Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1641 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1641 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
Oggetto: fideiussione
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 36959/2019 R.G. proposto da NOME, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, sito in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’ AVV_NOTAIO, con domicilio eletto presso lo studio dell’INDIRIZZO – controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Trento n. 117/2019, depositata il 10 maggio 2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 dicembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME;
RILEVATO CHE:
NOME COGNOME propone ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di appello di Trento, depositata il 10 maggio 2019, di reiezione dell’appello per la riforma della sentenza del locale Tribunale che, pronunciandosi sulla sua opposizione a due decreti ingiuntivi con cui le era stato intimato di pagare in favore della RAGIONE_SOCIALE le somme, rispettivamente, di euro 388.014,39 ed euro 669.906,37, oltre interessi e spese dei procedimenti monitori, la prima, quale saldo di un ‘apertura di credito regolata in conto corrente e rate non pagate di un mutuo chirografario della RAGIONE_SOCIALE e, la seconda, quale rate non pagate di un mutuo ipotecario contratto dalla medesima società, aveva revocato i decreti ingiuntivi opposti e condannato la ricorrente, quale fideiussore della società debitrice, al pagamento della minor somma di euro 190.930,01, oltre interessi legali, relativamente alla pretesa azionata con il primo ricorso per ingiunzione, e di euro 414.832,20, relativamente alla pretesa azionata con il secondo ricorso;
la Corte di appello ha riferito che, in merito alla prima pretesa, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo, rideterminando il credito della banca, in ragione della nullità della clausola avente a oggetto la capitalizzazione degli interessi passivi, ritenuta in violazione del divieto di anatocismo, e, quanto alla seconda, il giudice di primo grado aveva ridotto l’importo creditorio chiesto dalla banca in ragione della transazione effettuata con la Confidi;
-ha, quindi, integralmente disatteso sia l’appello principale della odierna ricorrente, sia quello incidentale della banca contro la statuizione relativa al saldo del conto corrente;
il ricorso è affidato a sette motivi;
resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE;
-la ricorrente deposita memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. e 2 e 111 Cost., per non aver la Corte di appello respinto l’eccezione di inammissibilità o improcedibilità del secondo ricorso per ingiunzione sollevata sul fondamento della violazione del principio di divieto di frazionamento del credito;
il motivo è inammissibile;
il principio, invocato dalla ricorrente, del divieto di frazionamento del credito presuppone che i diversi e distinti diritti di credito oggetto delle separate domande siano relativi a un medesimo rapporto di durata tra le parti, che tali domande siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo e che non sussista in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (cfr. Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2017, n. 4090);
nel caso in esame, i crediti in contestazione non sono riconducibili a un unico rapporto, in quanto aventi titolo in distinti contratti in essere tra la banca e la RAGIONE_SOCIALE, e le relative domande di adempimento non sono idonee a dare luogo a giudicati contrastanti; – non pertinente è, dunque, il riferimento al rapporto di fideiussione in quanto lo stesso, pur integrando la causa petendi , nel senso di giustificare la responsabilità per le obbligazioni altrui, non si sostituisce al titolo dell’obbligazione principale, ma la affianca;
-difetta, quindi, il presupposto per l’applicazione del caso in esame del principio in oggetto;
con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1938, 2727 e 2729 cod. civ., per aver la sentenza impugnata escluso che l’importo massimo della fideiussione, elevato nel 2009, a euro 4,950 mln. fosse sproporzionato e, in quanto tale, da ritenersi non apposto;
rileva, sul punto, l’assenza di indizi gravi, precisi e concordanti su cui poter fondare una siffatta valutazione;
con il terzo motivo si duole della violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 1938 cod. civ. e della l. 17 febbraio 1992, n. 154, per aver la Corte di appello ritenuto che, quand’anche l’importo della fideiussione, così come elevato nel 2009, dovesse considerarsi come non apposto, opererebbe l’originario importo massimo della garanzia;
i motivi esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
deve rammentarsi che l’apprezzamento del giudice di merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, la scelta dei fatti noti che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui si deduce l’esistenza del fatto ignoto sono riservati al giudice di merito (cfr. Cass. 19 aprile 2021, n. 10253; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1234);
-la concretizzazione dei parametri di gravità, precisione e concordanza, ossia la loro traduzione in strumenti operativi per la soluzione delle concrete controversie costituisce, dunque, oggetto di un giudizio di fatto, il cui sindacato da parte del giudice di legittimità è circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non richiesta dalla ricorrente;
da ciò consegue la non proponibilità in questa sede della questione sollevata con il secondo motivo e, conseguentemente, anche di quella sollevata con il terzo motivo, con il quale si aggredisce una autonoma e distinta ratio decidendi (cfr. Cass. 4 agosto 2020, n. 17182), stante la formazione del giudicato sul diritto controverso per effetto della resistenza della diversa ratio rappresentata dall’esistenza di un valido importo massimo della fideiussione, così come fissato con la modifica della garanzia intervenuta nel 2009;
con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1, quarto comma, e 2 l. 10 ottobre 1990, n.
287, per aver la sentenza impugnata escluso che la presenza nell’atto di fideiussione di clausole ritenute dalla Banca d’Italia in contrasto con la disciplina antitrust determinasse la nullità dell’intera fideiussione ;
il motivo è infondato;
questa Corte ha autorevolmente affermato che i contratti di fideiussione «a valle» di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt. 2, secondo comma , lett. a) della l.n. 287 del 1990 e 101 del TFUE, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt. 2, terzo comma, della legge citata e dell’art. 1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducono quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata -perché restrittive, in concreto, della libera concorrenza -, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti (così, Cass., Sez. Un., 30 dicembre 2021, n. 41994); – la decisione impugnata, nel circoscrivere la nullità della fideiussione alle clausole ritenute in contrasto con la disciplina antitrust e nell’ escludere, al contempo, espressamente la essenzialità delle stesse per le parti, ha fatto corretta applicazione del richiamato principio;
con il quinto motivo la ricorrente censura la sentenza di appello per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che le clausole ritenute nulle per contrasto con la disciplina antitrust non fossero essenziali;
-evidenzia, sul punto, la mancata esplicitazione del criterio ermeneutico seguito;
il motivo è inammissibile sia perché la mancata riproduzione delle clausole contestate non consente a questa Corte di poter esaminare la fondatezza della censura (cfr. Cass. 8 marzo 2019, n. 6735; Cass. 15 novembre 2013, n. 25728), sia perché l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, per cui il ricorrente per cassazione, al fine di far valere la violazione dei canoni legali di
interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, e deve precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (cfr. Cass. 9 aprile 2021, n. 9461; Cass. 15 novembre 2017, n. 27136);
parte ricorrente non ha assolto a un siffatto onere;
con il sesto motivo si critica la sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1418 e 1419, primo comma, cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che le parti avrebbe concluso il contratto di fideiussione anche se le clausole negoziali nulle fossero state espunte dal testo;
evidenzia, in proposito, che la Corte di appello aveva omesso di verificare la validità della fideiussione -da qualificarsi quale fideiussione omnibus -sotto il profilo della sussistenza del requisito della causa lecita;
-lamenta che l’accertamento in ordine alla non essenzialità delle clausole doveva essere compiuto secondo una valutazione ex ante e non ex post ;
il motivo è inammissibile;
-va premesso che la ricorrente non deduce l’avvenuta prospettazione dinanzi al giudice di merito della questione della invalidità del contratto di fideiussione sotto il profilo del difetto di una causa lecita, né di siffatta deduzione vi è menzione nella sentenza, per cui, sotto tale profilo, la doglianza non può essere esaminata, non essendo questa Corte messa in condizione di escludere la novità della questione medesima (cfr. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038);
in ordine alla contestata valutazione di non essenzialità delle clausole
ritenute nulle, si osserva che l’accertamento in ordine a tale aspetto e, conseguentemente, in ordine alla idoneità di tali clausole a travolgere integralmente o meno il contratto cui sono apposte richiede un apprezzamento in ordine alla volontà delle parti quale obiettivamente ricostruibile sulla base del concreto regolamento di interessi che è rimesso al giudice di merito ed incensurabile in cassazione se non nei limiti, non prospettati dalla ricorrente, di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 5 maggio 2003, n. 6756; Cass. 5 luglio 2000, n. 8970);
-con l’ultimo motivo la quest’ultima denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., per aver la sentenza impugnata rilevato il difetto di interesse dell’appellante a sollevare la questione relativa alla nullità delle clausole del contratto di fideiussione, motivato con il fatto che la pretesa della banca non si fondava sull’applicazione di tali clausole;
il motivo è inammissibile;
la Corte di appello ha disatteso il motivo di gravame articolato sul punto in ragione sia della nullità solo parziale del contratto di fideiussione, limitatamente alle clausole ritenute nulle per violazione della disciplina antitrust , sia, «in ogni caso», per difetto di interesse della garante giacché la pretesa della banca non faceva leva su tali clausole;
anche in questo caso si è in presenza di due distinte rationes decidendi poste a fondamento della decisione, con la conseguenza che la resistenza della prima all’impugnazione della parte determina l’acquisizione dell’autorità di cosa giudicata sul relativo accertamento e la preclusione all’esame della critica avverso la second a ratio ;
pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;
le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi euro 9.000,00, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, euro 200,00 per esborsi e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale del 20 dicembre 2023.