Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 10703 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 10703 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/04/2025
Oggetto: Azione di nullità
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22115/2021 R.G. proposto da COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME.
-ricorrente -contro
COGNOME, rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e, anche disgiuntamente, dall’avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, INDIRIZZO
COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME nel cui studio in Roma, INDIRIZZO sono elettivamente domiciliati.
-controricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE COGNOME in Liquidazione, RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la sentenza n. 1816/2021 della Corte d’Appello di Napoli, pubblicata il 19/5/2021 e notificata il 19/5/2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 2 aprile 2025 dalla dott.ssa NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. Con citazione notificata il 3-4 Marzo 2011, NOME COGNOME convenne in giudizio la società RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE di NOME ed NOME COGNOME di cui essa era socia accomandataria, nonché, ai fini dell’integrità del contraddittorio, l’altro socio accomandatario, NOME COGNOME e i soci accomandanti, NOME COGNOME e NOME COGNOME esponendo che i predetti soci avevano sottoscritto, in data 30/11/2002, un atto di assegnazione di immobili facenti parte del fabbricato sito in Napoli, INDIRIZZO nn. 405 e 425, di proprietà della società, onde utilizzare l’agevolazione fiscale di cui all’art. 3, legge 28 dicembre 2001, n. 448, obbligandosi contestualmente a procedere, entro 30 giorni, alla stipula di un atto di identificazione catastale per il quale avrebbero dovuto ottenere dall’Amministrazione comunale le autorizzazioni per la realizzazione delle opere all’uopo necessarie, essendo i beni assegnati indeterminati e incerti; che, trascorsi quattro anni senza che i predetti provvedimenti venissero adottati, l’atto era stato trascritto il 29/11/2006 in assenza di frazionamento; che le planimetrie ad esso allegate erano difformi dalla licenza edilizia del 1968; che l’atto di assegnazione del 30/11/2002 era nullo sia per mancanza del potere dispositivo dei soci, spettando questo alla sola società, sia per mancanza del consenso, in quanto mancante quello di NOME COGNOME atteso che il suo procuratore, comparso all’atto, aveva esibito una procura speciale che gli consentiva soltanto di partecipare all’assemblea dei soci della società, sicché si profilava anche la mancanza del potere rappresentativo del falsus procurator senza ratifica e la sussistenza dei presupposti per il risarcimento
dei danni da parte di quest’ultimo, sia per mancanza o impossibilità dell’oggetto, non essendo gli immobili individuati, né individuabili in assenza delle necessarie autorizzazioni amministrative; che era nulla per i predetti motivi anche la trascrizione; e che tale situazione le aveva procurato danni, atteso che, in qualità di amministratrice della società, non aveva potuto usare i beni assegnati per soli motivi fiscali – per la realizzazione di altri programmi sociali. Tutto ciò premesso, l’attrice chiese che venisse dichiarata la nullità dell’atto del 30/11/2002 e della trascrizione eseguita il 29/11/2006, che venisse ordinata la cancellazione della trascrizione e, in subordine, che venisse accertato e dichiarato risolto l’atto di assegnazione, per il mancato rispetto dei termini di cui all’art. 13 dello stesso e per l’inadempimento delle controparti o ancora per l’impossibilità sopravvenuta, e che i convenuti venissero condannati al risarcimento dei danni subiti nella misura non inferiore a euro 250.000,00 e al risarcimento dei danni ex art. 96 cod. proc. civ..
Costituitisi in giudizio, NOME e NOME COGNOME premesso che in data 13/12/2010 la società era stata trasformata da RAGIONE_SOCIALE, che, con atto di citazione del 11/2/2011, COGNOME NOME aveva impugnato il predetto atto di trasformazione chiedendo la declaratoria di inesistenza e nullità dello stesso, di nullità della sua iscrizione nel Registro delle Imprese di Napoli, di nullità e annullamento della nomina di NOME COGNOME ad amministratore e di inesistenza e nullità o annullamento del bilancio relativo all’esercizio 2009, e che, anche in caso di accoglimento della domanda, i beni non avrebbero più potuto far parte del patrimonio della RAGIONE_SOCIALE, chiesero che venisse dichiarata l’incompetenza e/o il difetto di giurisdizione del Tribunale adito in virtù di clausola compromissoria prevista dall’art. 13 dell’atto costitutivo dell’allora RAGIONE_SOCIALE di
RAGIONE_SOCIALE, per essere stata la ragione sociale modificata, in seguito al recesso del socio accomandatario NOME COGNOME COGNOME, in RAGIONE_SOCIALE di NOME ed NOME COGNOME eccepirono l’inammissibilità della domanda per difetto di interesse concreto e attuale, per avere l’attrice partecipato all’atto, e contestarono, nel merito, quanto dedotto.
