Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 15338 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 15338 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18476-2020 proposto da:
COGNOME NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA al INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME; NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME); NOME COGNOME, NOME COGNOME
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-intimati – avverso la sentenza n. 1383/2019 della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO, depositata il 26/06/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. NOME COGNOME propone ricorso, sulla scorta di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 1383/2019 della Corte di Appello di Catanzaro che, per quanto in questa sede rileva, rigettando l’appello da questi proposto avverso la sentenza n. 185/2012 del Tribunale di Vibo Valentia, ha statuito che, ai fini della divisione ereditaria dei beni relitti ab intestato dai coniugi
NOME COGNOME e NOME COGNOME dovessero essere inclusi tra i beni ereditari anche cinque certificati di deposito al portatore, intestati ai due de cuius, ma estinti dall’appellante.
Segnatamente, la Corte d’Appello, premesso che l’istituto di credito bene avesse fatto a versare al possessore (i.e. l’appellante) le somme contenute nei libretti al portatore, giusta l’applicazione degli artt. 2003 e 1836 c.c., poiché l’appellante aveva affermato di essere possessore dei libretti in forza di una donazione effettuata da NOME COGNOME atteso che non era stata data la prova dell’esistenza della donazione né che essa era stata effettuata per mezzo di un atto pubblico (giusta l’applicazione del principio di diritto sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza n. 18725/2017) – ha rilevato la nullità della donazione per difetto di forma ad substantiam, ordinando all’appellante di versare in favore della massa ereditaria le somme da lui incassate, estinguendo i libretti al portatore.
2.1 Col primo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 2003 c.c. e 112 c.p.c.
La sentenza gravata viene censurata per aver ritenuto necessaria la forma scritta dell’atto pubblico ai fini del trasferimento dei certificati di deposito al portatore.
Rileva il ricorrente che, ai sensi dell’art. 2003 c.c., il mero possesso -di cui era esercente -sarebbe sufficiente per riscuotere le relative somme e che non incomberebbe su di lui la prova circa il titolo con cui acquisì i certificati, ma sarebbe invece la controparte gravata dell’onere della prova dell’assenza di una iusta causa traditionis .
Si censura, inoltre, la sentenza per vizio di ultra-petizione, non avendo la controparte appellata mai proposto domanda di accertamento della nullità della donazione.
2.2 Col secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto di discussione tra le parti e la violazione degli artt. 116 e 132 c.p.c.
La sentenza è gravata per avere la Corte d’Appello affermato che della donazione ‘ non è stata offerta alcuna prova ‘ (pag. 5 sent.). Tale giudizio sarebbe erroneo -afferma il ricorrente -dato che la Corte non ha tenuto conto della prova documentale depositata in primo grado, consistente nella dichiarazione di successione di NOME COGNOME dalla quale emergerebbe come ‘ i precitati titoli non erano stati in essa inseriti per espressa volontà della moglie (all’epoca ancora in vita) NOME COGNOME la quali li aveva appunto, in precedenza donati, assieme al marito, all’odierno ricorrente ‘ (pag. 12 ricorso).
Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa fase.
Il primo motivo è manifestamente infondato.
La tesi argomentativa del ricorrente avrebbe potuto avere un fondamento nel solo caso in cui questi fosse rimasto estraneo al contratto di donazione (che pur riconosce essere stato il titolo giustificativo del proprio acquisto dei libretti) e se i titoli avessero poi circolato pervenendo ad un terzo ignaro del sottostante rapporto causale di trasferimento, e cioè ad un terzo prenditore, estraneo al rapporto fondamentale, affetto invece da nullità (in
tal senso, v. Cass. civ., sez. I, sent. n. 2693/1967; Cass civ., sez. I, sent. n. 638/1963).
Il ricorrente non si confronta con l’esistenza del rapporto giuridico causale che è stato fonte del trasferimento dei certificati di deposito in suo favore, rapporto rappresentato per sua stessa ammissione nelle fasi di merito da una donazione che affermò essere stata compiuta dagli ereditandi a suo beneficio.
Bisogna ricordare che le parti astrette dal rapporto causale possono sollevare, tra di esse, anche le eccezioni derivanti dal rapporto stesso, e non solo quelle previste dalla legge per la disciplina della circolazione dei titoli di credito (Cass. civ., sez. I, sent . n. 701/1962).
Tra tali eccezioni rientra anche quella volta a contestare la validità del rapporto causale.
È risalente l’insegnamento di questa Corte secondo cui ‘ la traditio del titolo al portatore legittima il possessore del titolo stesso all’esercizio del diritto in esso menzionato; ma, nei diretti rapporti interni fra il tradens e l’ accipiens , l’appartenenza della titolarità del diritto è condizionata alla validità del rapporto sottostante tra essi intercorso ‘ (si veda Cass civ., sez. I, sent. n. 527/1973, pronunciata proprio in tema di nullità della donazione in forza della quale era stato trasmesso il possesso di un titolo di credito; Cass. civ., sez. I, sent. n. 3824/1968).
Il medesimo principio si applica anche laddove ad una delle parti del rapporto causale succedano gli eredi.
Questa Corte ha infatti già avuto modo di precisare, in riferimento ai libretti di risparmio al portatore, che ‘ il libretto di
risparmio al portatore è un titolo di credito il cui trasferimento si perfeziona con la consegna del titolo stesso con la conseguenza che il suo possessore è legittimato all’esercizio del diritto in esso menzionato in base alla presentazione del titolo stesso nonché ha diritto alla prestazione ivi risultante, salvo l’opponibilità nei rapporti tra tradens ed accipiens nonché dei relativi eredi, delle eccezioni fondate sul rapporto causale sottostante, non operando nei loro confronti i caratteri della autonomia, dell’astrattezza, della letteralità e della cartolarità del titolo ‘. (Cass civ. sez. I, sent. n. 5618/1986).
Tra le relative eccezioni fondate sul rapporto causale rientrano anche quelle rilevabili d’ufficio dal giudice, come la nullità del contratto, nella specie per vizio di forma prescritta ad substantiam .
Nel caso in specie a seguito della morte degli ereditandi, gli intimati sono succeduti nel rapporto causale di cui anche il ricorrente era parte. Il Tribunale, prima, e la Corte d’Appello, dopo, hanno rilevato la nullità del contratto di donazione, non essendo stato stipulato secondo le forme dell’atto pubblico, essendo incensurabile la considerazione, alla luce dello strumento delle quali le parti si erano avvalse per determinare l’arricchimento del donatario, e cioè il trasferimento di libretti al portatore, della qualificazione del negozio traslativo quale vera e propria donazione diretta, tenuto conto dei principi affermati da Cass. S.U. n. 18725/2017; in termini anche Cass. n. 23127/2021 sulla donazione di titoli di credito; Cass. n. 32677/2024). Da ciò discende -come giustamente affermato dalla Corte d’appello l’assenza di una valida giustificazione causale per il trasferimento
del titolo di credito di cui il ricorrente era divenuto possessore, con conseguente obbligo di questi, in sede di divisione ereditaria, di riversare alla massa l’equivalente pecuniario dei certificati di deposito estinti.
Per quanto concerne la dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., il ricorso è manifestamente infondato.
La Corte d’Appello non ha accertato in dispositivo la nullità del contratto di donazione, pronunciando su una domanda non proposta, ma ha più semplicemente rilevato incidentalmente, a seguito di doveroso rilievo d’ufficio, la nullità del contratto, come affermato da questa Corte nella sua più autorevole composizione (cfr. Cass. civ., S.U. n. 26242/2014, Cass. civ., S.U. n. 26243/2014 che ammette il rilievo della nullità anche in sede di legittimità).
Atteso che entrambe le censure contenute nel primo motivo sono manifestamente infondate e che non ci sono ragioni espresse dal ricorrente per rimeditare l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il motivo stesso deve essere dichiarato inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1 c.p.c.
6. Il secondo motivo è inammissibile.
Esso non si confronta con la ratio decidendi della sentenza gravata, secondo la quale era necessaria la prova della conclusione di una donazione avente la forma dell’atto pubblico.
Il ricorrente riproduce in questa sede un documento -la dichiarazione di successione di COGNOME NOME -già depositato in primo grado che atto pubblico non è ed il cui omesso esame non può certo dirsi decisivo ai fini del giudizio.
Bisogna infatti evidenziare che la dichiarazione di successione non risulta essere una prova decisiva per il giudizio, per il solo fatto che il ‘Quadro C’ -‘ Donazioni e liberalità ancorché presunte effettuate dal defunto agli eredi e legatari’ -sia vuoto.
Dato che manca l’indicazione della donazione che il ricorrente asserisce essere stata effettuata in suo favore, il documento non può dirsi essere ‘decisivo’, ovvero idoneo a ribaltare il giudizio che il giudice aveva effettuato omettendone la disamina.
Il fatto che nella dichiarazione di successione manchi l’indicazione dei certificati di deposito non può quindi essere interpretato come prova certa dell’esistenza della donazione in proprio favore (che avrebbe potuto rilevare, ove mai fosse stata dedotta fin dal giudizio di merito, ai fini dell’applicazione dell’art. 799 c.c.) ma ben potrebbe essere il frutto di una mera dimenticanza, anziché come estrinsecazione inequivoca della volontà di conferma della donazione nulla.
Alla luce di quanto illustrato, non può neanche dirsi -come sostenuto dal ricorrente -che la sentenza gravata sia affetta dal vizio di omessa pronuncia.
Bisogna, infine, precisare che la dedotta violazione dell’art. 116 c.p.c. è inammissibile.
Secondo l’insegnamento di questa Corte ( Cass. S.U. n. 20867/2020), la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato -in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo ‘prudente apprezzamento’, pretendendo di attribuirle un altro e
diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, nulla dovendosi disporre quanto alle spese, atteso che tutte le controparti sono rimaste intimate.
Poiché il ricorso è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 22 maggio 2025