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Firma Falsa Conto Cointestato: la banca paga?

La Corte di Cassazione ha esaminato il caso di un conto cointestato svuotato da un coniuge tramite una firma falsa dell’altro. La Corte ha confermato la condanna in solido della banca e del coniuge che ha commesso il prelievo. È stato chiarito che, in caso di disconoscimento della firma, l’onere di provarne l’autenticità spetta a chi vuole avvalersi del documento, in questo caso la banca. La richiesta di manleva della banca verso il cointestatario è stata respinta.

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Firma Falsa su Conto Cointestato: La Banca Paga il Danno?

La gestione di un conto corrente cointestato si basa sulla fiducia reciproca tra i titolari, ma cosa succede se questa fiducia viene tradita? Un caso recente affrontato dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 7378/2025 fa luce sulle responsabilità che emergono quando uno dei cointestatari svuota il conto utilizzando una firma falsa dell’altro. Questa decisione offre importanti chiarimenti sulla ripartizione delle responsabilità tra il cointestatario disonesto e l’istituto di credito che non ha effettuato le dovute verifiche.

I Fatti del Caso: Un Conto Cointestato Svuotato con una Sottoscrizione Falsa

La vicenda ha origine dalla domanda di una donna, separata dal marito, che si rivolge al tribunale per ottenere la restituzione della sua quota (il 50%) del saldo di un conto corrente cointestato. Il suo ex coniuge, a sua insaputa e prima della separazione, aveva estinto il conto prelevando l’intera somma, pari a oltre 52.000 euro, utilizzando un modulo di estinzione sul quale la firma della donna era stata falsificata.

La Corte d’Appello, riformando la decisione di primo grado, aveva dato ragione alla donna. Una perizia grafologica (CTU) aveva infatti confermato che la firma era apocrifa. Di conseguenza, sia l’ex marito, per aver prelevato indebitamente l’intera somma, sia la banca, per non aver controllato l’autenticità della firma, venivano condannati in solido a restituire alla donna la sua quota di 26.320,20 euro. La banca, ritenendosi ingiustamente penalizzata, ha proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso della banca, confermando integralmente la decisione della Corte d’Appello. I motivi del rigetto si concentrano su due aspetti fondamentali: l’onere della prova in caso di disconoscimento della firma e la natura della responsabilità solidale.

L’Onere della Prova in caso di Firma Falsa

Il primo motivo di ricorso della banca verteva su una questione procedurale. L’istituto sosteneva che la donna avrebbe dovuto avviare una procedura specifica (la querela di falso) per contestare la firma e che, non facendolo, l’onere di provare la falsità ricadesse su di lei. La Cassazione ha respinto questa tesi, ribadendo un principio consolidato: quando una parte disconosce la propria firma su una scrittura privata, l’onere di chiederne la verificazione e di provare la sua autenticità spetta a chi intende avvalersi di quel documento. In questo caso, era la banca a dover dimostrare che la firma fosse autentica per giustificare il pagamento dell’intera somma al solo ex marito. Poiché la banca non ha fornito tale prova, e anzi la perizia ha confermato la falsità, la sua negligenza è stata accertata.

La Responsabilità Solidale e il Rigetto della Manleva

La banca si doleva anche del fatto che, a suo dire, la condanna solidale avrebbe portato a un arricchimento ingiusto dell’ex marito, il quale, pur avendo incassato il 100% del saldo, sarebbe stato tenuto a restituire solo il 50% in caso di azione di regresso. La Corte ha definito questo motivo inammissibile, chiarendo la natura dell’obbligazione solidale. La condanna in solido significa che la creditrice (l’ex moglie) ha il diritto di chiedere l’intera somma a lei dovuta indifferentemente alla banca o all’ex marito. Non si tratta di un doppio pagamento. Sarà poi il debitore che ha pagato (in questo caso, presumibilmente la banca) ad avere il diritto di regresso verso l’altro condebitore per la sua quota di responsabilità. La Corte d’Appello aveva correttamente respinto la richiesta di manleva della banca verso l’ex marito perché non sussisteva alcun rapporto di garanzia tra loro e la responsabilità della banca derivava da una propria colpa.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su principi cardine del diritto processuale e civile. In primo luogo, il principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.) viene applicato in combinato disposto con le norme sul disconoscimento della scrittura privata (art. 214 ss. c.p.c.). La Corte chiarisce che il semplice disconoscimento della firma è sufficiente a far scattare l’onere della verificazione a carico di chi produce il documento in giudizio. In secondo luogo, la Corte applica correttamente il concetto di responsabilità solidale, che ha la funzione di rafforzare la tutela del creditore, permettendogli di agire per l’intero credito verso il debitore che ritiene più solvibile, senza che ciò incida sui rapporti interni tra i condebitori, regolati dall’azione di regresso.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma che gli istituti di credito hanno un preciso dovere di diligenza nel verificare l’autenticità delle firme sui documenti dispositivi, specialmente in operazioni delicate come l’estinzione di un conto corrente. Una negligenza in questo controllo espone la banca a una responsabilità diretta e solidale con il soggetto che ha beneficiato della condotta illecita. Per i correntisti, questa decisione rappresenta un’importante tutela: il cointestatario il cui diritto viene leso da una firma falsa può agire direttamente nei confronti della banca per ottenere il risarcimento del danno subito.

Chi deve provare che una firma su un documento è autentica se viene contestata?
Secondo la sentenza, se una parte disconosce la propria firma su un documento privato, l’onere di provare che la firma è autentica spetta alla parte che vuole utilizzare quel documento come prova a proprio favore. Nel caso specifico, spettava alla banca dimostrare l’autenticità della firma della correntista.

Se un cointestatario svuota il conto con una firma falsa dell’altro, la banca è responsabile?
Sì. La Corte ha confermato che la banca è responsabile in solido con il cointestatario che ha effettuato il prelievo. La responsabilità della banca deriva dalla sua negligenza nel non aver controllato adeguatamente l’autenticità della firma sull’ordine di estinzione del conto.

Cosa significa “condanna in solido” per la banca e il cointestatario disonesto?
Significa che entrambi sono obbligati a pagare l’intero importo dovuto al creditore (la cointestataria danneggiata). Il creditore può scegliere di chiedere l’intera somma indifferentemente alla banca o all’altro cointestatario. Chi paga avrà poi il diritto di rivalersi sull’altro (azione di regresso) per la quota di rispettiva competenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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