Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 31185 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 31185 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12342/2020 R.G. proposto da :
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 28/2020 depositata il 11/01/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 29/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Ritenuto che:
Con atto di citazione notificato in data 18.3.2011 COGNOME NOME, conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Crotone, la Banca Popolare del Mezzogiorno s.p.a. esponendo di aver investito i propri risparmi in alcuni fondi comuni obbligazionari acquisendo nr 5232 quote del fondo’ RAGIONE_SOCIALE e nr 3062 quote del fondo denominato ‘ RAGIONE_SOCIALE per la cui gestione aveva aperto un contratto di conto corrente; di essersi costituita fideiussore in favore della Banca e a garanzia dell’adempimento di un mutuo chirografario concesso dalla Banca alla società RAGIONE_SOCIALE per un importo di € 80.000,00 ; di aver ricevuto dalla Banca con nota del 21.8.2009 comunicazione del mancato pagamento di nr 12 rate mensili del mutuo predetto per un ammontare pari ad € 19.168,31 e che quindi il debito residuo ammontava ad € 75.062,27; di aver ricevuto una successiva comunicazione della Banca con cui quest’ultima dichiarava di aver proceduto alla compensazione legale ai sensi dell’art 11 del contratto di conto corrente e delle condizioni relative ai contratti di deposito a suo tempo sottoscritti ponendo in vendita, per come previsto in contratto i titoli in capo all’attrice sino alla concorrenza dell’importo dovuto.; di aver ricevuto una successiva nota con cui la Banca
aveva comunicato di aver richiesto, in data 5.10.2009, la vendita delle quote dei fondi comuni obbligazionari intestati alla Acri ricavando la somma di € 75.362,45 accredita poi sul conto corrente nr 897916 al fine di operare la compensazione legale con l’importo rinveniente dal mutuo chirografario intestato alla debitrice principale e pari, per la sua estinzione, ad € 75.416,26.
L’attrice riteneva che un tale operato fosse da considerarsi illegittimo e che pertanto la Banca venisse condannata alla ricostituzione e reintegrazione dell’investimento effettuato dal 5.10.2009 maggiorato degli incrementi generati dai fondi comuni obbligazionari.
Si costituiva l’Istituto di credito contestando la domanda e chiedendone il rigetto.
Con sentenza del 4.1.2015 il Tribunale rigettava la domanda.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME proponeva appello.
Con sentenza nr 28/2020 la Corte di appello di Catanzaro respingeva l’appello principale ed accoglieva quello incidentale riformando parzialmente la decisione gravata in punto quantificazione delle spese.
Si costituiva l’Istituto di credito contestando il fondamento dell’appello e spiegando appello incidentale relative alle spese di giudizio.
Il giudice di merito riteneva che la domanda di invalidità del contratto oltre ad essere sfornita di prova doveva considerarsi tardiva in quanto introdotta con la seconda memoria ex art 183 VI comma c.p.c..
Rilevava poi che il Tribunale non aveva operato alcun collegamento funzionale tra il contratto di fideiussione e quello di deposito sicchè l’appellante aveva errato ‘ nel ritenere che la clausola di conto
corrente relativa alla possibilità di compensazione si traducesse, secondo il giudice, in una ulteriore prestazione di garanzia rispetto alla fideiussione già contratta, e che solo tale funzione rendesse implicito il potere di vendita dei titoli, con successiva identificazione di un accordo simulatorio, che nascondeva, sotto forma di deposito la prestazione di una garanzia’.
Rilevava altresì’ che l’unico collegamento funzionale rinvenibile fosse quello tra il contratto di deposito e quello di conto corrente, strumento quest’ultimo su cui far confluire gli eventuali rendimenti connessi all’investimento, e che in entrambi i contratti vi fossero clausole di compensazione, da individuare nell’art 11 delle condizioni generali di conto corrente e negli art 13 e 19 del contratto di deposito titoli, specificando tuttavia, che solo l’art 13 -riferibile alle ‘ commissioni e spese legate all’esecuzione del rapporto’ -comprendesse anche l’autorizzazione a vendere i titoli con la forma del mandato con rappresentanza irrevocabile.
La Corte territoriale rilevava, a seguito dell’allegazione del regolamento del servizio di deposito da parte dell’appellante, che l’art 4commi II e IV, riconosceva in capo alla Banca il potere di vendita, riconducibile al conferimento di un mandato con rappresentanza di tipo irrevocabile, a mezzo del quale la depositaria aveva maturato il diritto, nei casi di inadempimento del depositante ad obbligazioni dal medesimo contratte con la Banca stessa ‘in dipendenza di operazioni bancarie di qualsiasi natura, già accordate o da accordarsi o di cui egli fosse garante’, di procedere con preavviso di un solo giorno, al realizzo dei titoli, soddisfacendosi sul ricavato, e dandone comunicazioni al depositante solo successivamente.
Sosteneva che in base all’assetto dato dalle parti al rapporto era dunque consentita la possibilità per la Banca di provvedere alla vendita dei titoli e di soddisfare il credito vantato nei confronti del depositante.
Osservava che, sotto tale profilo, non vi era necessità di ipotizzare che quell’autorizzazione a vendere fosse implicita, essendo espressamente approvata dall’appellante, al punto di elidere la’ natura vessatoria della clausola, secondo il disposto di cui all’art 34 comma III del codice del consumatore.
Rilevava poi che la disciplina delle clausole abusive nei contratti con i consumatori non fosse applicabile alla fideiussione in questione e che la Banca non fosse incorsa in alcuna decadenza ex art 1957 c.c. in quanto la qualità di debitore principale attrae quella del garante essendo decisivo il carattere di accessorietà del rapporto.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidata a quattro motivi illustrati da memoria in cui si dava atto della rinuncia al primo motivo di ricorso relativo al vizio di costituzione del giudice.
La RAGIONE_SOCIALE già Banca popolare dell’Emilia -Romagna, quale incorporante della Banca Popolare del Mezzogiorno s.p.a. ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Ritenuto che:
con un secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 2909 c.c., dell’art 112,329,342,345 e 346 c.p.c. in relazione all’art 360 nr 4 c.p.c.
Si sostiene in particolare che il Giudice di appello si sarebbe pronunciato su un diverso thema decidendum rispetto a quello introdotto in causa dalle parti e sul quale si sarebbe sviluppato il
contraddittorio senza svolgere alcuna verifica e controllo in relazione alla conformità della sentenza impugnata ‘ai principi di diritto ivi conclamati sulla scorta di documenti e dei fatti acquisiti al processo’.
Si osserva in proposito che la sentenza impugnata avrebbe modificato d’ufficio le questioni controverse affermando che la Banca non fosse inadempiente rispetto agli obblighi di custodia non già perché titolare di un diritto di compensazione( come stabilito dal Tribunale) ma perché aveva operato ‘in esecuzione di un mandato irrevocabile con rappresentanza, conferito dal cliente per garantire l’inadempimento di tutti i suoi obblighi nei confronti della Banca, così legittimando la mancanza dell’autorizzazione alla vendita dei titoli, che a questo punto non doveva più intendersi implicita ma esplicita’.
Si sostiene pertanto che il giudice di appello sia incorso nel vizio di extrapetizione respingendo la domanda per una ragione estranea al dibattito svoltosi fra le parti rilevando la prova di un fatto negativo mai contestato dalla Banca e che l’attore non avrebbe potuto dimostrare essendosi esaurito il giudizio di merito.
Si afferma infatti che il giudice del gravame, con evidente lesione dei diritti di difesa avrebbe articolato un novum iudicium’, violando le norme del processo che gli avrebbero imposto solo la ‘ revisio prioris istantiae’ alla luce della riformulazione dell’art 342 c.p.c.
Con un terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli art 5,21, 22 comma III, 23 e 24 del Dlgs 58/1998, art 1322, 1346,1418, 1175, 1176,1337, 1375,1711,1394,1395,1398 e 1399 c.c., dell’art 33,34,35 e 36 del Codice del consumo in relazione all’art 360 comma I nr 3 c.p.c
Si sostiene che la formulazione del motivo in oggetto è originata dal novum iudicium che secondo la prospettazione di parte ricorrente giustificherebbe la proposizione di censure non sollevate nella precedente fase di giudizio non essendo emersa nel contraddittorio la rilevanza della clausola contrattuale contenuta nell’art 4 comma II e IV del c.d. ‘regolamento del servizio di deposito’.
Si censura, in particolare, l’affermazione della Corte secondo cui la Banca fosse titolare di un diritto di compensazione e di un autonomo diritto di vendita individuata nella fonte negoziale essendovi il consenso scritto da parte della cliente da rinvenire nell’art 4 commi II e IV del c.d. regolamento del servizio titoli’ e nella fonte normativa ( art 22 terzo comma TUF).
Si sostiene che, al di là della mera forma riconducibile all’apposizione della firma autografa in calce, quel consenso in se contrasterebbe con le esigenze di trasparenza e chiarezza, preventiva e completa informazione, consapevolezza imposte sia dalle norme del contratto di investimento sia dalle norme sulla tutela del consumatore nei contratti con il professionista ed in particolare con l’art 35 del codice del consumo sia contrario ai principi di buona fede e correttezza contrattuale richiamati dagli articoli 1175 c.c.,1176, 1337 e 1375 c.c.
Si afferma poi che una clausola come quella in esame che, nell’ambito di un contratto di deposito, legittimi la Banca a vendere a sua discrezione i titoli del depositante per le causali di cui all’art 4 commi II e Iv del c.d. regolamento di servizio, sarebbe contraddittoria e incompatibile con la causa dei contratti di investimento e contrastante con il disposto dell’art 23 comma IV bis dell’art 23 TUF nonchè nulla per indeterminabilità della causa e
dell’oggetto della garanzia ai sensi dell’art 1346 e 1418 c.c. ed infine incompatibile con le norme sul mandato e con i suoi limiti intrinseci.
Con un quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art 1957 c.c., e degli artt. 33, 34, 36 del codice del consumo in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 c.p.c. per avere la Corte di appello escluso in relazione all’eccezione di decadenza dalla fideiussione avanzata dalla ricorrente ex art 1957 c.c. la tutela del codice del consumo.
Il secondo motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza.
Il mezzo, infatti, non soddisfa i parametri fissati per l’autosufficienza dalla più recente giurisprudenza di legittimità, essendo stata omessa la trascrizione di quelle parti più significative dell’atto introduttivo e sia delle difese svolte dalla convenuta su cui si assume si sia sviluppato il contraddittorio e, dunque, non consentendo a questa Corte di poter valutare la fondatezza della doglianza.
Giova infatti ricordare che la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato, come nel caso in esame, un error in procedendo, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, ma, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Cass., Sez. Un., 25 luglio 2019, n. 20181);
Come è noto, il tradizionale rigore di tale canone è stato rivisitato da questa Corte, anche alla luce di un doveroso coordinamento con i principi sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (ed in particolare col principio del “diritto all’equo processo” di cui all’art. 6, par. 1); in tale prospettiva, si è affermato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza depositata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo il 28 ottobre 2021 (ric. nn. 55064/11, 37781/13 e 26049/14 – COGNOME e altri c. Italia) – non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può, pertanto, tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (in particolare: Cass., Sez. 1°, 1 marzo 2022, n. 6769; Cass., Sez. 3°, 4 marzo 2022, n. 7186; Cass., Sez. Un., 18 marzo 2022, n. 8950; Cass., Sez. 3°, 6 giugno 2023, n. 15846).
Si è altresì precisato che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, qualora, in ossequio al criterio di proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il
contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass., Sez. 1°, 19 aprile 2022, n. 12481).
Il terzo motivo è parimenti inammissibile.
L’odierna ricorrente introduce in questa fase diverse censure relative alla pretesa nullità, sotto plurimi profili, della clausola negoziale che aveva legittimato la Banca ad operare la compensazione e poi la vendita dei titoli depositati, censure che per espressa ammissione della ricorrente, non hanno costituito oggetto di dibattito processuale nel giudizio di merito ma che sarebbero derivate dal vizio di ultrapetizione in cui sarebbe incorso il giudice del gravame.
Vizio che tuttavia questa Corte non ha potuto accertare per l’inammissibilità della deduzione fatta valere sul punto.
Va comunque osservato che il documento contrattuale su cui si incentra l’articolata critica della ricorrente era stato prodotto sin dal primo grado di giudizio senza che al riguardo fosse stata sollevata alcuna contestazione relativamente all’invalidità di detta disposizione negoziale posta dal giudice di merito a fondamento della sua decisione.
Il quarto motivo è inammissibile.
La Corte di appello ha escluso l’applicazione delle norme relative al codice del consumo ritenendo che la qualità del debitore principale attragga quella del garante stante il rapporto di accessorietà.
Invero, come si legge in Cass., SU, n. 5868 del 2023, “La Corte di giustizia UE, intervenuta sulla nozione di consumatore ai fini dell’applicazione della direttiva 93/13/CEE sulle clausole abusive nei contratti con i consumatori, ha esaminato la qualifica del fideiussore. Superando l’automatismo precedentemente affermato fra qualifica del debitore principale e qualifica del garante, la Corte afferma che, “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta quindi al giudice nazionale determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata”.
Onde, alla luce di tali premesse, la Corte ha stabilito che “Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società” (Corte di giustizia UE 9 novembre 2015, C-74/15, Tarcau; 14 settembre 2016, C-534/15, Dumitras).
Ne deriva che il fideiussore, persona fisica, non è un professionista “di riflesso”, non essendo quindi tale solo perché lo sia il debitore
garantito. Questa Corte ha dunque in varie occasioni preso già atto delle citate decisioni della Corte di giustizia Europea (v. Cass. n. 742 del 2020; Cass. n. 32225 del 2018)”.
Il Collegio condivide tale orientamento in quanto le finalità della disciplina consumeristica sarebbero frustrate ove dovesse ritenersi, in sé, che il garante di un professionista sia, per definizione, a sua volta qualificato come non consumatore.
Ciò, tuttavia, non consente comunque di accogliere il motivo, il quale si rivela caratterizzato da assoluta genericità, dal momento che non indica quali tra le clausole del contratto di fideiussione sottoscritto dalla Acri dovrebbero essere, eventualmente, assoggettate alla invocata disciplina del Codice del consumo, né, riporta, almeno sinteticamente, il contenuto delle stesse.
La doglianza neppure contiene elementi, positivi e concreti, che consentano di stabilire le ragioni per cui il fideiussore abbia contrattato, in particolare se a fini ricompresi nella sua sfera privata o dalla stessa esulanti.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Istituto bancario delle spese processuali che si liquidano in € 6000,00 oltre € 200,00 per spese oltre ad Iva e c.p.a. ed al 15% per spese generali,
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Roma 29.11.2024
Il Presidente NOME COGNOME