Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9320 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9320 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11525/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di NOLA n. 7757/2017 depositato il 5/2/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/3/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE in data 28 agosto 2014, aveva sottoscritto, quale promissaria acquirente, un contratto preliminare di compravendita, poi trascritto, con RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto due immobili siti in Nola, INDIRIZZO zona ASI, per il corrispettivo di € 1.750.000,00, versando in acconto la somma complessiva di € 128.000,00. Venuta a conoscenza che gli immobili promessi in vendita erano sottoposti a procedura esecutiva promossa dal creditore ipotecario Banco di Napoli, la RAGIONE_SOCIALE stante l’inadempimento della promittente venditrice all’obbligazione prevista all’art. 2 di eliminare le iscrizioni pregiudizievoli entro la data di stipula del definitivo, aveva comunicato in data 27.6.2016 alla controparte la formale risoluzione del contratto preliminare ex art. 1453 c.c..
Successivamente, a seguito della dichiarazione di fallimento della RAGIONE_SOCIALE aveva presentato domanda di insinuazione al passivo del credito restitutorio, relativo alle somme versate in acconto prezzo, di € 189.100,00 e del credito di € 980.000, a titolo di risarcimento del danno derivante dall’inadempimento del contratto preliminare.
Il G.D. del Tribunale di Nola aveva rigettato la domanda di insinuazione ‘attesa l’applicabilità dell’art. 72 l. fall. in ordine all’eventuale scioglimento del contratto’.
Il Tribunale di Nola, con decreto n. 60, depositato il 5.2.2020, ha rigettato l’opposizione ex art. 98 L.F. proposta da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto di rigetto del G.D..
Il collegio di merito ha evidenziato che l’opponente, solo nella fase di opposizione, aveva fatto valere la risoluzione di diritto ex art. 1457 c.c., per l’impossibilità di trasferire il bene libero trascrizioni e iscrizioni pregiudizievoli entro il termine essenziale fissato per la stipula del definitivo, mentre innanzi al G.D. aveva fatto valere
unicamente la risoluzione per inadempimento ex art. 1453 c.c., che richiede la domanda giudiziale ed è pronunciata dal giudice con sentenza costitutiva. Ne conseguiva che la domanda ex art. 1457 c.c. doveva essere dichiarata improponibile.
Quanto alla richiesta di risoluzione ex art. 1453 c.c., il Tribunale di Nola ha osservato che tale richiesta, necessitando di una domanda giudiziale, avrebbe dovuto essere proposta nei confronti dell’imprenditore inadempiente prima della dichiarazione di fallimento per poter essere opponibile e proponibile nei confronti del fallimento.
Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE affidandolo a due motivi.
Il fallimento RAGIONE_SOCIALE in liquidazione ha resistito in giudizio con controricorso, depositando, altresì, memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 98 e 99 L.F..
Espone la ricorrente che nel giudizio di opposizione allo stato passivo, nonostante la sua natura impugnatoria, non opera la preclusione posta dall’art. 345 c.p.c. in materia di ius novorum .
Ne consegue che l’opponente non incontra il limite, previsto per l’appellante, delle prove e delle eccezioni già proposte innanzi al giudice delegato, e può quindi far valere il credito azionato sotto una diversa angolatura rispetto a quanto rappresentato in precedenza.
Pertanto, il decreto impugnato è viziato nella parte in cui il Tribunale ha rilevato la novità della richiesta di risoluzione ex art. 1457 c.c. dedotta con il ricorso ex art. 98 L.F. rispetto alla richiesta di risoluzione ex art. 1453 svolta in sede di verifica dello stato passivo.
La ricorrente ha, altresì, censurato il decreto impugnato per aver lo stesso violato la disciplina che distingue l’emendatio libelli dalla mutatio libelli .
2. Il motivo è infondato.
Va, preliminarmente osservato che, se è pur vero che è principio consolidato di questa Corte (vedi, recentemente, Cass. n. 27902/2020) che nel giudizio di opposizione allo stato passivo non opera, nonostante la sua natura impugnatoria, la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c. in materia di “ius novorum”, essendo possibile la formulazione di eccezioni non sottoposte all’esame del giudice delegato, tuttavia ciò che la ricorrente ha modificato è la domanda e, sul punto, questa Corte (cfr. Cass. n. 32750/2022; Cass. n. 6279/2022, Cass. n. 26225/2017) ha più volte enunciato il principio di diritto secondo cui ‘ il procedimento di opposizione allo stato passivo è un giudizio di carattere impugnatorio e, come tale, in difetto di una previsione espressa nell’art. 99 l.fall. che integralmente lo disciplina, non consente né l’introduzione di domande nuove, né la c.d.” emendatio libelli”, le quali vanificherebbero, d’altronde, l’obiettivo di semplificazione e celerità perseguito dal procedimento in parola nel rispetto dell’art. 24 Cost’.
Dunque, proprio per la specificità del procedimento di opposizione allo stato passivo, e per l’esigenza di celerità che lo contraddistingue, non si applica a tale procedimento il principio, proprio del giudizio ordinario di primo grado, secondo cui entro il primo termine di cui all’art. 183, comma 6, c.p.c., è consentita la “mutatio” di uno o entrambi gli elementi oggettivi della domanda, petitum e causa petendi, sempre che essa, così modificata, risulti comunque connessa alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio (vedi S.U. Cass. n. 12310/2015).
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 24, 52, 52 L.F., 1453 e 1457 c.c..
La ricorrente ha contestato la declaratoria, pronunciata dal Tribunale, di improponibilità della domanda di risoluzione del contratto, richiamando le sentenze nn. 2990 e 2991 del 2020 di questa Corte, che hanno enunciato il principio di diritto secondo cui la domanda di risoluzione del contratto proposta prima della dichiarazione di fallimento, se diretta in via esclusiva a far valere le consequenziali pretese risarcitorie o restitutorie in sede concorsuale, non può proseguire in sede di cognizione ordinaria, ma deve essere interamente proposta secondo il rito speciale disciplinato dagli artt. 93 e ss. l. fall., e, deve, parimenti, essere esaminata e decisa dal giudice fallimentare la domanda di risoluzione che costituisca antecedente logico-giuridico della domanda di risarcimento o restituzione.
La ricorrente ha, altresì, dedotto che la domanda di risoluzione del contratto, quand’anche finalizzata ad ottenere il risarcimento del danno, è attratta dal foro fallimentare ex art. 24 L.F. e deve essere dichiarata improcedibile in sede di cognizione ordinaria per essere trattata con il rito di cui agli artt. 92 e ss L.F..
Il motivo presenta concomitanti profili di inammissibilità ed infondatezza.
La ricorrente non ha colto la ratio decidendi del decreto impugnato nella parte in cui è stato precisato che, se è vero che ‘ ai sensi del co. 5 dell’art. 72 l. fa ll ., l’azione di risoluzione promossa prima del fallimento spiega i suoi effetti nei confronti del curatore, con obbligo del contraente in bonis di insinuarsi al passivo ove intenda ottenere con la risoluzione del contratto la restituzione di una somma o di un bene o il risarcimento. Viceversa, quando, come nella specie, l’azione non sia stata promossa prima del fallimento (avendo parte opponente solo inoltrato una lettera di comunicazione di risoluzione del contratto ex art. 1453 c.c. che come tale non è idonea a produrre l’invocato effetto, occorrendo
una domanda giudiziale) la relativa domanda non è proponibile nei confronti del fallimento..’.
Orbene, il decreto impugnato ha ben evidenziato che la questione rilevante nella presente causa non è la sede (ordinaria o fallimentare) della domanda, ma la proponibilità della domanda di risoluzione dopo l’avvio della procedura.
Infatti, correttamente, il Tribunale ha rilevato che, essendosi la ricorrente limitata ad inviare una comunicazione di risoluzione del contratto ex art 1453 c.c., non può ritenersi affatto che la stessa avesse proposto una domanda di risoluzione del contratto prima della dichiarazione di fallimento, occorrendo, all’uopo, una domanda giudiziale che non è mai stata proposta.
Ne consegue che tutte le pronunce di questa Corte – che la ricorrente ha richiamato nel proprio motivo – sono del tutto inconferenti, riferendosi ad una situazione ben diversa da quella di specie, caratterizzata, appunto, dalla proposizione di un’azione di risoluzione del contratto prima della declaratoria di fallimento.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 14.3.2025