Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 16203 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 16203 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12424/2020 R.G. proposto da:
COGNOME domiciliato ex lege agli indirizzi PEC dei difensori iscritti nel REGINDE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE; -ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE; -controricorrente-
nonché
DESIATA
-intimato- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO GENOVA n. 1226/2019 depositata il 13/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/02/2025 dal Consigliere dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE evocava, dinanzi al Tribunale di Genova, NOME COGNOME ed NOME COGNOME per chiedere l’adempimento del contratto 30 maggio 2012, con il quale i convenuti avevano assunto l’impegno di acquistare sessantamila azioni della società RAGIONE_SOCIALE, al prezzo di € 60.000 . L’accordo prevedeva il pagamento dell’importo di € 90.000 , suddiviso in tre quote uguali di € 30.000; la prima doveva essere versata con la girata delle azioni e, comunque, non oltre il 10 luglio 2012, la seconda non oltre il successivo 30 novembre e la terza era condizionata all’insussistenza di una situazione di sofferenza economica della RAGIONE_SOCIALE
Il Tribunale accoglieva la domanda, ritenuta la validità ed efficacia del contratto inter partes , ponendo a carico di ciascun acquirente il 50% dell’importo, oltre interessi dalla mora al saldo , avendo escluso la solidarietà fra i convenuti.
NOME COGNOME ed NOME COGNOME proponevano separati gravami, che venivano riuniti dalla Corte d’appello di Genova, la quale, con sentenza n. 1226, depositata il 13 settembre 2019, rigettava entrambe le impugnazioni.
I giudici di secondo grado negavano che, alla luce della scrittura privata del 30 maggio 2012, i termini pretesi come perentori dagli appellanti fossero in realtà essenziali o che la missiva della società del 7 agosto 2012 potesse essere interpretata come una diffida ex art. 1454 c.c., contenendo unicamente l’intimazione ad adempiere . Ribadivano dunque la permanente validità del negozio, a fronte della richiesta di risoluzione di diritto sollecitata dagli
appellanti, e ritenevano altresì che costoro fossero stati messi in mora mediante l’intimazione, così determinando il passaggio del rischio collegato alla vendita delle azioni.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME con tre motivi.
Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso, mentre è rimasto intimato NOME COGNOME
In prossimità della presente udienza entrambe le parti che hanno svolto difese hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, adducendo la violazione e falsa applicazione degli artt. 1322, 1343, 1418 e 1323 c.c. , ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe mancato di considerare come il contratto preliminare di compravendita del 30 maggio 2012 avesse natura aleatoria. Infatti, prevedendo l’accordo un pagamento in tre tranches , solo l’ultima quella non oggetto di richiesta avversaria -sarebbe stata condizionata all’assenza di procedure concorsuali o fallimentari, mentre le prime due avrebbero determinato un pagamento incondizionato, anche in caso di insolvenza o perdite. Il contenuto di un contratto aleatorio unilaterale avrebbe dovuto essere considerato nullo ab origine , con la conseguente rilevabilità di tale anomalia anche nel giudizio di cassazione.
Con il secondo motivo lo COGNOME assume la nullità del contratto per violazione degli artt. 1418 comma 2°, 1325 e 1328 c.c., posto che, stante la natura aleatoria del contratto, quest’ultimo sarebbe stato altresì privo di causa, giacché il rischio assunto dal ricorrente sarebbe stato inesistente. Infatti, al momento della stipulazione del contratto la controparte versava in stato d’insolvenza, per la presenza di gravi passività relative agli esercizi precedenti. Da ciò la conclusione che già il giudice di appello, posto di fronte alla domanda ex art. 2932 c.c., avrebbe potuto rilevare d’ufficio la nullità del medesimo contratto, trattandosi di un’eccezione in senso lato, relativa ad un fatto già allegato in primo grado. In altri termini, essendo la validità del contratto un
presupposto logico della sentenza impugnata, la suddetta questione avrebbe potuto essere sollevata anche nel giudizio di legittimità.
Le predette censure, che possono essere scrutinate congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, sono inammissibili.
L’indagine sulla natura aleatoria ex parte debitoris e sulla conseguente mancanza di causa del contratto preliminare 30 maggio 2012 non è stata sollecitata nei gradi di merito e dunque costituisce una novità del giudizio di cassazione.
La tesi che la nullità ab origine posta nel presente processo di legittimità possa essere sollevata per la prima volta è fallace. Essa s’infrange contro il principio, consolidato perché più volte ribadito da questa Corte, secondo cui nel giudizio di cassazione non è consentita la prospettazione di nuove questioni di diritto o contestazioni che modifichino il thema decidendum ed implichino indagini ed accertamenti di fatto non effettuati dal giudice di merito, anche ove si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Tale principio va applicato pure in caso di diritti assoluti, benché questi appartengano alla categoria dei cd. diritti autodeterminati (Sez. 2, n. 2193 del 30 gennaio 2020; Sez. 2, n. 21906 del 30 agosto 2019; Sez. 2, n. 20712 del 13 agosto 2018; Sez. 2, n. 14477 del 6 giugno 2018).
E tanto a voler sottacere che il ricorrente nei gradi di merito aveva sempre impostato la propria difesa sul presupposto della validità genetica del negozio, divenuto non valido per fatti successivi funzionali.
Con il terzo motivo , ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 2932, 2023 e 2355 c.c. La pronunzia della Corte d’appello sarebbe stata carente del suo elemento essenziale e qualificante -ai sensi dell’art. 2932 c.c. ossia della statuizione costitutiva idonea a produrre gli effetti del contratto non concluso, consistente nella declaratoria di trasferimento della proprietà dei titoli azionari, oggetto del preliminare.
Tale mezzo d’impugnazione è fondato.
Secondo un risalente indirizzo di questa Suprema Corte, cui va data continuità, al principio di ordine generale secondo cui tutte le pronunce giudiziali
retroagiscono normalmente al momento della domanda, fanno eccezione le pronunce costitutive che tengono luogo dell’obbligo di concludere un contratto, le quali, essendo fonte autonoma di rapporti giuridici, dispiegano necessariamente i loro effetti solo dal momento del loro passaggio in giudicato; né un argomento in senso contrario può trarsi dalla norma (art. 2652, numero 2, cod. civ.) sulla trascrizione delle domande dirette a ottenere l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre, in quanto la trascrizione della sentenza che accoglie la domanda ha l’unica funzione di risolvere il conflitto tra l’attore e tutti gli aventi causa diversi dal convenuto che abbiano effettuato trascrizioni o iscrizioni nei suoi confronti dopo la trascrizione della domanda, ma non vale ad anticipare gli effetti della sentenza costitutiva nei rapporti tra le parti al momento della proposizione della domanda di esecuzione specifica. Da tanto deriva che, in fattispecie di contratto preliminare di vendita di quote di una società a responsabilità limitata al valore nominale avente ad oggetto la frazione del capitale sociale appartenente al socio promittente venditore, l’impossibilità sopravvenuta dell’oggetto, impeditiva dell’accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica, doveva essere valutata avendo a riferimento il momento, non già della domanda, bensì della pronuncia (Cass., Sez. 1, n. 10600 del 19 maggio 2005).
Orbene, a seguito della sentenza del 22 maggio 2015, dichiarativa del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, la Corte d’appello ha omesso di indagare se il trasferimento delle azioni fosse ancora concretamente possibile, alla luce dello stato di decozione della fallita.
Ed allora, atteso che le sentenze ex art. 2932 c.c. producono gli effetti del definitivo dal momento del loro passaggio in giudicato, comportando, nel caso di vendita, il trasferimento della proprietà del bene e, correlativamente, l’obbligo dell’acquirente di versare il prezzo (Sez. 2, n. 12680 del 9 maggio 2024), va da sé che tale obbligo non avrebbe potuto essere disposto in presenza di una società non più in bonis .
Né si può affermare che sulla statuizione del Tribunale, il quale avrebbe omesso di disporre circa il trasferimento della proprietà delle azioni, sia sceso il giudicato, per non essere stato il relativo capo gravato dallo COGNOME avanti la
Corte d’appello. Invero, siffatta censura della decisione di primo grado è stata fatta valere dal COGNOME, preteso condebitore, ed in ordine alla stessa il giudice del gravame ha ritenuto superato l’assunto per effetto della mora accipiendi (v. pag. 11 della sentenza impugnata) , circostanza che non si può ritenere sussistere nella specie per quanto sopra esposto.
Ne consegue che sul punto non si è formato alcun giudicato, neanche implicito, nel rapporto RAGIONE_SOCIALE
In definitiva, rigettati i primi due motivi, va accolto il terzo.
La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto ed il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’appello di Genova, in diversa composizione, dovrà attenersi al seguente principio di diritto : ‘Posto che le sentenze ex art. 2932 c.c. producono gli effetti del contratto definitivo con il loro passaggio in giudicato, è al momento della pronunzia e non a quello della domanda che occorre fare riferimento per accertare le condizioni che rendano eseguibile il trasferimento del bene’ .
Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione accoglie il terzo motivo di ricorso, rigettati il primo e il secondo;
cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Genova, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio delle Seconda Sezione Civile, il