/2019, ritenuto che i contratti per cui è causa dovessero essere qualificati come leasing traslativi, ha considerato coperta da giudicato la statuizione del Tribunale che aveva qualificato tardiva l’eccezione riconvenzionale formulata dalla RAGIONE_SOCIALE, perché proposta solo con la comparsa conclusionale; ha ridotto, ai sensi dell’art. 1384 cod.civ., la richiesta di pagamento dei canoni scaduti e impagati e di quelli a scadere nella misura del 40%, fondata sull’art. 20 delle condizioni generali di contratto che ha considerato comunque valido; ha
confermato la sentenza impugnata nella parte in cui non aveva riconosciuto alla concedente il diritto al risarcimento del danno ed aveva escluso la possibilità di applicare analogicamente l’art. 72 quater della legge fall.
la società RAGIONE_SOCIALE ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi;
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nella qualità indicata, resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale basato su quattro motivi ;
la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso al ricorso incidentale; la trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
Considerato in diritto che :
Ricorso principale
1) con il primo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1322, 1526, 1384, 1419, 1343 e 1344 cod.civ. e dell’ordine pubblico economico in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
attinta da censura è la statuizione che ha negato l’invalidità dell’art. 20, ultimo comma, delle condizioni generali di contratto, nella parte in cui prevedeva la debenza dei canoni scaduti e impagati e dei canoni a scadere;
la Corte territoriale ha ritenuto che: i) la prima parte dell’art. 20 si riferiva all’equo compenso consistente nel pagamento dei canoni scaduti e impagati -per avere la utilizzatrice continuato a utilizzare la cosa nel periodo che precede la risoluzione del contratto, e che la seconda parte, quella in cui era previsto il diritto al pagamento dei canoni a scadere, regolava, invece, il risarcimento del danno, determinato forfettariamente attraverso la previsione di una clausola penale; ii) il concedente aveva diritto ad essere messo nella stessa condizione nella quale si sarebbe trovato ove il
contratto si fosse interamente realizzato e, quindi, aveva sia il diritto all’equo compenso sia il diritto al risarcimento del danno; iii) la clausola penale nel caso di specie era formulata in modo estremamente generico, non prevedendo tempi e modalità della vendita; iv) se fosse stata applicata così come era stata formulata la clausola penale avrebbe finito per attribuire alla concedente un vantaggio eccessivo;
per tali ragioni, ha giudicato che vi fossero i presupposti per ridurla a equità;
secondo la ricorrente, invece, la pattuizione che la Corte d’appello ha ritenuto dovesse qualificarsi come clausola penale non imponeva alla società concedente di riallocare il bene, una volta ottenutolo in restituzione, ma considerava la vendita del bene una mera eventualità rimessa all’arbitrio della concedente, riservandole la facoltà di adottare condotte opportunistiche, cioè di conservare la proprietà dei cespiti, senza alcun obbligo di venderli o di riallocarli, e di acquisire, tramite la indennità di risoluzione, l’equivalente dei canoni a scadere;
la Corte d’Appello non avrebbe dovuto ritenerla eccessiva, provvedendo alla sua riduzione ad equità, ma avrebbe dovuto dichiararne la nullità;
a supporto di tale tesi la ricorrente evoca l’art. 1851 cod.civ. che obbliga la banca in caso di pegno irregolare a restituire la somma o la parte di merci eccedenti l’ammontare dei crediti garantiti, l’art. 1982 cod.civ., a mente del quale nella cessione dei beni ai creditori, il residuo, dopo la ripartizione tra i creditori delle somme ricavate in proporzione dei rispettivi crediti, spetta al debitore, l’art. 2798 cod.civ., secondo cui l’assegnazione della cosa oggetto del pegno al creditore deve essere preceduta dalla sua stima, l’art. 2903 cod.civ., per il quale, in caso di riscossione del credito dato in pegno, se il credito garantito è scaduto il creditore deve restituire al costituente quanto resta dopo essersi soddisfatto e, se si tratta
di cose diverse dal denaro può farle venderle o chiederne l’assegnazione, alle condizioni di cui all’art. 2798 cod.civ., l’art. 2804 cod.civ. che consente al creditore di vedersi assegnato in pagamento il credito ricevuto in pegno fino alla concorrenza del suo credito;
la ricorrente aggiunge che anche in altri settori dell’ordinamento la penale eccessiva è da ritenere nulla – art. 33 cod. cons., art. 92 della l. n. 192/1998, la penale usuraria – e che in tal senso è orientata la giurisprudenza di legittimità sul patto marciano;
con il secondo motivo è denunciata la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117, comma 4, TUB, degli artt. 1418, 1419 e 1384 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.; l’art. 20 delle condizioni generali di contratto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo anche per il mancato rispetto delle prescrizioni di cui all’art. 117, comma 4, TUB, per la omessa indicazione con chiarezza e precisione di ogni condizione praticata, rimettendo la scelta tra più alternative – vendere, non vendere, quando e a quale prezzo vendere all’arbitrio del concedente e non all’accordo tra le parti;
con il terzo motivo alla Corte territoriale si imputa la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1355, 1349, 1418, 1419 e 1384 cod.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
l’oggetto dell’obbligazione che l’art. 20 delle condizioni generali di contratto poneva a carico dell’utilizzatore per il caso di scioglimento anticipato del contratto era indeterminato e indeterminabile quanto all’indennità di risoluzione, con conseguente nullità della pattuizione sia per violazione dell’art. 1355 cod.civ. (condizione sospensiva meramente potestativa) sia per violazione dell’art. 1349 cod.civ. che ammette solo la figura dell’arbitratore, impedendo che il contenuto dell’obbligazione possa essere determinato arbitrariamente da una delle parti;
4) con il quarto motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza, ex art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ., per omessa motivazione e, in subordine, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ., per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1526, 2° comma, e 2041 cod.civ. ;
attinta da censura è la statuizione con cui la Corte d’appello ha riconosciuto alla concedente il diritto ad ottenere a titolo di equo compenso il pagamento dei ratei scaduti e impagati per complessivi euro 86.287,92, al netto degli interessi di mora, perché essa non ha esposto la ragione per la quale per il periodo in cui maturarono i canoni impagati l’equo compenso sia stato equiparato all’esatta misura dei canoni non versati, e non ha tenuto conto del fatto che, trattandosi di leasing traslativo, il canone comprendeva anche un parte di prezzo, e che al tempo dello scioglimento del contratto, secondo la Corte d’appello, i beni immobili potevano aver perso solo il 40% del loro valore originario;
in subordine, considerato che la determinazione dell’equo compenso remunera il godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua incommerciabilità come nuovo e il logoramento per l’uso, esso non avrebbe dovuto essere commisurato ai canoni che comprendevano una quota del prezzovalore del bene;
4) il primo ed il terzo motivo possono essere fatti oggetto di un esame congiunto, perché attengono ad una questione comune; entrambi non meritano accoglimento;
clausole di contenuto analogo a quello qui in contestazione sono state più volte esaminate dalla giurisprudenza di questa Corte che le ha ritenute valide ( ex plurimis , cfr., tra le decisioni massimate più recenti, Cass. 14/03/2023, n.7367);
dopo la pronuncia n. 2061 del 28/01/2021 delle Sezioni Unite la previsione di pattuizioni che prevedano l’acquisizione da parte del concedente dei canoni scaduti e impagati è ammessa, perché è
conforme all’art. 1526, 2° comma, cod.civ., siccome è consentito statuire che i canoni non ancora scaduti siano dovuti al concedente (art. 1382 cod.civ.), sempre che il concedente indichi la somma ricavata dalla diversa allocazione del bene oggetto del contratto ovvero alleghi una stima attendibile del relativo valore di mercato all’attualità, onde consentire al giudice di apprezzare l’eventuale manifesta eccessività della penale;
patti di tal genere sono stati esplicitamente ritenuti “espressione di una razionalità propria della realtà socio-economica”; per giunta, dalla tipicità socio-economica che li contraddistingueva, con la l. n. 124/2017 hanno assunto anche una tipicità normativa;
ciò è sufficiente onde escluderne la invalidità anche sotto il profilo del contrasto con l’ordine pubblico economico: sul punto è quantomai opportuno richiamare Cass. 14/10/2021, n.28022 che ha approfondito anche questo profilo al § 3.2, per un verso, escludendo che la nullità per contrarietà all’ordine pubblico economico abbia autonomia concettuale e strutturale, per altro, negando che possa dichiararsi nulla una clausola per il mero fatto che risulti svantaggiosa per una delle parti, ove non si individuino ‘le concrete condotte od i concreti effetti che travalicano il legittimo esercizio dell’impresa commerciale’, senza considerare che l’assenza di contrarietà con l’ordine pubblico economico ‘internazionale’ emerge dall’art. 13, commi 2, 3 e 4, della convenzione di Ottawa sul leasing internazionale (ratificata con L. 14 luglio 1993, n. 259), le cui regole, sebbene non immediatamente applicabili nella presente controversia, sono ritenute da questa Corte un indice interpretativo per la ricostruzione della disciplina dell’inadempimento dell’utilizzatore (Cass. 16/11/2007, n. 23794);
sarebbe singolare -si legge in Cass. n. 28022/2021 che ‘una clausola possa dirsi contraria all’ordine pubblico economico nazionale, ma coerente con l’ordine pubblico economico
internazionale’; di conseguenza, è da considerare superato il diverso orientamento di legittimità che ha trovato espressione nelle decisioni n. 27935 del 31.10.2018 e n. 21476 del 15.9.2017 e n. 3200 del 4.2.2019 che, invece, hanno dichiarato nulle “per contrarietà all’ordine pubblico economico” clausole molto simili a quella oggi in esame;
neppure in considerazione del solo profilo attinente al patto di prededuzione -per l’assenza di criteri determinativi delle modalità di tempo e di contenuto della condotta allocativa del bene – si potrebbe dubitare della validità della clausola;
il fatto che la clausola n. 20 rimetta in toto alla concedente la facoltà di determinare unilateralmente come e quando allocare il bene e quale corrispettivo ricavare dalla eventuale vendita dello stesso da portare poi in detrazione dal credito residuo vantato nei confronti dell’utilizzatore non può non avere per corollario, da un lato, l’obbligo del concedente di stimare il bene secondo correttezza e buona fede e, dall’altro, il diritto del concedente di avere contezza dei criteri utilizzati per la stima, onde verificarne la correttezza e la congruità, e/o la verifica che esso non metta “in concreto” l’utilizzatore nella condizione di essere tenuto ad un risarcimento maggiore di quello dovuto, consentendo, per contro, alla concedente di trarre profitto dall’inadempimento dell’utilizzatore (Cass. 13/12/2018, n. 32216);
ciò non significa che la pattuizione sia invalida; essa dovrà essere interpretata secondo buona fede (art. 1366 cod.civ.) ed eseguita in buona fede (art. 1375 cod.civ.), allo scopo di fa sì che il valore del bene da portare in detrazione dal credito del concedente non possa che essere il valore equo di mercato (c.d. fair value ), nel luogo e al tempo della risoluzione, con la conseguenza che:
a) se al momento in cui il concedente esige il proprio credito (restitutorio e/o risarcitorio) nei confronti dell’utilizzatore il bene è stato già rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il
ricavato, salva la responsabilità del concedente ex art. 1227, 2° comma, cod.civ. nel caso di vendita ad un prezzo vile per propria negligenza;
se al momento in cui esige il proprio credito nei confronti dell’utilizzatore il bene non è stato ancora rivenduto, il concedente dovrà portare in diffalco il valore commerciale del bene, stimato col criterio del valore equo di mercato”.
la quaestio iuris dedotta con il secondo motivo risulta nuova e come tale è inammissibile, perché i motivi del ricorso per cassazione devono investire questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio; il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (cfr., ex plurimis , Cass. 02/09/2021, n.23792);
6) neppure il quarto motivo merita accoglimento;
è vero che nel contratto di leasing traslativo il canone di leasing ha natura composita, perché non serve solo a compensare la concedente per la concessione in godimento del bene, ma comprende anche una quota di prezzo (Cass. 24/01/2020, n. 1581), ma nel caso di specie è da ritenere (cfr. p. 13 della sentenza, ove sono indicati gli elementi che presi in esame: prezzo di acquisto, anticipo, rateizzazione, riscatto) che la riduzione ad equità della clausola penale sia stata operata dal giudice, contemplando anche questo profilo.
Ricorso incidentale
4) Con il primo motivo rubricato ‘Analisi della motivazione e vizi della sentenza 4480/2019 limitatamente al § 2.1… a § 2.2. ‘ ;
la statuizione impugnata è quella con cui la Corte territoriale ha ritenuto passato in giudicato il capo della pronuncia del Tribunale che aveva statuito che la domanda di RAGIONE_SOCIALE eccezione riconvenzionale e che essendo stata proposta solo con lacomparsa
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE era da qualificarsi come conclusionale era tardiva;
l’errore della Corte sarebbe quello di aver ritenuto che la decadenza cui il Tribunale aveva fatto rifermento riguardasse anche l’infondatezza della domanda alla luce dell’art. 1526 cod.civ., mentre invece si riferiva solo all’inammissibilità della pretesa restitutoria, ai sensi dell’art. 20 delle condizioni generali di contratto;
la ricorrente riporta il capo della sentenza del Tribunale e la propria comparsa conclusionale sul punto, allo scopo di dimostrare che sin dal primo grado di giudizio aveva sempre sostenuto che non era ipotizzabile una pretesa restitutoria senza la retrocessione materiale del bene e la sua vendita;
5) con il secondo motivo è dedotta l’erronea interpretazione dei motivi di appello e il travisamento del fatto costitutivo della domanda di appello, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 e n. 5, cod.proc.civ., essendo la domanda formulata con l’atto di citazione volta a ottenere il pagamento dei canoni scaduti e a scadere sulla scorta dell’art. 20 delle condizioni generali di contratto e che per contrastarla la società utilizzatrice aveva formulato una domanda riconvenzionale, non aveva l’onere di proporre né una nuova eccezione né una domanda riconvenzionale; sostiene, in definitiva, di aver formulato un’argomentazione difensiva per contrastare la domanda riconvenzionale della società utilizzatrice, che non poteva
né essere considerata tardiva né essere qualificata come reconventio reconventionis ;
in ogni modo, il motivo d’appello aveva avuto ad oggetto l’erroneo accoglimento della domanda restitutoria a prescindere dall’art. 20 e la Corte d’appello avrebbe del tutto omesso l’esame del motivo;
7) con il terzo motivo si rimprovera alla Corte d’appello di avere violato e falsamente applicato l’art. 1526 cod.civ., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
la Corte d’appello avrebbe dovuto disattendere la domanda di restituzione delle rate riscosse avanzata dall’utilizzatore inadempiente, perché il credito restitutorio azionato è meramente eventuale e dipende dall’eventuale valutazione dell’esistenza di un residuo importo dei canoni versati, una volta detratto l’equo compenso, in tutte le sue voci e declinazioni;
il primo, il secondo ed il terzo motivo attengono alla stessa questione, benché sotto profili non del tutto coincidenti;
essi vanno disattesi;
il Tribunale ha considerato passata in giudicato la domanda riconvenzionale della società utilizzatrice, perché la eccezione riconvenzionale era stata formulata tardivamente;
che detta eccezione riconvenzionale fosse fondata sull’art. 20 del contratto o meno non cambia la sostanza delle cose;
il Tribunale aveva ritenuto implicitamente necessaria l’eccezione dell’odierna ricorrente al fine di paralizzare la domanda avversaria e nel giudizio di appello parte ricorrente non risulta che abbia contestato né che quella formulata fosse un’eccezione riconvenzionale né che fosse necessario formulare un’eccezione riconvenzionale per il rigetto della domanda dell’utilizzatrice e tantomeno che quella formulata fosse una domanda riconvenzionale, invocandone la diversa qualificazione in termini di eccezione riconvenzionale;
le argomentazioni difensive della ricorrente non colgono, in definitiva, nel segno;
deve osservarsi che il Tribunale aveva accolto la domanda di restituzione, ritenendola fondata, ‘posto che il diritto dell’utilizzatore alla restituzione trae origine dall’avvenuta risoluzione dei contratti di locazione finanziaria e dall’applicazione in via analogica del più volte menzionato art. 1526 cod.civ.’ (p. 9 del ricorso);
il che esclude la correttezza dell’argomentazione dell’odierna ricorrente secondo cui il Tribunale aveva ritenuto tardiva solo l’eccezione riconvenzionale con cui aveva preteso di paralizzare la domanda riconvenzionale della società utilizzatrice, adducendo che l’art. 20 delle condizioni di contratto consentiva alla concedente di trattenere a titolo di equo indennizzo i canoni corrisposti in costanza di rapporto;
il Tribunale aveva fatto leva -sia pure erroneamente sull’art. 1526 cod.civ. -; l’odierna ricorrente anziché contestare l’erronea applicazione dell’art. 1526 cod.civ. si era limitata come, del resto, essa stessa riconosce -ad invocare l’applicazione dell’art. 20 del contratto;
non è incorsa, allora, in alcun errore di valutazione la Corte territoriale che, pur avendo ritenuto astrattamente fondato il primo motivo di appello basato sulla infondatezza della domanda restitutoria in ragione dell’art. 1526 cod.civ., non lo ha accolto, atteso il giudicato formatosi sul punto;
