Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 34702 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 34702 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15080/2022 R.G. proposto da :
NOME COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in NAPOLI INDIRIZZO DOM. DIG., presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di NAPOLI in n. 19156/2021 depositato il 05/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con decreto depositato il 5.4.2022, il Tribunale di Napoli ha rigettato l’opposizione ex art. 98 legge fall. proposta da NOME COGNOME avverso il decreto con cui il G.D. del fallimento RAGIONE_SOCIALE aveva rigettato la sua domanda di insinuazione in chirografo del credito di € 203.023,50, vantato a titolo di compenso per l’attività di amministratore unico espletata in favore della RAGIONE_SOCIALE dal mese di aprile 2011 al giugno 2018.
Il giudice di primo grado ha, in primo luogo, affermato che il credito vantato dall’opponente era in gran parte prescritto, in particolare, fino al compimento del primo atto interruttivo, coincidente con la notifica del decreto ingiuntivo ottenuto dal Tribunale nel luglio 2020.
In ogni caso, ha osservato il Tribunale di Napoli che, dagli atti, era emerso l’inadempimento dell’opponente nello svolgimento dell’incarico di amministratrice della società poi fallita, risultando condotte illecite della stessa, come specificamente dedotte e allegate dalla curatela, e come risultanti dall’azione di responsabilità esercitata contro NOME COGNOME da uno dei soci della RAGIONE_SOCIALE (il fratello NOME NOME), da cui era desumibile che la COGNOME aveva causato danni alla società, svilendone il valore in ragione della sua mala gestio, tanto è vero che, nel rideterminare le appostazioni in bilancio, era stata riscontrata una insufficienza patrimoniale, tale da determinarne il fallimento, e con un’esposizione debitoria di milioni di euro.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME affidandolo a due motivi. La curatela del fallimento RAGIONE_SOCIALE ha resistito in giudizio con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2389, 2941 n. 7 e 2949 c.c. con riferimento alla presunta intervenuta prescrizione del credito.
Espone la ricorrente di essere stata nominata amministratrice della società fallita con l’assemblea del 10.12.2010 e che con delibera del 2.5.2011 le è stato riconosciuto il compenso annuo di € 7.500,00 netti mensili, percependo un compenso di € 404.476,50, a fronte di un importo complessivamente dovuto per € 607.500,00. Nonostante il Tribunale di Napoli abbia correttamente individuato quale atto interruttivo la notifica del decreto ingiuntivo nel luglio 2020, lo stesso decreto è affetto da insufficiente motivazione per di con credito vantato dalla ricorrente per gli emolumenti maturati a partire dal non aver provveduto alla esatta indicazione del periodo prescrizione, e dalla violazione delle norme in rubrica riferimento alla presunta intervenuta prescrizione del mese di luglio 2015 al mese di giugno 2018.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato che la ricorrente non ha correttamente colto la ratio decidendi, in punto di prescrizione, non avendo il Tribunale di Napoli affatto affermato che il credito era prescritto a partire dal mese di luglio 2015 sino al mese di giugno 2018, ma che il credito vantato dall’opponente era prescritto, in particolare, fino alla data del compimento del primo atto interruttivo (notifica del decreto ingiuntivo del luglio 2020). Ciò vuol dire che, avendo il giudice di primo grado evidenziato che la prescrizione del credito per il
compenso dell’amministratore è di 5 anni, ai sensi dell’art. 2949 c.c., e che la stessa decorre anche nel corso del rapporto, lo stesso giudice ha implicitamente affermato che il credito prescritto era quello maturato per i compensi dovuti dal 2011 al 2015, e non per il periodo successivo.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione degli artt. 112 c.p.c. e 1460 c.c.
Espone la ricorrente che dall’esame degli atti di causa emerge l’omessa proposizione e/o formulazione da parte della curatela, sia in sede di ammissione al passivo, sia nel giudizio ex art. 98 L.F., dell’eccezione ex art. 1460 c.c., diretta a contestare l’esatto adempimento della prestazione da parte della Esposito.
In particolare, la curatela, sia in sede di ammissione al passivo che nel giudizio in oggetto, avrebbe semplicemente dato atto della pendenza presso il Tribunale di Napoli di un giudizio di responsabilità dell’amministratore proposto da un socio, in cui era stato chiesto di accertare e dichiarare che la COGNOME, nella qualità di amministratore, aveva compiuto atti dolosi e/o colposi, con conseguente condanna al risarcimento dei danni.
Dunque, il giudice di primo grado aveva rigettato l’opposizione in ragione dell’inadempime nto della ricorrente nello svolgimento delle funzioni di amministratore, nonostante nessuna deduzione e/o eccezione fosse stata formulata, ex art. 1460 c.c., dalla curatela.
4. Il motivo è infondato.
Va, preliminarmente, osservato che, come ha dato atto la stessa ricorrente, questa Corte (cfr. Cass. n. 20870/2009 e Cass. n. 17424/2010) ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui l’ exceptio inadimpleti contractus di cui all’art. 1460 c.c., al pari di ogni altra eccezione, non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, essendo sufficiente che la volontà della parte di sollevarla sia desumibile, in modo non equivoco, dall’insieme delle sue difese, secondo un’interpretazione del giudice di merito
che, se ancorata a correnti canoni di ermeneutica processuale, non è censurabile in sede di legittimità.
Tale principio, ancora attuale, non trova applicazione quando si assume -come nel caso in esame che l’interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti abbia determinato un vizio riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato (articolo 112 c.p.c.), trattandosi, in tal caso, della denuncia di un error in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. n. 31546/2019; Cass. n. 25259/2017; Cass. 21421/2014).
Orbene, nel caso di specie, la Corte d’appello, proprio perché l’eccezione di inadempimento non richiede l’adozione di forme speciali o formule sacramentali, ha correttamente valutato che i fatti allegati dalla curatela, pur in difetto di un espresso richiamo alla norma di cui all’art. 1460 c.c., abbiano integrato gli estremi della predetta eccezione.
L’art. 1460 c.c. dispone che nei contratti a prestazioni corrispettive ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria.
Orbene, la curatela, nel giudizio ex art. 98 L.F. (come aveva già fatto in sede di insinuazione al passivo), si è opposta all’ammissione del credito vantato dalla ricorrente allo stato passivo, allegando, dapprima, la pendenza di un giudizio di responsabilità ex art. 2476 comma 3° c.c. nel quale il thema decidendum era proprio il grave inadempimento degli obblighi gravanti sull’amministratore per gli atti dolosi e/o colposi posti in essere nell’esercizio delle sue funzioni ai danni della fallita, e producendo, successivamente, la sentenza di condanna, una volta intervenuta: è indubitabile che tale condotta processuale non
avesse altro significato giuridico se non il rifiuto di adempiere la propria obbligazione in ragione del grave inadempimento dell’altro contraente.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 6.11.2024