Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22679 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22679 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10008/2019 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore e domiciliata ope legis
Oggetto: Contratto di assuntoria -Alcool da distillazione – AGEA – Inadempimento
R.G.N. 10008/2019
Ud. 23/04/2025 CC
in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 7022/2018 depositata il 07/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/04/ 2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n, 7022/2018, pubblicata in data 7 novembre 2018, la Corte d’appello di Roma, decidendo sugli appelli riuniti proposti, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE RAZIONALE RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) e da RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, RAGIONE_SOCIALE) avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 2381/2012, pubblicata in data 13 febbraio 2012, ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE mentr e ha accolto parzialmente il gravame di RAGIONE_SOCIALE condannando RAGIONE_SOCIALE al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE della somma complessiva di € 522.293,08, oltre interessi legali dal 3 marzo 1997, nonché alla rifusione delle spese dei due gradi di giudizio.
Il Tribunale di Roma, a propria volta, si era pronunciato su due giudizi riuniti.
Il primo giudizio era stato promosso da RAGIONE_SOCIALE la quale, dopo aver premesso che RAGIONE_SOCIALE (cui la stessa RAGIONE_SOCIALE era subentrata) aveva concluso con RAGIONE_SOCIALE un contratto di assuntoria – col quale a quest’ultima RAGIONE_SOCIALE erano stati affidati il deposito e la custodia di alcool proveniente da distillazione del vino, di gestione sia comunitaria che nazio-
nale, in precedenza acquistato dalla medesima RAGIONE_SOCIALE – aveva allegato che, a seguito di controlli presso i depositi della RAGIONE_SOCIALE di Materdomini (SA), era emerso che l’alcool ivi depositato era costituito per percentuali dal 50% in su da alcool da zucchero di bietola o da canna e mais e che analoghi controlli presso il sito di Castel San Giorgio, località Codola Vecchia (SA), erano risultati non attuabili per carenza dei requisiti di sicurezza atti a garantire l’incolumità del personale preposto al campionamento.
Richiamate le previsioni di cui agli artt. 5 e 6 del contratto d’assuntoria e dedotto che l’alcool immagazzinato da RAGIONE_SOCIALE era da considerare inquinato perché non possedeva più le qualità necessarie per essere qualificato alcool da uva, tanto da essere des tinato all’eliminazione dalle scorte di intervento nazionale, AGEA aveva chiesto la condanna della convenuta RAGIONE_SOCIALE alla corresponsione della somma di € 619.196,76, oltre IVA ed interessi, a titolo di controvalore dell’alcool non conforme alla normativa nazionale e comunitaria.
Il secondo giudizio era stato invece promosso da RAGIONE_SOCIALE, la quale aveva convenuto RAGIONE_SOCIALE, chiedendone -riferisce la decisione impugnata – la condanna: al ritiro dell’alcool ancora giacente presso i propri depositi; al pagamento dei compensi di magazzinaggio per l’alcool detenuto quale assuntore a partire dagli anni 1993-94; al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da essa subiti per il mancato ritiro del prodotto, per l’illegittima disposizione di sottoporre, nel dicembre 2004, a campionamento del predetto alcool per indagini isotopiche e per avere illegittimamente richiesto l’adozione di provvedimenti per il magazzino di Castel San Giorgio non dotato del certificato di prevenzione incendi, in tal modo determinandoo un procedimento penale e il sequestro delle aziende RAGIONE_SOCIALE con conseguente pregiudizio della stessa.
Costituitesi in entrambi i giudizi -rispettivamente –RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE il Tribunale di Roma aveva respinto entrambe le domande.
La Corte d’appello di Roma, previa riunione degli appelli separatamente proposti da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE ha disatteso il gravame della prima, osservando, in sintesi che:
-il mancato ritiro dell’alcool depositato presso la RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE doveva ritenersi giustificato dallo stato di contaminazione del prodotto presso il deposito di Materdomini e dalla inagibilità del deposito di Castel San Giorgio, in tal modo risultando infondata la domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE per il mancato ritiro del prodotto medesimo;
-l’assoluzione in sede penale del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE dall’imputazione di aver operato la sostituzione dell’alcool non valeva ad escludere la responsabilità della medesima RAGIONE_SOCIALE per la vendita ad AGEA di alcool comunque contaminato;
-i controlli effettuati da RAGIONE_SOCIALE erano da ritenersi del tutto legittimi, in quanto previsti sia dal contratto di assuntoria sia dal Reg. CE 2149/2006;
-infondata era la pretesa di RAGIONE_SOCIALE di conseguire il compenso per il magazzinaggio, dal momento che l’alcool era risultato indisponibile a seguito sia del sequestro disposto nel corso di un’indagine penale sia d i un pignoramento immobiliare sia della inagibilità dei locali di Castel San Giorgio sia del grave inadempimento che era imputabile alla stessa RAGIONE_SOCIALE, risultando in tal modo giustificato il mancato ritiro del materiale da parte di AGEA;
-conseguentemente, doveva ritenersi infondata anche la domanda subordinata formulata da RAGIONE_SOCIALE di riconoscimento dell’ingiustificato arricchimento, non potendosi ravvisare nella
specie alcun arricchimento di AGEA, alla luce della contaminazione dell’alcool.
La Corte d’appello ha invece accolto l’appello di RAGIONE_SOCIALE rilevando per quanto ancora rileva nella presente sede -che:
-aveva errato il giudice di prime cure ad escludere la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per la contaminazione dell’alcool per non esservi prova del fatto che l’alcool medesimo fosse esclusivamente prodotto con uva, in quanto la stessa RAGIONE_SOCIALE aveva ammesso che l’alcool immagazzinato e sottoposto ad analisi era lo stesso precedentemente venduto all’ammasso da RAGIONE_SOCIALE – e, quindi, non da terzi -ad AIMA e conferito a quest’ultima alla stessa RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che o RAGIONE_SOCIALE aveva venduto ad AIMA alcool di puro vino successivamente adulterato, oppure acquisito ab origine alcool contaminato, essendo in ogni caso onere di RAGIONE_SOCIALE quello di provare di aver correttamente adempiuto ai propri obblighi e non risultando né provate né comunque rilevanti ex artt. 1476 e 1490 c.c. le giustificazioni addotte da RAGIONE_SOCIALE;
-risultava provato il danno di RAGIONE_SOCIALE per avere perso il ricavo pari alla differenza tra il prezzo dell’alcool di origine uvica pagato a RAGIONE_SOCIALE ed il prezzo della vendita di alcool non conforme.
-parimenti fondata era la pretesa di AGEA al rimborso dei compensi di immagazzinaggio e delle spese di entrata del prodotto.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre RAGIONE_SOCIALE
Resiste con controricorso AGEA.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
La ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è affidato ad undici motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di esaminare le specifiche censure mosse con il primo motivo di appello in ordine alla inesatta ricostruzione dei fatti da parte del giudice di prime cure circa le ragioni del sequestro penale a danno della ricorrente, giungendo ad una motivazione illogica e contraddittoria.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di esaminare le specifiche censure mosse con il secondo motivo di appello in ordine alla inesatta individuazione delle domande risarcitorie proposte dalla ricorrente, avendo quest’ultima richiesto non il risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei mancati tempestivi pagamenti dei compensi di magazzinaggio bensì ‘di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti: a) in conseguenza dell’omesso, tempestivo ritiro dell’alcole di titolarità AGEA a seguito della scadenza al 30.6.2001 del contratto di assuntoria del 3.3.1997 e, comunque, a seguito della scadenza della data del 31.12.2002 prevista dalla delibera del C.d.A. AGEA n. 48 del 23.7.2002; b) in conseguenza delle illecite iniziative promosse dalla stessa AGEA a scopo ritorsivo per accertare a posteriori, mediante risonanza magnetica nucleare, la natura dell’alcole detenuto’ .
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di esaminare le specifiche censure mosse con il terzo motivo di appello in ordine alla inesatta ricostruzione dei fatti da parte
del giudice di prime cure circa l’ambito delle analisi prese in considerazione nell’ambito del procedimento penale nei confronti del legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE
Si argomenta che ‘ la sentenza impugnata ha inammissibilmente modificato il contenuto della censura della SASRIV, sostituendo l’avvenuta valutazione da parte della sentenza penale n. 1010/2011 di tutti i rapporti di prova del 2005 e del 2006 inerenti l’alcole AGEA detenuto dalla RAGIONE_SOCIALE con la non dedotta vendita all’AlMA nel 1993 da parte della SASRIV di presunto alcole contaminato’ .
Si deduce che la decisione del giudice penale avrebbe escluso la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per la vendita di alcool contaminato.
Si contesta che AGEA avesse posto a base delle sue originarie domande la vendita da parte della SASRIV di alcool contaminato e si argomenta, conseguentemente, che in sede di appello AGEA aveva mutato completamente la causa petendi , ‘in quanto ha basato la nuova domanda sulla presunta contaminazione dell’alcool da parte della RAGIONE_SOCIALE quale distillatrice e venditrice dell’alcole all’AGEA’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. per avere la Corte d’appello omesso di statuire sulla domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE riferita alla responsabilità di RAGIONE_SOCIALE per non aver provveduto al ritiro dell’alcool alla scadenza del contratto di assuntoria, avvenuta in data 30 giugno 2001, deducendosi che ‘ ove l’ AGEA avesse, come dovuto, tempestivamente ritirato il prodotto alla scadenza del contratto di assuntoria ovvero alla data del 31.12.2002, non sarebbero state effettuate nel 2004 le analisi isotopiche dello stesso; non sarebbe stata contestata la presunta contaminazione del prodotto; non sarebbe stato disposto il sequestro delle aziende della RAGIONE_SOCIALE ed il Suo legale rappresentante non sarebbe stato
sottoposto ad un procedimento penale che è durato dal 2006 al 2011 e cioè per ben cinque anni’ .
Si contesta, ulteriormente, che AGEA fosse autorizzata, sulla base del contratto di assuntoria, a disporre controlli analitici del prodotto mediante risonanza magnetica, contemplando il contratto di assuntoria unicamente controlli relativi alla quantità ed alle modalità di conservazione.
Si contesta, infine, che tali controlli potessero essere effettuati sulla base del Reg. CE 2149/2006, in quanto non vigente all’epoca dei fatti, o del Reg. CE 3597/1990, essendo stato nella specie l’alcool successivamente ritirato da AGEA e venduto come al cool ‘di origine uvica’.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione al terzo motivo di appello, con il quale era stata impugnata la sentenza di prime cure per aver affermato che AGEA, in base al contratto di assuntoria, aveva il potere di disporre controlli sulla consistenza qualitativa dell’alcool, laddove -argomenta il ricorso -‘le analisi isotopiche disposte dall’AGEA erano a scopo ritorsivo, onde paralizzare arbitrariamente le iniziative giudiziarie assunte dalla RAGIONE_SOCIALE, come risulta dalla nota AGEA del 25.11.2004′ , concludendosi che ‘l’AGEA non poteva, a posteriori, far svolgere analisi sull’alcole diverse rispetto a quelle effettuate al momento (campagna 1992/93) del conferimento del vino e dei sottoprodotti per le distillazioni e dell’acquisto dell’alcole derivatone da parte dell’AI MA’ .
Si censura, quindi, la decisione della Corte capitolina ‘ in quanto il terzo motivo dell’appello conteneva ragioni di censura autonome, ulteriori e diverse rispetto al secondo motivo dell’appello e, quindi, la sentenza impugnata non poteva equipararli, rigettando il terzo motivo con
il riferimento alle considerazioni addotte per il rigetto del secondo motivo’ .
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.
Si censura la decisione impugnata in relazione al mancato accoglimento del quarto motivo di appello, per non aver riconosciuto i compensi di magazzinaggio richiesti dalla RAGIONE_SOCIALE per il periodo dal 1° gennaio 2004 sino al ritiro del prodotto da parte dell’AGEA, osservandosi sia che il sequestro degli stabilimenti RAGIONE_SOCIALE era stato disposto nel 2006 e non valeva ad escludere il compenso per il magazzinaggio relativo agli anni 2004, 2005 e ai primi quattro mesi del 2006, sia che i provvedimenti di sequestro avevano nominato custode un dipendente della stessa RAGIONE_SOCIALE ‘a carico della quale sono rimasti tutti gli oneri inerenti il magazzinaggio dell’alcole’ .
Si deduce che AGEA avrebbe inammissibilmente mutato la domanda, fondandola sul fatto che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe venduto all’AIMA alcool contaminato ‘in quanto la domanda dell’AGEA riguardava la posizione di assuntore della RAGIONE_SOCIALE ed il relativo contratto di assuntoria, la nuova domanda AGEA riguarda invece la posizione della RAGIONE_SOCIALE quale distillatrice nella campagna 1992/1993 e quale venditrice dell’alcol all’AIMA’ e che quindi la domanda modificata avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile.
Si argomenta che in ogni caso la Corte territoriale era tenuta a motivare le ragioni per le quali era pervenuta a diverse conclusioni rispetto al giudizio penale.
1.7. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.
La censura investe l’accoglimento del primo e secondo motivo dell o appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, in quanto la Corte d’appello avrebbe
omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla ricorrente, per essere i due motivi basati su una modifica delle originarie allegazioni.
1.8. Con l’ottavo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione dei Regolamenti CEE 822/87, n. 3597/1990, n. 2148/1996, n. 1623/2006, n. 2149/2006 e degli atti applicativi comunitari e nazionali, del D.Lgs. n. 165/1999, dello Statuto AGEA approvato con D.M. del 14.6.2002. Falsa applicazione degli artt. 2697, 1218, 1476 n. 3 e 1490 n. 1 c.c.’.
Si censura la decisione impugnata per avere applicato alla vicenda i principi civilistici generali in tema di vendita, i quali, invece, non sarebbero applicabili, trattandosi di esecuzione delle previsioni del Regolamento CE n. 822/87, e quindi di ‘un particolare procedimento pubblicistico al quale sono inapplicabili ed inconferenti norme privatistiche sulla vendita di cui agli artt. 1476 n. 3 e 1490 n. 1 c.c., richiamati dalla sentenza impugnata’ .
Si deduce, quindi, che la ricorrente si sarebbe pienamente conformata alle previsioni specifiche che regolavano il rapporto, eseguendo gli adempimenti di cui al Reg. CE n. 822/87, effettuando le regolari analisi chimiche, conseguendo gli attestati UTIF.
1.9. Con il nono motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la ‘violazione dei Regolamenti CEE 822/87, n. 3597/1990, n. 2148/1996, n. 1623/2006, n. 2149/2006, dello Statuto AGEA approvato con D.M. del 14.6.2002, dell’art. 97 della Costituzione, degli artt. 1175 e 1375 c.c., dell’art. 88 c.p.c., degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c.’.
Si censura la decisione impugnata per avere ritenuto provato il danno di RAGIONE_SOCIALE, pari alla differenza tra il prezzo dell’alcool di origine uvica pagato a RAGIONE_SOCIALE ed il prezzo della vendita di alcol non conforme.
Deduce la ricorrente che:
-sarebbe stato riconosciuto un danno astratto e non un danno concreto, nella specie non sussistente, avendo AGEA rivenduto l’alcool ‘venduto allo stesso prezzo al quale sarebbe stato venduto se fosse risultato integralmente come alcool da materie vinose’ ;
-essendo AGEA ente pubblico ‘tenuto quindi al rispetto dei doveri di correttezza e buona fede imposti dagli artt. 1175 e 1375 c.c., del precetto di imparzialità e di buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione, nonché del dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probit à prescritto dall’art. 88 c.p.c.’ , la stessa avrebbe avuto ‘il dovere di ammettere e riconoscere che l’alcole non conforme detenuto dalla RAGIONE_SOCIALE è stato venduto, come già visto, allo stesso prezzo di tutto il residuo quantitativo di alcole conforme messo in vendita con i citati bandi e detenuto dagli altri assuntori’ e di non ‘continuare a richiedere il controvalore di un prodotto che, nel frattempo, è stato ritirato ed è stato pienamente utilizzato dal proprietario senza danno alcuno’ ,
-che l’alcool acquistato da RAGIONE_SOCIALE e detenuto in ammasso deve necessariamente essere rivenduto a prezzi inferiori e per un uso diverso da quello alimentare, risultando quindi fisiologica una differenza in difetto tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita.
1.10. Con il decimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c.
La censura investe l’accoglimento del quinto motivo dell’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE, in quanto la Corte d’appello avrebbe omesso di esaminare l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla ricorrente, per es-
sere il motivo basato su una modifica delle originarie allegazioni, in quanto il motivo di appello si riferiva alla posizione di distillatrice e di venditrice dell’alcool della RAGIONE_SOCIALE, mentre in primo grado la relativa domanda si riferiva alla sua posizione di assuntrice.
1.11. Con l’undicesimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione del Regolamento CE n. 822/87 e degli atti applicativi comunitari e nazionali. Falsa applicazione degli artt. 2697, 1218, 1476 n. 3 e 1490 n. 1 c.c.’ .
Il ricorso è, nel complesso dei motivi articolati, inammissibile.
2.1. In linea generale -e per evitare inutili ripetizioni in sede di vaglio di ciascun motivo – si deve rilevare che il ricorso presenta due diffusi profili di inammissibilità che vengono a contaminare gran parte dei motivi di cui si compone, salvo -naturalmente -quanto si verrà a rilevare in relazione a ciascuno di essi.
Un primo profilo, invero, emerge dalla constatazione che il gravame, pur invocando reiteratamente errores in iudicando ed errores in procedendo , in realtà mira -in modo piuttosto evidente – a conseguire una nuova valutazione dei fatti, omettendo, nella maggior parte dei casi, di dedurre un effettivo inadeguato governo delle norme di diritto -sostanziale o procedurale -e venendo invece a riproporre una molteplicità di profili in fatto, non deducibili nella presente sede di legittimità, ed in realtà già sottoposti a valutazione nell’opportuna sede di merito.
Si deve, a questo punto, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez.
6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Un secondo profilo è costituito dalla reiterata deduzione del vizio di violazione dell’art. 112 c.p.c., il quale costituisce la base di ben otto degli undici motivi, restando esclusi i soli motivi ottavo, nono ed undecimo.
È inevitabile rammentare, in linea generale, che, affinché venga ad integrarsi il vizio di cui all’art. 112 c.p.c. occorre che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 12652 del 25/06/2020; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 1 Ordinanza n. 18491 del 12/07/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 21257 del 08/10/2014). Tale ipotesi si verifica quando il giudice non decida su alcuni capi della domanda, che siano autonomamente apprezzabili, o sulle eccezioni proposte, ovvero pronunci solo nei confronti di alcune parti, e non nel caso in cui il giudice d’appello fondi la decisione su una costruzione logico-giuridica incompatibile con la domanda (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 452 del 14/01/2015), né nell’ipotesi di mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti, la quale integra un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare l’adozione del provvedimento, senza che possa ritenersi mancante il momento decisorio (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 5730 del 03/03/2020; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017; Cass. Sez. L, Sentenza n. 1360 del 26/01/2016).
Si deve poi aggiungere che, per integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia, non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo necessaria la totale pretermissione del provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto, con la conseguenza che tale vizio non ricorre quando la decisione, adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte, ne comporti il rigetto o la non esaminabilità, pur in assenza di una specifica argomentazione (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 2151 del 29/01/2021; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15255 del 04/06/2019; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 20718 del 13/08/2018).
Occorre, infatti, considerare che è configurabile anche la decisione implicita di una questione (connessa a una prospettata tesi difensiva) o di un’eccezione di nullità (ritualmente sollevata o rilevabile d’ufficio) quando queste risultino superate e travolte, benché non espressamente trattate, dalla incompatibile soluzione di un’altra questione, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la loro irrilevanza o infondatezza, con la conseguenza che la reiezione implicita di una tesi difensiva o di una eccezione è censurabile mediante ricorso per cassazione non per omessa pronunzia (e, dunque, per la violazione di una norma sul procedimento), bensì come violazione di legge e come difetto di motivazione, sempreché la soluzione implicitamente data dal giudice di merito si riveli erronea e censurabile oltre che utilmente censurata, in modo tale, cioè, da portare il controllo di legittimità sulla decisione inespressa e sulla sua decisività (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 12131 del 08/05/2023; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7406 del 28/03/2014).
2.2. Passando, ora, all’esame dei singoli motivi di ricorso, va rilevata -proprio sulla scorta dei principi appena richiamati l’inammissibilità del primo motivo.
In primo luogo, infatti, la doglianza relativa al mancato accoglimento della richiesta di apportare ‘modific he alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado’ non risulta in alcun modo riconducibile all’ipotesi di cui all’art. 112 c.p.c., non potendosi qualificare come rituale motivo di gravame una simile sollecitazione la quale, semmai, avrebbe dovuto essere tradotta in un motivo di impugnazione riferito alla errata ricostruzione fattuale operata dal giudice di prime cure e quindi alla revisione della decisione nel merito.
Soprattutto, però, il motivo omette radicalmente di confrontarsi con il dato essenziale, costituito dal fatto che la Corte d’appello capitolina risulta essersi pronunciata, anche diffusamente, sulla censura relativa alla ricostruzione dei fatti operata dal giudice di prime cure -valutandola, correttamente, come potenziale ragione di revisione del merito della decisione -ma ha concluso tuttavia nel senso del l’assenza di decisività -e quindi del l’inammissibilità della ‘ricostruzione operata dalla società appellante’ (pag. 7, primo paragrafo, della motivazione).
È, del resto, significativo che il motivo di ricorso -che, si ricorda, prenderebbe le proprie mosse da un’omessa statuizione assuma, a partire da un certo momento (pag. 16), i caratteri di una vera e propria censura in fatto con la quale -deducendosi un’assolutamente insussistente illogicità e contraddittorietà della motivazione -si viene inammissibilmente a sollecitare a questa Corte un novello sindacato del merito della decisione.
2.3. Per considerazioni in parte similari va ritenuto privo di pregio anche il secondo motivo, nella parte in cui lo stesso viene a riproporre inammissibilmente profili fattuali riferibili al merito della decisione.
Richiamando, poi, le considerazioni svolte in via generale, si osserva che il motivo, nel dedurre un’omessa statuizione, non coglie appieno la complessiva ratio decidendi alla base della decisione impu-
gnata la quale, nel momento in cui ha ritenuto complessivamente infondate le deduzioni della ricorrente, non poteva che giungere al rigetto complessivo di tutte le pretese risarcitorie dalla ricorrente medesima formulate, senza necessità di scendere nel dettagliato esame di ognuna di esse.
2.4. Quanto al terzo motivo, l’inammissibilità della dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. discende dalle medesime considerazioni svolte sia in via generale sia in relazione al primo motivo di ricorso, dolendosi anche in questa sede la ricorrente del mancato accoglimento, da parte del giudice di appello, di una richiesta di modifica della ricostruzione in fatto operata dal primo giudice.
Anche in questo caso, del resto, il motivo non si confronta adeguatamente con la ratio della decisione, la quale ha proceduto ad un vaglio autonomo rispetto alla sentenza assunta in sede penale, ritenendo, con un ragionamento motivato ed immune da contraddittorietà, che la responsabilità della ricorrente per la contaminazione dell’alcool veniva ad essere direttamente deducibile dalla circostanza che l’alcool in questione era stato acquistato dalla medesima ricorrente e venduto alla controricorrente in regime di ammasso.
Tale ragionamento, del resto, vale a palesare l’inammissibilità anche dell’ulteriore deduzione riferita alla violazione dell’art. 345 c.p.c., già di per sé fondamentalmente inammissibile per mancata osservanza della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., avendo la ricorrente riprodotto del tutto sommariamente -senza ulteriore localizzazione -l’originario contenuto della domanda dell’odierna controricorrente.
Al di là di tale profilo, tuttavia, il motivo, ancora una volta, non coglie la ratio della decisione, la quale non ha modificato il contenuto del motivo di appello della stessa ricorrente, ma lo ha semplicemente disatteso sulla base del già richiamato argomento logico, il quale,
quindi, non costituisce -come mira a dedurre il ricorso alle pagg. 23 e 24 -un’autonoma causa petendi , ma una mera argomentazione a supporto dell’allegato inadempimento della ricorrente, fermo restando, in relazione a tale ultimo profilo, quanto si verrà più specificamente ad osservare in sede di esame di uno dei motivi successivi (e cioè, anticipando sommariamente, che, dedotto dalla controricorrente l’inadempimento delle obbligazioni gravanti sulla ricorrente, era quest’ultima a dover provare il proprio regolare adempimento).
2.5. L’inammissibilità del quarto motivo in relazione alla dedotta violazione de ll’art. 112 c.p.c. discende dalle considerazioni già svolte in precedenza in via generale, essendo nel caso di specie evidente il rigetto – diretto ed esplicito -del motivo di gravame, del resto ampiamente motivato dalla Corte di merito.
L’inammissibilità del motivo discende dal fatto che lo stesso come ben evidenziato dalle ampie, ed inammissibili, deduzioni versate in fatto che ne costituiscono componente predominante -non deduce un’effettiva violazione dell’art. 112 c.p.c. ma si sostanzia in un inammissibile sindacato del merito della decisione, senza neppure concretamente confrontarsi con la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto legittimo il mancato ritiro dell’alcool alla luce degli inadempimenti della stessa ricorrente.
2.6. Da identiche considerazioni deve scaturire la declaratoria di inammissibilità del quinto motivo, ancora una volta indirizzato ad una censura di merito e non ad una effettiva deduzione della violazione della regola di corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
2.7. Quanto al sesto motivo, il carattere iterativo delle censure della ricorrente rende ineludibile la reiterazione delle medesime considerazioni anche da parte di questa Corte: anche questo motivo non deduce un’effettiva violazione dell’art. 112 c.p.c. dal momento che la Corte
d’appello ha espressamente statuito sul motivo di gravame ad essa proposto, e dovendosi evidenziare la profonda diversità che esiste tra il vizio processuale di omessa statuizione su una domanda o un motivo d’appello e la distinta ipotesi che di per sé non costituisce vizio -di omesso recepimento delle tesi poste a fondamento di una domanda o di un motivo di gravame.
Anche in relazione al motivo in esame, poi, viene ad essere dedotta una violazione dell’art. 345 c.p.c. che, tuttavia, anche in questo caso non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, dovendosi qui reiterare la considerazioni già svolte in sede di esame del similare terzo motivo, e cioè che la Corte d’appello non è venuta a basare la propria decisione su una causa petendi precedentemente non dedotta, ma ha disatteso il gravame ritenendo insussistente il diritto della ricorrente ai compensi per il magazzinaggio in virtù del preponderante inadempimento della ricorrente medesima e del danno arrecato alla controricorrente da tale inadempimento.
2.8. Il settimo motivo deve invece essere dichiarato inammissibile per difetto di specificità ex art. 366 c.p.c., avendo omesso la ricorrente di procedere ad un’adeguata riproduzione delle originarie domande formulate dall’odierna controricorrente in prime cure, risultando in tal modo radicalmente preclusa la possibilità di verificare l’effettiva novità dei profili dedotti dalla medesima controricorrente in sede di appello.
Tale radicale carenza viene a precludere anche l’esercizio, ad opera del giudice di legittimità, del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, in quanto è necessariamente all’ammissibilità del motivo di ricorso che viene ad essere subordinato l ‘esercizio del potere -dovere del giudice di legittimità di accertare la sussistenza del denunciato vizio attraverso l’esame diretto degli atti (Cass. Sez. U – Sentenza n. 20181 del 25/07/2019; Cass. Sez. 5 – Sentenza n. 27368 del
01/12/2020; Cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15071 del 10/09/2012) e ciò pur nella modulazione che questa Corte ha ritenuto di specificare in conformità alle indicazioni della sentenza CEDU del 28 ottobre 2021 (causa COGNOME ed altri c/Italia), e cioè secondo criteri di sinteticità e chiarezza, realizzati dalla trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire al tempo stesso la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass. Sez. L – Ordinanza n. 3612 del 04/02/2022; ma cfr. anche Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 24048 del 06/09/2021).
2.9. In relazione all’ottavo motivo, si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/ 2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la viola-
zione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Tornando al caso in esame, si deve rilevare che il motivo di ricorso si traduce nel richiamo ad una cospicua serie di previsioni, anche eurounitarie, senza che, tuttavia, la violazione di tali previsioni venga poi concretamente argomentata e senza che, quindi, si proceda alla necessaria illustrazione delle ragioni per cui la decisione impugnata sarebbe incorsa in un inadeguato governo delle norme di diritto, limitandosi la ricorrente ad affermare apoditticamente la radicale sottrazione del rapporto di assuntoria alla disciplina del codice civile.
Tale tesi -per quanto, sempre secondo la ricorrente (pag. 53-54 del ricorso), sia stata fatta propria anche dalla controricorrente nelle proprie precedenti difese (ma non nel controricorso) -non offre alcun concreto elemento per escludere che il rapporto di assuntoria, nei profili non direttamente disciplinati dalla disciplina eurounitaria, non possa essere disciplinato anche dalle previsioni codicistiche non incompatibili con la fonte normativa europea ed in particolare non offre alcun concreto argomento per escludere l’applicabilità di uno dei principi generali enunciati da questa Corte in tema di obbligazioni, e cioè il principio generale per cui il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’i-
nadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001 e, tra le molte, Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20073 del 08/10/ 2004; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13674 del 13/06/2006; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15677 del 03/07/2009; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15659 del 15/07/2011).
Si deve anzi osservare che la ricorrente, ben lungi dal motivatamente contestar e l’applicabilità del principio in questione -di cui la decisione impugnata ha invece fatto corretto governo -finisce poi per diffondersi in inammissibili considerazioni versate in fatto, del tutto incompatibili con una corretta deduzione dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., risultando quindi il motivo inammissibile.
2.10. Inammissibile è anche il nono motivo, il quale mirerebbe a dedurre ancora una volta un inadeguato governo di norme di diritto, ma finisce per tradursi in un sindacato del merito della decisione – la quale, invece, ha motivatamente accertato nel concreto un danno in capo all’odierna controricorrente e peraltro richiama una serie di profili in fatto in relazione ai quali, a tacer d’ogni altra considerazione, si deve rilevare ancora una volta il mancato rispetto dell’art. 366 c.p.c.
Si deve, allora, ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece,
come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
2.11. L’inammissibilità del decimo motivo discende da due considerazioni.
La prima è che – vertendo la doglianza della ricorrente non su un’omessa statuizione su un motivo di appello ma sull’omessa statuizione su un’eccezione di inammissibilità di uno dei motivi di appello incidentale della controricorrente -deve trovare applicazione il consolidato orientamento di questa Corte, secondo il quale il vizio di omessa pronunzia è configurabile solo nel caso di mancato esame di questioni di merito, e non anche di eccezioni pregiudiziali di rito (Cass. Sez. 3 Sentenza n. 10422 del 15/04/2019; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 25154 del 11/10/2018; Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 1876 del 25/01/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22083 del 26/09/2013).
La seconda è la constatazione del difetto di specificità ex art. 366 c.p.c. del mezzo, avendo ancora una volta omesso la ricorrente di procedere ad un’adeguata riproduzione delle originarie domande formulate dall’odierna controricorrente in prime cure, risultando in tal modo definitivamente preclusa la possibilità di verificare l’effettiva novità dei profili dedotti dalla medesima controricorrente in sede di appello.
2.12. Radicalmente inammissibile, infine, è anche l’undicesimo mezzo, del tutto privo dei minimi caratteri essenziali di una regolare censura ex art. 360, n. 3), c.p.c. -richiamati poc’anzi e consistente in una mera serie di asserzioni in fatto non accompagnate da alcuna concreta critica al ragionamento giuridico seguito dalla decisione impugnata.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso, condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 7.000,00 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il giorno 23 aprile 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME