Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7378 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7378 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23356/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-controricorrente-
nonchè contro
CAVALLO NOME
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 1239/2021 depositata il 07/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Catania ha riformato la decisione con cui il Tribunale di Ragusa, aveva respinto la domanda proposta dalla signora NOME COGNOME nei confronti del coniuge separato NOME COGNOME e di Credem s.p.a. volta alla condanna in solido alla restituzione della somma di 26.320,20 € (pari al 50% del saldo attivo per euro 52.640,41 del conto corrente n. 2560 acceso presso la filiale di Credem di Ragusa, cointestato ai coniugi COGNOME) che la sig. COGNOME deduceva prelevata illegittimamente dall’ex marito allorchè questi aveva estinto il conto cointestato a sua insaputa ancor prima dell’intervenuta separazione.
2.- La Corte d’appello ha considerato che: (i) la sig. COGNOME aveva lamentato come il marito avesse estinto il conto corrente cointestato prelevando il saldo attivo e che, sulla disposizione di estinzione che aveva acquisito in copia, erano apposte due proprie firme apocrife; (ii) che il Credito Emiliano, dopo aver affermato con la comparsa di costituzione, l’autenticità delle sottoscrizioni contestate dalla sig. COGNOME aveva depositato con la memoria istruttoria copia della relativa richiesta di estinzione ed altri documenti dichiarando di volerli utilizzare e indicando le scritture di comparazione; (iii) che la sig. COGNOME aveva a quel punto disconosciuto le sottoscrizioni di documenti prodotti in copia dalla banca chiedendo di procedersi alla verificazione, producendone l’originale; (iv) che era irrilevante disquisire su chi gravasse l’onere della prova dovendosi procedere alla verificazione della sottoscrizione.
All’esito della disposta CTU grafologica sulle sottoscrizioni della disposizione di estinzione del c/c del 1.7.2009 che erano risultate apocrife,
ha accolto il gravame proposto dalla sig. COGNOME e condannato gli appellati in solido al pagamento della somma di 26.320 euro: il sig. COGNOME avendo indebitamente prelevato l’intero saldo, e Credem in quanto il personale della banca non aveva provveduto a controllare l’autenticità delle sottoscrizioni apposte sulla disposizione di estinzione del c/c, e consegnato il saldo al solo sig. COGNOME nonostante a seguito della chiusura del conto non trovi più applicazione l’art. 1854 c.c. con la conseguenza che la banca avrebbe dovuto restituire al sig. COGNOME solo la metà del saldo;
-ha respinto la domanda di condanna dei convenuti al pagamento di un ulteriore importo a titolo di responsabilità extracontrattuale e quella di condanna al risarcimento del lucro cessante, trattandosi di domande non assistite da alcuna specifica allegazione;
ha respinto la richiesta di Credem di condanna del sig. COGNOME a manlevarla di quanto dovesse pagare in esecuzione della sentenza in quanto fondata solo sull’erroneo presupposto dell’esclusiva responsabilità dello stesso e dovendosi escludere una posizione di garanzia del Cavallo nei suoi confronti.
3.- Avverso detta sentenza RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidandolo a due motivi di ricorso illustrati anche con memoria; ha resistito NOME COGNOME che ha, altresì, depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (ex art. 360 n. 3 c.p.c.) in relazione agli articoli 2719 c.c., 2712 c.c., 215 c.p.c. e 216 c.p.c. nonché (ex art. 360 n. 3 e n. 5) c.p.c. « per vizio di motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile » in ordine alla
avvenuta ammissione della verificazione della sottoscrizione riguardante il documento datato 1.7.2009, denominato « conto corrente e servizi vari. Estinzione e/o revoca ».
Sostiene la ricorrente che la Corte d’appello avrebbe disposto la verificazione della sottoscrizione di detto documento laddove l’attrice, pur contestando l’autenticità della sottoscrizione risultante dal documento predetto (allegato in copia all’atto di citazione ed oggetto della CTU grafologica), non aveva introdotto in giudizio alcuna domanda volta ad accertarne la falsità, benchè il relativo onere della prova fosse a suo carico; né la verifica della autenticità della sottoscrizione era stata chiesta dalle parti convenute, avendo Credem avanzato, si, un’istanza di verificazione, ma condizionata e senza rinuncia al riconoscimento tacito che riteneva effettuato in causa dall’attrice e, comunque, con riguardo ad altri tre documenti, diversi da quello in questione v. ricorso pag. 23-24); perciò la Corte d’appello avrebbe ammesso la verificazione in assenza dei presupposti processuali.
2.1- Il motivo anche a prescindere dall’inammissibilità della sua formulazione che mescola vizi di carattere eterogenei ed incompatibili logicamente tra loro quale l’ error in iudicando e il vizio motivazione -è infondato nella misura in cui censura un vizio motivazionale, deducendo che nella specie la motivazione della Corte territoriale sarebbe « apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile », non essendo dato ravvisare nella motivazione resa in tal caso i vizi predetti. Nè la ricorrente li specifica, riportando il punto in cui il ragionamento decisorio sarebbe in tal senso censurabile, affermando piuttosto- a ben vedere – che la Corte avrebbe compiuto un error in procedendo ammettendo un mezzo istruttorio in violazione – pare di capire -del principio dispositivo.
Ma anche a voler riqualificare il motivo in tal senso lo stesso appare infondato.
2.2Va premesso che l’azione ex art. 216 c.p.c. mira ad accertare l’autenticità del documento nel senso che la sottoscrizione sia stata effettivamente apposta dalla (mano della) parte che l’ha negata e, pertanto, che la dichiarazione in esso contenuta sia a questa imputabile; l’imputabilità del documento alla parte che l’ha disconosciuto produce, ex lege , l’effetto di renderlo utilizzabile come prova da chi ne ha interesse (ed è idonea al giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c., fermo il fatto che, diversamente dalla querela di falso, che instaura un procedimento la cui conclusione ha efficacia di accertamento erga omnes, il giudicato risultato del procedimento di verificazione rimane circoscritto alle parti del giudizio).
Ciò detto la parte interessata a far valere la non autenticità della sottoscrizione apparentemente a lei attribuita è libera di optare per l’uno o per l’altro strumento processuale. Pertanto, avendo la sig. COGNOME agito in giudizio per ottenere- in ragione della pacifica cointestazione del conto – la somma che le competeva a titolo di metà del saldo attivo, negando di aver sottoscritto il documento che autorizzava la chiusura del conto e il ritiro della somma a saldo (invocato -per quel che qui interessa – dalla banca), era una sua facoltà -non suo onere- quello di agire con querela di falso piuttosto che limitarsi a disconoscere la sottoscrizione del documento, poiché l’onere di provare che il documento era autentico ed era stato sottoscritto da entrambi i titolari, incombeva -diversamente da quanto sostiene la ricorrente – sulla banca convenuta, trattandosi di prova di un fatto impeditivo del diritto fatto valere in giudizio, cioè di un’eccezione in senso stretto.
A fronte della dichiarazione della banca di volersi avvalere di un documento di cui la controparte aveva disconosciuto la sottoscrizione sin dall’atto introduttivo del giudizio, la Corte d’appello non ha violato alcuna delle norme processuali invocate, ne’ il principio di distribuzione dell’onere probatorio, né il principio
dispositivo, dal momento che è pacifico che la banca avesse affermato e ribadito di volersi avvalere di detto documenti (pur erroneamente ritenendo che essi dovessero intendersi «riconosciuti» per assenza di proposizione di azione di querela di falso) eventualmente tramite la verificazione.
Ed è principio consolidato quello per cui l’istanza di verificazione della scrittura privata disconosciuta può essere anche implicita, come quando si insista per l’accoglimento della pretesa presupponente l’autenticità del documento, non esigendo la formale apertura di un procedimento incidentale, nè l’assunzione di specifiche prove, quando gli elementi già acquisiti o la situazione processuale siano ritenuti sufficienti per una pronuncia al riguardo. (Cass. n. 6613/1991; Cass. n. 12976/2001; Cass. n.13258/2006; Cass. n. 8272/2012; Cass. n.16383/2017; Cass. n. 32169/2022).
2.- Il secondo motivo denuncia ex art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c. « un vizio di motivazione apparente, perplessa ed obiettivamente incomprensibile » in ordine al rigetto della domanda trasversale di manleva. Lamenta la ricorrente che la Corte d ‘Appello abbia ritenuto infondata la domanda di manleva svolta verso il sig. COGNOME « in quanto fondata solo sull’erroneo presupposto dell’esclusiva responsabilità dello stesso », laddove pure aveva accertato che era stato il sig. COGNOME NOME a percepire dal Credito Emiliano il denaro corrispondente al saldo attivo registrato dalla Banca al momento della sua estinzione sul conto corrente estinto sostenendo che detto denaro era di sua esclusiva pertinenza (e non della sua ex coniuge; perciò -sostiene la ricorrente -la motivazione espressa dalla Corte territoriale presenterebbe « anomalie e illogicità tali da condurre ad un illegittimo arricchimento del sig. COGNOME NOME », in quanto -se si è ben compreso – condurrebbe al risultato che questi non sarebbe tenuto a restituire alla sig.ra COGNOME l’intera somma incassata « ma solo metà perché il restante 50% della somma
intascata dal COGNOME NOME lo deve corrispondere il Credito Emiliano alla sua ex coniuge e ciò in manifesta disparità e ingiustizia perché la Banca appellante non ha beneficiato in alcuna maniera delle somme asseritamente sottratte dal COGNOME alla sua ex coniuge alla sig.ra COGNOME è stato restituito il 100% della sorte capitale sottratta dal suo ex marito; al sig. COGNOME NOME, che aveva intascato quel 100% rimane comunque il 50% di detta somma, da Lui non corrisposta perché sborsata dal Credito NOME il quale (a differenza del Cavallo) nulla aveva percepito in sede di asserita indebita sottrazione ».
2.1- Il motivo è evidentemente inammissibile.
La Corte d’appello all’esito della CTU che ha confermato la falsità della firma apparentemente apposta dalla sig. COGNOME ha condannato i convenuti in solido al pagamento della somma di euro 26.320,00, corrispondente alla metà del saldo attivo del conto cointesto ed ha respinto la domanda di «manleva» non ritenendo sussistente alcun rapporto di garanzia impropria tra la banca e l’altro cointestario ed in quanto « fondata solo sull’erroneo presupposto dell’esclusiva responsabilità dello stesso ». Questa ratio decidendi non è aggredita dal motivo in esame, il quale è tutto basato sull’erroneo presupposto che detta condanna comporti un duplice obbligo di pagare la detta somma alla resistente, laddove essa comporta solo, come noto, che la creditrice possa rivolgersi a sua discrezione ad uno dei debitori in solido per ottenere l’intera somma a lei riconosciuta (salvo il diritto di regresso del debitore che paghi verso il condebitore solidale) non già, come sembra sostenere la ricorrente, che la creditrice possa rivolgersi ad entrambi i debitori per ottenere due volte la somma dovuta.
3.- In definitiva il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 5200,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione