Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 27189 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 27189 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35455/2019 R.G. proposto da: CURATELA DEL FALLIMENTO LANIFICIO RAGIONE_SOCIALE E DEI SOCI ILLIMITATAMENTE RESPONSABILI COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 948/2019 depositata il 18/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 02/10/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Prato rigettava la domanda proposta dalla curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e del fallimento dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME e NOME COGNOME , volta ad ottenere l’accertamento dell’inefficacia, perché simulato, del negozio stipulato con atto dell’11 marzo 2003 con il quale NOME COGNOME aveva provveduto ad intestare a se stesso il diritto di abitazione ed alla moglie NOME COGNOME la proprietà di un immobile ubicato nel Comune di Prato e la conseguente dissimulazione d ell’effettiva intestazione del bene in capo allo stesso NOME COGNOME COGNOME del caso in comproprietà con la NOME COGNOME.
Il Tribunale, inquadrata la fattispecie nell’istituto dell’interposizione fittizia di persona collocato nel più generale fenomeno della simulazione relativa soggettiva, nonché richiamata unanime giurisprudenza, evidenziava che dalle risultanze di causa non potevano dirsi sussistenti elementi probatori utili a ritenere provata la domanda, con particolare riferimento alla prova scritta con controdichiarazione riferibile all’accordo simulator io quale reciproca intesa delle parti sulla divergenza tra il contratto stipulato ed il loro effettivo rapporto e altresì alla effettiva prova della partecipazione del terzo (la convenuta contumace Fin immobiliare).
La curatela attrice proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Resistevano al gravame NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
La C orte d’ Appello di Firenze rigettava il gravame. In particolare, il giudice dell’appello evidenziava che la curatela doveva considerarsi terza rispetto al contratto e, dunque, non soggetta al severo regime probatorio riservato alle parti. Dunque, in tale parte la sentenza era erronea potendo il curatore del fallimento provare anche con testimoni la sussistenza dell’atto sotto simulato sotto la forma dell’interposizione ex articolo 1417 c.c.
Quanto all’ipotizzato litisconsorzio necessario della società venditrice la C orte d’ Appello la riteneva superflua mancando la prova del suo interesse o della sua consapevolezza o volontà di aderire all’accordo simulatorio spettando al potere della Corte individuare la sussistenza o meno dell’interesse concreto ad agire o a contraddire del venditore. Nella specie non era stata neanche allegata la partecipazione all’accordo simulatorio di NOME, terza venditrice e tantomeno provata la sua consapevole adesione alla presunta intesa raggiunta tra i COGNOME.
La curatela del fallimento lamentava l’erronea ricostruzione in fatto, sussistendo sufficienti elementi probatori e documenti depositati dinanzi al Tribunale dai quali desumere la prova certa della simulazione. Tra le prove vi era quella relativa al fatto che il prezzo della vendita era stato pagato tutto da parte del NOME COGNOME con provvista derivante dal suo conto corrente e che egli aveva inizialmente sottoscritto il contratto preliminare.
Secondo la Corte tale documentazione era insufficiente a provare la simulazione del contratto alla luce della circostanza riferibile all’assenza di prova dello stato di insolvenza del debitore al momento del pagamento del prezzo del contratto e di quello nel quale fu sottoscritto il rogito definitivo, considerato il lungo tempo trascorso prima che il COGNOME venisse dichiarato fallito.
La sentenza di fallimento, infatti, era del 16 aprile 2008 mentre il contratto era dell ’11 marzo 2003 , con il quale la venditrice aveva trasferito a NOME COGNOME il diritto di abitazione e alla moglie di quest’ultimo NOME COGNOME la proprietà dell’immobile in oggetto. Gli effetti economici erano stati fatti decorrere dal 19 luglio 2000 e il 21 luglio NOME COGNOME aveva versato alla società venditrice la somma di 160.000.000 di lire pari ad euro 82.633 a titolo di caparra confirmatoria. Con convenzione del 29 novembre 2001 i COGNOME COGNOME avevano modificato il regime patrimoniale del proprio nucleo familiare passando dalla comunione legale dei beni a quello di separazione dei beni. Mancava pertanto la simulazione in frode ai creditori, che presuppone anche lo stato di insolvenza in capo al fallito al momento della stipulazione del rogito e non era spesa alcuna prova al fine di dar conto di una situazione debitoria riferibile al periodo 2000-2003 tale da giustificare l’intento del COGNOME di spogliare il proprio patrimonio e rendersi inadempiente rispetto alle obbligazioni contratte nella gestione della società gestita con la figlia NOME.
La C orte evidenziava che l’onere probatorio ex articolo 2697 c.c. era a carico della parte interessata a provare la simulazione e, richiamati gli elementi presuntivi che in astratto potevano indurre l’interprete a desumere il fatto ignoto da quello noto, riteneva che
nella specie non vi fosse un compendio indiziario tale da poter accogliere la domanda soprattutto in relazione alla causa del contratto e della ragione dello scopo pratico perseguito.
La curatela del fallimento del RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME e dei soci illimitatamente responsabili NOME COGNOME e NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha nno insistito nelle rispettive richieste.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione falsa applicazione degli articoli 1414 e 1415 c.c. anche con riferimento all’articolo 2697 c.c.
La C orte d’ Appello di Firenze avrebbe erroneamente ritenuto necessaria la prova dello Stato di insolvenza del debitore al momento del pagamento del prezzo del contratto asseritamente simulato e, in tal modo, avrebbe gravato il curatore che agisce in qualità di terzo, ai sensi del l’articolo 1415 , secondo comma, c.c. dell’onere di dimostrare l’esistenza di un elemento quale lo stato di insolvenza, del tutto estraneo alla fattispecie della simulazione relativa per interposizione fittizia come disciplinata dagli articoli 1414 e 1415, confondendo l’istituto con quello dell’azione revocatoria ex articolo 2901 c.c.
1.1 Il primo motivo di ricorso è infondato.
La Corte non ha affermato che fosse necessaria la sussistenza di una situazione di esposizione debitoria in capo al simulato
alienante quale elemento costituivo della fattispecie e che in mancanza di tale presupposto non poteva accogliersi la domanda di simulazione.
Al contrario, la Corte d’Appello ha ritenuto che il compendio indiziario dal quale trarre la prova presuntiva della simulazione fosse insufficiente e tra le varie circostanze concrete ha attribuito rilievo anche alla mancanza di prova di una situazione debitoria tale da giustificare la c.d. causa simulandi. Infatti, ancorché non costituisca un elemento necessario della interposizione fittizia, comunque, l’individuazione della “causa simulandi”, cioè del motivo concreto per il quale le parti abbiano posto in essere un contratto in realtà non voluto, dando vita ad una mera apparenza, resta rilevante per fornire indizi rivelatori dell’accordo simulatorio (Sez. 2, Ordinanza n. 2539 del 27/01/2023, Rv. 666801 -01; conf. Sez. 3, Sentenza n. 8428 del 11/04/2006, Rv. 588737 – 01).
La Corte, infatti, dopo aver fornito un analitico elenco dei possibili elementi presuntivi da valorizzare al fine di raggiungere la prova della simulazione il cui onere è a carico dell’attore, ne ha evidenziato l’ inconsistenza con riferimento al caso concreto. Infatti, oltre all’assenza di un’esposizione debitoria al momento della stipula del negozio, ha richiamato la ratio del regime di comunione legale che giustificava ampiamente la scelta dei COGNOME, e soprattutto, ha affermato che non era stata dedotta, allegata e tantomeno provata la consapevolezza e volontà di aderire all’accordo simulatorio in capo alla società venditrice RAGIONE_SOCIALE.
In proposito deve ribadirsi che: L’interposizione fittizia di persona postula la imprescindibile partecipazione all’accordo simulatorio non solo del soggetto interponente e di quello
interposto, ma anche del terzo contraente, chiamato ad esprimere la propria adesione all’intesa raggiunta dai primi due (contestualmente od anche successivamente alla formazione dell’accordo simulatorio) onde manifestare la volontà di assumere diritti ed obblighi contrattuali direttamente nei confronti dell’interponente, secondo un meccanismo effettuale analogo a quello previsto per la rappresentanza diretta, mentre la mancata conoscenza, da parte di detto terzo, degli accordi intercorsi tra interponente ed interposto (ovvero la mancata adesione ad essi, pur se da lui conosciuti) integra gli estremi della diversa fattispecie dell’interposizione reale di persona. Ne consegue che, dedotta in giudizio la simulazione relativa soggettiva di un contratto di compravendita immobiliare, la prova dell’accordo simulatorio deve, necessariamente consistere nella dimostrazione della partecipazione ad esso anche del terzo contraente (Sez. 2, Sentenza n. 6451 del 18/05/2000, Rv. 536633 – 01).
Nella specie parte ricorrente non si confronta con questa parte della decisione che ha escluso che fosse stata perfino allegata la partecipazione all’accordo simulatorio di NOME, terza venditrice e tantomeno provata la sua consapevole adesione alla presunta intesa raggiunta tra i COGNOME COGNOME–
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 1415 c.c.
La sentenza sarebbe censurabile nella parte in cui afferma che l’eventuale insussistenza dello stato di insolvenza di NOME COGNOME al momento della corresponsione della caparra, il 19 luglio 2000, ovvero al momento della stipula del definitivo con contestuale pagamento del saldo, in data 11 marzo 2003, potesse
rilevare agli effetti di cui a ll’articolo 1415 , secondo comma, c.c. al fine di escludere l’interesse ad agire in simulazione del curatore. Infatti, il momento di insorgenza del credito è rilevante ai fini della ricorrenza dell’interesse ad agire ex articolo 1415, secondo comma, c.c. essendo sufficiente che il credito sia esistente al momento della proposizione della domanda.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Anche in questo caso la censura non si confronta con la effettiva decisione della Corte d’appello la quale, al contrario di quanto lamenta il ricorrente, non solo ha ritenuto sussistente l’interesse ad agire del curatore ma lo ha anche correttamente qualificato come terzo rispetto al contratto, ammesso a provare la simulazione con ogni mezzo senza incontrare i limiti di prova di cui all’articolo 1417 c.c.
Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: nullità della sentenza del procedimento in riferimento all’articolo 115 c.p.c.
La C orte d’ Appello avrebbe affermato in termini esclusivamente ipotetici e in mancanza di prova la sussistenza di accordi di divisione asseritamente intercorsi tra i COGNOME al momento dello scioglimento della comunione legale con l’adozione del regime di separazione dei beni. L ‘a ffermazione del giudice, nella misura in cui poggia su circostanza mai allegata da alcuna delle parti, si risolve nella nullità della sentenza o del procedimento con riferimento alla regola di giudizio ex art. 115 c.p.c. che fissa il divieto dell’utilizzazione del sapere privato dovendosi decidere in base alle prove sulle allegazioni delle parti.
Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. La censura è ripetitiva della precedente sotto il profilo della violazione di legge.
4.1 Il terzo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili.
Da un lato, come riportato nello stesso ricorso, il COGNOME aveva evidenziato che la somma pagata per l’acquisto proveniva da denaro appartenente alla comunione legale dei COGNOME e dall’altro il giudice del merito formula un’ipotesi alternativa nella ricostruzione dei fatti al fine di evidenziare come il compendio indiziario non consentisse in base alla prova presuntiva di dedurre il fatto ignoto della simulazione dai fatti noti prospettati dalla curatela. Nessuna violazione dell’art. 115 c.p. c, pertanto, può dirsi realizzata nella specie. Deve ribadirsi, infatti, che per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U – , Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01).
Peraltro, anche in questo caso, vale quanto detto in riferimento al primo motivo, circa la mancanza di allegazione e prova della partecipazione della parte venditrice all’accordo simulatorio e,
poiché parte ricorrente non censura tale parte della sentenza la censura è inammissibile anche sotto questo ulteriore profilo.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 5000, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione