Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17039 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17039 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 32048 – 2021 proposto da:
COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante pro tempore di RAGIONE_SOCIALE, incorporante di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato presso lo studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME dai quali è rappresentato e difeso giusta procura allegata al ricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI VENEZIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME dal quale è rappresentato e difeso con gli avv.ti NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
giusta procura allegata al controricorso, con indicazione degli indirizzi pec;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 921/2021 del TRIBUNALE DI VENEZIA, pubblicata il 13/05/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
4/7/2024 dal consigliere NOME COGNOME
lette le memorie delle parti.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso al Giudice di Pace di Venezia del 17 dicembre 2012, NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (cui è succeduta per incorporazione RAGIONE_SOCIALE) propose opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 6248/11 del Comune di Venezia, con cui era stato ingiunto alla società e a lui, in solido, il pagamento di Euro 166,67, pronunciata a seguito di un verbale di accertamento eseguito in data 31 maggio 2011 dalla Polizia Municipale: nel predetto verbale era stato contestato che RAGIONE_SOCIALE avesse gestito unitariamente, di fatto, le tre distinte licenze per attività ricettiva extra-alberghiera (affittacamere) a cui era autorizzata, così realizzando una attività di tipo alberghiero in difetto di autorizzazione, in violazione dell’art. 41, comma 1, della legge regionale Veneto n. 33/2002, come sanzionata dal successivo art. 43 comma 1.
Con sentenza n. 362/2019, il Giudice di Pace accolse l’opposizione, annullando l’ordinanza ingiunzione comunale.
Con sentenza n. 921/2021, il Tribunale di Venezia accolse l’appello del Comune e, rigettato l’appello incidentale proposto da NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di l’RAGIONE_SOCIALE (incorporante RAGIONE_SOCIALE), rigettò l’ opposizione.
In particolare, per quel che qui ancora rileva, il Tribunale escluse che la questione della gestione unitaria fosse preclusa dalla precedente pronuncia del TAR Veneto 610/08, divenuta giudicato, che aveva soltanto stabilito se alcuni interventi edilizi, realizzati all’interno dell’immobile ove erano esercitate le attività, fossero o non condonabili; quindi, evidenziò più indici sintomatici della gestione unitaria, sia di tipo organizzativo-strutturale, sia di pubblicizzazione alla potenziale clientela.
4. Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, incorporante RAGIONE_SOCIALE, affidandolo a tre motivi a cui il Comune di Venezia ha resistito con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME in proprio e nella qualità ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell’art. 41, comma 1, e dell’art. 43, comma 1, della legge regionale veneta 4 novembre 2002 n. 33 nonché dell’art. 25 della legge regionale veneta 14 giugno 2013 n. 11 e dei relativi allegati C, D, E e, con un secondo profilo, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione.
In particolare, il Tribunale avrebbe dovuto considerare che il Comune di Venezia ha rilasciato a suo tempo tre autorizzazioni all’esercizio dell’attività di affittacamere da svolgersi in tre piani dello stesso immobile situato a Venezia, centro storico, tutte intestate a RAGIONE_SOCIALE per ravvisare, allora, la gestione unitaria delle tre strutture, il Tribunale avrebbe dovuto accertare, a titolo esemplificativo e non esaustivo, l’unitarietà economico -finanziaria della gestione,
l’unitarietà fiscale e delle posizioni gestionali del personale dipendente, nonché delle posizioni assicurative riferite a ciascuna, nonché l’unitarietà delle procedure relative all’acquisizione e ai pagamenti dell’imposta di soggiorno. Gli elementi evidenziati in sentenza, invece, non sarebbero rilevanti perché non è vietato che gli utenti di ciascuna struttura ricettiva possano sostare nei diversi pianerottoli, incontrarsi, parlarsi, né che possano fruire di una prima colazione in un locale comune, così come potrebbero andare in un bar comune convenzionato; infine, un campanello del portone di ingresso comune o distinto non potrebbe essere discrimine tra l’attività di affittacamere e quella di albergo.
