Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23434 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23434 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/08/2024
ORDINANZA
sul ricorso 6501-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del procuratore speciale, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , che la rappresentata e difende unitamente all’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Garanzia autonoma
-‘ Exceptio dol i’ -Esperibilità Presupposti
R.G.N. 6501/2022
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/04/2024
Adunanza camerale
Avverso la sentenza n. 1953/2021 d ella Corte d’appello di Bologna, depositata in data 30/07/2021; udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 23/04/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 1953/21, del 30 luglio 2021, della Corte d’appello di Bologna, che respingendone il gravame proposto, in via di principalità, avverso l’ordinanza ex art. 702 -bis cod. proc. civ., del 23 giugno 2018, del Tribunale di Bologna, ed accogliendo, invece, quello incidentale del RAGIONE_SOCIALE BPM S.p.a. (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) ha, per un verso, confermato la revoca del decreto ingiuntivo dell’importo di € 310.000,00, conseguito d a NOME per l’escussione di garanzia autonoma rilasciata da BPM, accogliendo, per altro verso, la domanda di ripetizione di indebito, da quest’ultima proposta in relazione alla corresponsione di € 620.000,00.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente, quale antefatto del presente giudizio, di aver concluso il 7 novembre 2014 un contratto preliminare con la società RAGIONE_SOCIALE, in forza del quale -a fronte dell’apporto, da parte di RAGIONE_SOCIALE, nel fondo di investimento immobiliare gestito da essa RAGIONE_SOCIALE e denominato ‘RAGIONE_SOCIALE Sette’, di due immobili siti, rispettivamente, l’uno in Bologna e l’altro in Zola Predosa -alla medesima non solo venivano concessi in locazione quegli stessi beni, per un sessennio, ma anche attribuite quote del fondo, per un valore complessivo di oltre nove milioni di euro.
Al fine di assicurare al Fondo l’adeguata redditività pattuita, veniva stabilito sia il divieto per la conduttrice di recedere dai contratti, nel corso dei primi sei anni della loro durata, sia il rilascio di una garanzia bancaria autonoma fino all’importo di € 1.240.000, corrispondente a due annualità di canone di locazione, garanzia fornita ‘a prima domanda’ da BPM, il 18 novembre 2014.
Essendosi, tuttavia, RAGIONE_SOCIALE resa inadempiente all’obbligazione di corrispondere i canoni di locazione, NOME si vedeva costretta ad escutere la garanzia, attraverso pagamenti che venivano articolati in quattro ‘ tranches ‘. Conseguito dall’odierna ricorrente un primo pagamento, RAGIONE_SOCIALE veniva assoggettata a procedura di liquidazione coatta amministrativa e, in tale ambito, il commissario liquidatore, in data 20 gennaio 2016, esercitava il recesso dai contratti di locazione ai sensi dell’art. 80 legge fall., dichiarando, contestualmente, di essere disponibile a discutere la determinazione dell’indennizzo spettante al Fondo in conseguenza di tale recesso. NOME, inoltre, proseguiva l’escussione della garanzia, ottenendo -dapprima nel giugno e poi nel novembre del 2016 -il pagamento della seconda e della terza ‘tranche’, per un importo complessivo di € 620.000,00, e ciò (essa assume nel presente ricorso) ‘a tutela della redditività ad essa garantita tramite l’operazione di apporto e in ogni caso del credito di cui al citato equo indennizzo ex art. 80 legge fall.’.
Tuttavia, in occasione della richiesta dell’ultima delle quattro ‘tranches’ della garanzia, con scadenza in data 10 maggio 2017, RAGIONE_SOCIALE, che nel frattempo aveva avuto conoscenza del recesso da parte della conduttrice RAGIONE_SOCIALE, si opponeva all’escussione, lamentandone l’abusività, es sendo venuta meno l’obbligazione garantita, quella relativa al pagamento dei canoni.
Conseguito, pertanto, da RAGIONE_SOCIALE il suddetto provvedimento monitorio, per la residua somma di € 310.000,00, avverso di esso
BPM proponeva opposizione, deducendo, altresì, che -a seguito del recesso di RAGIONE_SOCIALE dai contratti di locazione -l’incasso delle ‘tranches’ seconda e terza da parte di NOMENOME senza informarla dell’avvenuto recesso, doveva ritenersi avvenuto illegittimamente . Assumeva, pertanto, l’opponente che indebita era la somma richiesta in via monitoria, essendo venuto meno il rapporto di valuta sottostante, ciò che rendeva -a dire della stessa -priva di causa la garanzia, donde la possibilità di s ollevare la c.d. ‘ exceptio doli ‘, anche per conseguire, attraverso apposita domanda riconvenzionale, la ripetizione delle somme fin lì indebitamente pagate.
Costituitasi in giudizio, l’opposta deduceva che la concordata operazione di apporto/conferimento degli immobili nel fondo comune d’investimento era stata ‘espressamente strutturata in modo da assicurare al fondo di conseguire un’adeguata redditività degli immobili attraverso la contestuale locazione degli stessi’, e ciò ‘per un periodo minimo congruo in ragione dell’investimento effettuato’, sicché la stipula e, soprattutto, il mantenimento della locazione costituivano ‘il presupposto essenziale dell’operazione’.
Quanto, invece, alla domanda riconvenzionale, NOME ne eccepiva l’inammissibilità e comunque l’infondatezza, perché BPM ‘poteva solo rivalersi nei confronti dell’ordinante’, ovvero di RAGIONE_SOCIALE, avendo il garante, per sua stessa ammissione, ‘pagato gli importi escussi senza alcuna consapevolezza di un almeno presunta abusiva escussione e quindi in pieno ossequio alla garanzia autonoma’.
Accolta dal primo giudice l’opposizione, sul presupposto che al preliminare di apporto non fosse mai seguito alcun contratto definitivo, residuando, quindi, tra le parti solamente il rapporto locatizio, venuto meno il quale la garanzia -che il Tribunale intendeva limitata al credito da pagamento dei canoni -era divenuta, pertanto, ‘ sine causa ‘, donde la fondatezza della
‘ exceptio doli ‘, la domanda riconvenzionale veniva, invece, da esso rigettata. Esito al quale il primo giudice perveniva sul rilievo che BPM, al momento del pagamento, non aveva ancora ricevuto la comunicazione del commissario liquidatore di RAGIONE_SOCIALE, recante notizia del recesso dai contratti di locazione, sicché il garante aveva ‘pagato bene’, non spettandogli azione diretta verso NOME per la ripetizione, non potendo neppure invocare la ‘ exceptio doli ‘ a pagamenti ormai effettuati.
Esperito gravame, come detto, in via di principalità dall’odierna ricorrente, nonché in via incidentale da BPM, quest’ultima in relazione al rigetto della riconvenzionale, il giudice d’appello pur riconoscendo che al contratto preliminare d’apporto era s eguito il definitivo -respingeva l’uno ed accoglieva, invece, l’altro.
Avverso la sentenza della Corte felsinea ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione dei principi che disciplinano e legittimano la ‘ exceptio doli ‘ in materia di garanzie autonome, anche in relazione agli art. 1175 e 1375 cod. civ., nonché violazione dei principi generali in materia di disciplina del negozio autonomo di garanzia.
In particolare, si assume che la sentenza impugnata avrebbe violato il principio secondo cui la c.d. ‘ exceptio doli ‘ è legittima solo in quanto fondata su prove liquide e certe dell’abusività dell’escussione, e quindi che siano in concreto tali da escludere ‘ ictu oculi ‘ l’esistenza del credito azionato dal beneficiario della garanzia. Prova liquida e concreta che, si assume, la Corte territoriale non si sarebbe neppure preoccupata di ritenere
necessaria, avendo acriticamente recepito i rilievi posti dal garante a fondamento della sollevata eccezione, del tutto astratti e non pertinenti, senza neppure porsi la questione se gli stessi fossero idonei, o meno, a costituire una prova liquida, tanto che si è spinta a sindacare nel merito le vicende oggetto di controversia tra le parti.
Infatti, la Corte felsinea si sarebbe limitata al mero riscontro del venir meno del rapporto principale -identificato nel contratto di locazione -senza tener in alcun modo conto né delle ragioni per cui esso era venuto meno (ovvero, un fatto imputabile al debitore, cioè l’avvenuto recesso, in violazione di uno specifico divieto contrattuale), né soprattutto, in connessione ad esse, la circostanza che il creditore-beneficiario avesse escusso la garanzia facendo valere un diritto di indennizzo inequivocabilmente riconducibile a tale rapporto, giacché dovuto, secondo il disposto dell’art. 80, comma 3, legge fall., proprio in ragione dell ‘avvenuto recesso ‘forzoso’ conseguente alla messa in liquidazione della società debitrice.
D’altra parte, come detto, proprio in relazione a quest’ultimo profilo, la sentenza impugnata -secondo la ricorrente -si rivelerebbe vieppiù errata, non solo per aver dato rilievo ad una causa sopravvenuta di estinzione del rapporto garantito ‘assimilabile alla risoluzione’, ma anche perché essa è ‘entrata concretamente nel merito dei rapporti debitore principalecreditor e’, ciò che non le era consentito, affermando che il credito relativo all’indennizzo risultava ‘ ex actis contestato’ dal Commissario liquidatore di RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -‘falsa applicazione delle norme in materia di ripetizione dell’indebito (art. 2033 cod. civ.) nonché violazione dei principi e regole giurisprudenziali che regolano la rivalsa del
garante in tema di garanzie autonome, come posti dalla Suprema Corte di Cassazione’, oltre a violazione ‘dei principi generali in materia di negozio autonomo di garanzia’.
La sentenza, nell’accogliere la domanda riconvenzionale di BPM, avrebbe erroneamente sancito che, ‘una volta accertata ex post (i.e. dopo il pagamento del garante) l’escussione fraudolenta da parte del beneficiario della garanzia autonoma, il garante, nonostante si tratti di garanzia autonoma, possa senz’altro e in ogni caso agire in ripetizione direttamente nei confronti dell’ accipiens , senza doversi quindi rivolgere in regresso al debitore ordinante (che a sua volta si rivarrebbe sull’ accipiens in forza d el rapporto di base)’.
Tale statuizione sarebbe, in primo luogo, ‘in evidente contrasto con la corretta applicazione delle norme sulla ripetizione dell’indebito’, giacché, nella specie, ‘non vi è indebito’ , tale non essendo il caso del garante che paghi ‘ a fronte di escussione solo poi rivelatasi illegittima rispetto agli obblighi di cui alla garanzia autonoma’. La decisione, inoltre, sarebbe stata resa in violazione dell’insegnamento di questa Corte in materia di garanzie autonome, secondo il quale -sostiene la ricorrente -‘l’ autonomia del rapporto si manifesta in particolare in sede di rivalsa precludendo in generale al garante di agire in rivalsa nei confronti dell’ accipiens per ripetere le somme escusse da quest’ultimo senza averne diritto (salva l’ipotesi specifica e peculiare in cui il garante fosse a conoscenza della frode del beneficiario, non pertinente alla fattispecie)’, e ‘ciò in quanto il garante è estraneo al rappo rto principale in virtù dell’autonomia della garanzia, tanto che nessun rapporto sorge al riguardo tra garante e garantito’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza per ‘violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., in ragione di un errore di percezione in
relazione al contenuto oggettivo di due documenti con riguardo ad una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti’.
La Corte di merito, infatti, avrebbe ‘del tutto travisato il contenuto di documenti da essa ritenuti rappresentativi di una presunta posizione del debitore RAGIONE_SOCIALE di negazione della legittimità della pretese e diritti fatti valere da NOME (per conto del Fondo) in relazione al rapporto di valuta, (anche) in esito allo scioglimento dello stesso’. In realtà, sostiene la ricorrente, il contenuto di tali documenti -ovvero, quelli che la stessa sentenza impugnata indica come ‘prodotti da NOME‘ e ‘relativi all’opposizione allo stato passivo’ di RAGIONE_SOCIALE, opposizione, allora, ancora ‘ sub iudice ‘ -vedrebbe ‘RAGIONE_SOCIALE riconoscere detto diritto a NOME, discutendone solo il quantum ‘, giacché essa avrebbe ammesso ‘palesemente l’escussione e l’escutibilità della garanzia anche a copertura del diritto credito fatto valere dal beneficiario’.
Si legge, in particolare, nella memoria di costituzione depositata il 6 marzo 2017 da RAGIONE_SOCIALE nel giudizio di opposizione allo stato passivo, come ‘NOME risulti essere già stata indennizzata plus ultra del recesso operata dal Commissario Liquidatore: essa ha infatti ricevuto -per espressa ammissione dalla banca fideiubente -l’importo dei canoni non incassati sino a tutto il maggio 2017 (quindi ha percepito canoni, successivamente alla riconsegna dei locali, ancora per un anno e due mesi) ed è plausibile ritenere, come sopra evidenziato, che escuterà la garanzia per ulteriori sei mesi successivamente a tale data’.
‘L’errore di percezione della Corte di merito’, nel valutare tali risultanze documentali, avrebbe, pertanto, costituito -secondo la ricorrente -‘ uno degli elementi decisivi ai fini del convincimento
della stessa sulla legittimità dell’ exceptio doli avanzata dal garante, con conseguente nullità della sentenza’.
8.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -falsa applicazione delle norme in materia di interpretazione del contratto, in particolare dell’art. 1362 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata per aver ‘accolto ed affermato un’interpretazione del contenuto e della copertura della garanzia strettamente letterale’, limitandola alla sola obbligazione relativa al pagamento dei canoni di locazione, ‘trascurando del tutto, in difformità al disposto dell’a rt. 1362 cod. civ., di fare riferimento a tutti i molteplici elementi e persino atti negoziali conclusi al contempo dalle parti del rapporto di valuta, da cui si deducevano agevolmente le obbligazioni ed interessi economici cui era sotteso il rilascio di d etta garanzia’.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, BPM, chiedendo che la stessa -della quale viene preliminarmente eccepita l’improcedibilità, per avere la ricorrente ‘ prodotto telematicamente una copia informatica della Sentenza, in luogo della copia autentica ovvero di una copia munita dell’attest azione di conformità -sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata dalla controricorrente BPM.
8.1. Assume, come detto, la controricorrente che NOME ‘ ha prodotto telematicamente una copia informatica ‘ della sentenza impugnata, ‘ in luogo della copia autentica ovvero di una copia munita di attestazione di conformità’, ciò che renderebbe l’impugnazione improcedibile, a norma dell’art. 369 cod. proc. civ.
Sul punto, tuttavia, va rilevato che la ricorrente -con nota di deposito del 24 luglio 2023 (come dalla stessa evidenziato nella propria memoria ex art. 380bis .1, comma 1, cod. proc. civ.) -ha prodotto ‘d uplicato informatico della sentenza impugnata contenuto nel fascicolo telematico e depositato con il ricorso, che presenta il medesimo codice HASH (MD5) della sentenza depositata/pubblicata ‘ , ciò che vale ad escludere il denunciato profilo di improcedibilità.
Difatti, se in base alla giurisprudenza di questa Corte, la declaratoria d’improcedibilità del ricorso in caso di deposito di copia analogica della decisione impugnata, predisposta in originale telematico e notificata a mezzo ‘ EMAIL ‘ in assenza di attestazione di conformità del difensore -risulta preclusa, allorché il deposito della copia analogica, munita dell’attestazione di conformità, avvenga, comunque, entro l ‘ udienza di discussione o l ‘ adunanza in camera di consiglio (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, Rv. 653597-04), a maggior ragione la produzione di un duplicato informatico, entro lo stesso termine, è destinata a determinare il medesimo effetto . Difatti, mentre ‘ la copia informatica di un documento nativo digitale ‘ presenta ‘ segni grafici (generati dal programma ministeriale in uso alle cancellerie degli uffici giudiziari) che rappresentano una mera
attestazione della presenza della firma digitale apposta sull’originale di quel documento ‘ , il ‘ duplicato informatico ‘ -come si evince dagli artt. 1, lett. i)quinquies , e 16bis , comma 9bis , del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, in legge 8 novembre 2012, n. 189 -‘ consiste in un documento informatico ottenuto mediante la memorizzazione, sullo stesso dispositivo o su dispositivi diversi, della medesima sequenza di valori binari del documento originario e la cui corrispondenza con quest ‘ ultimo non emerge dall ‘ uso di segni grafici ‘ (e ciò perché la firma digitale è ‘ una sottoscrizione in «bit» la cui apposizione, presente nel «file», è invisibile sull ‘ atto analogico cartaceo ‘), bensì ‘ dall ‘ uso di programmi che consentono di verificare e confrontare l ‘ impronta del «file» originario con il duplicato ‘ (Cass. Sez. 6-1, ord. 19 settembre 2022, n. 27379, Rv. 665895-01), così assicurando una totale affidabilità sull’identità del documento .
Ciò premesso, il ricorso va rigettato.
9.1. In primo motivo è inammissibile.
9.1.1. Infatti, la censura veicolata col presente motivo -che, peraltro, in parte si sovrappone a quella oggetto del quarto (là dove si assume che il credito, a garanzia del quale la Garantievertrag era stata rilasciata, ricomprendeva anche la pretesa di NOME ad essere indennizzata, in ragione del recesso ‘forzoso’ dalle locazioni, da parte di RAGIONE_SOCIALE, ex art. 80 legge fall.), sicché essa, ‘ in parte qua ‘, sarà valutata nello scrutinare l’ultimo motivo di ricorso è quella secondo cui la Corte felsinea si sarebbe addirittura disinteressata della necessità della prova ‘ liquida ‘ del carattere abusivo dell’escussione.
Tale tema, però, è rimasto estraneo al giudizio di appello, se è vero che i due motivi di gravame -come ricostruiti sia in sentenza (pagg. 3 e 4), che nello stesso ricorso per cassazione (pagg. 8 e 9) -concernevano, rispettivamente:
-l’omessa pronuncia , in cui sarebbe incorso il Tribunale, in relazione all’applicabilità della garanzia anche a copertura del credito indennitario, ex art. 80, comma 3, legge fall. (primo motivo);
-l’errata interpretazione , operata dal primo giudice, della copertura cui era rivolta la garanzia, concernendo essa, secondo l’allora appellante principale, non le sole locazioni, bensì ‘una redditività di lunga durata’ dell’operazione complessiva intercorsa tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (secondo motivo).
Ad essi, NOME soggiungeva -a norma dell’art. 346 cod. proc. civ. -la richiesta di declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della domanda riconvenzionale di BPM, avente ad oggetto la restituzione delle somme da quest’ultima corrisposte in favore dell’odierna ricorrente .
Va, pertanto, dato seguito al principio secondo cui, ‘ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’on ere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis » la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
In ogni caso, deve rilevarsi come la sentenza impugnata mostri di ritenere che la legittimità della pretesa del garante di
sottrarsi al pagamento derivi dal solo fatto di aver provato l’estinzione nella specie, sopravvenuta -dell’obbligazione garantita (che viene identificata esclusivamente in quella relativa al pagamento dei canoni), e ciò a prescindere dalla malafede dell’ accipiens , con ciò richiamandosi, correttamente, il giudice d’appello ad un arresto di questa Corte (si tratta di Cass. Sez. 3, sent. 31 marzo 2017, n. 8342, Rv. 644298-01).
In base ad esso, infatti, ‘lo scollamento tra il rapporto di valuta e quello di garanzia ‘ non p uò ‘ spingersi fino a reputare indifferente rispetto alla obbligazione del garante, oltre ai vizi di invalidità del contratto (diversi dalla illiceità della causa e dalla contrarietà a norme imperative) anche la inesistenza del rapporto principale’, giacché ‘ov e non voglia travalicarsi il limite di meritevolezza dell’interesse perseguito dalle parti attraverso la causa del negozio autonomo di garanzia, non sembra in ogni caso potersi prescindere dalla «esistenza» del rapporto obbligatorio che costituisce termine di riferimento (ovvero il presupposto esterno) della garanzia autonoma, atteso che la inesistenza -originaria o sopravvenuta -del rapporto principale di valuta, venendo ad escludere la stessa (astratta verificabilità della) perdita patrimoniale che -dall’inadempimento di quel rapporto sarebbe potuta derivare al creditore beneficiario, priva la garanzia della sua stessa ragione giustificativa, con la conseguenza che tale inesistenza (originaria o sopravvenuta) bene può costituire oggetto di eccezione idonea a paralizzare la pretesa del beneficiario volta ad ottenere (quando anche non ricorrano nella condotta del creditore gli estremi della frode o della mala fede della « exceptio doli ») una attribuzione patrimoniale « sine causa »’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 8342 del 2017, cit ., che richiama pure Cass. Sez. 3, sent. 24 aprile 2008, n. 10652, Rv. 603239-01, anch’essa incline a ritenere che il tema della ‘prova liquida dell’abusività dell’escussione’, ovvero della frode e mala fede,
concerna i casi in cui la pretesa verso il garante investa un’obbligazione che sia stata già adempiuta, e non quella ‘inesistente’ ).
Il tutto, comunque, non senza considerare che l’esistenza della malafede di NOME è stata motivata, nell’esaminare il motivo di gravame incidentale di BPM, osservando che l’odierna ricorrente ebbe a incassare le due ‘tranche’ della garanzia (poi oggetto della pretesa di BPM ex art. 2033 cod. civ.), allorché era già a conoscenza dell’avvenuto recesso della conduttrice.
9.2. Il secondo motivo -che contesta la possibilità per il garante di rivolgersi direttamente all’ accipiens , per ripetere quanto allo stesso versato pur in caso di inesistenza del credito garantito -non è fondato.
9.2.1. Difatti, non coglie nel segno la prima censura, secondo cui sarebbero state violate le norme sulla ripetizione dell’indebito, giacché, nella specie, ‘non vi è indebito, in quanto il garante che paga a fronte di escussione solo poi rivelatasi illegittima rispetto agli obblighi di cui alla garanza autonoma’; in buona sostanza, si nega la possibilità di agire in ripetizione allorché la prestazione si riveli solo ‘ ex pos t’ indebita.
Un’impostazione siffatta, tuttavia, ignora il fatto che ‘l’indebito oggettivo si verifica o perché manca la causa originaria giustificativa del pagamento (« conditio indebiti sine causa ») o perché la causa del rapporto originariamente esistente è poi venuta meno in virtù di eventi successivi che hanno messo nel nulla o reso inefficace il rapporto medesimo (« conditio ob causam finitam »)’, e ciò secondo una ‘distinzione che risale al diritto romano’, e che ‘è ripresa dalla dottrina italiana, sulla base del nuo vo testo dell’art. 2033 cod. civile nel quale è stato trasfuso l’art. 1327 del codice abrogato (1865) che stabiliva il principio
della inefficacia degli atti privi di una « causa solvendi »’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 1° luglio 2005, n. 14084, Rv. 582690-01; in senso analogo Cass. Sez. 3, sent. 20 dicembre 2014, n. 4378, Rv. 373059-01, nonché già Cass. Sez. 3, sent. 22 settembre 1979, n. 4889, Rv. 401528-01), dovendo, in par ticolare, ravvisarsi l’ipotesi della ‘ conditio ob causam finitam ‘ quando il credito risulti ‘venuto meno successivamente a seguito di annullamento, rescissione o inefficacia connessa ad una condizion e risolutiva avveratasi’ (Cass. Sez. 3, sent. 28 maggio 2013, Rv. 626695).
9.2.2. Orbene, poiché la circostanza che una prestazione si riveli solo ‘ ex post ‘ indebita non preclude, di per sé (e in termini generali), la possibilità di agire in ripetizione, decisivo diventa stabilire se, nel caso specifico del pagamento avvenuto a seguito dell’escussione della garanzia autonoma, la ripetizione verso l’ accipiens risulti possibile -come assume il ricorrente, con la seconda delle censure qui in esame -solo allorché il garante sia a conoscenza della frode del beneficiario.
Così, in realtà, non è.
La sentenza impugnata, a ragione, attribuisce rilievo -ai fini dell’azione di ripetizione che il garante/ solvens ha esperito verso il beneficiario/ accipiens -al solo comportamento fraudolento di NOME (e non pure alla consapevolezza dello stesso da parte di BPM), la quale ebbe a incassare due ‘tranche’ della garanzia, allorché era già a conoscenza dell’avvenuto recesso della conduttrice, e dunque della sopravvenuta inesistenza dell’obbligazione di pagamento dei canoni .
La Corte territoriale, dunque, afferma essere ‘irrilevante’ lo ‘stato soggettivo del solvens ‘, non informato di quella stessa circostanza. Essa si richiama, in particolare, alla pronuncia resa dalle Sezioni Unite di questa Corte sul contratto autonomo di
garanzia, ove si afferma che se il garante, di regola, ‘una volta che abbia pagato nelle mani del creditore beneficiario, non potrà agire in ripetizione nei confronti di quest’ultimo’, fa tuttavia salvo proprio il ‘caso di escussione fraudolenta’ (così, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 18 febbraio 2010, n. 3947, Rv. 611834-01, in particolare, § 9.5., pag. 46).
Ciò non vuol dire, però, che per poter ripetere direttamente dall’accipiens il garante debba anche essere necessariamente consapevole di tale evenienza, ovvero del carattere fraudolento di tale escussione (secondo quanto sostiene il ricorrente). Sussistendo, infatti, l’ipotesi suddetta, ovvero quella in cui il garante ‘abbia adem piuto nonostante disponesse di prove evidenti della malafede del beneficiario’, ciò che le Sezioni Unite di questa Corte hanno inteso precisare -nel passaggio della loro sentenza invocato dalla ricorrente, a torto, a fondamento della censura qui in esame -è solo che risulta esclusa ‘l’azione di rivalsa del garante verso il debitore/ordinante’, e ciò proprio perché è fatta ‘salva in tal caso la possibilità di agire contro il beneficiario stesso con la condictio indebiti , ai sensi dell’art. 2033 cod. civ.’ (così, nuovamente, Cass. Sez. Un., sent. n. 3497 del 2010, cit ., sempre § 9.5., pag. 47).
In definitiva, lo stato di consapevolezza del carattere fraudolento della pretesa non è condizione necessaria affinché il garante possa esperire l’azione di ripetizione dell’indebito, ma rileva solo nei rapporti ‘interni’ tra garante e debitore, impedendo al primo di agire in rivalsa verso il secondo, proprio perché egli dispone verso l’ accipiens , in termini generali, d ell’ azione ex art. 2033 cod. civ.
Nessuna lettura ‘parziale’ (o errata) della giurisprudenza di questa Corte in materia di garanzia autonoma può, dunque, addebitarsi alla Corte felsinea.
9.3. Il terzo motivo è inammissibile.
9.3.1. Tale esito s’impone, i nnanzitutto, là dove il motivo ipotizza la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. norma che sancisce il principio secondo cui il giudice decide ‘ iuxta alligata et probata partium ‘ -giacché tale violazione ‘può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei pot eri officiosi riconosciutigli’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640192-01; Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-01).
Inammissibile è, parimenti, la censura di violazione dell’art. 116 cod. proc. civ., norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale, essendo la stessa ravvisabile solo quando ‘il giudice di merito disat tenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime’ (Cass. Sez. 3, sent. 10 giugno 2016, n. 11892, Rv. 640193-01, nello stesso, più di recente, in motivazione, Cass. Sez. 6-2, ord. 18 marzo 2019, n. 7618, non massimata sul punto, nonché Cass. Sez. 6-3, ord. 31 agosto 2020, n. 18092, Rv. 658840-02), mentre ‘ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione’ (Cass. Sez. Un ., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-02), qui, peraltro, neppure ipotizzati.
9.4. Infine, anche il quarto motivo è inammissibile.
9.4.1. Nello scrutinarlo, occorre muovere dalla constatazione che ‘l’interpretazione del contratto è rimessa al giudice di merito; ed in sede di legittimità questa interpretazione è sindacabile solo nei limiti dell’applicazione delle norme di ermeneutica contratt uale e della logica della sua motivazione’ ( Cass. Sez. 1, ord. 12 dicembre 2023, n. 34687, Rv. 669654-01).
Orbene, in tale operazione ermeneutica ‘funzione fondamentale assume l’elemento letterale’, fermo restando che ‘il senso letterale della singola parola, anche nella sua chiarezza, è insufficiente (come l’art. 1362, comma 1, cod. civ. presuppone) a delineare la comune intenzione delle parti (obiettivo dell’interpretazione), la quale emerge solo (come l’incondizionata, affermazione dell’art. 1363 cod. civ. esige) attraverso la connessione degli elementi letterali («le une per mezzo delle altre»), la relativa integrazione («il senso che risulta dal complesso dell’atto»), e la valutazione del complessivo comportamento delle parti (art. 1362, comma 2, cod. civ.): passaggi necessari del procedimento interpretativo, di funzione non subordinata, bensì concorrente’ ( così, nuovamente, Cass. Sez. 1, ord. n. 34687 del 2023, cit . ). Orbene, tale ‘progressiva dilatazione degli elementi dell’interpretazione contrattuale si sviluppa man mano dalle singole parole alla clausola, alla connessione delle clausole, al complesso dell’atto, ed al comportamento complessivo delle parti’, il quale ultimo ‘non costituisce un canone sussidiario, bensì un parametro necessario ed indefettibile («si deve valutare»: art. 1362, comma 2, cod. civ.)’ ( cfr., ancora una volta, Cass. Sez. 1, ord. n. 34687 del 2023, cit .), al fine di individuare la comune intenzione delle parti. Pertanto, ‘la necessità di ricostruire quest’ultima senza «limitarsi al senso letterale delle parole», ma avendo riguardo al
«comportamento complessivo» dei contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali non è un « prius », ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore’ (Cass. Sez. 3, sent. 15 luglio 2016, n. 1 4432, Rv. 64052801). In tale prospettiva, quindi, lo stesso principio ‘ in claris non fit interpretatio ‘ -proprio perché operante quando ‘la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto’, da apprezzare, tuttavia, pur sempre ‘attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza de lla clausola contrattuale mediante l’impiego articolato dei vari canoni ermeneutici’, in quanto essi risultano ‘legati da un rapporto di implicazione necessario’ (Cass. Sez. Lav., sent. 3 giugno 2014, n. 12360, Rv. 631051-01) -‘non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti’ (Cass. Sez. 3, sent. 9 dicembre 2014, n. 25840, Rv. 633421-01 Cass. Sez. 5, sent. 28 giugno 2017, n. 16181, Rv. 644669-01).
A questo metodo si è attenuta la Corte felsinea, che ha valorizzato la connessione tra il testo della garanzia a prima richiesta e quello del contratto di locazione, giacché il primo, nel definire -già al punto b) delle ‘premesse’ la portata della garanzia, faceva riferimento all’art. 9 dei contratti di locazione, il quale stabiliva che essa fosse rilasciata ‘a garanzia dell’obbligo assunto ai sensi del precedente art. 3.2.’, discipl inante, appunto, il pagamento del canone di locazione.
Né ‘indici rivelatori’ di una diversa volontà possono ravvisarsi, ad esempio, nel fatto che le locazioni si inserivano in una più
ampia operazione negoziale (quella relativa all’apporto degli immobili locati al fondo d’investimento), giacché nulla lascia intendere che attraverso la garanzia ‘ de qua ‘ se ne volesse assicurare la redditività, e ciò anche in considerazione del fatto che dell’oggetto della Garantievertrag -derogando essa al principio dell’accessorietà delle garanzie -deve predicarsi, tendenzialmente, un’interpretazione riduttiva, in assenza di sicuri indici rivelatori che consentano di estenderne la portata oltre quanto testualmente stabilito.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico della ricorrente e liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte rigetta il ricorso, condannando la società RAGIONE_SOCIALE, a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi € 12 .000,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della