Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5138 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso 28482-2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avv. COGNOME e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
-ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO NOME COGNOME DI DENARO COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del Curatore pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
-controricorrente –
avverso la sentenza n. 774/2021 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 12/04/2021;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME NOME evocava in giudizio il Fallimento NOME COGNOME di NOME RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Siracusa, invocando la declaratoria della nullità degli atti di apprensione al patrimonio fallimentare, compiuti dalla procedura convenuta sui beni costituiti in fondo patrimoniale con il marito NOME COGNOME nonché la cancellazione della trascrizione della sentenza dichiarativa del fallimento eseguita su tali beni e la condanna della parte convenuta al risarcimento del danno da mancato godimento degli stessi. L’attrice esponeva che il 14.4.2007, insieme al marito NOME COGNOME aveva costituito un fondo patrimoniale con atto trascritto il 20.4.2007, precedente alla dichiarazione del fallimento della società NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e del suo socio accomandatario NOME COGNOME COGNOME, intervenuto con sentenza del Tribunale di Siracusa n. 8/2011 del 1.4.2011; che l’inventario dei beni veniva effettuato il 18.5.2011 e depositato il 21.11.2011; che il COGNOME decedeva in data 23.2.2016 e la sua eredità veniva accettata, con beneficio di inventario, dalla COGNOME e dai figli della coppia; che con ordinanza del 24.2.2016 il giudice delegato al fallimento disponeva la vendita senza incanto di un immobile sito in Avola (SR), già costituito in fondo patrimoniale; che con istanza del 3.6.2016 gli eredi del COGNOME chiedevano la revoca dell’ordinanza di vendita, facendo valere l’esistenza del fondo patrimoniale insistente sull’immobile suindicato; che con ordinanza del 6.7.2016 il giudice delegato rigettava detta
istanza, evidenziando che avverso l’ordinanza di vendita non era stato interposto tempestivo reclamo, che il fondo patrimoniale non era stato trascritto e che, comunque, i suoi effetti erano venuti meno con la morte del Denaro.
Si costituiva il Fallimento, eccependo l’improcedibilità della domanda e comunque invocandone il rigetto, sul presupposto che il fondo patrimoniale non fosse utilmente opponibile alla procedura concorsuale.
Con sentenza n. 2009/2017 il Tribunale dichiarava inammissibile la domanda, rilevando la mancata proposizione del reclamo avverso l’ordinanza con la quale era stata disposta la vendita del cespite oggetto di causa.
Con la sentenza impugnata, n. 774/2021, la Corte di Appello di Catania rigettava il gravame interposto dalla COGNOME avverso la decisione di prime cure, condannando l’appellante alle spese del grado. Ad avviso della Corte distrettuale, il Tribunale aveva correttamente rilevato che la COGNOME avrebbe dovuto proporre reclamo avverso il provvedimento con il quale era stata disposta la vendita del bene immobile oggetto di causa, considerata la natura giurisdizionale dei provvedimenti adottati dal giudice delegato nell’esercizio della competenza esclusiva attribuitagli dalla legge.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale, ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 24, 26, 36 e 46 della legge fallimentare n. 267 del 1942 e dell’art. 42 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente confermato l’inammissibilità della domanda, già ravvisata dal Tribunale, in quanto la COGNOME non aveva proposto tempestivo reclamo avverso i provvedimenti con i quali il giudice delegato aveva appreso il cespite oggetto di causa al patrimonio fallimentare e ne aveva disposto la vendita. Ad avviso della ricorrente, poiché gli artt. 26 e 36 della legge fallimentare prevedono, rispettivamente, che contro i decreti del giudice delegato può essere proposto reclamo al Tribunale o alla Corte di Appello (l’art.26), e che contro gli atti di amministrazione del curatore e le autorizzazioni o dinieghi del comitato dei creditori può essere proposto reclamo al giudice delegato (l’art. 36), non si configurerebbe alcuna competenza esclusiva del giudice fallimentare, posti da un lato l’utilizzazione, da parte del legislatore, del verbo ‘potere’, e non del verbo ‘dovere’, e, dall’altro lato, la natura residuale della competenza funzionale riconosciuta al Tribunale fallimentare dall’art. 24 della legge fallimentare. La fattispecie, quindi, rientrerebbe nell’ambito di quanto previsto dall’art. 46 della legge fallimentare, secondo cui sono esclusi dal fallimento i beni costituiti in fondo patrimoniale.
La censura è fondata.
La Corte di Appello ha ritenuto corretta l’interpretazione del Tribunale, secondo cui era onere della COGNOME proporre reclamo avverso i provvedimenti con i quali il giudice delegato aveva disposto l’apprensione del bene controverso al patrimonio del fallimento e ne aveva ordinato la vendita, posta la loro natura giurisdizionale e la loro capacità a statuire sui diritti dell’interessato in maniera irretrattabile e
con gli effetti della cosa giudicata. A tal fine, la Corte di Appello ha richiamato un precedente di questa Corte, secondo il quale ‘Il decreto con il quale il giudice delegato, nell’esercizio della competenza esclusiva al riguardo attribuitagli dalla legge (art. 25, n. 7, L. Fall.), liquida i compensi per l’opera prestata dagli incaricati a favore del fallimento, lungi dall’assumere carattere meramente ricognitivo, concreta un provvedimento di natura giurisdizionale destinato a statuire sul diritto dell’incaricato in maniera irretrattabile e con gli effetti propri della cosa giudicata, suscettibile di impugnazione unicamente con il rimedio endofallimentare del reclamo a norma dell’art. 26 L. Fall.’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8742 del 03/05/2016, Rv. 639505). Detta linea interpretativa, confermata da numerosi precedenti (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 19888 del 13/10/2005, Rv. 585189; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 13482 del 16/09/2002, Rv. 557404; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2652 del 13/03/1987, Rv. 451766) si riferisce anche al provvedimento con il quale sia stata rigettata l’istanza di liquidazione del compenso (cfr . Cass. Sez. 1, Sentenza n. 6655 del 15/05/2001, Rv. 546652), indipendentemente dal fatto che la procedura fallimentare sia stata ammessa al gratuito patrocinio, poiché anche in questo caso sono devolute al giudice delegato tutte le funzioni di vigilanza correlate all’ammissione al predetto beneficio (cfr . Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 17879 del 28/06/2024, Rv. 671715).
Tuttavia, il richiamo operato dalla Corte distrettuale non appare pertinente alla fattispecie, poiché i precedenti suindicati si riferiscono alla specifica procedura di liquidazione dei compensi dovuti al curatore o agli ausiliari del fallimento. Nel caso di specie, in cui si discute invece di un diritto soggettivo, il giudice di merito avrebbe dovuto applicare il principio secondo cui ‘Il procedimento camerale delineato dagli artt. 23
e 26 della Legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267), pur consentendo attività che sono espressione del diritto di difesa (quali la produzione di documenti, la sollecitazione di richieste di informazioni alla pubblica amministrazione, la presentazione di memorie) non assicura la pienezza del contraddittorio, e non garantisce completamente l’esercizio del predetto diritto, sia perché non consente le deduzioni di tutti i mezzi di prova, sia per l’eccessiva brevità del termine assegnato per il reclamo al tribunale. Tale procedimento consente la risoluzione di tutte le questioni che attengono al regolare e rapido svolgimento della procedura concorsuale, ma non di quelle su diritti soggettivi, ancorché aventi un momento di collegamento con detta procedura. In materia di diritti soggettivi, pertanto, l’uso del procedimento camerale è consentito nelle sole ipotesi tipiche per le quali il legislatore (limitando le garanzie di difesa, di contraddittorio e di forme proprie del processo ordinario, per subordinarle alle esigenze del sollecito svolgimento della esecuzione fallimentare e consentire agli organi che vi sono preposti, una visione costante ed unitaria delle vicende che vi ineriscono) lo abbia espressamente previsto (art. 25, n. 7, 110 , 151, comma terzo, ultima parte, Legge fallimentare) e salvo al giudice di sollevare le questioni di legittimità costituzionale che ritenga rilevanti’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2580 del 28/07/1972, Rv. 360105).