2. Con il secondo motivo, articolato in riferimento al n.3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 25 della legge regionale veneta 14 giugno 2013 n. 11 e dei relativi allegati C, D, E e la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. , nonché la violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del d.lgs. 23 maggio 2011 n. 79 (Codice del turismo) e la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., per avere il Tribunale omesso di valutare la sussistenza dei requisiti obbligatori per gli alberghi come fissati dall’art. 25 della legge regionale veneta n. 11/2013 e gli allegati alla legge medesima C, D, E. In particolare, secondo il ricorrente, il Tribunale avrebbe dovuto valutare la presenza, ad esempio, di suites, junior suites oltre a quelle connotazioni, prestazioni, presenze, servizi dettagliatamente indicati negli allegati C, D, E, caratterizzanti un albergo; nella sentenza, invece, sono rimarcate soltanto alcune caratteristiche, ma non la sussistenza di tutti i requisiti obbligatori per la configurazione di un albergo. Per altro aspetto, il Tribunale non
avrebbe considerato che l’art. 12 del Codice del Turismo ha previsto che gli esercizi di affittacamere possano essere composti da camere ubicate in più appartamenti ammobiliati, sicché per sé sola la pluralità e vicinanza di più appartamenti non soltanto non sarebbe sintomatica di un albergo, ma non sarebbe significativa in quanto consentita dalla legge.
2.1. I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente per continuità di argomentazione, non possono essere accolti.
Innanzitutto, deve escludersi la fondatezza della denuncia di nullità ex art. 132 n. 4 cod. proc. civ.: questa Corte ha costantemente puntualizzato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, nel senso della «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, restando così esclusa qualunque rilevanza del semplice «difetto di sufficienza» della motivazione. Ricorre, allora, il vizio denunciato con il secondo motivo quando la motivazione, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (v. tra le tante, in
ultimo, Sez. U, n. 2767 del 30/01/2023, in motivazione, con numerosi richiami; Cass. Sez. 1, n. 7090 del 03/03/2022).
Nella specie, invece, non sussiste alcuna delle ipotesi appena descritte perché la Corte territoriale ha dettagliatamente ricostruito gli indici di fatto significativi della gestione alberghiera abusiva.
2.2. Quanto alle dedotte violazioni delle leggi regionali del Veneto n.33/2002 e 11/2013, la sanzione è stata inflitta ex 43 comma 1 della legge regionale del Veneto n. 33 del 2002, per violazione del precedente art. 41, comma 1, vigenti all’epoca dei fatti accertati (31 maggio 2011); non rileva qui, trattandosi di sanzione amministrativa, la intervenuta abrogazione degli articoli suindicati ad opera della legge regionale Veneto 14/06/2013 n. 11 e la sopravvenuta disciplina sanzionatoria.
Secondo il comma 1 dell’art. 41, l’apertura delle strutture ricettive alberghiere e delle strutture ricettive all’aperto era soggetta ad autorizzazione rilasciata dal Comune in cui la struttura ricettiva era situata e l’autorizzazione doveva contenere le i ndicazioni relative alla classificazione assegnata, alla capacità ricettiva, al periodo di apertura e all’ubicazione della struttura. L’art. 43, al comma 1, prevedeva una sanzione amministrativa da Euro 1.000,00 a Euro 5.000,00 e l’immediata chiusura in ipotesi di esercizio di una attività ricettiva, anche in modo occasionale, senza autorizzazione.
La definizione di struttura alberghiera era contenuta all’art. 23 della stessa legge che fissava, quali «minimi» «requisiti della classificazione delle strutture ricettive alberghiere», la capacità ricettiva non inferiore a sette camere, oppure, sette suites/junior suites, ovvero, sette unità abitative con esclusione delle dipendenze, le attrezzature e servizi di cui agli allegati C, D ed E.
Per l’art. 25, invece, costituivano strutture ricettive extralberghiere gli esercizi di affittacamere, cioè le strutture che assicurassero i servizi minimi e in possesso dei requisiti previsti dall’allegato F parte prima, composte da non più di sei camere, ciascuna con accesso indipendente dagli altri locali, destinate ai clienti, ubicate in non più di due appartamenti ammobiliati di uno stesso stabile, con fornitura di alloggio ed eventualmente di servizi complementari, compresa l’eventuale somministrazione dei pasti e delle bevande.
