Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 14030 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 14030 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Napoli, in persona de ll’amministratore unico sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
Fallimento RAGIONE_SOCIALE di COGNOME e, per estensione, di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in persona del curatore dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al controricorso dal prof. Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente-Ricorrente incidentale e
RAGIONE_SOCIALE con sede in Bruxelles, in persona del procuratore avv. NOME COGNOME per atto del 12.5.2021 notaio dott. NOME COGNOME di Milano, rep. 51131, racc. 23101, rappresentata e difesa per procura
alle liti allegata al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrente
e
NOME RAGIONE_SOCIALE
NOME RAGIONE_SOCIALE
Intimati e sul ricorso proposto da:
Fallimento RAGIONE_SOCIALE di COGNOME e, per estensione, di COGNOME NOME e COGNOME NOME, in persona del curatore dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso per procura alle liti a margine del ricorso dal prof. Avvocato NOME COGNOME.
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Napoli, in persona de ll’amministratore unico sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME .
Controricorrente
e
RAGIONE_SOCIALE con sede in Bruxelles, in persona del procuratore avv. NOME COGNOME per atto del 12.5.2021 notaio dott. NOME COGNOME di Milano, rep. 51131, racc. 23101, rappresentata e difesa per procura alle liti allegata al controricorso dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Controricorrente
e
Intimati
avverso la sentenza n. 2687/2024 della Corte di appello di Napoli, depositata il 17.6.2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del l’8.4. 2025 dal consigliere NOME COGNOME.
Udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.
Udite le difese svolte dall’Avvocato NOME COGNOME per la società RAGIONE_SOCIALE, dall’Avvocato NOME COGNOME per delega, per il Fallimento RAGIONE_SOCIALE e dall’Avvocato NOME COGNOME per delega, per RAGIONE_SOCIALE
Fatti di causa
Con sentenza n. 2687/2024 del 17. 6.2024, la Corte di appello di Napoli, quale giudice di rinvio a seguito della sentenza n.3597 del 22.11.2021 di questa Corte, confermò la decisione del tribunale n. 7083/2013, che aveva dichiarato risolto il contratto di compravendita di immobili e promessa di mutuo stipulato tra COGNOME e COGNOME NOME e la società RAGIONE_SOCIALE per inadempimento di quest’ultima , condannato la stessa alla restituzione degli immobili in favore del Fallimento RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME e di COGNOME NOME e COGNOME NOME e rigettato le domande di risarcimento dei danni proposte dal Fallimento nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME NOME. Il contratto sottoscritto dalle parti, stipulato con scrittura privata autenticata dal notaio NOME COGNOME in data 26.7.1999, disponeva il trasferimento in favore della società RAGIONE_SOCIALE della proprietà dei seguenti beni immobili, tutti siti in Ischia: a) terreno in località INDIRIZZO per l’importo di lire 200.000.000; b) fabbricato sito in INDIRIZZO, composto da dodici appartamenti, per l’importo di lire 2.800.000.000; c) fondo vigneto in INDIRIZZO per l’importo di lire 2.000.000.000; d) fabbricato di tre piani di circa mq. 500 per l’importo di lire 2.700.000.000; e) fondo in località INDIRIZZO di mq.68.000 per l’importo di lire 1.400.000.00. Era previsto che il corrispettivo, comprensivo della somma a titolo di prezzo di lire 9.100.000.000 e dell ‘impegno della società acquirente di concedere un mutuo ipotecario di lire 2.500.000.000,
fosse adempiuto mediante accollo di tutte le posizioni debitorie gravanti sui venditori, come indicate in una tabella allegata. L’art. 4 dell’atto prevedeva che i venditori avrebbero dovuto adempiere, in vista della stipulazione del rogito, i seguenti obblighi: a) attivare la procedura per l’esercizio del diritto di prelazione per la vendita del fondo in locINDIRIZZO nei confronti del colono e dei confinanti entro il 31/7/1999; b) offrire a tale NOME COGNOME la somma per il riscatto del fondo vigneto entro il 31/7/1999; c) conciliare entro il 20/9/1999 due controversie pendenti presso il tribunale di Fermo; d) liberare dagli occupanti gli immobili di INDIRIZZO attivando le procedure entro il 31/7/1999 e garantendone la libertà entro il 30/3/2000, oltre a liberare il fondo ove era sito il fabbricato da coloni o persone entro il 30/9/1999; in caso di mancato adempimento di tali obblighi, si prevedeva, a richiesta della società acquirente, la risoluzione del contratto, con il conseguente obbligo di corrispondere la somma di £. 2.000.000.000 a titolo di danni. L’art. 11 della scrittura condizionava sospensivamente il contratto al verificarsi di tutto quanto previsto dall’art. 4. Il precedente art. 3 stabiliva, tuttavia, che tutti gli effetti della compravendita, con conseguente trasferimento immediato del possesso in favore della acquirente, decorressero “dal momento della sottoscrizione del presente contratto”, e cioè dal 26.7.1999. L’atto prevedeva, infine, che la stipula per atto pubblico sarebbe avvenuta il 30.9.1999, data indicata come essenziale per il pagamento del corrispettivo (art.2).
In relazione al suddetto contratto, sopravvenuto il fallimento di NOME COGNOME e, per estensione, di COGNOME NOME e di NOME COGNOME la curatela introdusse quattro autonomi giudizi, con cui chiese la risoluzione del contratto per non avere la società acquirente pagato il prezzo convenuto, la retrocessione dei beni trasferiti e la condanna della controparte al risarcimento dei danni per avere provocato, con il suo inadempimento, il fallimento dei venditori; la condanna del notaio Albore, int ervenuto all’atto, al risarcimento dei danni, per avere provveduto solo nel 2003 ad una rettifica della trascrizione in cui menzionava che per mero errore non era stato indicato che l’atto era sottoposto alla condizione sospensiva stabilita dall’art. 11 sopra citato.
Riuniti i giudizi, chiamate in causa da parte del notaio le società assicuratrici, con sentenza n.7083 del 3.6.2013 il tribunale dispose la risoluzione del contratto per inadempimento della RAGIONE_SOCIALE che condannò alla restituzione die beni, mentre rigettò le altre domande proposte dal Fallimento.
Proposto appello da entrambe le parti contraenti, la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3493 del 2017, confermò integralmente la decisione di primo grado.
Interposta impugnazione da entrambe le parti, con sentenza n. 3597 del 22.11.2021 la Corte di Cassazione cassò con rinvio la sentenza impugnata, per avere il giudice di appello, in assenza del presupposto richiesto dall’art. 345 c.p.c., erroneamente preso in considerazione, nel confermare la pronuncia di inadempimento della società acquirente, i documenti prodotti dal Fallimento nel giudizio di secondo grado.
Riassunto il giudizio a cura del Fallimento, nel contraddittorio delle parti la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 2687 del 2024, decise quindi la controversia con il rigetto degli appelli proposti dal fallimento e dalla società RAGIONE_SOCIALE e conseguente conferma delle statuizioni della sentenza di primo grado.
A sostegno di tale conclusione la Corte territoriale affermò che: la valutazione comparativa delle condotte dei contraenti, integranti inadempimenti reciproci, portava a ritenere maggiormente rilevante l’inadempimento della società acquirente, che non aveva provveduto a corrispondere il prezzo convenuto mediante accollo delle posizione debitorie dei venditori; la circostanza che questi ultimi fossero a loro volta inadempienti in relazione agli obblighi assunti ai sensi dell’art. 4 del contratto, per non av ere comunicato ai prelazionari le condizioni di vendita del bene e per non avere esercitato il riscatto nel confronti del fondo venduto a Varriale, non potevano essere considerati tali da giustificare il rifiuto totale di adempimento della acquirente, atteso che, quanto alla prelazione, il contratto stesso prevedeva che, in caso di suo esercizio, la somma incassata fosse devoluta alla società RAGIONE_SOCIALE, mentre, con riguardo al riscatto del fondo già ceduto a Varriale, il suo mancato esercizio trovava causa nella mancata erogazione della provvista da parte della stessa acquirente,
espressamente prevista in contratto; la suddetta valutazione del comportamento delle parti risultava confermata dalla scelta della società di non avvalersi della clausola risolutiva espressa inserita nell’atto per il mancato adempimento degli obblighi menzionati nell’art.4; la maggior e gravità dell’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE emergeva con evidenza dalla considerazione che esso aveva alterato il sinallagma contrattuale, compromettendo l’interesse dei venditori, che, come risultava dall’atto, si erano determi nati alla vendita degli immobili al fine di ripianare la loro esposizione debitoria; l’ec cezione di inadempimento sollevata dalla acquirente non poteva, pertanto, ritenersi giustificata, mentre risultava fondata la domanda dei venditori di risoluzione del contratto per colpa della controparte; la domanda di risarcimento dei danni avanzata dal fallimento nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non poteva essere accolta, in mancanza di prova del nesso causale tra l’inadempimento di cui essa era stata ritenuta responsabile e la dichiarazione di fallimento di Buono; nello specifico, non era stato dimostrato che attraverso il pagamento del prezzo della compravendita sarebbero stati ripianati i debiti o che, se la parte avesse conservato la disponibilità dei beni ceduti, avrebbe potuto adottare iniziative tali da evitare il fallimento; nemmeno era stato provato il danno, che era stato indicato in modo generico nell’importo della massa passiva della procedura e nel valore degli immobili dei falliti dalla stessa acquisiti; la stessa sorte doveva seguire la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del notaio COGNOME NOME, per ritardata trascrizione della clausola contenente la condizione sospensiva del contratto , prevista dall’art.11, mancando anche in questo caso la prova del nesso di causalità tra la condotta del professionista ed i danni asseritamente subiti, mentre la deduzione della sua responsabilità per avere autenticato un contratto nullo configurava una domanda nuova, come tale non ammissibile nel corso del giudizio.
Per la cassazione di questa sentenza, con atti notificati il 17.9.2024, hanno proposto autonomi ricorsi la società cooperativa RAGIONE_SOCIALE sulla base di cinque motivi, ed il Fallimento RAGIONE_SOCIALE di Buono Catello e di Frisone NOME e COGNOME NOME, affidato a tre motivi.
Il Fallimento ha notificato controricorso e ricorso incidentale, nel quale ha riprodotto i motivi del precedente ricorso.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato controricorso per contraddire al ricorso incidentale.
Anche RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorsi, mentre le altre parti sono rimaste intimate.
Le parti ricorrenti e la società RAGIONE_SOCIALE hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Il ricorso proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE essendo stato notificato per primo, va qualificato ricorso principale; conseguentemente il ricorso avanzato dal Fallimento va considerato ricorso incidentale. Il ricorso della società va in ogni caso esaminato per primo, investendo il tema della imputabilità dell’inadempimento , che è logicamente preliminare ai capi della decisone investiti con il ricorso del Fallimento.
2. Il primo motivo del ricorso principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., assumendo che la Corte di appello, nel valutare le condotte delle parti, ha tenuto conto, in luogo della rilevanza oggettiva delle stesse, dei contrapposti interessi economici perseguiti dai contraenti. L’inadempimento della RAGIONE_SOCIALE è stato infatti ritenuto ‘maggiormente rilevante’ rispetto a quello dei venditori, per le sue conseguenze sull’interesse di questi ultimi al rip iano delle loro posizioni debitorie, valutato come prevalente sull’interesse degli acquirenti di conseguire la proprietà di tutti i beni oggetto di trasferimento. Così facendo, il giudicante ha violato l’art. 1460 c.c., che impone di valutare la legittimità dell’eccezione di inadempimento, in caso di accuse di inadempimenti reciproci, ponendo a raffronto le condotte dei contraenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla causa del contratto ed alla loro rispettiva incidenza sull’equilib rio sinallagmatico, cioè sulla base di criteri oggetti e non soggettivi, legati all’interesse economico di una delle parti.
Il secondo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3 Cost., dell’art. 1322 c.c. e degli artt. 24 e 11 Cost., assumendo che la Corte di appello, limitando la propria indagine agli interessi economici delle
parti ed obliterando il dato obiettivo della importanza dei singoli inadempimenti, ha alterato sostanzialmente il principio di parità delle parti nel contratto, attribuendo una posizione di prevalenza ai venditori, con conseguente compromissione dei diritti di uguaglianza giuridico-formale garantiti dalla Costituzione anche nell’ambito del processo.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1325 c.c., censurando la sentenza impugnata per non avere dato alcun rilievo alla posizione della società esponente, vale a dire al suo interesse ad acquistare gli immobili oggetto di vendita. La Corte di appello, nel caso specifico, ha del tutto obliterato la causa concreta del contratto di vendita, reputando non rilevante il fatto che l’inadempimento dei venditori avesse compromesso la possibilità della acquirente di divenire proprietaria del fondo oggetto di prelazione da parte di un terzo e, a causa del mancato esercizio del riscatto, dell’immobile ceduto a Varriale, cioè di conseguire la prestazione che costituiva la causa del contratto di vendita.
Il quarto motivo del ricorso principale, che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, commi 1 e 2, e 1363 c.c., attacca la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non rilevante l’inadempimento dei venditori al loro obbligo di denunziare la vendita del fondo al prelazionario, per la ragione che la relativa clausola, prevedendo in caso di esercizio della prelazione che la somma incassata fosse devoluta all’acquirente RAGIONE_SOCIALE, implicava che quest’ultima si riten esse soddisfatta dal solo fatto di recuperare il prezzo pattuito per tale acquisto. Tale interpretazione, ad avviso della ricorrente, vìola manifestamente i patti negoziali, come resi chiari dal testo del contratto, ed è altresì manifestamente illogica.
Analoga critica è rivolta alla valutazione del giudice di merito che ha ritenuto ingiustificata l’eccezione di inadempimento sollevata dalla acquirente in relazione al mancato esercizio del diritto di riscatto sul fondo RAGIONE_SOCIALE, che le ha impedito l’acquisto del bene. La Corte di appello è pervenuta a tale decisione sulla base del rilievo che il mancato versamento da parte della RAGIONE_SOCIALE della somma necessaria a tal fine, come previsto dall’atto, rivelasse il suo scarso interesse ad ottenere il fondo in questione, senza considerare che tale
versamento non aveva ragione di essere eseguito in assenza dell’esercizio del riscatto a cui la controparte si era obbligata. Così ragionando, il giudicante ha altresì violato le norme di legge sull’ interpretazione del contratto, dando rilievo decisivo, in contrasto con la lettera del l’atto , al comportamento successivo della acquirente, laddove il comportamento successivo può rilevare solo se comune ai contraenti.
La Corte territoriale non ha inoltre valorizzato il dato che gli obblighi dei venditori di cui la società lamentava l’inadempimento erano espressamente previsti dall’art. 4 del contratto e che la successiva clausola 11 elevava la loro esecuzione a condizione sospensiva dell’intero contratto, poi interpretata dalla Corte come condizione risolutiva, e che da tali clausole contrattuali emergeva chiaramente che a ll’adempimento di tali obblighi in capo ai venditori le parti contraenti avevano attribuito particol are importanza nell’assetto dei propri interessi.
Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1460 c.c., lamentando che la Corte territoriale, a fronte dell’eccezione di inadempimento della convenuta, abbia indagato sulla importanza dei reciproci inadempimenti delle parti, mentre avrebbe dovuto limitarsi a valutare se l’eccezione fosse o meno stata proposta secondo buona fede, fosse cioè giustificata dall’inadempimento dell’altra parte. Se la Corte si fosse mossa in questa prospettiva, si aggiunge, non avrebbe potuto che giungere ad un giudizio positivo, attesi gli incontestati inadempimenti della controparte degli obblighi assunti ai sensi del contratto e della legge (art.1476 c.c.) e che ciò aveva impedito alla acquirente di acquistare la proprietà di tutti i beni oggetto della compravendita.
I motivi del ricorso principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE vanno esaminati congiuntamente investendo, sotto diversi profili e con diversi accenti, il capo della decisione che ha dichiarato non giustificata l’eccezione di inadempimento sollevata dalla acquirente e ritenuto invece fondata la domanda di risoluzione per colpa avanzata dal Fallimento.
Tutti e cinque i motivi non meritano accoglimento.
Va premesso che la sentenza impugnata, nell’affrontare le questioni interpretative del contratto poste dalle parti, ha avuto modo di precisare che, quanto alla natura della scrittura privata per cui è causa, sottoscritta in data 26.7.1999, essa aveva natura di contratto definitivo e non di contratto preliminare, riconoscendole quindi un immediato effetto traslativo, mentre, con riguardo alla condizione posta dall’art. 11 del contratto, che faceva riferimento agli obblighi gravanti sui venditori indicati nel precedente art. 4, ha affermato che, nonostante il suo tenore, essa andava qualificata non come condizione sospensiva ma come condizione risolutiva, in coordinazione con la clausola risolutiva posta dallo stesso art. 4. Queste conclusioni non sono poste in discussione dal ricorso e debbono pertanto considerarsi dati acquisiti ai fini della presente decisione.
Tanto precisato, la Corte di appello, nell’esaminare la domanda di risoluzione del contratto avanzata dai venditori e l’eccezione di inadempim ento sollevata dalla acquirente, ha proceduto ponendo a confronto le reciproche contestazioni ed accuse ed è giunta alla conclusione che il mancato pagamento dell’intero prezzo di acquisto, entro un termine essenziale, da parte della società RAGIONE_SOCIALE non poteva ritenersi una reazione giustificata e proporzionata all’inadempimento imputato alla controparte. Quest’ultim o, infatti, aveva ad oggetto gli obblighi a suo carico posti dal citato art. 4 del contratto, in particolare la denuncia ai prelazionari di uno dei fondi venduti e l’esercizio del diritto di opzione su altro fondo in precedenza ceduto a tale Varriale. Quanto al primo obbligo, la Corte territoriale ha ritenuto che la sua mancata esecuzione non aveva arrecato un grave pregiudizio all’acquirente, atteso che già il con tratto prevedeva in caso di esercizio della prelazione il diritto della stessa RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del prezzo convenuto per il predetto bene. Con riferimento al diritto di opzione, la Corte ha invece escluso in fatto l’inadempimento, reputando che il suo mancato esercizio fosse dipeso a sua volta dalla mancata erogazione della provvista necessaria che era a carico della stessa RAGIONE_SOCIALE, la quale in tal modo aveva tacitamente manifestato il proprio disinteresse all’acquisto.
La sen tenza ha evidenziato che il mancato pagamento dell’intero prezzo da parte della società RAGIONE_SOCIALE tramite accollo diretto delle posizioni debitorie facenti capo
al Buono e di cui alla tabella allegata al contratto, entro il termine essenziale del 30.9.1999, aveva vanificato l’interesse de i venditori ed il risultato che essi perseguivano con la vendita dei loro beni, alterando completamente il sinallagma contrattuale.
Sulla base di tale raffronto delle condotte delle parti, la Corte ha quindi ritenuto che l’inadempimento posto in essere dalla società acquirente fosse maggiormente rilevante ed ha accolto la domanda di risoluzione del contratto proposta dalla parte venditrice.
4. L’esame della motivazione con cui la Corte di appello, quale giudice del rinvio, ha giustificato la soluzione accolta appare corretta e conforme alle regole di diritto in materia di inadempimento e di risoluzione del contratto.
Sotto un primo profilo, appare certamente rispettato il principio secondo cui, in caso di accuse reciproche di inadempimento, la domanda di risoluzione per colpa e l’eccezion e di inadempimento debbono essere valutate ponendo a confronto le condotte delle parti per la loro incidenza sulla realizzazione dei programma dei contraenti e sull’assetto dei loro interessi come risultante dal contratto (Cass. 4134 del 2025; Cass. n. 36295 del 2023; Cass. n. n. 22626 del 2016; Cass. n. 22626 del 2013; Cass. n. 15796 del 2009; Cass. n. 11430 del 2006; Cass. n. 8880 del 2000). La valutazione comparativa dei reciproci inadempimenti non può in tali ipotesi muovere da un criterio meramente cronologico, addebitando la colpa del l’insuccesso del programma contrattuale alla parte che si sia resa responsabile per prima di un inadempimento, ma deve necessariamente essere condotta secondo un criterio di proporzionalità, comparando le condotte per la loro gravità cioè per la loro incidenza sul sinallagma contrattuale. L’art.1460 c.c. consente invero alla parte di rifiutare di eseguire la propria prestazione a fronte dell’inadempimento dell’altra, ma richiede che tale rifiuto debba essere conforme al principio di buona fede, il che significa che non può essere arbitrario o pretestuoso ma deve uniformarsi al criterio di proporzionalità, atteso che il vincolo contrattuale impone ai contraenti, in ogni circostanza, di adottare comportamenti tali da non compromettere l’interesse dell’altro al conseguimento dell’utilità che egli intendeva perseguire attraverso il contratto (art.1375).
Nel caso di specie, dalla vicenda contrattuale come ricostruita dalla sentenza impugnata emerge con chiarezza ed evidenza che il rifiuto della società acquirente di pagare il prezzo della compravendita costituiva una reazione sproporzionata e del tutto pretestuosa, tenuto conto sia del solo parziale inadempimento accertato a carico dei venditori, sia, soprattutto, del rilievo che il contratto aveva disposto il trasferimento di diversi beni, tra cui fabbricati di valore di gran lunga maggiore del terreno non trasferito, di cui la società RAGIONE_SOCIALE aveva, per l’ effetto, già acquistato la titolarità ed anche il possesso materiale. La decisione impugnata appare pertanto ancorata sotto questo aspetto, che pure concerne valutazioni di merito, a dati obiettivi, che rendono la sua motivazione del tutto rispondente ai principi di diritto ed alle risultanze di causa. La lettura della decisione dimostra così l’inconsistenza della censura secondo cui la Corte territoriale avrebbe obliterato il dato obiettivo dell’import anza dei singoli inadempimenti.
5. Il quarto motivo del ricorso principale attacca gli accertamenti condotti dalla Corte di appello in ordine agli inadempimenti che l’odierna ricorrente aveva ascritto al venditore, sia per l’ omessa denuncia della vendita del terreno sito in località INDIRIZZO ai prelazionari, che per il mancato esercizio del riscatto nei confronti del fondo adibito a vigneto ceduto al terzo Varriale.
Le relative censure si presentano dichiarate inammissibili, investendo accertamenti e valutazioni di fatto di competenza esclusiva del giudice di merito, come tali non sindacabili in sede di giudizio di legittimità.
Con riguardo alla mancata denuntiatio della vendita ai prelazionari, dalla lettura della decisione risulta che la Corte di appello non ha affatto escluso che la condotta della parte venditrice fosse violativa dell’obbligo da essa assunto in forza dell’art. 4 del contratto, ma ha ritenuto che, comportando tale violazione, per esplicito patto contrattuale, il diritto della acquirente alla restituzione della parte del prezzo corrispondente al terreno, indicato nel contratto stesso, l’inad empimento non fosse grave rispetto all’intero programma contrattuale. Si è in presenza di una tipica valutazione di merito, come tale sottratta al sindacato di questa Corte.
Con riferimento, invece, al mancato esercizio del diritto di riscatto del fondo Varriale, la sentenza impugnata ha escluso l’inadempimento, sul presupposto che, in base al contratto, il riscatto presupponesse il previo versamento della somma necessaria, che era a carico della acquirente e che essa non aveva versato. La denunzia di erronea interpretazione della relativa clausola contrattuale è inammissibile o comunque infondata, in quanto, sulla base dei principi che governano il sindacato di questa Corte in tema di interpretazione del contratto (Cass. n. 16987 del 2018; Cass. n. 28319 del 2017; Cass. n. 24539 del 2009), la soluzione accolta dal giudice di merito appare del tutto plausibile sulla base del testo negoziale, non essendo in dubbio che il versamento della somma necessaria all’esercizio del riscatto spettasse alla società RAGIONE_SOCIALE e non risultando dedotto che essa avesse provveduto o comunque offerto in concreto di versarla.
Con lo stesso quarto motivo il ricorso principale assume che la valutazione circa la scarsa importanza dell’inad empimento ascritto ai venditori sarebbe in contrasto che le clausole che prevedevano, a fronte del mancato adempimento degli obblighi menzionati dal citato art. 4, la risoluzione del contratto.
L’argomento è suggestivo ma infondato . La facoltà di avvalersi della risoluzione spettava evidentemente solo alla parte acquirente, essendo la relativa clausola posta nel suo esclusivo interesse, sicché il fatto che essa non se ne era avvalsa, chiedendo la risoluzione, più che segnalare l’essenzialità di tali obblighi, orientava al contrario, come puntualmente osservato dalla Corte di appello, a ritenere che essa non li ritenesse essenziali nell’economia del contratto.
Va altresì disattesa la censura, articolata nel primo, secondo e terzo motivo del ricorso principale, che lamenta che la Corte di appello abbia condotto la sua valutazione dando un peso eccessivo e prevalente all’interesse economico della parte venditrice, a scapito dell’interesse dell’altra parte e disapplicando la regola che impone di tenere conto delle condotte delle parti, cioè di condurre l’ accertamento sulla imputabilità dell’inadempimento sulla base di criteri oggettivi e non soggettivi.
Richiamate per quanto rileva le considerazioni già svolte al punto 3, deve ritenersi che correttamente la Corte di appello, nel valutare comparativamente
la condotta delle parti, abbia dato peso alla circostanza che il rifiuto della acquirente di pagare il prezzo aveva compromesso in modo grave ed in via definitiva l’interesse della venditrice di conseguire l’utilità perseguita con il contratto, vale a dire il ripianamento delle sue posizioni debitorie verso terzi. Questo risultato, nella specie, non era infatti estraneo al contratto, non era cioè rimasto a livello di mero motivo che aveva spinto la proprietà alla vendita, inteso come mera finalità soggettiva del contraente. Esso, al contrario, costituiva la specifica prestazione della parte acquirente, che si era obbligata, attraverso il versamento del prezzo e la concessione di un mutuo ipotecario, a pagare i debiti dei venditori, come indicati nella tabella allegata al contratto.
La censura sollevata dal ricorso non è fondata, in quanto la Corte di appello, nel dare rilievo allo scopo perseguito dal venditore di risanare la sua esposizione debitoria verso terzi non ha valorizzato un mero interesse economico, ma ha considerato la f inalità del contratto nell’atteggiarsi della sua causa concreta. E’ noto infatti il principio che i motivi che spingono il soggetto a contrarre possono essere considerati irrilevanti solo qualora siano rimasti nella sfera interna del contraente, mentre se essi vengono esteriorizzati, nel caso di specie mediante la loro formalizzazione nel documento contrattuale, essi concorrono a formare la causa concreta del contratto, intesa quale funzione pratica che le parti hanno assegnato all’accordo.
Il ricorso principale va pertanto respinto.
6. Il primo motivo del ricorso incidentale proposto dal Fallimento della RAGIONE_SOCIALE di Buono COGNOME, Frisone NOME e di NOME COGNOME denuncia vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione delle parti e violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223 e 1226 c.c., lamentando che la sentenza impugnata, dopo avere accolto la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento della società RAGIONE_SOCIALE abbia respinto la richiesta di risarcimento dei danni per mancata prova sia del nesso causale tra l’inadempimento contrattuale ed il successivo fallimento dei venditor i che del pregiudizio lamentato.
Si assume, sotto un primo profilo, che il fatto che il mancato pagamento del prezzo, mediante assunzione dell’obbligo di ripianare i debiti dei venditori,
avesse determinato il loro fallimento risultava invero un dato accertato dalla stessa sentenza, laddove aveva precisato che l’interesse perseguito dai venditori con la vendita dei propri immobili era proprio quello di risanare le loro posizioni passive. Il rapporto causale tra inadempimento e fallimento risultava pertanto per tabulas ed era una mera conseguenza logica della ricostruzione dei fatti operata dalla stessa Corte di merito. La Corte di appello ha inoltre ignorato fatti acclarati in giudizio, e cioè che al momento della stipulazione dell’atto pendevano presso il tribunale cinque istanze di fallimento nei confronti di COGNOME e che il giudice, sospesa ogni decisione in attesa del pagamento del prezzo della compravendita, aveva poi dichiarato il fallimento in data 6.10.1999, subito dopo la scadenza del termine di pagamento in essa prevista.
Sotto altro profilo, il motivo contesta l’affermazione circa la mancata prova del danno, che invece era determinabile, come sostenuto dalla procedura, nel l’importo della massa passiva del fallimento, che era stato docum entato, ovvero nel valore dei beni compravenduti. La Corte avrebbe dovuto inoltre considerare, ai fini della sussistenza del danno, le conseguenze prodotte dal fallimento sui venditori, sia come perdita di chances in ordine ai redditi della farmacia, che sotto il profilo del danno non patrimoniale.
La Corte, si aggiunge, avrebbe comunque dovuto far ricorso ad una valutazione equitativa del danno, riferita anche ai beni di proprietà del Buono non oggetto della vendita e che era stati appresi dalla procedura, ed avrebbe dovuto considerare che i venditori erano stati privati dei beni venduti e non potevano pertanto contare su di essi al fine di ripianare i debiti.
Il motivo non merita accoglimento.
La Corte di appello ha respinto la domanda di risarcimento dei danni per mancata prova sia del nesso causale tra inadempimento della società RAGIONE_SOCIALE ed il fallimento dei venditori Buono e Frisone che del danno conseguente.
Il Fallimento attacca entrambe tali ragioni di rigetto ma, almeno con riferimento alla mancata prova del danno, la decisione resiste alle censure sollevate.
Sul punto la Corte di appello ha rilevato la palese infondatezza della prospettazione del Fallimento in tema di quantificazione del danno conseguente alla dichiarazione di fallimento, ripetuta in questa sede, secondo cui esso
coinciderebbe con l’importo dei debiti ammessi nella procedura ovvero con il valore dei beni compravenduti.
Questa conclusione merita di essere condivisa.
L’entità della massa passiva discende infatti non dalla dichiarazione di fallimento, ma dalla esposizione debitoria del fallito. Far coincidere il danno con quest’ultima e quivarrebbe a ribaltarne il peso sul terzo, che si assume abbia provocato, con il suo inadempimento, l’apertura della procedura , sollevando in il debitore dalla sua responsabilità. Il risultato si presenta arbitrario ed irragionevole, quanto meno nell’ipotesi in cui i debiti della massa non sono sorti a causa dell’inadempimento contrattual e, difettando, in primo luogo, il nesso di causalità tra la condotta del contraente inadempiente e le conseguenze di cui si chiede egli debba rispondere. Sotto questo profilo la sentenza si sottrae a censura, per avere negato corrispondenza causale tra la condotta della parte acquirente ed il pregiudizio lamentato.
Analoga conclusione merita la prospettazione della determinazione del danno con riferimento al valore dei beni oggetto della compravendita, per la mancanza, come sottolineato dalla Corte territoriale, della riconducibilità di tale posta all’inadempimento della controparte. In disparte la considerazione che, coincidendo il valore dei beni compravenduti con il prezzo pattuito dalle parti, vi è inconciliabilità logica e giuridica tra domanda di risoluzione del contratto e richiesta di pagamento del prezzo, sia pure sotto forma di risarcimento del danno.
Quanto alle altre censure sollevate dal motivo, esse investono la pronuncia di inammissibilità della richiesta di risarcimento del danno per perdita di chances , riferite alla mancata utilizzazione degli immobili compravenduti, il mancato ricorso da parte della Corte di appello al criterio della liquidazione equitativa del danno, a mente dell’art. 1226 c.c., e l’omesso riconoscimento del danno non patrimoniale.
Queste censure sono inammissibili.
La prima perché investe in modo del tutto vago e generico l’affermazione della Corte di appello che ha dichiarato la relativa domanda inammissibile perché nuova, per essere stata proposta solo in sede di giudizio di rinvio. Il ricorrente
non indica, infatti, gli atti difensivi del giudizio di primo grado in cui essa sarebbe stata proposta, mancanza che non consente a questa Corte di verificare l’asserito errore della sentenza .
Identica conclusione merita la seconda censura. A fronte della statuizione della Corte di appello che ha dato atto di non poter procedere alla liquidazione del danno in via equitativa per mancanza di allegazione degli elementi di fatto da prendere in considerazione a tal fine, il Fallimento si limita ad una critica generica, trascurando di evidenziare quali risultanze siano state omesse.
Anche la terza censura, che lamenta la mancata liquidazione dei danni morali subiti da COGNOME a seguito del fallimento, non è in grado di superare il preliminare vaglio di ammissibilità. In primo luogo perché, a fronte dell’omessa pronuncia della Corte di appello sul punto, il ricorso non indica in quali atti del giudizio di merito la relativa richiesta sia stata avanzata. In secondo luogo, dovendosi rilevare che, come riconosce lo stesso ricorrente, tali danni, consistendo nella lesione della reput azione dell’imprenditore e nelle restrizioni che egli subisce a seguito della dichiarazione di fallimento, hanno natura strettamente personale, coinvolgendo esclusivamente la posizione del fallito, con la conseguenza che la relativa richiesta risarcitoria non può essere esercitata dal curatore del fallimento.
8. Il secondo motivo del ricorso incidentale, nel denunciare vizio di omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione delle parti e violazione dell’art. 112 c.p.c., lamenta il rigetto della domanda di risarcimento del danno nei confronti del notaio COGNOME NOMECOGNOME per avere questi indicato solo nel 2003, con rettifica della trascrizione dell’atto di vendita, la presenza in esso di una condizione sospensiva. La motivazione della sentenza sul punto, che ha respinto la domanda assumendo che la condotta del notaio non aveva comportato incertezza in ordine all’effettivo verificarsi dell’effetto traslativo, è censurata dal F allimento per non avere considerato che l’omissione del notaio aveva comunque distorto la volontà dele parti, che avevano inteso sottoporre gli effetti del contratto a condizione sospensiva. L’err ore del notaio aveva cagionato danni alla procedura, che a causa dell’incertezza deriva tane aveva intrapreso diversi giudizi. In realtà, si aggiunge, la sentenza è sbagliata per non
avere accertato che il notaio era responsabile per non avere rappresentato nell’atto la effettiva volontà delle parti contraenti, che intendevano porre in essere un preliminare di vendita e non un definitivo, per avere recepito clausole tra loro contraddittorie e per non avere salvaguardato in modo corretto e sufficiente l’interesse della parte venditrice.
Il mezzo è in parte infondato e per il resto inammissibile.
La contestazione dell’operato del notaio per la ritardata trascrizione della condizione sospensiva di cui all’art. 4 del contratto non trova fondamento nelle vicende di causa, atteso che con statuizione non oggetto di impugnazione la sentenza impugnata, come ricordato, ha ricostruito la volontà dei contraenti nel senso che la suddetta clausola integrava una condizione risolutiva e non sospensiva. Viene pertanto a cadere lo stesso presupposto che sosteneva l’addebito, non potendosi equiparare gli effetti del ritardo della trascrizione di una condizione sospensiva con quelli derivanti dal ritardo nella trascrizione di una condizione risolutiva unilaterale. In particolare, viene meno la tesi del ricorrente secondo cui il suddetto ritardo aveva cagionato l’immediata efficac ia reale della compravendita, in disparte il rilievo fatto proprio dalla Corte di appello secondo cui l’effetto traslativo della compravendita è determinato dal contenuto del contratto e non dalla sua trascrizione, che ha efficacia dichiarativa.
Le altre censure sono invece inammissibili per palese genericità degli addebiti rivolti al notaio, consistenti nel non avere controllato in sede di autentica della scrittura privata la corrispondenza dell’atto alla volontà delle parti, in particolare con riferimento al tipo di contratto voluto, che si assume era un preliminare e non un definitivo. La deduzione difensiva, che non è stata accolta dalla sentenza impugnata, appare infatti del tutto generica, non indicando il ricorso alcun elemento di fatto a sostegno del l’assunto che l’intenzione reale dei contraenti fosse diversa da quella riprodotta nell’atto.
10. Il terzo motivo del ricorso incidentale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 183, comma 6, c.p.c., censurando la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile per novità la deduzione svolta dal Fallimento nella memoria istruttoria che argomentava la responsabilità del notaio ai sensi
dell’art. 28 della legge professionale, per avere raccolto un atto nullo, in particolare la fideiussione che accedeva al contratto, dichiarata nulla dal tribunale di Roma con sentenza del 2006. Il capo della sentenza è criticato sostenendosi che la deduzione non integrava una domanda nuova, ma si risolveva dell’evidenziare altri profili di responsabilità del professionista nell’ambito della domanda di condanna al risarcimen to dei danni già proposta. 11. Il motivo non può essere accolto.
Al di là della questione della ammissibilità, in sede di memoria istruttoria, della dedotta responsabilità del notaio per parziale nullità del contratto, assorbente appare la considerazione che la causa della allegata nullità della fideiussione posta a garanzia della società acquirente è rimasta indeterminata, non risultando dalla esposizione del ricorso e dalla stessa sentenza la ragione per cui essa è stata dichiarata. La stessa deduzione, come ha rilevato la Corte di appello, risultava inoltre generica, in quanto, non avendo partecipato il notaio al relativo giudizio, la questione avrebbe dovuto essere riproposta e sottoposta all’esame del giudice di merito, non potendosi risolvere sulla base della allegazione di una sentenza che la stessa Corte di appello ha dichiarato di non essere in grado di rinvenire tra la copiosa documentazione prodotta in causa. In tale contesto il motivo non può essere accolto, in quanto l’allegazione del fatto omesso, che la parte indica quale fonte di responsabilità professionale del notaio convenuto, appare del tutto generica ed indeterminata.
12. In conclusione, il ricorso principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e quello incidentale proposto dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE di COGNOME e di Frisone NOME e COGNOME NOME sono respinti.
Le spese di giudizio tra le parti ricorrenti si dichiarano interamente compensate, in ragione della soccombenza reciproca. Il Fallimento va invece condannato al pagamento delle spese di giudizio in favore di RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato controricorso quale assicuratore del notaio COGNOME
Deve darsi atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell ‘ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
R.G. N. 20234/2024.
La Corte rigetta il ricorso principale proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE e quello incidentale proposto dal Fallimento RAGIONE_SOCIALE di Buono Catello e di Frisone NOME e COGNOME NOME il ricorso; compensa tra le predette parti le spese di giudizio; condanna il Fallimento al pagamento delle spese in favore di RAGIONE_SOCIALE che liquida in euro 6.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del l’8 aprile 2025.