Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 12826 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 12826 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/05/2025
Oggetto: eccezione di annullabilità del contratto per dolo decettivo – onere della prova – deduzione in sede di legittimità -presupposti e criteri.
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 12671/21 proposto da:
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
-) Fallimento della RAGIONE_SOCIALE in persona del curatore fallimentare pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore , difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Brescia 3 dicembre 2020 n. 356; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25 febbraio 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2015 la società RAGIONE_SOCIALE convenne dinanzi al Tribunale di Brescia NOME COGNOME e NOME COGNOMEnella sentenza, ‘NOME COGNOME‘), chiedendone la condanna:
-) al rilascio dell’immobile sito a Soiano del Lago (BS), INDIRIZZO da essi già detenuto a titolo di comodato, e del quale erano rimasti in possesso dopo la cessazione di questo;
-) alla condanna al risarcimento del danno da occupazione abusiva a far data dal 4.8.2014.
I convenuti si costituirono eccependo l’annullabilità del comodato per dolo determinante. Esposero i seguenti fatti:
-) il comodato dell’immobile da essi occupato era parte di un più vasto programma contrattuale, composto dal collegamento di tre atti: una compravendita, una cessione di credito e per l’appunto – un comodato;
-) in particolare il 1° febbraio 2011 NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE avevano concordato quanto segue;
NOME COGNOME vendette alla RAGIONE_SOCIALE il proprio immobile sito a Soiano del Lago;
la RAGIONE_SOCIALE pagò parte del prezzo cedendo pro soluto a NOME COGNOME un credito da essa vantato nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di euro 917.427,57;
la Tefin concesse contestualmente l’immobile in comodato a NOME COGNOME.
-) dopo la stipula emerse che la RAGIONE_SOCIALE non vantava alcun credito nei confronti della RAGIONE_SOCIALE e che i documenti da questa prodotti al momento della compravendita ed allegati al rogito, dimostrativi della veritas nomini , erano artefatti.
Con sentenza 6.6.2018 n. 1689 il Tribunale di Brescia rigettò l’eccezione riconvenzionale di annullamento (così qualificata dal primo giudice) ed accolse la domanda di rilascio. Ritenne non esservi prova che il credito ceduto dalla RAGIONE_SOCIALE a NOME COGNOME non esistesse.
La sentenza fu appellata dai due soccombenti.
Con sentenza 3.12.2020 n. 356 la Corte d’appello di Brescia rigettò il gravame.
La Corte territoriale accertò in punto di fatto che:
-) il credito ceduto in pagamento del prezzo non esisteva;
-) l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE (NOME COGNOME) aveva affermato il falso allorché dichiarò l’esistenza di quel credito .
Aggiunse tuttavia che gli artifizi e raggiri adoperati dalla RAGIONE_SOCIALE potevano essere agevolmente scoperti da NOME COGNOME interpellando il debitore ceduto o chiedendo l’esibizione delle scritture contabili. Aggiunse che NOME COGNOME avrebbe dovuto insospettirsi per il fatto che il credito cedutogli costituiva il corrispettivo della vendita di materiali edili ad una società che non svolgeva attività edilizia.
Concluse che ‘ la mancanza di avvedutezza e prudenza del cessionario del credito (…) è tale da comportare il giudizio di negligenza che esclude il dolo della controparte’ .
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME con ricorso fondato su tre motivi.
La curatela del fallimento della RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Ambo le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi come sia priva di conseguenze la mancata notifica del ricorso a NOME COGNOME
Il Tribunale, infatti, con statuizione non impugnata, ha ritenuto che a quest’ultima l’immobile fu concess o in comodato non dalla RAGIONE_SOCIALE, ma da NOME COGNOME. Di conseguenza nella lite tra il comodante (RAGIONE_SOCIALE) e il comodatario (NOME COGNOME non è litisconsorte necessario il subcomodatario (NOME COGNOME, rispetto al quale l’esito del presente giudizio produrrà i suoi effetti ai sensi dell’art. 1595, comma terzo, c.c., già ritenuto da questa Corte applicabile per analogia all’ipotesi del subcomodato (Cass. Sez. 3, 18/09/2008, n. 23853).
Col primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 1439 c.c..
Il ricorrente in realtà formula nell’illustrazione del motivo due censure.
2.1. Con una prima censura (p. 7, penultimo capoverso) deduce che la Corte d’appello, una volta accertato il mendacio circa l’esistenza del credito,
avrebbe dovuto per ciò solo accogliere l’eccezione riconvenzionale di annullamento dei vari contratti collegati (vendita-cessione-comodato).
2.2. Tale censura è infondata.
Nella giurisprudenza di questa Corte è infatti consolidato il principio per cui il dolo è causa di annullamento del contratto quando sia idoneo a trarre in inganno una persona di normale avvedutezza. Dall’accertamento della falsità o del mendacio, pertanto, non discende ipso facto l’annullamento del contratto ( ex multis , Cass. Sez. 1, 03/11/2023, n. 30505; Cass. Sez. 1, 20/01/2017, n. 1585).
2.3. Con una seconda censura (p. 8, penultimo capoverso) il ricorrente deduce che la rilevanza del dolo decettivo non è esclusa dal fatto che il deceptus non abbia svolto attività di verifica e controllo per sventare l’errore. Ha invocato al riguardo due precedenti di questa Corte: le sentenze 20792/04 e 9227/91,
2.4. La censura è inammissibile.
Il principio di diritto affermato dalla Corte territoriale è corretto: non può invocare l’annullamento del contratto per dolo chi ha tenuto una condotta inferiore alla soglia minima di diligenza esigibile dall’uomo medio. Del resto , lo stesso ricorrente non mette in discussione questo principio.
Tuttavia, lo stabilire in concreto se una certa condotta decettiva fosse o non fosse idonea a trarre in inganno una persona di ordinaria diligenza è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità, salvo il caso di irragionevolezza manifesta.
2.4.1. Ma nel caso di specie la decisione impugnata non è affatto irragionevole.
Risulta dalle difese svolte dalla RAGIONE_SOCIALE in primo grado che NOME COGNOME è un imprenditore commerciale. Pertanto, non irragionevolmente il Tribunale prima , e la Corte d’appello poi, hanno ritenuto ‘anomal a ‘ e non conforme al
canone di diligenza la circostanza che un imprenditore commerciale venda un immobile di pregio accettando in pagamento di due terzi del prezzo la cessione d’un credito pro soluto , non documentato da alcun atto pubblico se non da una fattura emessa dal ‘cedente del cedente’ (il credito, infatti, pervenne alla RAGIONE_SOCIALE a seguito di precedente cessione) e da una dichiarazione apparentemente proveniente dal del ceduto sottoscritta con firma non autenticata.
Trattasi dunque di valutazione che non esula dallo spettro della ragionevolezza, e come tale non è sindacabile in questa sede.
3 . Col secondo motivo è lamentata la violazione dell’art. 2697 c.c..
Il ricorrente deduce che era suo onere dimostrare solo l’esistenza del mendacio, mentre era onere della RAGIONE_SOCIALE provare che la controparte sapesse, o avrebbe potuto sapere con l’ordinaria diligenza, dell’inesistenza del credito.
3.1. Il motivo è inammissibile per più ragioni.
In primo luogo è inammissibile perché non si correla alla ratio decidendi .
La Corte d’appello infatti non ha deciso la causa in base al principio dell’onere della prova.
La domanda attorea è stata accolta perché il giudice di merito ha ritenuto dimostrata in via presuntiva la negligenza del creditore cessionario, e non perché NOME COGNOME non avesse provato la sua conoscenza o possibilità di conoscere l’inesistenza del credito. Dunque non vi è stata violazione dell’art. 2697 c.c., per la semplice ragione che di tale norma la Corte non ha fatto applicazione.
3.2. In secondo luogo – lo si rileva solo ad abundantiam il motivo è inammissibile perché il vizio di (pretesa) violazione dell’art. 2697 c.c. non è prospettato in modo corretto.
Come stabilito dalle SS.UU. di questa Corte, l ‘art. 2697 c.c. è infatti violato quando il giudice di merito:
decide la causa in base al criterio residuale dell’onere della prova;
attribuisce l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sarebbe stata onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni (Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016 , § 14 dei ‘Motivi della decisione’).
Chi intenda denunciare in sede di legittimità la violazione dell’art. 2697 c.c., pertanto, ha l’onere di indicare , da un lato, se la causa è stata decisa perché il giudice ha ritenuto dimostrato il fatto costitutivo della pretesa, oppure se è stata decisa in base all’onere della prova (e cioè ritenendo che l’attore non abbia provato il fatto costitutivo della domanda, oppure il convenuto non abbia provato il fatto costitutivo dell’eccezione). Dall’altro lato, la denuncia in sede di legittimità della violazi one dell’art. 2697 c.c. impone al ricorrente di indicare quale fosse il fatto costitutivo della domanda (o dell’eccezione) la cui prova è stata dal giudice di merito addossata a parte diversa da quella che ne sarebbe stata onerata ope legis .
Tali indicazioni nel ricorso oggi in esame non sono svolte in modo esaustivo.
4. Col terzo motivo è prospettata la violazione dell’art. 112 c.p.c..
Deduce il ricorrente che la Corte territoriale ha rilevato d’ufficio, in assenza di eccezione di parte, la circostanza che NOME COGNOME si sarebbe potuto avvedere con l’ordinaria diligenza dell’esistenza del mendacio.
4.1. Il motivo è inammissibile.
La negligenza del cessionario fu infatti affermata già dal Tribunale, ma il ricorrente non l’ha impugnata. In appello infatti NOME COGNOME contestò nel merito la statuizione che gli attribuì la negligente accettazione del credito in pagamento, ma non contestò l’extrapetizione.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente , ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
Per questi motivi
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna NOME COGNOME alla rifusione in favore del RAGIONE_SOCIALE delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 8.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della