Gli agenti della polizia municipale che hanno effettuato il controllo e redatto il verbale hanno accertato che a fronte dell’autorizzazione all’esercizio di tre attività ricettive extralberghiere in tre unità immobiliari nello stesso stabile, al pubblico e ra offerto l’alloggio in un’unica struttura ricettiva che presentava le caratteristiche di attività alberghiera.
In particolare, come è stato correttamente rimarcato nella sentenza qui impugnata, è stato rilevato che l’accesso a uno degli immobili in cui si trovava una delle strutture ricettive autorizzate, il portone al civico n. 2684, risultava chiuso e non utilizzato e privo di campanello con indicazione nominativa; al vicino civico n. 2683, invece, era stato predisposto l’unico accesso del pubblico per tutto lo stabile, reso comune alle tre strutture ricettive e, all’esterno, era stato apposto un campanello e una sola insegna recante la ditta «RAGIONE_SOCIALE»; un’unica rampa di scale collegava i piani e gli alloggi delle tre strutture risultavano comunicanti; al piano terra, non più adibito ad alloggio, sebbene nelle sue stanze fosse stata originariamente autorizzato l ‘esercizio di una delle strutture ricettive, era stata predisposta un’unica reception, al servizio di tutte le camere e il soggiorno era stato attrezzato per servire le colazioni agli ospiti di
tutto lo stabile (e, cioè, di tutte le tre attività autorizzate); tutte le camere erano numerate progressivamente, senza distinzione tra i tre esercizi e risultavano uniformate la tappezzeria e gli arredi nei vari locali; infine, in tutto lo stabile erano predisposti mezzi pubblicitari quali lista prezzi, biglietti da visita, brochure fornite agli ospiti, con il riferimento unico al «RAGIONE_SOCIALE» e un unico sito internet, con indirizzo «http:/www.novecento.biz», pubblicizzava la struttura ricettiva come unico albergo.
La Corte ha, pertanto, riscontrato la sussistenza della violazione in forza di un ragionamento presuntivo correttamente impostato -e qui non censurato -che ha condotto a desumere l’effettivo esercizio dell’unica attività alberghiera abusiva dal carattere di precisione, gravità e concordanza dei plurimi fatti noti esaminati e prima riportati; in tal senso, allora, l’esame di ciascun elemento indiziario come svolto in ricorso («non è vietato che gli utenti di ciascuna struttura ricettiva possano sostare nei diversi pianerottoli, incontrarsi, parlarsi, né che possano fruire di una prima colazione in un locale comune, così come potrebbero andare in un bar comune convenzionato; infine, un campanello del portone di ingresso comune o distinto non potrebbe essere discrimine tra l’attivi tà di affittacamere e quella di albergo») non è idoneo a scalfire la cosiddetta «convergenza del molteplice», proprio in quanto svolto atomisticamente, senza considerare le inferenze della valutazione unitaria e complessiva.
Ciò precisato, deve quindi considerarsi che la finalità della autorizzazione all’esercizio dell’attività ricettiva, alberghiera o extralberghiera, è quella di controllare l’esercizio dell’attività turistica sul territorio, al fine di tutelare la molteplicità degli eterogenei interessi coinvolti, di pertinenza dello Stato, degli enti locali, di ciascun consumatore: a tal fine, pertanto, a rilevare è proprio la sussistenza di
indici di fatto, significativi per l’utenza, dell’esercizio di un’attività alberghiera che, tuttavia, è risultato abusivo perché non autorizzato.
Pertanto, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente, la prospettata mancanza dell’unitarietà economica della gestione, dell’unitarietà fiscale, dell’unitarietà delle posizioni assicurative riferite a ciascuna delle tre strutture e dell’unitarietà delle acquisizioni delle tasse di soggiorno dagli ospiti rilevava soltanto al fine di confermare lo iato tra attività formalmente autorizzata e autorità di fatto esercitata.
Allo stesso modo, non avrebbe potuto far escludere la configurabilità dell’esercizio abusivo di attività alberghiera la mancanza di alcuni tra gli standard di cui agli allegati della legge regionale: questi indici sono stati selezionati, infatti, dal legislatore al diverso scopo della classificazione e del controllo di qualità degli esercizi regolarmente autorizzati.
3. Con il terzo motivo, articolato in riferimento al n. 3 del comma I dell’art. 360 cod. proc. civ., NOME COGNOME ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. e, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, per non avere il Tribunale ritenuto rilevante sul punto la sentenza n. 610/2008 del T.A.R Veneto, passata in giudicato, che, stabilendo se, in forza delle opere realizzate nelle strutture, potesse presumersi il cambio di destinazione dei locali da residenziale ad alberghiera, ha confermato la destinazione residenziale e l’ idoneità della struttura a essere qualificata come strumentale all’esercizio di attività di affittacamere; il giudicato rileverebbe perché nell’ordinamento urbanistico veneziano l’attività di affittacamere è esercitata in immobili con destinazione d’uso residenziale cioè abitativa.
3.1. Il motivo è infondato. Come riportato nella stessa argomentazione della censura, la Corte d’appello ha rimarcato, per escludere la sussistenza di un giudicato in senso contrario all’accertamento, che «n el giudizio avanti il T.A.R. si discuteva se, in forza delle opere realizzate dai gestori, potesse presumersi il cambio di destinazione dei locali da residenziale ad alberghiero, quindi di una contestata violazione in materia edilizia; il presente giudizio, invece, originato da accertamenti successivi alla sentenza amministrativa, ha ad oggetto il contestato esercizio di una attività alberghiera in luogo di quella licenziata di affittacamere senza la prescritta autorizzazione (che prevede diversi presupposti per le due attività) e si fonda, peraltro, su elementi fattuali in parte diversi da quelli già esaminati dal Giudice amministrativo».
Ancora una volta, pertanto, è infondata la denuncia di nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente, per le considerazioni già esposte al precedente punto 2.1.
3.2. Risulta, poi, omessa la riproduzione, nella formulazione della censura, della sentenza del T.A.R. n.610/08, riproduzione che, invero, questa Corte ha più volte segnalato come indispensabile ai fini dell’autosufficienza, perché l’interpretazione del giudicato esterno, qualora sia censurata l’interpretazione del giudice di merito, può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, ma nei limiti in cui il testo del giudicato sia riportato nel ricorso (cfr. Cass. Sez. L n. 5508 del 08/03/2018, Sez. 2 n. 17310 del 19/08/2020, Sez. 3 n. 25700 del 25/09/2024).
In ogni caso, dalla lettura della sentenza del T.A.R. n. 610/08, allegata al ricorso, è evidente la correttezza della decisione della Corte d’appello sul punto : come riportato nella sentenza qui impugnata, infatti, il T.A.R. è stato investito, infatti, soltanto della legittimità del
provvedimento di rigetto della istanza di condono edilizio e dell’ordine di demolizione delle opere non condonate; accogliendo l’impugnazione, ha, perciò, soltanto rilevato che le opere realizzate al piano terra, primo e secondo (in particolare, l’eliminazione del piano cottura nel soggiorno al piano secondo e l’ampliamento del passaggio tra ingresso e camera da letto a piano terra con cambio destinazione di quest’ultima a ufficio) non erano formalmente incompatibili con l’esercizio delle attività ricettive extralberghiere come autorizzate e, come tali, erano suscettibili di condono in quanto non vietate in riferimento alla formale destinazione residenziale.
È più che chiaro, allora, che, in questa decisione, non vi è alcuna statuizione che escluda l’abusività dell’utilizzo di quelle stesse opere per poter realizzare un unico albergo ed esercitare, così, un’attività ricettiva di tipo alberghiero abusiva.
Il ricorso è perciò respinto, con conseguente condanna del ricorrente NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (cui è succeduta per incorporazione RAGIONE_SOCIALE) al rimborso delle spese processuali in favore del Comune di Venezia, liquidate in dispositivo in relazione al valore.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna NOME COGNOME in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE (cui è succeduta per incorporazione RAGIONE_SOCIALE) al pagamento, in favore del Comune
di Venezia, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda