Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5898 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5898 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/03/2024
R.G.N. 5998/19
C.C. 20/2/2024
ORDINANZA
Appalto -Lavori extra-contratto -Compenso -Variazioni ordinate dal committente sul ricorso (iscritto al N.R.G. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME NOMENOME.F.: CODICE_FISCALE), rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, nel cui studio in Palermo, INDIRIZZO, ha eletto domicilio;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE), in qualità di titolare dell’omonima impresa edile e stradale, rappresentato e difeso, giusta procura in calce al controricorso con ricorso incidentale, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO;
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 1646/2018, pubblicata il 7 agosto 2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 febbraio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria illustrativa depositata nell’interesse del controricorrente e ricorrente incidentale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
FATTI DI CAUSA
1. -Con decreto ingiuntivo n. 4066/2006 del 14 dicembre 2006, notificato il 17 gennaio 2007, il Tribunale di Palermo ingiungeva il pagamento, a carico di COGNOME NOME e in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 603.490,24, in forza della fattura n. 1 del 20 marzo 2006, sia in ordine al mancato pagamento delle opere appaltate e realizzate, sia in ordine all’esecuzione di ulteriori opere oltre a quelle pattuite nel contratto di appalto concluso tra le parti il 12 dicembre 2002.
Proponeva opposizione COGNOME NOME, convenendo in giudizio, davanti al Tribunale di Palermo, COGNOME NOME e chiedendo che, in via principale, la pretesa avversaria fosse disattesa e, per l’effetto, che il provvedimento monitorio opposto fosse revocato e, in via riconvenzionale, che l’opposto fosse condannato alla restituzione della somma indebitamente percepita di euro 43.484,00, a fronte dell’esecuzione delle opere e forniture necessarie per la costruzione di un ‘allevamento cunicolo’ (avendo sos tenuto spese per euro 208.267,00 per l’acquisto di attrezzature, che sarebbero spettate all’appaltatore), al pagamento della penale per il ritardo nell’ultimazione dei lavori, nella misura di euro 45.000,00, nonché al risarcimento dei danni
per la perdita dell’utile netto aziendale che sarebbe conseguito all’avvio dell’attività di allevamento, nella misura di euro 50.000,00 per ogni anno di ritardo.
In specie, il committente: – negava di aver mai disposto la realizzazione di opere nuove e diverse rispetto a quelle contemplate nel contratto di appalto del 12 dicembre 2002 nonché l’utilizzo di materiali di maggior pregio; – negava altresì che fossero state realizzate opere in difformità dal progetto oggetto della concessione edilizia e del contratto di appalto, in difetto peraltro di alcuna riserva; – sosteneva poi che i lavori erano stati conclusi tardivamente nel novembre 2005 rispetto ai termini contrattuali del marzo 2004 e non erano stati realizzati a regola d’arte e in puntuale osservanza del computo metrico.
Si costituiva in giudizio COGNOME NOME, il quale contestava la fondatezza dell’opposizione e instava per il rigetto delle annesse domande riconvenzionali.
Nel corso del giudizio erano assunte le prove orali ammesse ed era espletata consulenza tecnica d’ufficio, con successiva convocazione dell’ausiliario nominato affinché rendesse i richiesti chiarimenti.
Quindi, il Tribunale adito, con sentenza n. 2152/2013, depositata il 13 maggio 2013, accoglieva per quanto di ragione l’opposizione e, per l’effetto, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava COGNOME NOME al pagamento, per il titolo indicato, in favore di COGNOME NOME, della minore somma di euro 289.988,50, rigettando le spiegate domande riconvenzionali.
2. -Proponeva appello avverso la sentenza di primo grado COGNOME NOME, il quale lamentava: 1) l’erroneo accoglimento della pretesa di ottenere il pagamento di asseriti lavori extracontrattuali per l’esecuzione di due capannoni industriali, con l’aggiunta degli importi in tesi ancora dovuti in forza dell’originario contratto di appalto, senza che fosse accertato che la prestazione della ditta appaltatrice era stata regolarmente eseguita e che le forniture erano state poste in essere dalla ditta con l’acquisto delle relative attrezzature, non tenendo conto dell’invariabilità stabilita del prezzo a corpo dell’appalto e della necessità di formulare eccezioni e riserve; 2) il mancato riferimento al fatto che, secondo le previsioni contrattuali, l’appaltatore non poteva richiedere modifiche sul prezzo, in relazione alla quantità e qualità delle prestazioni attuate, mentre, ai sensi dell’art. 14 del contratto, le variazioni avrebbero potuto riguardare esclusivamente le opere migliorative, in ragione della qualità dei materiali previsti nell’elenco prezzi, e non già opere aggiuntive; 3) l’ingiusto aggravio dei costi addebitati, avendo il consulente tecnico d’ufficio fatto riferimento ad un prezziario quello delle opere pubbliche -diverso da quello pattuito in contratto per le opere riguardanti l’agricoltura e foreste; 4) l’omessa analisi dell’esatto adempimento dell’appalto, tralasciando di considerare che all’appaltatore sarebbe spettato l’acquisto delle attrezzature, invece acquistate dal committente, con la conseguente necessità che gli esborsi a tale titolo sostenuti fossero detratti dal maggior importo dell’appalto; 5) l’erronea esclusione dell’applicazione della penale per il ritardo, in ragione dell’addebito del prolungamento dei lavori alle opere aggiuntive richieste dal committente.
Si costituiva nel giudizio di impugnazione COGNOME NOME, il quale concludeva per l’inammissibilità o per il rigetto del gravame, con la conseguente conferma della sentenza appellata.
Nel corso del giudizio d’appello era disposta la rinnovazione delle indagini peritali, con la nomina di un nuovo consulente tecnico d’ufficio.
Decidendo sul gravame interposto, la Corte d’appello di Palermo, con la sentenza di cui in epigrafe, accoglieva per quanto di ragione l’appello spiegato e, per l’effetto, in parziale riforma della pronuncia impugnata, condannava COGNOME NOME al pagamento, per il titolo dedotto, in favore di COGNOME NOME, della somma di euro 175.443,10, IVA inclusa, oltre interessi legali dal 20 marzo 2006 fino al soddisfo, confermando nel resto l’appellata sentenza.
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava per quanto di interesse in questa sede: a ) che la pretesa azionata in INDIRIZZO -che delimitava l’oggetto del contendere concerneva sia il compenso per le opere previste nel contratto di appalto, sia il compenso per le opere aggiuntive; b ) che dalle deposizioni testimoniali rese da COGNOME NOME, in qualità di progettista e direttore dei lavori, era emersa l’avvenuta esecuzione, su incarico del committente, di opere aggiuntive rispetto a quelle contemplate nel computo metrico di cui al contratto originario di appalto e, segnatamente, di due capannoni da adibire ad allevamento di conigli e a magazzino, unitamente all’impiego di alcuni materiali qualitativamente superiori a quelli originariamente previsti; c ) che lo stesso teste aveva altresì
precisato che il costo dei capannoni non era compreso nel computo metrico di euro 498.741,26, anche se la loro realizzazione era prevista nel contratto di appalto; d ) che i fatti addotti dal teste indicato erano stati confermati anche dagli altri testi escussi COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, quali operai alle dipendenze della ditta appaltatrice; e ) che le variazioni ordinate dal committente potevano essere dimostrate con qualsiasi mezzo probatorio; f ) che, pertanto, nessuna restituzione spettava; g ) che, in base alle risultanze peritali, il compenso per le opere aggiuntive ammontava ad euro 51.469,73 mentre il compenso ancora dovuto per le opere realizzate in forza del contratto di appalto era pari ad euro 164.783,71, per un totale di euro 226.547,39, da cui doveva essere detratto l’importo di euro 51.104,28, alla stregua della mancata esecuzione di alcune opere previste in contratto; h ) che, per contro, non poteva essere sottratto l’importo di euro 47.500,00, a t itolo di penale per il ritardo, poiché detto ritardo era riconducibile agli interventi aggiuntivi effettuati su richiesta del committente, oltre che al rallentamento dei lavori determinato dai mancati pagamenti dell’appaltante, come affermato dal teste COGNOME NOME; i ) che nessuna decurtazione del compenso per l’acquisto delle attrezzature a spese del committente poteva essere riconosciuta, posto che l’appaltatore aveva provveduto all’esecuzione di tutte le opere e forniture necessarie per la realizzazione di un allevamento cunicolo, facendosi carico delle sole forniture che gli competevano per la costruzione dei fabbricati e delle opere edili commissionate
e non anche degli arredi per l’ufficio o delle gabbie per gli animali e simili.
-Avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, NOME NOME.
Ha resistito con controricorso l’intimato COGNOME NOME, che ha proposto -a sua volta -ricorso incidentale, articolato in un unico motivo.
Ha resistito al ricorso incidentale, con separato controricorso, NOME.
-Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Anzitutto, deve essere dichiarata l’inammissibilità perché tardiva -della memoria illustrativa depositata dal ricorrente, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c., lunedì 12 febbraio 2024, a fronte dell’adunanza camerale fissata per il giorno 20 febbraio 2024.
Infatti, l’art. 155, quarto comma, c.p.c. nella parte in cui dispone la proroga al primo giorno non festivo del termine che scada in un giorno festivo -ed il successivo quinto comma del medesimo articolo, introdotto dall’art. 2, primo comma, lett. f ), della legge n. 263/2005 -nella parte in cui prevede la proroga al primo giorno non festivo del termine che scada nella giornata di sabato -, operano anche con riguardo ai termini che si computano ‘a ritroso’ (come, nella specie, quello previsto dall’art. 380 -bis .1. c.p.c., introdotto dal d.l. n. 168/2016, conv., con modif., in legge n. 197/2016), ovvero contraddistinti dall’assegnazione di un intervallo di tempo minimo, prima del
quale deve essere compiuta una determinata attività. Tale operatività, peraltro, deve correlarsi alle caratteristiche proprie di siffatto tipo di termine, producendo il risultato di individuare il dies ad quem dello stesso nel giorno non festivo cronologicamente precedente rispetto a quello di scadenza, in quanto, altrimenti, si produrrebbe l’effetto contrario di una abbreviazione dell’intervallo, in pregiudizio delle esigenze garantite dalla previsione del termine medesimo (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 7068 del 12/03/2020; Sez. 6-2, Ordinanza n. 21335 del 14/09/2017; Sez. 3, Sentenza n. 14767 del 30/06/2014).
2. -Tanto premesso, con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 e 132 c.p.c., dell’art. 119 disp. att. c.p.c., degli artt. 1655 e ss. c.c., del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., degli articoli del contratto di appalto, degli artt. 1176 e 1321 c.c. nonché l’omessa pronuncia su fatti dedotti, rilevanti ai fini del decidere, e la motivazione apparente, per avere la Corte di merito ritenuto che la materia del contendere comprendesse sia le opere previste nel contratto di appalto, sia le successive opere aggiuntive, senza tuttavia aver mai esaminato, in nessuna sede, l’effettiva esecuzione e la regolarità tecnica delle opere oggetto dell’appalto del 12 dicembre 2002.
Al riguardo, l’istante obietta che, con il procedimento monitorio avviato, sarebbe stato richiesto il solo pagamento del compenso per le opere extracontratto, ossia per l’esecuzione di due capannoni industriali, sicché vi sarebbe stato un vizio di
ultra-petizione nella disposizione della condanna anche per il mancato pagamento dei lavori oggetto dell’appalto originario, senza che fosse stato peraltro consentito all’appaltante di dimostrare che le opere programmate in contratto non erano state eseguite a regola d’arte.
Né dalle deposizioni testimoniali esaminate sarebbe emerso con certezza che i due capannoni realizzati non fossero già oggetto dell’appalto stipulato il 12 dicembre 2002.
2.1. -Il motivo è infondato, premesso peraltro che l’oggetto della violazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. deve riguardare norme di diritto e non già le previsioni del contratto concluso tra le parti.
E tanto perché l’importo complessivo richiesto con il ricorso per decreto ingiuntivo di euro 603.490,24, in forza della fattura n. 1/2006 emessa il 20 marzo 2006, comprendeva sia la realizzazione dei capannoni prevista nel contratto di appalto del 12 dicembre 2002, sia l’esecuzione di opere aggiuntive.
Sul punto, infatti, la sentenza impugnata ha chiarito che l’importo pattuito sulla scorta del computo metrico di euro 498.741,26 non includeva l’esecuzione dei capannoni, benché la loro realizzazione fosse prevista nel contratto di appalto.
D’altronde, la verifica demandata al consulente tecnico d’ufficio ha avuto ad oggetto anche l’aspetto relativo all’accertamento delle opere effettivamente eseguite e della loro esecuzione a regola d’arte, tanto da indurre il giudicante a negare la spettanza della somma di euro 51.104,28 proprio in ragione della mancata esecuzione di alcune opere.
Quanto alla contestazione delle valutazioni espresse con riguardo all’esito delle deposizioni testimoniali rese, la doglianza è inammissibile in quanto, nel ponderare le prove proposte dalle parti, l’attribuzione di una maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre ricade nell’attività valutativa consentita al giudice di merito dall’art. 116 c.p.c. (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 37382 del 21/12/2022; Sez. 6-2, Ordinanza n. 27847 del 12/10/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
Segnatamente, in tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 34786 del 17/11/2021; Sez. 2, Ordinanza n. 20553 del 19/07/2021; Sez. 5, Ordinanza n. 16016 del 09/06/2021; Sez. 3,
Sentenza n. 15276 del 01/06/2021; Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020; Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018).
Ed infatti, il potere del giudice di valutazione della prova non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della violazione dell’art. 116, primo comma, c.p.c., quale apprezzamento riferito ad un astratto e generale parametro non prudente della prova, posto che l’utilizzo del pronome ‘suo’ è estrinsecazione dello specifico prudente apprezzamento del giudice della causa, a garanzia dell’autonomia del giudizio in ordine ai fatti relativi, salvo il limite che ‘la legge disponga altrimenti’.
A ciò consegue che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, il motivo mira, in realtà, del tutto inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 32505 del 22/11/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 5987 del 04/03/2021; Sez. U, Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
3. -Con il secondo motivo il ricorrente prospetta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 e 132 c.p.c., dell’art. 119 disp. att. c.p.c., degli artt. 1655 e ss. c.c., del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., degli articoli del contratto di appalto, degli artt. 2722, 2723, 2725 c.c. nonché l’omessa pronuncia su fatti dedotti, rilevanti ai fini del decidere, e la motivazione apparente, per avere la Corte territoriale utilizzato le deposizioni del teste COGNOME NOME, nonostante questi avesse un interesse
personale ad addossare la responsabilità delle sue omissioni sul committente.
Peraltro, ad avviso del ricorrente, tale disposizione testimoniale avrebbe avuto ad oggetto il contenuto di patti aggiunti o contrari al contenuto dell’appalto, per i quali si assumeva che essi fossero precedenti o coevi al contratto, sicché la relativa prova sarebbe stata inammissibile.
Né sarebbero state colte le palesi contraddizioni in cui il teste sarebbe incorso.
3.1. -Il motivo è infondato.
L’eccezione di incapacità a deporre del teste è del tutto irrituale, in quanto avanzata per la prima volta in sede di legittimità.
La espunzione del teste esige infatti, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., la debita eccezione sollevata dalla parte interessata prima della sua deposizione, eventualmente reiterata all’esito del raccoglimento della prova (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 14178 del 23/05/2023; Sez. U, Sentenza n. 9456 del 06/04/2023).
D’altronde, l’interesse di mero fatto all’esito del giudizio non costituisce valida ragione ostativa della capacità a deporre, ma incide esclusivamente sulla valutazione di attendibilità del teste (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 26044 del 07/09/2023; Sez. 2, Sentenza n. 167 del 05/01/2018; Sez. L, Sentenza n. 21418 del 21/10/2015; Sez. 2, Sentenza n. 9353 del 08/06/2012; Sez. 3, Sentenza n. 1022 del 25/01/2012).
Ed invero, l’incapacità a testimoniare esige che sia integrato un interesse personale, attuale e concreto, che coinvolga il teste nel rapporto controverso, alla stregua dell’interesse ad agire di
cui all’art. 100 c.p.c., tale da legittimarlo a partecipare al giudizio in cui è richiesta la sua testimonianza, con riferimento alla materia in discussione.
All’esito, la qualità rivestita nella specie, di progettista e direttore dei lavori -non può essere ponderata in via aprioristica e per categorie di soggetti, al fine di escluderne ex ante la capacità a testimoniare, ma deve essere debitamente valutata allo scopo di formulare il giudizio sull’attendibilità del testimone, avente ad oggetto il contenuto della dichiarazione resa (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 8832 del 29/03/2023; Sez. 6-3, Ordinanza n. 33536 del 15/11/2022; Sez. 3, Sentenza n. 19215 del 29/09/2015).
In proposito, la capacità a testimoniare differisce dalla valutazione sull’attendibilità del teste, operando le stesse su piani diversi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 c.p.c., dipende dalla presenza di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità (Cass. Sez. 2, Ordinanza n.
21239 del 09/08/2019; Sez. 3, Sentenza n. 7763 del 30/03/2010; Sez. L, Sentenza n. 16529 del 21/08/2004).
Nella fattispecie, le deposizioni rese dal teste COGNOME NOME sono state avvalorate, secondo la ricostruzione di cui alla sentenza impugnata, dalle deposizioni rese dagli altri testi escussi.
E ciò senza che sia emerso un travisamento dei fatti posti a fondamento della decisione.
3.2. -In ordine al contenuto di tali deposizioni, esso non riguarda alcun patto contrario o aggiunto al contratto di appalto, per il quale sia stato allegata la conclusione coeva o precedente al negozio.
Si tratta, infatti, in parte di lavori già contemplati dal contratto e in parte di lavori ulteriori commissionati dall’appaltante dopo la stipulazione dell’appalto.
Orbene, quando, nel corso o al termine dell’esecuzione del contratto d’appalto, l’appaltatore realizzi lavori extracontrattuali, non opera la limitazione probatoria di cui all’art. 2723 c.c., poiché tale pattuizione non costituisce un patto aggiunto all’originario contratto di appalto, ma ha valenza di nuovo e autonomo negozio, che non necessita di forma scritta ad substantiam , avente ad oggetto lavori ulteriori rispetto all’originaria opera, che non ne costituiscono un completamento o uno sviluppo, ma inte grano un’opera a se stante ovvero comportano radicali modifiche (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 16222 del 08/06/2023; Sez. 2, Sentenza n. 347 del 10/01/2023; Sez. 6-2, Ordinanza n. 28622 del 03/10/2022; Sez. 2, Ordinanza n. 24314 del 05/08/2022; Sez. 2, Sentenza n. 5935 del 25/05/1991; Sez. 1,
Sentenza n. 473 del 27/02/1963; Sez. 1, Sentenza n. 2384 del 03/07/1958).
E peraltro anche l’inammissibilità delle deposizioni testimoniali, ai sensi degli artt. 2722 e 2723 c.c., doveva essere prontamente eccepita e non poteva essere rilevata solo in sede di legittimità.
Infatti, i limiti legali di ammissibilità della prova testimoniale dei contratti non sono stabiliti per ragioni di ordine pubblico, ma nell’interesse delle parti, sicché l’inosservanza delle dette limitazioni non può essere rilevata d’ufficio, né può essere eccepita dalla parte dopo l’espletamento della prova (Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 3763 del 15/02/2018; Sez. 2, Sentenza n. 21443 del 19/09/2013; Sez. 3, Sentenza n. 3186 del 14/02/2006). E all’esito dell’assunzione nonostante l’eccezione di parte l’inam missibilità deve essere ribadita nella prima istanza o difesa successiva all’eventuale assunzione della prova, atteso che la violazione degli artt. 2721 e 2722 c.c. dà luogo ad una nullità relativa, soggetta al regime di cui all’art. 157, secondo comma, c.p.c. (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 6312 del 02/03/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 18971 del 13/06/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 3956 del 19/02/2018; Sez. 3, Ordinanza n. 14274 del 08/06/2017; Sez. 3, Sentenza n. 3959 del 13/03/2012; Sez. L, Sentenza n. 10206 del 01/10/1991; Sez. 2, Sentenza n. 5068 del 03/10/1979; Sez. 2, Sentenza n. 1517 del 22/05/1974). Tanto vale anche per la limitazione della prova testimoniale regolata dall’art. 2725 c.c. per i contratti che devono essere provati per iscritto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 16723 del 05/08/2020; Sez.
1, Sentenza n. 14470 del 25/06/2014; Sez. 3, Sentenza n. 7765 del 30/03/2010).
4. -Con il terzo motivo il ricorrente contesta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5, c.p.c., la violazione degli artt. 112, 113, 114, 115, 116 e 132 c.p.c., dell’art. 119 disp. att. c.p.c., degli artt. 1655 e ss. c.c., del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., degli articoli del contratto di appalto, degli artt. 1321, 1176, 1657, 1659 e 1660 c.c. nonché l’omessa pronuncia su fatti dedotti, rilevanti ai fini del decidere, e la motivazione apparente, per avere la Corte distrettuale reputato che il compenso per le opere aggiuntive spettasse in ragione del raggiungimento della prova dell’avvenuta esecuzione, su incarico del committente, di opere ulteriori rispetto a quelle contemplate nel computo metrico allegato all’appalto.
Senonché, osserva l’istante che l’art. 14 del contratto d’appalto del 12 dicembre 2002 avrebbe regolato il solo caso delle variazioni nella qualità dei materiali previsti nell’elenco prezzi e quindi già contabilizzati, ossia le mere migliorie e non le opere aggiuntive, senza peraltro che agli atti vi fosse traccia di alcun formale accordo raggiunto tra le parti per l’attuazione di tali migliorie.
Aggiunge il ricorrente che, anche allorché le opere aggiuntive fossero state autorizzate, il compenso integrativo non sarebbe spettato, in quanto il prezzo dell’opera era stato determinato globalmente, ai sensi dell’art. 1659, terzo comma, c.c. e l’autorizzazione avrebbe dovuto rivestire, in ogni caso, la forma scritta ad probationem . Né vi sarebbe stata alcuna riserva o
eccezione in corso d’opera a cura dell’assuntore, registrata negli atti di contabilità.
4.1. -Il motivo è infondato.
E tanto perché le opere eseguite, in ordine alle quali è stato preteso il compenso, in parte ( recte per i due capannoni realizzati) rientravano in quelle già contemplate dal contratto originario d’appalto e in parte ( recte per le passerelle per l’appoggio delle gabbie dei conigli, le murature terminali, la pavimentazione del deposito di materiale, il locale per la inseminazione artificiale, l’impianto idrico interno, gli impianti di refrigerazione automatica dei capannoni, la concimaia, gli scavi per la posa di tubazioni fognarie e pozzetti e per la tubazione in cemento roto-compresso) sono state inquadrate nella categoria dei lavori extracontrattuali, rispetto ai quali la relativa pattuizione non esigeva la forma scritta ai fini della prova, a fronte della redazione per iscritto del contratto principale d’appalto.
In proposito, occorre precisare che, in tema di appalto, le nuove opere richieste dal committente costituiscono varianti in corso d’opera ove, pur non comprese nel progetto originario, siano necessarie per l’esecuzione migliore ovvero a regola d’arte dell’appalto o, comunque, rientrino nel piano dell’opera stessa e, invece, sono lavori extracontrattuali se siano in possesso di una individualità distinta da quella dell’opera originaria, pur se ad essa connessi, ovvero ne integrino una variazione quantitativa o qualitativa oltre i limiti di legge, sicché, nel primo caso, l’appaltatore è, in linea di principio, obbligato ad eseguirle, mentre, nel secondo, le opere debbono costituire oggetto di un nuovo appalto (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25800 del
05/09/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 16222 del 08/06/2023; Sez. 1, Ordinanza n. 727 del 15/01/2020; Sez. 2, Sentenza n. 9767 del 12/05/2016; Sez. 1, Sentenza n. 18438 del 01/08/2013; Sez. 1, Sentenza n. 12416 del 07/07/2004; Sez. 1, Sentenza n. 8094 del 14/06/2000; Sez. 1, Sentenza n. 1531 del 19/05/1972).
Ed invero, ricadono nell’ambito dei lavori extracontrattuali le seguenti tre categorie di interventi: a ) i lavori richiesti dal committente, che non abbiano alcuna relazione con l’originaria opera appaltata, non costituendone un suo completamento o un suo sviluppo o una sua sostituzione, ma una mera aggiunta; b ) i lavori che incidono in modo cos ì radicale sull’opera commissionata, tanto da modificarne la natura, cioè l’essenza, a cui fa riferimento l’art. 1661, secondo comma, c.c.; c ) le opere modificative richieste, allorquando l’opera appaltata sia stata già ultimata e accettata.
I suddetti lavori non vanno ad incidere sulle clausole negoziali, sicché non rilevano, se non in via di fatto, ai fini del pattuito termine di consegna delle opere (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23291 del 31/10/2014).
Solo ove tali patti posteriori avessero avuto un’efficacia integrativa o avversativa del contenuto dell’originario contratto stipulato, senza avere alcuna autonomia negoziale, a fronte della stipulazione per iscritto del contratto (non richiesta ad substantiam ) -e, dunque, riscontrabile in un documento, quale scrittura racchiudente una vera e propria convenzione -, di cui tali patti avessero costituito mera appendice con valenza accessoria, l’ammissione della prova testimoniale sarebbe stata subordinata alla previa valutazione della qualità delle parti, della
natura del contratto e di ogni altra circostanza da cui potesse apparire verosimile che fossero state apportate aggiunte o modificazioni verbali all’unico contratto concluso, peraltro alla stregua di una valutazione discrezionale rimessa al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 11932 del 22/05/2006; Sez. 3, Sentenza n. 6109 del 20/03/2006; Sez. 2, Sentenza n. 10319 del 28/05/2004; Sez. 2, Sentenza n. 10969 del 20/12/1994; Sez. 2, Sentenza n. 10433 del 21/10/1993; Sez. 1, Sentenza n. 7660 del 01/08/1990; Sez. 3, Sentenza n. 6246 del 24/11/1981; Sez. 3, Sentenza n. 4287 del 25/09/1978; Sez. 3, Sentenza n. 3978 del 04/12/1974; Sez. 3, Sentenza n. 2842 del 03/10/1972; Sez. 3, Sentenza n. 768 del 21/03/1970; Sez. 1, Sentenza n. 2287 del 10/08/1963).
4.2. -A fortiori , quand’anche tali opere ulteriori fossero state classificate come varianti si sarebbe comunque trattato, non già di variazioni concordate del progetto su impulso dell’assuntore, come regolate dall’art. 1659 c.c., bensì di variazioni ordinate dal committente, disciplinate dall’art. 1661 c.c., a mente del cui primo comma, secondo periodo, l’appaltatore ha diritto al compenso per i maggiori lavori eseguiti, anche se il prezzo era stato determinato globalmente (ossia a corpo).
Ne discende che la forma dell’ordine dell’appaltante è libera e, dunque, esso può essere dato anche verbalmente, purché sia preciso e determinato.
E ciò in osservanza del principio secondo cui l’appaltatore può dimostrare con ogni mezzo di prova, ivi comprese le presunzioni, che le variazioni dell’opera appaltata sono state richieste dal committente, in quanto la prova scritta dell’autorizzazione di
quest’ultimo è necessaria soltanto quando le variazioni sono dovute all’iniziativa dell’assuntore (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24246 del 09/08/2023; Sez. 2, Ordinanza n. 40122 del 15/12/2021; Sez. 2, Sentenza n. 19099 del 19/09/2011; Sez. 2, Sentenza n. 208 del 11/01/2006; Sez. 2, Sentenza n. 8528 del 28/05/2003; Sez. 2, Sentenza n. 6398 del 22/04/2003; Sez. 2, Sentenza n. 7242 del 28/05/2001; Sez. 2, Sentenza n. 3040 del 15/03/1995; Sez. 2, Sentenza n. 7851 del 24/09/1994; Sez. 2, Sentenza n. 466 del 18/01/1983; Sez. 2, Sentenza n. 106 del 07/01/1980; Sez. 2, Sentenza n. 3596 del 06/08/1977; Sez. 3, Sentenza n. 2431 del 14/07/1972; Sez. 1, Sentenza n. 2358 del 09/07/1968).
Nella fattispecie, sulla scorta delle testimonianze assunte, la sentenza impugnata ha ritenuto dimostrata la commissione di opere aggiuntive a cura dell’appaltante.
5. -Con l’unico motivo svolto nel ricorso incidentale il controricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione agli artt. 112 e 116 c.p.c. e al contratto d’appalto concluso inter partes , per avere la Corte del gravame escluso il pagamento dell’ulteriore compenso dovuto in forza delle pattuizioni negoziali -e segnatamente dell’art. 2 del contratto d’appalto del 12 dicembre 2002 -, in quanto, a fronte di un corrispettivo concordato a corpo nella misura di euro 490.634,05, oltre IVA al 20%, per un importo lordo pari ad euro 588.760,86, cui avrebbero dovuto aggiungersi euro 25.822,85 a titolo di oneri di sicurezza, il
committente aveva corrisposto la sola somma di euro 420.800,00, comprensiva dell’IVA.
Sicché, secondo il ricorrente incidentale, la quantificazione del residuo dovuto, alla stregua dell’originario contratto di appalto, sarebbe stata la conseguenza di un errore di calcolo imputabile al consulente tecnico d’ufficio nel giudizio d’appello, posto che tale residuo sarebbe stato erroneamente determinato in euro 164.783,71, anziché in euro 193.783,71.
5.1. -Il motivo è infondato.
Infatti, la sentenza impugnata ha debitamente tenuto conto del compenso pattuito nel contratto d’appalto del 12 dicembre 2002, pari, al lordo, alla complessiva somma di euro 614.583,71 (di cui euro 490.634,05 a titolo di capitale, euro 98.126,81 a titolo di IVA al 20%, per un totale di euro 588.760,86, oltre euro 25.822,85 a titolo di oneri di sicurezza).
Da tale importo sono stati detratti gli acconti versati (e dimostrati) dall’appaltante, nella complessiva misura di euro 449.800,00, di cui euro 420.800,00 mediante bonifici (debitamente elencati nel corpo del ricorso principale) ed euro 29.000,00 mediante assegni (anch’essi elencati nel corpo del ricorso principale), con un residuo dovuto correttamente determinato in euro 164.783,71.
La sentenza impugnata ha tenuto conto altresì dell’importo spettante a titolo di compenso per le opere aggiuntive realizzate, pari ad euro 51.469,73, oltre IVA al 20% per euro 10.293,94, per un totale di euro 61.763,67, e dell’importo non spettante per le opere programmate ma non eseguite, nella misura di euro 51.104,28, comprensiva di IVA, con la conseguente coerente
determinazione del corrispettivo ancora dovuto nella somma di euro 175.443,10, comprensiva di IVA.
6. -In conseguenza delle considerazioni esposte, il ricorso principale e il ricorso incidentale devono essere respinti.
In ragione della soccombenza reciproca non paritaria tra le parti, ai sensi dell’art. 92, secondo comma, c.p.c., le spese e compensi di lite devono essere compensati per metà mentre la residua metà deve essere posta a carico del ricorrente, con liquidazione come da dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
rigetta il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, compensa tra le parti per metà le spese del presente giudizio di legittimità e condanna il ricorrente principale alla refusione, in favore del controricorrente, della residua metà di tali spese, che liquida, per l’intero, in complessivi euro 7.900,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda