Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5561 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2   Num. 5561  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17907/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
 contro
NOME,  elettivamente  domiciliata  in  INDIRIZZO,  presso  lo  studio  dell’avvocato  COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) e COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
 avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  ANCONA  n.  42/2019, depositata il 16/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
 Con  sentenza  n.  163  del  2011  il  Tribunale  di  Ancona, pronunciando  sulle  domande  delle  parti  dirette  a  ottenere  lo
scioglimento della comunione di alcuni immobili, all’esito dell’attività istruttoria consistita nell’espletamento di tre consulenze tecniche d’ufficio ha dichiarato lo scioglimento della comunione tra l’attore NOME COGNOME e la convenuta NOME COGNOME, ad eccezione di quattro beni ritenuti indivisibili. Il Tribunale, richiamati i concetti di comoda divisibilità dei beni immobili e i principi che regolano la materia ed esaminata la natura dei beni compresi nel compendio immobiliare da dividere, ha esplicitato le ragioni che l’hanno indotto a non porre a fondamento della decisione le prime due consulenze tecniche d’ufficio e a utilizzare la terza (del consulente COGNOME), che aveva escluso dalla divisione i beni di maggiore pregio ambientale, il parco, e quelli che presentavano maggiore criticità, essendo interessati da un movimento franoso.
Tale sentenza è stata impugnata da NOME COGNOME, che l’ ha  censurata  per  avere  lasciato  alcuni  beni  in  comunione senza dividere l’intero compendio oggetto delle rispettive domande articolate  dalle  parti,  per  non  avere  accolto  l’ipotesi  divisionale formulata dal secondo consulente d’ufficio, per non avere accolto la richiesta di dividere tutto e quindi anche gli impianti e, infine, per avere compensato le spese del processo.
La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza 16 gennaio 2019, n. 42, ha rigettato il gravame.
Avverso  la sentenza  ricorre per cassazione  NOME COGNOME.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Memoria  è  stata  depositata  sia  dalla  controricorrente  che  dal ricorrente.
CONSIDERATO CHE
Il ricorso è articolato in cinque motivi.
I primi due motivi, che pongono questioni processuali, sono tra loro strettamente connessi:
a) il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c., degli artt. 183 c.p.c. e 718 c.c.; in primo grado il ricorrente aveva chiesto la divisione di tutti i beni facenti parte della comunione e NOME COGNOME nella sua comparsa di costituzione e risposta aveva dichiarato che ‘non si oppone alla divisione dei terreni sopra indicati’ ‘e chiede la divisione dei beni’ e solo nelle note autorizzate, presentate dopo avere letto la prima consulenza d’ufficio, ha eccepito la non comoda divisibilità dei beni, con eccezione tardiva perché proposta per la prima volta allo scadere dei termini di cui all’art. 183 c.p.c.; la non comoda divisibilità di un immobile integra un’eccezione in senso proprio e non poteva quindi essere rilevata d’ufficio dal giudice;
b) il  secondo motivo ripropone la stessa censura, contestando la  nullità  della  sentenza  o  del  procedimento  per  violazione  del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
I motivi sono infondati.
Il ricorrente ripropone la censura fatta valere alla Corte d’appello con riferimento alla proposizione di una nuova domanda, parlando invece adesso di ‘eccezione in senso proprio’. La Corte d’appello ha correttamente sottolineato, nel respingere la censura davanti ad essa fatta valere, che non si tratta di una domanda nuova e diversa rispetto a quella originariamente formulata, ma di un’istanza compresa nella originaria domanda, avendo la convenuta solo richiesto la divisione dei beni con modalità diverse rispetto a quelle iniziali, rinunciando alla divisione relativamente a determinate porzioni immobiliari, rinuncia che non può neppure essere qualificata quale eccezione in senso proprio (si consideri la giurisprudenza di questa Corte relativa alla richiesta di attribuzione del bene immobile indivisibile, secondo la quale l’istanza costituisce una modalità attuativa della divisione, risolventesi nella mera specificazione della domanda di scioglimento della comunione, sicché può essere formulata o essere oggetto di rinuncia anche in
grado d’appello, cfr. Cass. n. 24174/2021 e Cass. n. 3497/2019). Il ricorrente, a sostegno della qualificazione dell’istanza quale eccezione in senso proprio, richiama dei precedenti di questa Corte che hanno affermato come la non comoda divisibilità di un immobile integri un’eccezione al diritto potestativo di ciascun partecipante alla comunione di conseguire i beni in natura. Tale riferimento non ha carattere dirimente, in quanto i precedenti richiamati affermano che la non comoda divisibilità di un immobile costituisce un’eccezione alla regola del conseguimento dei beni in natura da parte di ciascun partecipante alla comunione, così che la ricorrenza di tale ipotesi deve essere rigorosamente accertata dal giudice, ma ciò non significa qualificare l’istanza di rinuncia alla divisione di alcuni beni quale eccezione in senso proprio rilevabile soltanto a istanza di parte (vedere Cass. n. 14577/2012 e nello stesso senso Cass. n. 12406/2007). Carattere dirimente non può neppure essere riconosciuto all’ulteriore precedente richiamato dal ricorrente, ossia Cass. n. 13229/2008, che in effetti parla di eccezione in senso proprio in relazione alla deduzione di indivisibilità del bene, spettando ‘al giudice che procede alla divisione verificare i presupposti di quanto stabilisce in punto di realizzabilità/irrealizzabilità della divisione stessa o di deprezzamento del bene’ (così Cass. n. 14577/2012, appena richiamata).
Il terzo e il quarto motivo sono anch’essi tra loro strettamente connessi:
 il  terzo  motivo  fa  valere  violazione  o  falsa  applicazione dell’art.  720  c.c.,  in  quanto  la  Corte  d’appello  si  è  ‘ rifiutata ‘  di procedere allo scioglimento della comunione ereditaria richiesto dal ricorrente,  che  aveva  chiesto  che,  ove  non  fosse  stato  possibile eseguire  la  divisione  in  natura,  tutti  i  beni  non  comodamente divisibili gli fossero assegnati in esclusiva con addebito dell’eccedenza; la richiesta del ricorrente era quindi legittima e da
accogliere  in  quanto  la  norma  non  lascerebbe  spazio  ad  alcuna discrezionalità;
 il  quarto  motivo  ripropone  la  stessa  censura,  contestando nullità della sentenza o del procedimento  per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
I motivi sono destituiti di fondamento.
L’art. 720 c.c. dispone che, se nell’eredità vi sono immobili non comodamente divisibili e la divisione dell’intera sostanza non può effettuarsi senza il loro frazionamento, essi devono preferibilmente essere compresi per intero, con addebito dell’eccedenza nella porzione di uno dei coeredi o anche nelle porzioni di più coeredi se questi ne chiedono congiuntamente l’attribuzione. Il legislatore utilizza l’avverbio ‘ preferibilmente ‘ : ciò significa -come è evidente – che la norma lascia, a differenza di quanto sostiene il ricorrente, spazio alla discrezionalità del giudice. Dalla norma deriva infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, un potere discrezionale che trova il suo temperamento nell’obbligo di indicare i motivi in base ai quali ha ritenuto di dovere dare la preferenza all’uno piuttosto che all’altro dei rimedi e si risolve in un tipico apprezzamento di fatto sottratto come tale al sindacato di legittimità (cfr. Cass. n. 11641/2010 e Cass. n. 24832/2018). Nel caso in esame la Corte d’appello ha motivato l’esigenza di mantenere in comune la porzione immobiliare denominata ‘ parco ‘, consentendo tale scelta il mantenimento dell’originaria struttura e funzione dell’area e conseguentemente la sua utilità e il suo pregio; analogamente ha argomentato in relazione alla porzione di terreno comprendente l’area di accesso a quella denominata ‘parco’ e per l’ulteriore zona caratterizzata dalla presenza di una frana (vedere le pagg. 14 e ss, nonchè18 e 20 della sentenza impugnata).
 Il  quinto  motivo,  infine,  fa  valere  violazione  dell’art.  91 c.p.c.,  deducendo che all’accoglimento dei primi quattro motivi di
impugnazione dovrà conseguire la cassazione del provvedimento di compensazione delle spese legali dei primi due gradi di giudizio.
Non  si  tratta,  come  è  evidente,  di  una  censura  alla  sentenza impugnata, ma dell’invito a questa Corte -a seguito dell’accoglimento degli altri motivi, accoglimento che non vi è stato -a  cassare  il  provvedimento  di  compensazione  delle  spese  dei giudizi di merito e quindi non merita ulteriore risposta.
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in  euro  4.200,00  di  cui  euro  200,00  per  esborsi,  oltre  spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto  per  il  ricorso  a  norma  del  comma  1 -bis dello  stesso  art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  adunanza  camerale  della  sezione