Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21814 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21814 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16497/2019 R.G. proposto da:
NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende,
– ricorrenti –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI ROMA n. 7539/2018 depositata il 21/11/2018;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 08/05/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE:
Con decreto ingiuntivo notificato su istanza della RAGIONE_SOCIALE (‘RAGIONE_SOCIALE‘) , il Tribunale di Roma ingiungeva ad NOME COGNOME il
pagamento di € . 12.000,00 corrispondente al residuo prezzo dovuto per l’esecuzione di lavori di ristrutturazione presso l’appartamento di quest’ultima.
Il suddetto decreto veniva opposto innanzi al medesimo Tribunale dall’ingiunta, che rilevava – tra l’altro – di aver corrisposto alla società un importo complessivo di €. 58.000,00, di cui €. 48.000,00 a mezzo di bonifici bancari in pagamento di somme indicate in precedenti fatture, ed € . 10.000,00 tramite due assegni bancari non oggetto di fatturazione, indebitamente percepiti da NOME COGNOME, amministratore unico e legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, del quale chiedeva l’autorizzazione alla chiamata in causa. In via riconvenzionale, l’opponente chiedeva la condanna di EGA al risarcimento dei danni arrecatile a cagione dell’imperfetta ed incompleta esecuzione dei lavori.
Costituitosi, il COGNOME deduceva la sussistenza di un contratto di prestazione professionale, conseguente alla propria qualità di architetto, distinto rispetto al contratto di appalto stipulato dalla COGNOME con EGA.
1.1. Il Tribunale di Roma riteneva provata la sussistenza di due autonomi rapporti tra le parti del giudizio: un contratto d’appalto intercorso tra l’opponente e la EGA; un contratto di prestazione d’opera intellettuale intercorso tra l’opponente e il COGNOME, nella sua qualità di architetto e, pertanto, rilevava che tale ultima prestazione era stata retribuita con il versamento di € . 10.000,00; quantificava il prezzo complessivo dei lavori eseguiti in € . 60.000,00; accertava come non eseguiti a regola d’arte i lavori realizzati da EGA, necessitanti perciò di un corretto ripristino per una spesa di € . 9.779,35 e, per l’effetto, condannava l’opponente al pagamento della differenza tra il residuo prezzo non pagato, pari a € . 12.000,00 e l’importo suddetto, per una somma finale di €2.220,65.
La suddetta pronuncia veniva impugnata dalla COGNOME innanzi alla Corte d’Appello di Roma che, in parziale riforma della sentenza
gravata, con sentenza n. 7539/2018, condannava la RAGIONE_SOCIALE al pagamento di € . 7.779,35 nei confronti di NOME COGNOME, oltre al pagamento – in solido con NOME COGNOME – delle spese del doppio grado di giudizio. A sostegno della sua decisione, affermava la Corte che:
il terzo chiamato, NOME COGNOME, non ha adeguatamente adempiuto l’onere probatorio, sullo stesso ricadente, relativo all’avvenuto conferimento dell’incarico professionale e dell’effettivo espletamento dello stesso, avendo depositato due fatture dall’imp orto complessivo di € . 10.000,00 che, oltre a non specificare le prestazioni svolte e ad essere sfornite di prova in ordine alla ricezione da parte dell’odierna appellante, recano importi e date non coincidenti con importi e date degli assegni bancari spiccati dalla COGNOME;
in considerazione anche del decisivo elemento presuntivo rappresentato dal ruolo di amministratore unico rivestito dal COGNOME al momento dell’esecuzione dei lavori da parte della RAGIONE_SOCIALE, deve ritenersi adeguatamente dimostrato dall’appellante il dato dell’imputazione della somma di € . 10.000,00 al complessivo importo da questa dovuto in conseguenza dei lavori eseguiti da RAGIONE_SOCIALE;
ne consegue che la somma residua dovuta dall’appellante non era pari all’intero importo di quella originariamente ingiunta (ossia € . 12.000,00) ma – detratta l’ulteriore somma di euro 10.000,00 era pari ad € . 2000,00 da porre in compensazione impropria con quella di € . 9.779,35 necessaria per l’eliminazione dei difetti delle opere, nella misura determinata dal CTU.
La pronuncia veniva impugnata per la Cassazione da RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME NOME con ricorso affidato a due motivi, illustrato da memoria.
Resisteva NOME COGNOME depositando controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., degli artt. 112 cod. proc. civ. e 116 cod. proc. civ. – vizio di omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. Sull’assunto di un fatto decisivo, ossia che i due assegni emessi dalla committente per un totale di €. 10.000,00 erano stati consegnati all’architetto COGNOME e dallo stesso personalmente incassati, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui, pronunciando ultra petita , imputa la somma di €. 10.000,00 al pagamento in favore di RAGIONE_SOCIALE, cifra pagata invece al professionista come corrispettivo del compenso a lui spettante; dispone la condanna di RAGIONE_SOCIALE al pagamento di somme nei confronti della COGNOME in forza di compensazione impropria già esclusa dal Tribunale e non riproposta in appello: con l’atto d’appello, infatti, la COGNOME aveva chiesto una condanna di restituzione di indebito nei confronti dell’architetto COGNOME.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., degli artt. 1241 cod. civ. (compensazione), 2271 cod. civ. (esclusione della compensazione), 2462 ss. cod. civ. (responsabilità nelle s.r.l), 1193 cod. civ. (imputazione di pagamento), 1388 cod. civ (contratto concluso dal rappresentante), 2697 cod. civ. (onere della prova) e 115 cod. proc. civ. La ricorrente censura la pronuncia nella parte in cui ha applicato con disinvoltura le norme riguardanti l’imputazione di pagamento e la compensazione: il nostro ordinamento esclude, infatti, la compensazione tra obbligazioni che un terzo ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio, ex art. 2271 cod. civ.: norma che a fortiori si applica alle obbligazioni tra il terzo e il rappresentante legale che abbia agito in proprio, come nel caso in questione. Anche l’art. 1388 cod. civ. esclude la regola del mandato con rappresentanza per effetto della quale il mandante è direttamente obbligato nei confronti dell’altro contraente nel caso in
cui il mandatario non dichiari di agire in nome del mandante. Infine, quanto all’onere della prova: poiché l’architetto COGNOME rivestiva la parte di convenuto rispetto all’azione di ripetizione di indebito promossa dalla COGNOME, era quest’ultima ad essere gravata dell’onere di provare che il pagamento effettuato nei confronti del professionista fosse privo di giustificazione.
I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto entrambi censurano la sentenza impugnata, seppure sotto profili differenti, nella parte in cui -esclusa la sussistenza di un rapporto professionale autonomo con l’architetto COGNOME imputa il pagamento effettuato nelle mani del COGNOME al credito di EGA ed opera una compensazione impropria tra il credito di quest’ultima così ridotto e il suo debito con la COGNOME.
Entrambi sono infondati per le ragioni che seguono.
3.1. La Corte territoriale, in accoglimento del secondo motivo di appello e ricostruendo la scansione processuale della vicenda, ha rilevato che l’appellante aveva fondato le proprie difese avverso la domanda principale spiegata dalla EGA in sede di ricorso monitorio, assumendo di aver versato somme complessive in favore della società pari ad € . 58.000,00 corrispondenti al valore delle opere realizzate. Rivalutato il compendio probatorio, il giudice di seconde cure è pervenuto a conclusione opposta a quella del primo giudice, ossia all’inesistenza di un rapporto professionale autonomo tra la COGNOME e il COGNOME: motivazione, questa, scevra da incongruenze logicogiuridiche, e pertanto insindacabile in questa sede. Da tanto consegue l’imputazione di € . 10.000,00 – dovuti al COGNOME secondo la ricostruzione del primo giudice – alla società RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Una volta effettuata questa diversa imputazione del pagamento in questione, rientra tra i poteri del giudice di seconde cure – senza perciò incorrere nel vizio di ultra petizione – operare d’ufficio la compensazione impropria tra i debiti e crediti reciproci tra le parti aventi origine in uno stesso rapporto, risolvendosi in una
verifica delle reciproche poste attive e passive delle parti, senza che sia necessaria la riproposizione in appello della domanda di compensazione, posto che nel caso che ci occupa l’accertamento si fonda su circostanze fattuali tempestivamente acquisite al processo (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 6700 del 13/03/2024, Rv. 670497 -01; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 33872 del 17/11/2022, Rv. 666238 – 01).
3.3. Priva di pregio è, altresì, la censura della ricorrente in merito all’asserita erronea distribuzione degli oneri di prova: avendo il convenuto COGNOME dedotto la sussistenza di un contratto di prestazione professionale, quale fatto modificativo della pretesa dell’allora opponente, incombeva su di lui l’onere di dimostrare il suo credito, ossia la prova del conferimento dell’incarico e del suo effettivo espletamento (ex multis di recente: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21522 del 20/08/2019, Rv. 655206 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9254 del 20/04/2006, Rv. 588986 – 01).
4. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in €. 3.0 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Seconda