Si costituì, altresì, COGNOME NOME che chiese il rigetto delle domande proposte, con condanna dell’attrice al risarcimento in suo favore dei danni subiti per la lite temeraria, evidenziando che l’atto impugnato era stato assunto all’unanimità dei soci, inclusa l’attrice, e che era stata presentata domanda di inizio attività per l’esecuzione dei lavori di frazionamento, al termine dei quali erano stati elaborati i documenti per il catasto fabbricati (DOCFA) e per la conseguente trascrizione nei registri immobiliari, con conseguente determinatezza dei beni trasferiti, che il termine fissato non era essenziale, che le opere edili, il frazionamento e la trascrizione erano stati compiuti nei tempi necessari, che nessuna difformità esisteva nelle planimetrie catastali corrispondenti ai DOCFA, che la procura da lui rilasciata prevedeva il compimento di quest’atto, che l’atto non sarebbe stato comunque né nullo né annullabile ma solo inefficacia nei confronti del dominus , che lo aveva, peraltro, ratificato, e che gli effetti dell’atto si erano prodotti immediatamente.
All’udienza dal 14/06/2011, si costituì anche la Società RAGIONE_SOCIALE chiedendo sia la previa declaratoria di nullità dell’atto del 30/11/2002 di assegnazione di immobili ai soci della RAGIONE_SOCIALE, poi trasformata in RAGIONE_SOCIALE, in quanto contrario alla norma imperativa che fissa il divieto di ripartizione dei beni sociali fino all’avvenuto pagamento dei creditori della società o all’accantonamento delle necessarie somme, sia la
restituzione degli immobili onde ristabilire l’integrità del patrimonio sociale, nonché il rigetto della domanda di risarcimento dei danni. Con sentenza n. 11340/2015 del 20/06/2015, il Tribunale di Napoli respinse l’eccezione di difetto di giurisdizione o competenza e la richiesta di sospensione del giudizio e rigettò nel merito la domanda dell’attrice.
Il giudizio di gravame, instaurato da COGNOME NOME con citazione del 29-30/10/2015, si concluse – nella resistenza di RAGIONE_SOCIALE, che propose anche appello incidentale sulle domande avanzate in primo grado, e di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME NOME -con la sentenza n. 1816/2021, pubblicata il 19/05/2021, con la quale la Corte d’Appello di Napoli rigettò l’appello, condannando l’attrice al pagamento delle spese di lite in favore di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME e compensando le spese con riguardo alla posizione di RAGIONE_SOCIALE
Per quanto qui ancora rileva, i giudici di merito ritennero che, pur potendo la nullità essere fatta valere da chiunque vi avesse interesse ex art. 1421 cod. civ., nella specie difettava un interesse concreto e attuale e non meramente ipotetico ed eventuale dell’attrice a far valere la nullità di un atto alla cui formazione aveva anch’essa partecipato, posto che nessuna deduzione era stata svolta in proposito nell’introduzione del giudizio, che soltanto con la comparsa del 14/6/2011 era stato evidenziato l’interesse, dovuto alla presenza di ingenti debiti che, nella mancanza di beni della società, avrebbero esposto la stessa alla perdita del beneficio dell’escussione ex art. 2318 cod. civ., che detta affermazione, oltreché generica, era rimasta priva di specifica deduzione e prova in merito alla sussistenza di creditori sociali pregiudicati dall’atto di dismissione del patrimonio sociale, anche da parte della società che pure aveva chiesto la nullità per questo specifico motivo, e che
neppure nell’atto di appello erano stati specificati e documentati i debiti sociali, come pure gli eventuali rischi di escussione dell’attrice, ancorché nell’atto di citazione si fosse fatto riferimento a debiti non pagati di Equitalia, al c.t.u. COGNOME, ai compensi ai difensori e al rischio di contenzioso.
Contro la predetta sentenza, COGNOME NOME propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME resistono con controricorso. RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1 Preliminarmente vanno rigettate le eccezioni di inammissibilità del ricorso per difetto di autosufficienza e di specificità dei motivi, in ragione della non compiuta specificazione dei fatti di causa (v. controricorso di NOME COGNOME.
Se è vero, infatti, che, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito (tra le tante Cass., Sez. 6-3, 28/5/2018, n. 13312; Cass., Sez. 6-3, 3/2/2015, n. 1926), è anche vero che, secondo il più recente orientamento nomofilattico, il requisito
dell’autosufficienza, corollario del requisito di specificità dei motivi, deve essere interpretato in maniera elastica (Cass., Sez. 1, 2/5/2023, n. 11325), in conformità all’evoluzione della giurisprudenza di questa Corte -oggi recepita dal nuovo testo dell’art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022 -e alla luce dei principi stabiliti nella sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (COGNOME RAGIONE_SOCIALE), che lo ha ritenuto compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, a condizione che, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa (Cass., Sez. 1, 19/4/2022, n. 12481); tra l’altro, esso non può tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, ove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass. Sez. U, 8950/2022; Cass., Sez. 1, 7/11/2023, n. 30917).
Nella specie, la ricorrente ha adeguatamente ricostruito le vicende fattuali e processuali riguardanti le fasi di merito, sicché non sussiste la dedotta inammissibilità.
Ciò chiarito e venendo all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 343 e 346 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello rilevato la carenza di interesse ad agire di NOME COGNOME senza che avverso la relativa implicita statuizione positiva resa dal giudice di primo grado, che si era pronunciato nel merito della pretesa, fosse stato ritualmente proposto appello incidentale da parte di NOME ed NOME COGNOME.
Ad avviso della ricorrente, i giudici avevano errato allorché avevano ritenuto che l’eccezione di difetto di interesse dell’attrice, sollevata
dagli appellati, non dovesse essere oggetto di appello incidentale, essendo sufficiente la sua riproposizione, come accaduto nella specie, in quanto il principio da essi richiamato si riferiva ai soli casi in cui fosse mancato l’esame della questione, ma non anche ai casi in cui il giudice si fosse pronunciato, anche implicitamente, sull’eccezione. Tale situazione era quella verificatasi nella specie, atteso che il Tribunale aveva esaminato nel merito le pretese dell’attrice, che aveva rigettato, avendo preliminarmente e implicitamente individuato l’interesse dell’istante a ottenere una pronuncia dichiarativa di nullità dell’atto dispositivo, di talché, trattandosi di eccezione esaminata e implicitamente rigettata e non di eccezione semplicemente assorbita, sarebbe stato onere degli appellati proporre appello incidentale sul punto.
Questo motivo è infondato.
La questione posta con la censura in esame concerne la necessità, per la parte vittoriosa nel merito, di proporre appello incidentale per far valere davanti al giudice dell’impugnazione il mancato accoglimento di un’eccezione pregiudiziale, imponendo di stabilire se sia idonea ad impedire la preclusione da giudicato la mera riproposizione dell’eccezione, come prevede l’articolo 346 cod. proc. civ., o se piuttosto occorra una vera e propria impugnazione in via incidentale della sentenza.
Le sezioni unite nel 2017 hanno affermato, in tema di impugnazioni, che qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345, comma 2, c.p.c. (per il giudicato interno formatosi ai
sensi dell’art. 329, comma 2, c.p.c.), né sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345, comma 2, c.p.c (cfr. Sez. U – , Sentenza n. 11799 del 12/05/2017).
Sempre questa Corte ha già affermato, con orientamento che qui si condivide, che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione “le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado”, ossia quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, ma è soltanto tenuta a riproporle espressamente nel giudizio di appello, in modo tale da manifestare la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., rimanendo segnato il discrimine tra la necessità dell’appello incidentale e la riproponibilità di una eccezione ex art. 346 cod. proc. civ. dall’esistenza o meno di una decisione sull’eccezione (Cass., Sez. 1, 23/09/2021, n. 25840; Cass., Sez. 1, 16/06/2020, n. 11653; Cass., Sez. L, 28/11/2016 , n. 24124; Cass., Sez. 1, 23/04/2015, n. 8317; Cass. 26/11/2010 n. 24021; Cass., Sez. 2, 11/06/2010, n. 14086).
Come osservato da Cass., Sez. U, 16/10/2008, n. 25246, con l’espressione “non accolte” il legislatore ha, infatti, evidentemente inteso, avendola utilizzata in luogo dei termini “rigettate” o “respinte”, fare riferimento a situazioni diverse da quella costituita da un’espressa pronunzia negativa sulla domanda o sull’eccezione, e ritenuto, piuttosto, di regolare quelle diverse ipotesi decisionali nelle quali il mancato accoglimento non si coniuga con un’espressa reiezione, ma con la pretermessa valutazione delle domande e delle eccezioni considerate, quali l’omessa pronunzia o la pronunzia, implicita od esplicita, d’assorbimento; anche perché, ove si fosse fatto effettivo riferimento a domande “respinte”, la norma si porrebbe in contrasto con il principio della soccombenza e con le regole sull’introduzione del processo di gravame, per le quali la riproposizione in secondo grado delle domande e delle eccezioni autonome rigettate in primo richiede la forma del gravame principale o incidentale.
In presenza d’una domanda o d’un’eccezione autonoma espressamente e motivatamente respinta, infatti, l’attività processuale della parte interessata ad ottenere una difforme statuizione al riguardo -prosegue la citata pronuncia delle Sezioni Unite non potrebbe considerarsi disciplinata dall’art. 346 cod. proc. civ., che consente la semplice riproposizione della domanda o dell’eccezione – pur autonome ma sulle quali non siasi avuta una decisione o, seguendo diversa teoria, non autonome e interne al capo di domanda deciso , ‘ma dovrebbe ritenersi disciplinata dall’art. 329, secondo comma, cod. proc. civ., per il quale, coerentemente col principio della soccombenza, le decisioni autonome sfavorevoli contenute nella sentenza devono essere oggetto di specifica impugnazione, principale o incidentale, ad opera della parte interessata, pena la presunzione di acquiescenza, coerentemente con la natura di revisio prioris instantiae e non di
iudicium novum del giudizio d’appello e con la specificità dei motivi di impugnazione, per la quale si richiede che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime, non essendo le statuizioni di una sentenza separabili dalle argomentazioni che le sorreggono, onde alla parte volitiva dell’appello deve sempre accompagnarsi una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice.
Ciò comporta che, coerentemente con la natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, la parte vittoriosa è tenuta a proporre appello incidentale solo quando vi sia un’espressa pronuncia di rigetto, sorretta da motivazione, in ordine ad una domanda o un’eccezione da essa proposta, essendo in tal caso chiamata a prendere espressa posizione sulle argomentazioni ivi proposte e svolgere su di esse adeguata critica, ma non anche quando le eccezioni risultino superate o non esaminate perché assorbite o siano state esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni, essendo in tal caso tenuta a riproporle ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., a meno che non si tratti di eccezioni rilevabili d’ufficio.
Come chiarito, infatti, da Cass., Sez. U, 21/3/2019, n. 7940, sia pure analizzando la diversa questione della tempestività della riproposizione nell’ambito di un giudizio soggetto ratione temporis alle norme codicistiche introdotte con la riforma di cui al d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, conv. dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534, e anteriore alla riforma di cui alla legge n. 80 del 2005, esulano dall’ambito applicativo della disposizione di cui all’art. 346 cod. proc. civ., oltre alle mere difese – ossia le mere contestazioni o negazioni del fatto costitutivo, nell’ambito dei fatti che il giudice è già chiamato a conoscere, quand’anche il convenuto deduca nuove
e diverse circostanze di fatto, purché idonee, se provate, a determinare l’inesistenza del fatto principale, le quali tutte possono essere esaminate d’ufficio dal giudice d’appello anche senza necessità di appello incidentale o riposizione -, anche le questioni rilevabili d’ufficio che non siano state oggetto di esame e decisione e di alcuna soluzione nella motivazione della sentenza di primo grado, le quali possono essere rilevate d’ufficio dal giudice d’appello senza neppure la necessità della loro riproposizione.
Nella specie, i giudici d’appello hanno evidenziato che l’eccezione del difetto di interesse all’azione, in capo all’appellante, non era stata espressamente trattata dal giudice di primo grado, che era passato ad analizzare direttamente il merito della contesa, tant’è che la stessa ricorrente aveva fondato la censura parlando di decisione implicitamente assunta e, dunque, necessariamente anche non motivata.
E se così è, deve ritenersi corretta la decisione assunta, allorché indica come sufficiente la riproposizione dell’eccezione di difetto di interesse in capo all’appellante e non necessaria la proposizione di un appello incidentale, rifacendosi peraltro al principio espresso dalla Sez. L di questa Corte, n. 24124 del 28/11/2016, la quale, nell’affermare che la parte pienamente vittoriosa nel merito in primo grado, difettando di interesse al riguardo, non ha l’onere di proporre, in ipotesi di gravame formulato dal soccombente, appello incidentale per richiamare in discussione ” le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado ” (da intendersi come quelle che risultino superate o non esaminate perché assorbite o anche quelle esplicitamente respinte qualora l’eccezione mirava a paralizzare una domanda comunque respinta per altre ragioni), ma è soltanto tenuta, ai sensi dell’art. 346 cod. proc. civ., a riproporle espressamente nel giudizio di appello in modo tale da manifestare
la sua volontà di chiederne il riesame, al fine di evitare la presunzione di rinuncia derivante da un comportamento omissivo.
2 Con il secondo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito ritenuto insussistente, per NOME COGNOME l’interesse ad agire, senza considerare che questo era stato dedotto.
La ricorrente, dopo avere chiarito che la controversia non riguardava una delibera societaria, ma un atto dispositivo tra privati posto in essere per motivi fiscali, ha affermato che il proprio interesse era dato sia dalla necessità di rispristinare la legalità, posto che il bene trasferito avrebbe dovuto mantenere, ai sensi della legge n. 448/2001, lo stato di fatto preesistente, ossia la sua destinazione a scuola, mentre invece, in sede di trascrizione, ne era stata riportata una destinazione tutt’affatto diversa, ossia una divisione per appartamenti mai realizzati; sia dai danni subiti (modifica della rendita catastale e pagamento di alte quote condominiali); sia dall’alterazione del patrimonio ereditario pervenuto ai germani dai genitori NOME COGNOME e NOME COGNOME; sia dallo svuotamento dei beni della società, con grave danno per i creditori, tra cui la stessa ricorrente.
3 Con il terzo motivo di ricorso, si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3-4, cod. proc. civ., per avere i giudici di merito liquidato le spese in favore degli appellati, ritenendo che l’appellante fosse soccombente e omettendo di indicare i criteri utilizzati per la loro quantificazione, con conseguente carenza della motivazione sul punto.
Il secondo motivo è fondato.
I giudici di merito hanno dichiarato il difetto di interesse dell’attrice ad esercitare l’azione di nullità in quanto la predetta non aveva né
dedotto, né dimostrato quale fosse il proprio specifico interesse, considerato che le deduzioni difensive svolte nell’atto introduttivo del giudizio erano sul punto generiche, che non era stata fornita alcuna prova della presenza di creditori della società e che di questo argomento era stata fatta menzione, per la prima volta, con la comparsa del 14/6/2011 sotto il solo profilo dell’illegittimo svuotamento del patrimonio sociale.
Le suddette argomentazioni si discostano però dall’insegnamento di questa Corte, secondo il quale la locuzione ” chiunque vi ha interesse “, che l’art. 1421 cod. civ. usa per individuare i soggetti legittimati ad esperire l’azione di nullità di un contratto, si riferisce ai terzi che, non avendo sottoscritto il contratto, sono rimasti estranei ad esso e non già alle parti stipulanti che, in quanto tali, sono sempre legittimate all’esercizio di detta azione, essendo in re ipsa il loro interesse all’accertamento della nullità (Cass., Sez. 2, Sez. 2, 27/07/1994, n. 7017), sicché soltanto i terzi devono dimostrare la sussistenza di un proprio concreto interesse alla declaratoria di nullità (Cass., Sez. 2, 28/04/2004, n. 8135; Cass., Sez. 1, 14/02/2000, n. 1619), ma non anche le parti, le quali hanno sempre interesse in proposito in ragione dell’attitudine del contratto di cui si invoca la nullità a incidere sulla loro sfera giuridica (Cass., Sez. 2, 5/2/2020, n. 2670; Cass., Sez. 1, 7/7/1977, n. 3024; Cass., Sez. 1, 7/3/1967, n. 526).
Consegue da quanto esposto la fondatezza della censura e la cassazione della sentenza per nuovo esame, sulla scorta del citato principio.
Resta logicamente assorbito l’esame del terzo motivo (relativo al regime delle spese).
Il giudice di rinvio -che si individua nella Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione – regolerà anche le anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo e dichiara assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Napoli (in diversa composizione) anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 2 aprile 2025.