In applicazione di detto principio, le Sezioni Unite di questa Corte, proprio pronunciando su una ipotesi di apprensione alla massa fallimentare di un bene costituito in fondo patrimoniale anteriormente all’apertura della procedura concorsuale, hanno affermato che ‘La facoltà del giudice delegato, a norma dell’art. 25, n. 2, della Legge fallimentare, di adottare provvedimenti urgenti per la conservazione del patrimonio implica il potere di emettere decreti di acquisizione alla
procedura concorsuale di eventuali sopravvenienze attive, in possesso del fallito, o del coniuge o di altri soggetti che non ne contestino la spettanza al fallimento, ma non anche di disporre l’acquisizione di beni sui quali il terzo possessore rivendichi un proprio diritto esclusivo incompatibile con la loro successiva inclusione nell’attivo fallimentare (nella specie, immobile detenuto dalla moglie del fallito, in forza di vincolo di destinazione a fondo patrimoniale costituito in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento). In tale seconda ipotesi, il decreto del giudice delegato, così come il provvedimento reso dal tribunale in esito a reclamo, devono ritenersi giuridicamente inesistenti, per carenza assoluta del relativo potere, con l’ulteriore conseguenza che avverso i medesimi, non suscettibili di acquistare autorità di giudicato, non è esperibile il ricorso per Cassazione, a norma dell’art. 111 della Costituzione, restando in facoltà di qualsiasi interessato di farne valere, in ogni tempo ed in ogni Sede, la radicale nullità ed inidoneità a produrre effetti giuridici’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 2258 del 09/04/1984, Rv. 434294). Infatti ‘Il giudice delegato che (a norma dell’art 25, n. 2 e ultima parte, del R.D. 16 marzo 1942, n. 267), su istanza del curatore o di qualunque altro interessato od anche di ufficio, ordina con decreto l’acquisizione al fallimento di attività del fallito, non esplica attività meramente ordinatoria, ma statuisce su questioni in ordine all’appartenenza di determinati beni -sui quali altri soggetti possono vantare pretese- alla massa fallimentare, decidendo in tal modo su veri e propri diritti. Contro il detto provvedimento, che ha carattere giurisdizionale e contenuto decisorio, è ammissibile l’impugnazione diretta nelle forme ordinarie, ma non il reclamo al tribunale previsto dall’art 26 della Legge fallimentare, essendo tale rimedio riservato al riesame dei provvedimenti adottati dal giudice delegato nell’esercizio della sua
funzione amministrativa’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1643 del 05/06/1974, Rv. 369810). Di conseguenza, ‘I provvedimenti emanati dal giudice delegato al fallimento in materia di diritti soggettivi sono impugnabili soltanto nelle forme ordinarie e non anche con il ricorso al tribunale previsto dall’art 26 della Legge fallimentare, stante l’assoluta inidoneità di questo rimedio ad assicurare un’adeguata tutela giurisdizionale a tali diritti’ (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 175 del 28/01/1970, Rv. 344958). Pertanto, ove l’interessato si avvalga erroneamente del mezzo di tutela di cui all’art. 26 della Legge fallimentare, l’esperimento di esso, in quanto privo di valore giuridico, non consuma la possibilità di impugnare il provvedimento con le forme ordinarie.
Tanto premesso, la Corte di Appello non avrebbe potuto ritenere preclusa la facoltà della COGNOME di contestare l’acquisizione alla massa fallimentare del bene oggetto di causa, ed il provvedimento con il quale se ne disponeva la vendita, per effetto del solo rilievo che la predetta non aveva proposto reclamo ai sensi dell’art. 26 della Legge fallimentare, non essendo quello il rimedio previsto dalla legge per la contestazione dei provvedimenti del giudice delegato incidenti su diritti soggettivi di terzi estranei alla procedura fallimentare ed essendo pertanto del tutto irrilevante la sua mancata proposizione, ai fini della consumazione del diritto di difesa e di impugnazione.
Con il secondo motivo, la COGNOME lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 33 della Legge fallimentare, 100 e 159 c.p.c., 3, 24 e 111 Cost., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente rigettato il gravame dando per assodate le circostanze di fatto concernenti, rispettivamente, la data dell’inventario dei beni e della loro ordinanza di vendita, senza
considerare che, sul punto, la COGNOME aveva dedotto che la curatela del fallimento aveva acquisito un estratto dell’atto di matrimonio, dal quale risultava la costituzione del fondo patrimoniale, soltanto il 3.6.2016, e dunque successivamente sia all’inventario, del 18.5.2011, sia all’ordinanza di vendita, del 24.2.2016. Il giudice di appello, dunque, avrebbe erroneamente ritenuto che l’odierna ricorrente non avesse contestato l’irretrattabile apprensione del bene oggetto di causa alla massa fallimentare, mentre era proprio questo il petitum che la stessa aveva proposto.
La censura è assorbita dall’accoglimento del primo motivo. Il giudice del rinvio, infatti, dovrà rivalutare la fattispecie, tenendo conto che la domanda della COGNOME, tesa ad ottenere l’affermazione dell’esclusione dal patrimonio del fallimento convenuto del bene oggetto del fondo patrimoniale costituito con atto del 14.4.2007, poteva essere proposta nelle forme ordinarie, non essendo applicabile alla fattispecie la speciale procedura di cui all’art. 26 della Legge fallimentare.
In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e dichiarato assorbito il secondo. La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alla censura accolta, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbito il secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Catania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda