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Impugnazione ordinanza 348 bis: limiti e inammissibilità

Un debitore, a seguito di un’azione revocatoria su una donazione, ha contestato la valutazione del suo patrimonio. La Corte d’Appello ha respinto il gravame con un’ordinanza di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c. La Corte di Cassazione, investita della questione, ha dichiarato il ricorso inammissibile, ribadendo un principio fondamentale: l’ordinanza che conferma la sentenza di primo grado non è autonomamente impugnabile per motivi di merito, anche se la motivazione è parzialmente diversa. L’unico atto impugnabile resta la sentenza del tribunale.

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Impugnazione ordinanza 348 bis: la Cassazione chiarisce i limiti

L’impugnazione ordinanza 348 bis c.p.c. rappresenta un tema processuale di grande rilevanza, come dimostra una recente pronuncia della Corte di Cassazione. Il caso analizzato riguarda un’azione revocatoria avviata da un creditore contro una donazione immobiliare, ma la questione centrale si è spostata sui limiti e le modalità di ricorso contro il provvedimento di inammissibilità emesso dalla Corte d’Appello. Questa decisione offre spunti cruciali per comprendere la funzione di filtro del giudizio di secondo grado e le corrette strategie difensive.

I Fatti di Causa: Donazione e Azione Revocatoria

La vicenda ha origine dall’azione legale di un istituto di credito (poi succeduto da una società di cartolarizzazione) contro un fideiussore. Quest’ultimo, insieme alla moglie, aveva donato ai propri figli la nuda proprietà di una quota di un immobile, atto che secondo il creditore pregiudicava la garanzia patrimoniale per un debito di oltre un milione di euro. Il creditore ha quindi esercitato l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. per far dichiarare inefficace tale donazione nei suoi confronti.

Il Percorso Giudiziario e l’impugnazione ordinanza 348 bis

Il Tribunale di primo grado ha accolto la domanda, dichiarando l’inefficacia della donazione limitatamente alla quota di proprietà del padre-fideiussore. Contro questa sentenza, sia il padre sia i figli hanno proposto appello. La Corte d’Appello, tuttavia, ha ritenuto che i gravami non avessero una ragionevole probabilità di essere accolti e li ha dichiarati inammissibili con un’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 348 bis del codice di procedura civile. Questo provvedimento è diventato il fulcro della successiva impugnazione ordinanza 348 bis davanti alla Corte di Cassazione.

Le Doglianze dei Ricorrenti

I ricorsi in Cassazione si basavano su due argomenti principali:
1. Errata valutazione del patrimonio: Il debitore sosteneva che i giudici di merito non avessero correttamente valutato il suo patrimonio residuo, in particolare il valore delle quote di una società di costruzioni da lui interamente posseduta. A suo dire, una corretta stima avrebbe dimostrato la sua capienza patrimoniale, facendo venir meno l’eventus damni, presupposto dell’azione revocatoria.
2. Natura decisoria dell’ordinanza: I figli, donatari, sostenevano che l’ordinanza della Corte d’Appello non si fosse limitata a una valutazione sommaria, ma avesse riformato la motivazione della sentenza di primo grado, acquisendo così una natura sostanziale di sentenza e rendendosi autonomamente impugnabile.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili, fornendo chiarimenti decisivi sull’ambito di applicazione dell’art. 348 bis c.p.c. I giudici hanno ribadito un principio consolidato, già affermato dalle Sezioni Unite: l’ordinanza di inammissibilità dell’appello non è, di per sé, ricorribile in Cassazione per motivi di merito. L’unico provvedimento che può essere oggetto di ricorso per vizi di merito è la sentenza di primo grado.

La Corte ha specificato che le censure dei ricorrenti, pur presentate come violazioni di legge, miravano in realtà a ottenere un riesame dei fatti e una nuova valutazione delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità. La stima del patrimonio del debitore è un accertamento di fatto che, se adeguatamente motivato, non può essere ridiscusso in Cassazione.

Inoltre, la Corte ha smontato l’argomento secondo cui l’ordinanza sarebbe diventata una sentenza autonoma. Anche quando il giudice d’appello conferma la decisione di primo grado utilizzando un percorso argomentativo parzialmente diverso, se la ratio decidendi (la ragione giuridica fondamentale) rimane la stessa, l’ordinanza non acquista una natura autonoma. Essa resta un provvedimento che conferma il giudizio precedente, e come tale non è impugnabile se non per vizi procedurali propri, che nel caso di specie non sussistevano.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Decisione

Questa pronuncia rafforza la funzione deflattiva e di filtro dell’ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. Le parti processuali devono essere consapevoli che, di fronte a un’ordinanza di inammissibilità dell’appello, la strategia corretta non è impugnare l’ordinanza stessa per motivi di merito, ma proporre ricorso per cassazione direttamente avverso la sentenza di primo grado. La decisione della Cassazione chiarisce che tentare di aggirare questo principio, mascherando censure di fatto come violazioni di legge, porta inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna alle spese.

È possibile impugnare in Cassazione un’ordinanza della Corte d’Appello che dichiara inammissibile l’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.?
No, di regola non è possibile impugnarla per motivi di merito. La Cassazione ha chiarito che l’atto da impugnare è la sentenza di primo grado. L’ordinanza è impugnabile solo per vizi procedurali propri (es. violazione delle norme che la disciplinano), non per contestare la valutazione che ha portato a ritenerla infondata.

Se la Corte d’Appello conferma la decisione di primo grado ma con una motivazione parzialmente diversa, l’ordinanza diventa autonomamente impugnabile?
No. Secondo la Corte, anche in questo caso, se le due decisioni si fondano sulla stessa ratio decidendi (ragione giuridica fondamentale), l’ordinanza non acquista natura di decisione autonoma e diversa da quella di primo grado. Resta quindi un provvedimento che conferma la precedente sentenza, e non è autonomamente impugnabile.

In un’azione revocatoria, la valutazione del patrimonio residuo del debitore può essere riesaminata dalla Corte di Cassazione?
No. La valutazione delle prove e la stima della consistenza del patrimonio del debitore (incluso il valore di quote societarie) costituiscono un accertamento di fatto. Tale accertamento, se logicamente motivato dal giudice di merito, non può essere oggetto di un nuovo esame da parte della Corte di Cassazione, che è giudice di legittimità e non del fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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