è vero che dalla comparsa conclusionale del giudizio di prime cure, riprodotta per la parte di interesse alle pp. 10- 12 del ricorso incidentale, si evince che la quaestio iuris era stata ben prospettata dalla odierna ricorrente, ma in appello, come si già detto, non era stata contestata la statuizione di prime cure, adducendo quanto argomentato (a quanto risulta) per la prima con il ricorso incidentale, cioè che ‘la trattazione difensiva relativa all’art. 20 non
era una tardiva eccezione e nemmeno poteva essere oggetto di tempestiva reconventio reconventionis , per la incontrovertibile ragione che la richiesta di restituzione degli importi versati in esecuzione del leasing risultava essere stata proposta in via riconvenzionale dalla S.G.D per contrastare la domanda di pagamento dei canoni scaduti in forza dell’art. 20 delle condizioni generali di contratti’ (cfr. p. 13); né la ricorrente può pretendere di contestare dinanzi a questa Corte l’accoglimento della domanda restitutoria, prospettandone l’infondatezza, ai sensi dell’art. 1526 cod.civ., per non avere la utilizzatrice provveduto a restituire i beni, anche a prescindere dall’art. 20 delle condizioni di contratto; e ciò non solo per quanto detto, ma anche perché l’art. 20 opposto in eccezione riconvenzionale, rectius in reconventio reconventionis , come rilevato dalla Corte d’appello, regolava (anche) il diritto all’equo compenso (ai sensi dell’art. 1526, 2° comma, cod.civ.); detta pattuizione -cfr. sul punto Cass., Sez. Un., 29/01/2021, n. 2142 che rinvia a Cass. 12/09/2014, n. 19272 -costituiva una eccezione in senso stretto che avrebbe dovuto essere fatta valere nei termini di rito, con conseguente preclusione nel giudizio successivamente instaurato tanto della rilevabilità d’ufficio quanto della deducibilità dopo il decorso dei termini di cui all’art. 183 cod.proc.civ.., trattandosi, appunto, di eccezione in senso stretto; precisa la Corte nella pronuncia evocata che, a fronte della domanda di restituzione dei canoni corrisposti da parte dell’utilizzatore, ‘la c.d. clausola di confisca, corrispondente (come detto) ad una clausola penale, in quanto oggetto di patto contrattuale -come evidenziato dallo stesso art. 1526, secondo comma, cod.civ. -poteva essere opposto in quanto fatto estintivo del credito restitutorio soltanto dalla concedente e, dunque, da essa eccepito in base al contratto: ciò costituendo, per l’appunto, eccezione in senso stretto’;
9) con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli art. 1526, 2° comma, e 1384 c.c., ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ.;
la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare che la società concedente il leasing in caso di inadempimento dell’utilizzatore e di risoluzione anticipata del contratto deve essere messa nella stessa condizione nella quale si sarebbe trovata ove il contratto si fosse realizzato, riconoscendole l’equo compenso oltre al risarcimento del danno; riducendo la clausola penale avrebbe tenuto conto solo del capitale, ma non anche degli interessi persi per effetto della risoluzione del contratto;
il motivo è infondato;
il giudice territoriale ha ridotto a penale sulla scorta di un ragionamento compiuto e articolato con cui ha enunciato non solo le coordinate giuridiche di riferimento, ma ha anche dimostrato di aver considerato gli elementi fattuali, pertinenti alla vicenda in esame, ritenuti significativi;
a fronte di tali argomentazioni, le doglianze del ricorrente principale si risolvono nel richiedere alla Corte un riesame dell’intera vicenda controversa e, in particolare, delle circostanze fattuali assunte come rilevanti (peraltro, già diffusamente prese in considerazione dal giudice territoriale) al fine di diversamente quantificare l’interesse patrimoniale del creditore all’adempimento; ma una valutazione di tal fatta è inibita al giudice di legittimità; secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, l’apprezzamento sulla misura della riduzione equitativa dell’importo dedotto nella clausola penale rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio è incensurabile in sede di legittimità, se correttamente fondato, a norma dell’art. 1384 cod.civ., sulla valutazione dell’interesse del creditore all’adempimento con riguardo all’effettiva incidenza dello stesso sull’equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione
contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l’entità del danno subito (Cass. 01/10/2018, n. 23750; Cass. 07/09/2015, n. 17731; Cass. 10/05/2012, n. 7180; Cass. 16/02/2012, n. 2231; Cass. 16/03/2007, n. 6158);
né il fatto che fosse stata convenuta la risarcibilità del danno ulteriore (cfr. art. 20 del contratto) sposta, nel caso di specie, i termini della questione, perché non risulta che la ricorrente abbia dimostrato la sussistenza di detto danno ulteriore; di conseguenza, sulla somma quantificata dal giudice le spettavano solo gli interessi moratori, che la Corte territoriale ha riconosciuto, e non anche quelli compensativi (Cass. 11/06/1981, n. 3789);
per le ragioni esposte tanto il ricorso principale quanto quello incidentale vanno rigettati;
data la reciproca soccombenza le spese sono compensate.
PQM
La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensa le spese tra la ricorrente principale e quella incidentale.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.pr. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quella incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 05/02/2024 dalla Terza