Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27817 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27817 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15907/2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t., COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME; COGNOME NOME; rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO, per procura speciale in atti;
-ricorrenti-
-contro-
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappres. p.t.- quale incorporante della RAGIONE_SOCIALE– rappres. e difesa dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, per procura speciale in atti;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 1460/19, emessa dalla Corte di Appello di Brescia, pubblicata in data 09.10.2019;
udita la relazione della causa svolta nel la camera di consiglio dell’1.10 .2025 dal Cons. rel., AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
Con sentenza pubblicata il 7/10/2016, il Tribunale di Brescia rigettava l’opposizione proposta da RAGIONE_SOCIALE, debitrice principale, e dai fideiussori RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMENOME COGNOME NOMENOME COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , COGNOME NOME NOME, COGNOME NOME, avverso il decreto emesso su ricorso della RAGIONE_SOCIALE, col quale era stato ad essi ingiunto il pagamento di € 132.338,00 a tit olo di oneri di prelocazione finanziaria.
Al riguardo, il Tribunale evidenziava che: gli opponenti non avevano contestato l’avvenuta conclusione del contratto di leasing né il rilascio della fideiussione, né il mancato pagamento dei corrispettivi ingiunti, essendosi limitati ad allegare la natura simulata del contratto di leasing in quanto dissimulante un contratto di lease back; non era ravvisabile un contratto di “sale and lease back’, bensì un contratto di leasing in costruendo in quanto in esso era espressamente previsto che fosse l’utilizzatore ad interloquire con la società di costruzione e, di conseguenza, a stipulare il contratto di appalto, mentre la società di leasing interveniva solo al momento del pagamento delle fatture; essendo oggetto del contratto di locazione finanziaria non un immobile ma il complesso delle opere da realizzare, il contratto in esame non confliggeva con il divieto di patto commissorio in quanto gli opponenti non avevano dedotto la esistenza di una situazione di insolvenza o fortemente compromessa in relazione ai vari indici emergenti dai bilanci societari, e il terreno originariamente di proprietà di RAGIONE_SOCIALE era stato venduto all’opposta allo stesso prezzo di € 3.360.000.000,00 a cui e ra stato acquistato, con deduzione dell’importo di € 78.281,18 per l’ estinzione del mutuo ipotecario, mentre il finanziamento era stato convenuto per € 7.828.683,43 oltre iva ; non era stata dimostrata l’applicazione di tassi usurari.
Avverso tale sentenza proponevano appello RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME , COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, chiedendo la riforma della sentenza.
Si costituiva la RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante la RAGIONE_SOCIALE, che chiedeva il rigetto dell’appello.
Con sentenz a dell’1.7.2019 la Corte territoriale rigettava l’appello, osservando che: gli appellanti lamentavano che il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda di accertamento della natura simulata del contratto di leasing e sulla conseguente natura illecita dello stesso, proposta nell’atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo; essi deducevano che il contratto di leasing dissimulasse un contratto di finanziamento con garanzie reali, nel quale la vendita del terreno da parte di NOME alla RAGIONE_SOCIALE aveva costituito la garanzia reale del finanziamento erogato per consentire la realizzazione del compendio immobiliare, la immissione delle varie unità immobiliari sul mercato man mano che venivano realizzate e il riparto delle plusvalenze realizzabili; mancherebbe pertanto, secondo l’assunto degli appellanti, la fase di utilizzo e conduzione in proprio dei beni da parte dell’utilizzatore che sarebbe, invece, un mero costruttore; inoltre, il patto dissimulato e cioè il finanziamento era, secondo gli appellanti, illecito in quanto contrario a norme imperative e all’ordine pubblico economico, e sarebbe stato erogato in violazione delle norme statutarie della RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE e costituiva attività vigilata che il T.U.B. riservava esclusivamente a banche e finanziarie iscritte nell’apposito albo ed autorizzate all’esercizio dell’attività creditizia; benché il Tribunale non avesse esaminato le doglianze inerenti alla simulazione del contratto, esse non potevano trovare accoglimento; innanzi tutto, la circostanza per cui gli immobili del complesso da costruire fossero destinati, negli scopi perseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE e con la consapevolezza da parte della RAGIONE_SOCIALE, ad essere rivenduti man mano che venivano realizzati ben
prima dello scadere del termine del periodo di locazione finanziaria, non snaturava la funzione del contratto di leasing , né presentava, di per sé, profili di illiceità (considerando anche che l’oggetto sociale della RAGIONE_SOCIALE era quello di “compravendita immobiliare di beni propri”, oltre che di “locazione immobiliare di beni propri e sublocazione” ); la prospettazione che la vendita a terzi delle unità immobiliari da costruire avesse costituito la finalità economica dell’operazione era coerente, quindi, con lo scopo dell’attività imprenditoriale e commerciale della RAGIONE_SOCIALE, funzionale all’obiettivo di quest’ultima di vendere a terzi le unità immobiliari, una volta costruite ; l a deduzione della RAGIONE_SOCIALE che il contratto fosse stato stipulato “anche al fine di cedere a terzi le unità immobiliari di cui al detto complesso” e che, conseguentemente, la RAGIONE_SOCIALE “chiese ed ottenne di essere preventivamente autorizzata all’eventuale scorporo di singole unità e al conseguente riscatto anticipato parziale della relativa quota del contratto di locazione” (come la RAGIONE_SOCIALE aveva evidenziato sin dalla comparsa di risposta nel giudizio di primo grado) era coerente con l’autorizzazione al riscatto anticipato e non costituiva, quindi, ammissione dell’accordo simulatorio (in sintonia con quanto stabilito nell’allegato “P” al contratto di leasing denominato “autorizzazione riscatto anticipato”) ; neanche era condivisibile la tesi degli appellanti per cui, nel caso in esame, il periodo di pre-locazione finanziaria era divenuto il “fulcro” del contratto, in quanto l’ estinzione anticipata parziale del contratto era stata prevista come mera eventualità correlata all’interesse della utilizzatrice, rimessa, quindi, alla sua volontà e con predeterminazione dei costi; gli appellanti, a sostegno della propria tesi, si erano limitati a riportare il contenuto della deposizione, del tutto generica, di un teste escusso nella causa vertente tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE (nella quale si discuteva di un contratto di leasing , stipulato da una acquirente di una porzione del complesso immobiliare a seguito di riscatto parziale, in relazione al quale gli appellanti avevano assunto la veste di garanti); in ogni caso, la prova al riguardo avrebbe dovuto essere fornita in modo documentale, attraverso la produzione dei contratti ed i preliminari di
compravendita; né costituiva elemento anomalo, presuntivo della simulazione del contratto di leasing , il fatto che l’area fosse stata acquistata qualche settimana prima da RAGIONE_SOCIALE, per poi essere da questa venduta alla RAGIONE_SOCIALE; né la simulazione del contratto poteva ricavarsi dal fatto che non vi erano stati i benefici finanziari tipici dell’operazione, in quanto attraverso la vendita dell’area alla RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE era stata, innanzi tutto, liberata dal pagamento della rate di mutuo preesistente per l’importo residuo di € 1.078.281,18, che era stato estinto con parte del prezzo di compravendita, come si dava atto nello stesso contratto; inoltre, detratto il maxi canone, la società ha conseguito l’importo di € 782.718,82; non poteva, quindi, dirsi che non vi fossero stati “benefici finanziari” della concedente che, attraverso il contratto di leasing , della cui stipulazione si dava atto nel contratto di compravendita, aveva anche ottenuto che la concedente finanziasse le opere costruttive per la realizzazione del complesso immobiliare sull’area libera da gravami, in base alla finalità economica dell’operazione coerente con la sua attività d’impresa; anche l’importo del maxi canone non presentava elementi di anomalia; era da escludere la violazione dell’art. 2744 cod. civ., poiché non erano stati allegati gli elementi indispensabili “per distinguere il contratto di leasing puro da quello anomalo confliggente col divieto il patto commissorio” individuati nella esistenza di una situazione debitoria, in capo alla impresa utilizzatrice verso la concedente, nella sua difficoltà economica e nella sproporzione tra corrispettivo e valore del bene; al riguardo, le deduzioni degli appellanti confermavano, in realtà, ciò che miravano a contrastare e, cioè, che al momento della stipula dei contratti di leasing e di compravendita dell’area non vi era una situazione debitoria della RAGIONE_SOCIALE verso la concedente che la vendita dell’immobile, secondo l’assunto degli appellanti, mirava a garantire; mancando la preesistente situazione debitoria, non poteva neanche prospettarsi la illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito; né erano state dimostrate le difficoltà
economiche della RAGIONE_SOCIALE, mentre gli appellanti non avevano censurato efficacemente la statuizione del Tribunale circa il difetto di allegazione al riguardo; il Tribunale aveva evidenziato la coincidenza tra il prezzo di acquisto del terreno da parte di NOME ed il prezzo di vendita alla concedente; la detrazione da quest’ultimo dell’importo necessario per la estinzione del mutuo ipotecario preesistente e la cancellazione della garanzia ipotecaria, nonché dell’importo dovuto a titolo di maxi canone p revisto in contratto in € 1.300.000,00 , non costituiva “un artificio contabile” ma la fisiologia attuazione del contratto di leasing ; la stipula di tale contratto e del contratto di compravendita dell’area in favore della concedente ha consentito a RAGIONE_SOCIALE di ottenere, oltre che il recupero di una consistente parte dell’importo corrisposto per l’acquisto dell’area, anche il finanziamento delle opere da realizzare per costruire il complesso immobiliare sull’area libera da gravami; la questione su chi avesse provveduto al pagamento degli appaltatori atteneva, invece, non al momento genetico del contratto di trasferimento della proprietà funzionale al coevo contratto di leasing ma alla esecuzione di quest’ultimo; inver o, la mancanza di prova di un presupposto “disegno illecito e vietato dalla legge e contrario all’ordine pubblico economico”, ravvisabile in relazione ai contratti intercorsi tra le parti in causa, precludeva anche l’esame di ogni questione posta con riferimento al contratto di l easing sottoscritto dalla RAGIONE_SOCIALE, considerato attuativo di quel “disegno”, in assenza, peraltro, di contraddittorio con tale società.
I soggetti indicati in epigrafe ricorrono in cassazione, avverso la sentenza d’appello, con sei motivi, illustrati da memoria. RAGIONE_SOCIALE, quale incorporante RAGIONE_SOCIALE, resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia omessa o apparente motivazione sulla questione, oggetto della domanda, dei plurimi scioglimenti consensuali del contratto, che la Corte d’appello ha equiparato al riscatto, avendo i ricorrenti allegato un patto occulto
antitetico al l easing al fine di cedere, con altri leasing e dopo l’ultimazione dei lavori, l’intero compendio realizzato.
Il secondo motivo denunzia omessa o apparente motivazione su fatti decisivi concernenti la distinzione tra beni-merce e beni strumentali, in ordine al leasing immobiliare in costruendo, che era l’oggetto dell’accordo occulto; in particolare, i ricorrenti lamentano che non si è trattato di conduzione in favore dell’utilizzatore, ma di operazione di finanziamento, vietata perché compiuta da soggetto non autorizzato, in violazione del TUB.
Il terzo motivo denunzia violazione dell’art. 1417 cc, avendo la Corte d’appello escluso la prova testimoniale (che verteva non su documenti, bensì sull’esistenza di un programma occulto tra le parti non finalizzato al leasing, ma al solo finanziamento dell’intervento e alla sua riallocazione a terzi con nuovi leasing ) dedotta dai terzi fideiussori in ordine ad un fatto illecito, nonché motivazione apparente sull’inammissibilità della stessa prova orale, che invece verteva su fatti specifici.
Il quarto motivo deduce omesso esame di fatto decisivo relativa alla fattura emessa da RAGIONE_SOCIALE a carico della RAGIONE_SOCIALE e da questa pagata in occasione dell’operazione RAGIONE_SOCIALE per la somma di euro 864.093.93 a titolo d’indennità risarcitoria per la ‘risoluzione anticipata parziale’ del leasing.
Il quinto motivo deduce omessa o apparente motivazione sia sul patto commissorio, sia sulle inadempienze del concedente, benché assorbite dalla nullità del contratto, nonché in ordine al plurimo e reiterato smarrimento colposo dei documenti da parte di RAGIONE_SOCIALE.
Il sesto motivo denunzia ancora omessa o apparente motivazione circa gli aspetti usurari del leasing, per non aver, sul punto, la Corte d’appello disposto c.t.u., anche alla luce della prodotta c.t.p.
Il primo motivo è inammissibile.
Al riguardo, in primo luogo l’apparenza di motivazione è stata denunciata irritualmente, non sulla base di un’intima non percepibilità della ratio decidendi ,
ma mediante la comparazione con le risultanze istruttorie; in secondo luogo, non è stata neanche colta la ratio decidendi , posto che dalla motivazione si desume che la Corte territoriale ha tenuto distinte le ipotesi considerate dal contratto, e cioè che l’utilizzatore potesse procedere all’estinzione anticipata parziale o mediante il riscatto anticipato di una porzione dell’immobile o mediante la stipula di un nuovo contratto di leasing con terzi avente ad oggetto detta porzione.
Inoltre, in terzo luogo, la censura difetta di specificità perché non sono state illustrate le ragioni per le quali le modalità del riscatto determinassero l’illiceità del contratto.
In particolare, la Corte territoriale ha posto a sostegno della propria argomentazione anche l’allegato “P” al contratto di leasing denominato “autorizzazione riscatto anticipato”, specificamente richiamato in contratto e ad esso coevo, in cui la RAGIONE_SOCIALE dà atto di avere “accettato di stipulare il contratto consapevole del fatto che, a costruzione ultimata, la vostra società potrebbe non essere interessata a continuare il contratto in oggetto per la sua totalità e richiedere pertanto di effettuare l ‘estinzione anticipata parziale dello stesso”, ritenendo che tale allegato prodotto dalla RAGIONE_SOCIALE non confermava ma, anzi, contrastava la tesi degli appellanti circa la esistenza di “patti derogativi illeciti ed occulti’.
Pertanto, tale ratio, fondata sull’interpretazione del contratto di leasing, non è stata adeguatamente attinta attraverso argomenti che evidenziassero, come detto, il nesso tra il riscatto e le finalità illecite che sarebbero state perseguite.
Il secondo motivo è inammissibile.
N uovamente l’apparenza di motivazione è stata denunciata irritualmente; per il resto si tratta di una confutazione del giudizio di fatto, con una denuncia di omesso esame di fatto storico, inammissibile sia perché relativa ad una doppia conforme, sia perché la circostanza che l’utilizzatrice aveva qua le oggetto sociale la vendita immobiliare (oltre che la locazione di beni propri), e dunque la mera eventualità che i beni fossero poi destinati alla vendita dall’utilizzatrice una volta ri scattati, è
circostanza che la Corte di merito ha valutato, escludendone la rilevanza ai fini di un giudizio di illiceità del contratto.
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
Invero, la valutazione di rilevanza probatoria delle prove è riservata al giudice del merito; inoltre la ratio decidendi della ritenuta inammissibilità della prova è chiaramente percepibile, e dunque non c’è motivazione apparente.
Il quarto motivo è del pari inammissibile, sia perché trattasi di doppia conforme, sia per difetto di decisività della circostanza, alla luce di quanto osservato a proposito del primo motivo, quale terza ragione di inammissibilità.
Il quinto motivo è inammissibile, in quanto si denuncia una motivazione apparente, senza specifica illustrazione delle ragioni per le quali non si coglierebbe la ratio decidendi (peraltro in relazione al patto commissorio, vi è pure un rilievo di genericità del motivo di appello, da intendere come difetto di specificità ai sensi dell’art. 342 c .p.c., non impugnato); circa poi le presunte inadempienze, è la stessa parte ricorrente che ha riconosciuto la non decisività della censura (peraltro, il riferimento alle dette inadempienze non appare chiaro, contenendo un richiamo ad un non meglio determinato quarto paragrafo, per cui si profila anche una fattispecie di mancanza di autosufficienza.)
Il sesto motivo è parimenti inammissibile.
Al riguardo, il motivo di appello è stato ritenuto inammissibile in quanto generico, da intendere come difetto di specificità ai sensi dell’art. 342 c .p.c., e tale statuizione non è stata impugnata; la critica in questione non attinge tale ratio.
Inoltre, va osservato, sul punto, che il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, la cui decisione è censurabile per cassazione unicamente ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., soggiacendo la relativa impugnazione alla preclusione derivante dalla regola della cd. “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. ratione temporis vigente (Cass., n. 25281/2023; n. 7472/2017).
Nella specie, come detto, la Corte territoriale ha pronunciato sulla questione della c.t.u., ritenendo che gli appellanti non avessero allegato elementi per contrastare i dati offerti da RAGIONE_SOCIALE.
Le spese seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 8.200,00 di cui 200,00 per esborsi, oltre alla maggiorazione del 15% per rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del l’1 otto bre 2025.
Il Presidente AVV_NOTAIO NOME COGNOME