Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33467 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33467 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15147/2023 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME COGNOME , domicilio digitale presso PEC EMAIL, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
-ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , e per essa RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore ,
Oggetto: Responsabilità patrimoniale -Azione revocatoria ordinaria -Costituzione di fondo patrimoniale – Fideiussori
R.G.N. 15147/2023
Ud. 06/12/2024 CC
elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO COGNOME n. 130/2023 depositata il 18/04/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 06/12/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 130/2023, pubblicata in data 18 aprile 2023, la Corte d’appello di Campobasso -nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALEe per essa RAGIONE_SOCIALE costituitasi quale cessionaria del credito originariamente vantato da Banca Monte dei Paschi di Siena ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME ed NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Campobasso n. 762/2018 pubblicata in data 12 novembre 2018, la quale, in accoglimento della domanda ex art 2901 c.c. proposta da Banca Monte dei Paschi di Siena, aveva dichiarato inefficace nei confronti della banca attrice -che aveva agito quale creditore garantito da una fideiussione rilasciata da NOME COGNOME l’atto costitutivo di fondo patrimoniale stipulato dai due odierni ricorrenti in data 7 aprile 2011.
La Corte territoriale, infatti, ha disatteso entrambi i motivi di gravame degli appellanti, ritenendo, in primo luogo, corretta la decisione del giudice di prime cure di gravare delle spese di giudizio anche NOME COGNOME sebbene la stessa non fosse debitrice, in virtù della sua veste di litisconsorte necessario.
La Corte territoriale, poi, ha disatteso il motivo di gravame con il quale veniva contestata la sussistenza dei presupposti dell’azione revocatoria, evidenziando l’inconsistenza del patrimonio dell’altro condebitore; la preesistenza della garanzia fideiussoria rispetto alla costituzione del fondo patrimoniale; il ruolo di NOME COGNOME di socio, e successivamente Amministratore Unico, della società debitrice principale; la conseguente conoscenza da parte dello stesso fideiussore dello stato di crisi della società debitrice principale, ammessa nel 2013 alla procedura di concordato preventivo.
Conseguentemente, la Corte d’appello ha concluso nel senso dell’esistenza dei due requisiti della revocatoria, ravvisando la scientia damni nella semplice consapevolezza del pregiudizio che ragionevolmente poteva derivare alle ragioni creditorie dal compimento dell’atto e l’ eventus damni nella variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio, comportante una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Campobasso ricorrono ora NOME COGNOME ed NOME COGNOME
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALEe per essa RAGIONE_SOCIALE
In data 19 giugno 2024, il Consigliere delegato, ha formulato proposta di definizione ex art. 380bis c.p.c. segnalando la inammissibilità del ricorso.
A detta proposta ha fatto seguito istanza dei ricorrenti per la definizione del giudizio.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a cinque motivi.
1.1. Il primo motivo di ricorso è rubricato, testualmente, ‘Erroneità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione (art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c.) per nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 100 c.p.c., in relazione agli artt. 2697 e 1346 c.c. e all’art. 58 del d.lgs. n. 385/199 3 nella parte in cui la corte di appello ha ritenuto di rigettare l’appello del signor COGNOME NOME e della signora COGNOME NOME, confermando, in favore di RAGIONE_SOCIALE sentenza appellata e condannando entrambi i coniugi falcione a rimborsare, sempre in favore di RAGIONE_SOCIALE, le spese del grado di giudizio, liquidate in euro 8.815,00, senza che quest’ultima abbia comprovato di essere titolare del diritto azionato e dei crediti vantati da Monte dei Paschi di Siena S.P.A.’ .
I ricorrenti censurano la decisione impugnata in quanto la stessa, in assenza di prova documentale, avrebbe affermato la titolarità del diritto in capo alla Siena NPL 2018 nonostante quest’ultima non avesse dimostrato di essere divenuta titolare del credito per la cui tutela ha agito ex art. 2901 c.c., avendo l’odierna controricorrente prodotto unicamente l’estratto della pubblicazione effettuata ai sensi dell’art. 58 T.U.B. in Gazzetta Ufficiale relativo all’operazione di cessione in blocco di crediti, atto che i ricorrenti argomentano non essere idoneo ad individuare, con sufficiente chiarezza, il contenuto della cessione medesima.
1.2. Il secondo motivo di ricorso è, testualmente, rubricato ‘erroneità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione (art. 360 c. 1 nn. 3 e 4 c.p.c.) per nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 100 c.p.c., in relazione all’art. 58 del d.lgs. n. 385/1993, agli artt. 2697, 126 3, 1322 e 1945 c.c.’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che la Corte territoriale avrebbe erroneamente affermato la titolarità del credito in capo alla società RAGIONE_SOCIALE, pur non sussistendo prova documentale di tale titolarità ed in assenza di riconoscimento da parte degli odierni ricorrenti.
La Corte d’appello, prosegue il ricorso, non avrebbe considerato che la garanzia rilasciata dal ricorrente costituiva un contratto autonomo di garanzia, e quindi una garanzia priva dell’accessorietà che caratterizza la fideiussione, con la conseguenza che tale garanzia non potrebbe ritenersi interessata dalla cessione in blocco dei crediti della Banca garantita.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 170 e 2901 c.c. per avere la Corte d’appello ritenuto sussistenti ‘i tre presupposti tipici dell’azione revocatoria ordinaria: il credito dell’attore in revocatoria, l’eventus damni e la scientia damni’ .
I ricorrenti, in particolare, deducono che:
-quanto all’ eventus damni , i crediti per i quali si è agito nei confronti del fideiussore sarebbero sorti successivamente alla data in cui il garante aveva costituito il fondo patrimoniale;
-quanto alla scientia damni , la stessa sarebbe insussistente in quanto, al momento della costituzione del fondo patrimoniale, il ricorrente ‘non solo aveva la consapevolezza di non arrecare alcun pregiudizio, non sussistendo alcun credito in capo alla banca nei suoi confronti, ma neppure poteva avere l’intenzione di arrecare pregiudizio’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 143, 144, 163 e 170 c.c., ‘nonché 2 e 29 Cost.’ .
Deducono i ricorrenti che la decisione impugnata avrebbe erroneamente omesso di considerare che l’obbligazione contratta dal ricorrente NOME COGNOME mediante il rilascio di una fideiussione omnibus era del tutto estranea ai bisogni della famiglia dell’istante, laddove ‘per poter giungere alla revocazione del fondo patrimoniale, è requisito indispensabile che il giudice proceda ad accertamento della relazione sussistente tra il fatto generatore del debito ed i bisogni della famiglia, avuto riguardo alle specifiche circostanze del caso concreto’ .
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 102 c.p.c. e 170 c.c.
Si sostiene che ‘la sentenza impugnata concretizza una evidente violazione della disciplina ordinamentale in relazione alla esatta individuazione dei soggetti effettivamente debitori, nonché nella corretta indicazione della posizione di litisconsorte necessario passivo de ll’azione revocatoria’ , essendo la ricorrente NOME COGNOME estranea al giudizio instaurato, ‘in quanto coniuge non debitore e non litisconsorte necessario nell’azione revocatoria, poiché la medesima signora COGNOME è solo il coniuge del COGNOME, ma non ha prestato fideiussione, né ha avuto rapporti con la Banca e/o con la società debitrice’ .
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. Quanto ai primi due motivi di ricorso, l’inammissibilità discende dalla considerazione -peraltro già espressa nella proposta ex art. 380bis c.p.c. -che i ricorrenti vengono a sollevare nella presente sede una questione che non risulta assolutamente essere stata sollevata nel giudizio di appello in quanto il ricorso omette radicalmente
di indicare , nel rispetto della regola di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., gli esatti termini di deduzione della questione e la sede processuale nella quale la medesima sarebbe stata sollevata.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio.’ ( Cass. Sez. L – Ordinanza n. 18018 del 01/07/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013, oltre a quelle ulteriormente richiamate nella proposta di definizione).
2.2. Gli ulteriori tre motivi debbono in primo luogo essere dichiarati inammissibili ex art. 360bis, n. 1), c.p.c. avendo la decisione impugnata deciso le questioni in diritto in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte, senza che l’esame dei motivi offra elementi per confermare o mutare l’orientamento già espresso.
Si deve osservare, infatti, che:
-quanto al terzo motivo, la decisione si conforma ad una pluralità di decisioni di questa Corte sia in tema di atti dispositivi del fideiussore sia in tema di individuazione dei
presupposti dell’ actio pauliana (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 9192 del 02/04/2021; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 10522 del 03/06/2020; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 762 del 19/01/2016; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 13343 del 30/06/2015; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3676 del 15/02/2011; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8680 del 09/04/2009);
-in relazione al quarto motivo il profilo dell’applicazione dell’art. 2901 c.c. all’atto di costituzione di fondo patrimoniale registra uno degli orientamenti più consolidati di questa Corte (da ultimo Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 34872 del 13/12/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 25361 del 28/08/2023; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 966 del 17/01/2007; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4933 del 07/03/2005, per arrivare a Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8013 del 02/09/1996; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 3251 del 09/04/1996);
-quanto all’ultimo motivo, deve richiamarsi il principio per cui l’azione revocatoria intentata dal creditore di uno dei coniugi nei riguardi dell’atto con cui un bene della comunione legale sia stato conferito in un fondo patrimoniale dev’essere rivolta nei confronti di entrambi i coniugi, essendo preordinata alla pronuncia d’inefficacia dell’atto nel suo complesso (vale a dire non limitatamente a un’inesistente quota pari alla metà del bene), siccome funzionale ad un’espropriazione forzata da compiersi anch’essa, necessariamente, sull’intero bene (Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 9536 del 07/04/2023; Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 8447 del 24/03/2023; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5768 del 22/02/2022; Cass. Sez. 3 -Sentenza n. 19330 del
03/08/2017), non senza osservare, peraltro, che, nel caso di specie, i due coniugi hanno congiuntamente contestato l’azione revocatoria con difese unitarie, anche nella presente sede di legittimità.
A tali considerazioni, poi, si affiancano i rilievi già mossi nella proposta ex art. 380bis c.p.c.: i tre motivi risultano collocarsi ampiamente al di fuori dell’ipotesi di cui all’art. 360, n. 3), c.p.c., la quale deve dedotta, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Nella specie, per contro, i tre motivi ora in esame non svolgono alcuna concreta nei confronti del percorso giuridico seguito dalla decisione impugnata -peraltro, come visto, pienamente conforme ai principi espressi da questa Corte -ma si limitano ad una censura meramente apodittica ancorata in parte preponderante, se non esclusiva, a profili di mero fatto, traducendosi, in sostanza, in censure indirizzate al merito della decisione stessa.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Avendo questa Corte deciso in conformità della proposta, deve trovare applicazione l’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., il quale richiama, in caso di decisione conforme alla proposta, il disposto di cui all’art. 96, terzo e quarto comma, c.p.c. con la conseguente condanna ulteriore dei ricorrenti soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata nonché, in favore della Cassa delle Ammende, di una somma di denaro non inferiore ad € 500,00 e non superiore ad € 5.000,00, somme che si liquidano come da dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara il ricorso inammissibile;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 8.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, della somma equitativamente determinata in € 8.000,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di € 2.500,00, ex art. 96, terzo comma, c.p.c.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione