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Interesse ad agire: quando si può chiedere la nullità

Una socia di un’immobiliare impugnava per nullità un atto di assegnazione di immobili a cui lei stessa aveva partecipato. La Corte d’Appello negava il suo interesse ad agire, non avendo provato un danno concreto. La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione, stabilendo un principio fondamentale: chi è parte di un contratto ha sempre l’interesse ad agire per chiederne la nullità, a differenza dei terzi che devono invece dimostrare un pregiudizio specifico. La causa è stata rinviata alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

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Interesse ad Agire: La Parte di un Contratto Può Sempre Chiederne la Nullità

L’interesse ad agire rappresenta una delle condizioni fondamentali per poter avviare un’azione legale. Senza un interesse concreto e attuale, la domanda giudiziale è inammissibile. Ma cosa succede quando a chiedere la nullità di un contratto è una delle persone che lo ha firmato? Deve dimostrare un danno specifico o il suo interesse è implicito? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito un chiarimento cruciale su questo punto, distinguendo nettamente la posizione delle parti contraenti da quella dei terzi.

I Fatti del Caso: una Causa Societaria

La vicenda nasce dalla decisione di una società immobiliare di assegnare alcuni immobili di sua proprietà ai soci, per usufruire di agevolazioni fiscali. Una delle socie, che aveva partecipato alla stipula dell’atto di assegnazione, decideva in seguito di impugnarlo, chiedendone la declaratoria di nullità per diverse ragioni. Tra queste, la mancanza del potere di rappresentanza in capo al procuratore di un altro socio, l’indeterminatezza dell’oggetto del contratto e la violazione delle norme a tutela dei creditori sociali.

Il Tribunale di primo grado rigettava la domanda. La socia proponeva appello, ma anche la Corte d’Appello le dava torto, dichiarando la sua domanda inammissibile per carenza di interesse ad agire. Secondo i giudici di secondo grado, avendo lei stessa partecipato all’atto, avrebbe dovuto dimostrare un interesse specifico, concreto e attuale alla declaratoria di nullità, cosa che, a loro avviso, non aveva fatto, limitandosi a deduzioni generiche.

Il Ricorso in Cassazione e l’Interesse ad Agire

La socia non si arrendeva e portava il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando, tra gli altri motivi, la violazione dell’art. 100 del codice di procedura civile. Il punto centrale del ricorso era semplice: la Corte d’Appello aveva sbagliato a richiederle la prova di un interesse specifico, poiché, in qualità di parte del contratto, il suo interesse ad agire per la nullità doveva considerarsi in re ipsa, cioè presunto.

La Distinzione tra Parte Contraente e Terzo Soggetto

La questione procedurale, relativa alla necessità o meno di un appello incidentale da parte degli altri soci sull’eccezione di carenza di interesse, è stata respinta dalla Cassazione. Il focus della decisione si è concentrato sul secondo motivo di ricorso, che è stato accolto, portando alla cassazione della sentenza d’appello.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte Suprema ha richiamato il proprio consolidato orientamento, basato sull’interpretazione dell’art. 1421 del codice civile. Questa norma stabilisce che la nullità può essere fatta valere da “chiunque vi ha interesse”. I giudici hanno chiarito che tale espressione va interpretata correttamente:

1. I Terzi: L’inciso “chiunque vi ha interesse” si riferisce ai soggetti terzi, estranei al contratto. Sono loro che, per poter agire in giudizio, devono dimostrare di avere un interesse giuridicamente rilevante, concreto ed attuale, che verrebbe pregiudicato dalla validità dell’atto.

2. Le Parti Contraenti: La situazione è radicalmente diversa per le parti che hanno stipulato il contratto. Per loro, l’interesse ad agire per far dichiarare la nullità è sempre sussistente. La ragione è che un contratto nullo è per sua natura inidoneo a produrre effetti e incide direttamente sulla sfera giuridica dei contraenti. Pertanto, essi hanno sempre un interesse a rimuovere l’incertezza giuridica e a far accertare giudizialmente tale inefficacia, senza dover provare alcun ulteriore e specifico pregiudizio.

La Corte d’Appello ha commesso un errore equiparando la posizione della socia-contraente a quella di un terzo, pretendendo da lei una prova che la legge non richiede.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte d’Appello di Napoli, in diversa composizione, affinché proceda a un nuovo esame del merito della controversia. Questa decisione riafferma un principio di fondamentale importanza pratica: chi firma un contratto non deve dimostrare nient’altro se non la sua qualità di parte per avere il diritto di chiederne la nullità. L’interesse ad agire, in questo caso, è intrinseco alla sua posizione e non necessita di prove aggiuntive. La sentenza d’appello, subordinando l’azione a una dimostrazione di un danno specifico, ha violato le norme che regolano la legittimazione e l’interesse nelle azioni di nullità contrattuale.

Una parte che ha firmato un contratto ha sempre l’interesse ad agire per chiederne la nullità?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, le parti stipulanti sono sempre legittimate all’esercizio dell’azione di nullità, essendo il loro interesse all’accertamento della nullità in re ipsa, ovvero implicito nella loro stessa posizione di parte del contratto.

Qual è la differenza tra l’interesse ad agire di una parte del contratto e quello di un terzo?
Una parte del contratto ha sempre interesse ad agire per la nullità perché l’atto incide direttamente sulla sua sfera giuridica. Un terzo, invece, essendo estraneo al contratto, deve dimostrare di avere un proprio concreto, personale e attuale interesse giuridico che sarebbe leso dalla validità del contratto.

Se un’eccezione non viene esaminata in primo grado perché ‘assorbita’, come deve comportarsi la parte vittoriosa in appello?
La parte vittoriosa nel merito che si è vista ‘assorbire’ un’eccezione (cioè, il giudice non l’ha esaminata perché ha deciso la causa in suo favore per altri motivi) deve riproporla espressamente nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c. per evitare che si presuma la sua rinuncia. Non è necessario un appello incidentale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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