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Esercizio abusivo della mediazione: la Cassazione

La Corte di Cassazione conferma la sanzione per esercizio abusivo della mediazione a carico del socio di una società immobiliare. La Corte ha stabilito che non è possibile richiedere un riesame delle prove nel giudizio di legittimità e ha chiarito che l’autorità sanzionatoria non ha l’obbligo di notificare la facoltà di pagamento in misura ridotta, essendo un onere del trasgressore.

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Esercizio Abusivo della Mediazione: La Cassazione Conferma la Sanzione

L’esercizio abusivo della mediazione immobiliare è un illecito che può costare caro. Con l’ordinanza n. 1919/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali sia sulla qualificazione dell’attività di mediazione sia su aspetti procedurali relativi alle sanzioni amministrative. La decisione offre spunti cruciali per chi opera nel settore immobiliare, sottolineando l’importanza dei requisiti di legge e i limiti del sindacato della Suprema Corte.

I Fatti di Causa

Il caso nasce da un verbale di accertamento della Guardia di Finanza che contestava al socio unico di una società immobiliare, e in solido al suo amministratore, la violazione della legge n. 39/1989. In particolare, veniva accertato che il socio aveva seguito e sottoscritto quattro proposte di acquisto immobiliare nell’arco di sei mesi, svolgendo di fatto attività di mediazione senza essere iscritto all’apposito ruolo. Nel verbale, l’interessato avrebbe confermato lo svolgimento di tali attività.

Sulla base di questo accertamento, la Camera di Commercio emetteva un’ordinanza-ingiunzione, irrogando una sanzione amministrativa di € 15.000,00.

L’Iter Giudiziario

I soggetti sanzionati proponevano opposizione davanti al Giudice di Pace, che accoglieva il ricorso e annullava l’ordinanza. La Camera di Commercio, tuttavia, non si arrendeva e impugnava la decisione dinanzi al Tribunale. Quest’ultimo, in funzione di giudice d’appello, ribaltava la sentenza di primo grado, accogliendo il gravame e dichiarando legittima l’ordinanza-ingiunzione opposta.

La vicenda giungeva infine in Corte di Cassazione, con un ricorso affidato a due motivi principali: uno relativo alla presunta errata applicazione della normativa sulla mediazione, l’altro riguardante vizi del procedimento sanzionatorio.

La Decisione della Cassazione e l’Esercizio Abusivo della Mediazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la legittimità della sanzione e fornendo importanti chiarimenti su entrambi i motivi di doglianza.

Il Primo Motivo: La Rivalutazione delle Prove è Preclusa in Cassazione

I ricorrenti sostenevano che l’attività fosse stata svolta in nome e per conto della società immobiliare e che, pertanto, non potesse essere considerata un’attività di mediazione personale del socio. Secondo la loro tesi, l’attività di mediazione non poteva essere desunta solo dall’aver seguito le trattative, specialmente considerando le dichiarazioni confessorie riportate nel verbale.

La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile. Ha ricordato che il giudizio di legittimità non è una terza istanza di merito. La valutazione del materiale probatorio, la sua attendibilità e la scelta delle prove su cui fondare la decisione sono compiti riservati esclusivamente al giudice del merito (in questo caso, il Tribunale). Poiché il Tribunale aveva adeguatamente motivato la sua decisione, dando rilievo alla natura palesemente confessoria delle dichiarazioni rese dal socio alla Guardia di Finanza, la Corte non poteva riesaminare tali fatti. Questo principio conferma che la Cassazione valuta la corretta applicazione della legge, non l’accertamento dei fatti.

Il Secondo Motivo: La Correttezza del Procedimento Sanzionatorio

I ricorrenti lamentavano due presunti vizi procedurali. Primo, la Camera di Commercio avrebbe illegittimamente modificato l’importo della sanzione rispetto a quello originariamente ipotizzato. Secondo, non sarebbero stati informati della possibilità di pagare una somma in misura ridotta per estinguere l’obbligazione.

Anche questo motivo è stato giudicato infondato. La Corte ha chiarito che non vi è stato alcun mutamento del fatto contestato. La Camera di Commercio ha semplicemente applicato correttamente l’art. 8 della legge 689/1981, che disciplina il concorso di violazioni. Quando si commettono più violazioni della stessa disposizione, si applica la sanzione per la violazione più grave, aumentata fino al triplo. Riguardo alla mancata comunicazione della facoltà di pagamento in misura ridotta, la Cassazione ha ribadito un orientamento consolidato: l’onere di effettuare il pagamento ridotto per estinguere l’obbligo sanzionatorio spetta al trasgressore e sussiste anche in assenza di un avviso specifico da parte dell’autorità accertatrice. Non esiste alcun obbligo di legge che imponga all’accertatore di notificare tale facoltà.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri giuridici distinti. Sul piano processuale, viene riaffermato il principio della separazione tra giudizio di merito e giudizio di legittimità. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione delle prove a quella del giudice che ha esaminato direttamente testimonianze e documenti. La decisione del Tribunale, basata sulla valenza confessoria delle dichiarazioni del ricorrente, è stata ritenuta sufficientemente motivata e, quindi, non censurabile in sede di legittimità. Sul piano sostanziale amministrativo, la Corte ha confermato la corretta applicazione delle norme sul procedimento sanzionatorio. La gestione del cumulo di violazioni e l’assenza di un obbligo di notifica per il pagamento in misura ridotta sono principi che garantiscono l’efficacia dell’azione sanzionatoria, ponendo in capo al cittadino un onere di diligenza nell’informarsi sui propri diritti e doveri a seguito di una contestazione.

Le Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida importanti principi in materia di esercizio abusivo della mediazione e sanzioni amministrative. In primo luogo, ribadisce che chiunque svolga di fatto attività di mediazione deve possedere i requisiti di legge, a prescindere dal fatto che operi come persona fisica o per conto di una società. In secondo luogo, cristallizza i limiti del ricorso in Cassazione, che non può trasformarsi in un appello mascherato per ridiscutere i fatti. Infine, chiarisce che la facoltà di estinguere la sanzione con il pagamento ridotto è un onere del trasgressore, che deve attivarsi autonomamente senza attendere un avviso specifico. Una lezione importante per tutti gli operatori del settore, che devono prestare massima attenzione al rispetto formale e sostanziale della normativa di riferimento.

È possibile chiedere alla Corte di Cassazione di riesaminare le prove, come una confessione, già valutate dal giudice di merito?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la valutazione del materiale probatorio, la sua attendibilità e la scelta delle prove su cui basare la decisione sono attività riservate esclusivamente al giudice del merito. Il ricorso in Cassazione non può avere ad oggetto una nuova valutazione dei fatti.

L’autorità che emette una sanzione amministrativa è obbligata a notificare al trasgressore la possibilità di pagare una somma ridotta?
No. Secondo la Corte, l’onere di effettuare il tempestivo pagamento in misura ridotta per estinguere l’obbligo sanzionatorio ricade sul trasgressore e sussiste anche in assenza di un avviso specifico da parte dell’autorità accertatrice.

Cosa succede se una persona commette più volte la stessa violazione amministrativa?
In caso di più violazioni della stessa disposizione, si applica la normativa sul concorso di violazioni (art. 8, L. 689/1981). Al trasgressore viene irrogata la sanzione prevista per la violazione più grave, aumentata fino al triplo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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