Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 14974 Anno 2025
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al N. 11033/2022 R.G., proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, con l’avv. NOME COGNOME come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale come in atti
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE ROMA CAPITALE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, rappresentata e difesa da ll’ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale come in atti
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza del la Corte d’appello di Roma n. 1398/2022 pubblicata il
2.3.2022;
udita la relazione della causa svolta nella adunanza camerale del 25.3.2025 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 4.11.2010, NOME COGNOME convenne in giudizio la Provincia di Roma dinanzi al Tribunale di Velletri, sez. dist. di Frascati, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni derivati all’immobile di sua proprietà sito in Grottaferrata, INDIRIZZO composto da una superficie coperta (edificio più alloggio del custode) pari a circa mq. 1172 complessivi e da un terreno scoperto annesso sistemato a parco di circa 5.000 mq, concesso in locazione all’ente locale (oggi Città Metropolitana di Roma Capitale) con decorrenza 22.12.2000, in un primo momento per uso scolastico e, a seguito di modifica contrattuale del successivo 5.7.2001, con destinazione a sede dell’Istituto Regionale per le Ville Tuscolane e affidato ad Azienda Sviluppo Provincia (ASP ). Dedusse l’attrice che, al momento della riconsegna da parte della Provincia in data 6.3.2009, si erano rilevati danni ingenti alle piante e alla pavimentazione esterna del parco, dovute alla carente manutenzione da parte della Provincia, in violazione del l’art. 7 del contratto di locazione, che in tesi poneva a carico della conduttrice la manutenzione delle parti esterne e delle essenze arboree, e che l’assenza di tale manutenzione, nonché l’effettuazione di alcuni interventi di scavo, avevano causato i danni dedotti in relazioni peritali e computi metrici estimativi, come da documentazione allegata. Costituitasi la Provincia e istruita la causa, con sentenza n. 1388/2015 il Tribunale di Velletri condannò l’ente al risarcimento dei danni in misura pari ad € 170.888,61, oltre accessori, stante l’accertato inadempimento da parte dello stesso ente degli obblighi previsti dall’art. 7 del contratto.
La Città Metropolitana di Roma Capitale propose dunque appello e, nella resistenza di NOME COGNOME la Corte d’appello di Roma lo accolse parzialmente con sentenza del 2.3.2022, riducendo il quantum condannatorio ad € 59.486,91, oltre accessori. Osservò la Corte capitolina che, in virtù della clausola di cui all’art. 7 del contratto, al proprietario competeva la rasatura del manto erboso e alla Provincia la manutenzione delle ulteriori superfici scoperte di propria pertinenza, con particolare riguardo alle essenze ed agli alberi di alto fusto ivi esistenti, senza distinzione di costi e di importanza degli interventi, compresa anche la manutenzione del piano stradale, come pure accertato dal Tribunale; che però, quest’ultimo – accertando la responsabilità esclusiva del conduttore -aveva trascurato il fatto notorio dell’incidenza negativa delle radici di alberi di pino al di sotto del manto stradale per il sollevamento delle radici, agevolato dal transito e dalla sosta dei veicoli, consentiti dal contratto, come anche evidenziato dalla CTU, sicché non poteva escludersi la corresponsabilità della parte proprietaria-locatrice, determinata in misura del 65%, residuando dunque una concorrente responsabilità della conduttrice nella misura del 35%: la prevalenza della responsabilità del locatore era determinata -secondo il giudice d’appello -in considerazione dei maggiori danni provocati dalla circolazione dei veicoli, uso non vietato dal contratto.
Avverso detta sentenza ricorre per cassazione NOME COGNOME sulla scorta di un unico motivo, cui resiste con controricorso la Città Metropolitana di Roma Capitale, che ha pure proposto ricorso incidentale, affidato ad un solo motivo. NOME COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE
1.1 -Con l’unico motivo, NOME COGNOME lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1322, 1363, 1367, 1576, 1590, 1418, 1419 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la Corte d’appello erroneamente ritenuto di porre a carico del proprietario-locatore il 65% del costo degli interventi necessari per le riparazioni e il ripristino delle aree scoperte, diverse dalle superfici erbose. Si sostiene che , con la clausola di cui all’art. 7 del contratto inter partes , le parti avevano significativamente derogato alla disciplina codicistica di cui agli artt. 1576 e 1590 c.c., al contrario di quanto invece ritenuto dalla Corte d’appello, utilizzando il fatto notorio dell’incidenza delle radici dei pini per aggravare la posizione di essa Sagna, benché il fatto stesso non potesse che essere noto alle parti in sede di negoziazione. In sostanza, la Corte romana sarebbe incorsa nella violazione delle norme che prevedono la derogabilità delle norme codicistiche disciplinanti la ripartizione tra locatore e conduttore degli obblighi di manutenzione e ripristino dei beni oggetto di locazione, senza tener conto di quanto pattuito con la clausola di cui all’art. 7 del contratto.
RICORSO INCIDENTALE
1.2 -Con l’unico motivo la Città Metropolitana lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1576 e 1590 c.c. La Corte d’appello avrebbe del pari errato nell’interpretazione della clausola di cui all’art. 7 del contratto, perché essa non derogava alla ordinaria ripartizione codicistica delle spese.
2.1 -Il ricorso principale è inammissibile . Con l’unico mezzo, in buona sostanza, si denuncia l’erronea interpretazione che la Corte d’appello avrebbe reso in ordine al contenuto della clausola di cui all’art. 7 del contratto, con cui le parti avevano regolato i rispettivi obblighi manutentivi, e si lamenta la violazione, tra l’altro, delle disposizioni di cui all’art. 1363 e 1367 c.c., in tema di interpretazione sistematica delle clausole contrattuali e del principio di conservazione. Da tali pretesi errores in iudicando , in thesi , discenderebbe la violazione delle ulteriori disposizioni rubricate.
Ora, a parte il fatto che il motivo risulta assolutamente deficitario e aspecifico con riguardo a tutte le disposizioni rubricate, per alcune delle quali non viene speso neppure un rigo a dimostrazione della pretesa violazione (il che vale, in particolare, per gli artt. 1218, 1322, 1418 e 1419 c.c.), è ben noto che in ordine ai criteri di ermeneutica negoziale, nella giurisprudenza di questa Corte, è consolidato il principio per cui ‘ il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata ‘ (così, ex multis , Cass. n. 9461/2021); del resto, è anche consolidato il principio per cui ‘ Per sottrarsi al sindacato di
legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra ‘ (Cass. n. 24539/2009; Cass. n. 28319/2017).
2.2 -Così stando le cose, il mezzo in esame non coglie nel segno. Risulta infatti evidente come la ricorrente principale non abbia adeguatamente censurato la pretesa erronea attività ermeneutica del giudice d’appello, non essendosi specificamente indicati gli errori in cui questi sarebbe incorso, ma essendosi soltanto propugnata una soluzione interpretativa diversa ed alternativa rispetto a quella fatta propria dalla sentenza impugnata, così incorrendo nella
inammissibilità della censura.
In buona sostanza, il motivo in esame postula la violazione delle norme esegetiche solo all’esito di una rivalutazione della quaestio facti e non in via diretta, né sotto il profilo della violazione né sotto quello della falsa applicazione delle relative norme di diritto rubricate.
3.1 -Il ricorso incidentale, ai sensi dell’art. 334, comma 2, c.p.c., è pertanto inefficace , stante l’inammissibilità del principale , giacché l’impugnazione della Città Metropolitana è da considerare tardiva, in relazione al termine breve.
4.1 In definitiva, il ricorso principale è inammissibile, mentre il ricorso incidentale è inefficace. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso principale inammissibile e il ricorso incidentale inefficace. Condanna la ricorrente principale alla rifusione delle spese processuali, che liquida in € 5.6 00,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data