Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 26266 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 26266 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22157/2021 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOMEcontroricorrente- verso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BARI n. 1225/2021, depositata il 29/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Premesso che:
1.NOME COGNOME ricorre, con tre motivi avversati da NOME COGNOME con controricorso, per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Bari n. 1225 del 2021, confermativa della sentenza del Tribunale di Trani con cui esso ricorrente era stato condannato a demolire la porzione del fabbricato in Ruvo di Puglia, INDIRIZZO realizzata in ampliamento e sopraelevazione della sagoma originaria, a distanza inferiore a quella imposta dall’art. 907 c.c. rispetto alla veduta esercita da un balcone del limitrofo fabbricato dell’attuale controricorrente.
In particolare la Corte di Appello ha affermato che:
dalle fotografie in atti (‘soprattutto le foto nn 1 -6’) e dalla relazione del CTU nominato dal giudice di primo grado, risultava che la modifica del fabbricato dello Scarongella, ‘realizzata in stretta vicinanza alla proprietà immobiliare del Pellegrini, impediva e ostacolava la veduta diretta, obliqua e laterale -localizzata a distanza minore di tre metri dalla sopraelevazioneprecedentemente esercitata dal balcone al piano rialzato dell’appartamento di quest’ultimo’;
era irrilevante il fatto -accertato in primo grado- che il fabbricato dello COGNOME fosse stato costruito nel rispetto della distanza di cui all’art. 873 c.c. e norme locali integrative dato che ciò che unicamente rilevava era il fatto, anch’esso accertato, che il fabbricato non rispettava la distanza di cui all’art. 907 c.c. essendo questo articolo volto a tutelare un interesse meramente privatistico -‘a godere delle prospectio verso il fondo vicino’ – del tutto diverso dagli interessi generali -‘all’igiene, al decoro, alla sicurezza degli edifici e al razionale ed equilibrato assetto degli agglomerati urbani, evitando intercapedini che possano ostacolare il godimento della luce e dell’aria nonché favorire furti ed il propagarsi di incendi’ -tutelati dall’art.873 c.c. e dalle norme integrative;
era irrilevante il fatto che il fabbricato in questione fosse pienamente legittimo dal punto di vista urbanistico ed
amministrativo, in quanto tale legittimità riguardava solo il rapporto tra costruttore e pubblica amministrazione e non anche il rapporto interprivatistico di vicinato;
non poteva annettersi rilievo al fatto, accertato dal CTU nominato dal primo giudice, che la demolizione della sola parte dell’edificio in questione a distanza inferiore a quella imposta dall’art 907 c.c. fosse in pratica ‘non realizzabile senza arrecare nocumento alla parte rimanente’ posto che il ‘carattere assoluto del diritto violato non è conciliabile con qualsiasi forma di reintegrazione che non sia quella specifica (Cass. 3.6.1974, n. 1594), per il tramite della sanzione reale della demolizione dell’opera illecitamente edificata’, che ‘il limite dell’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 c.c. non è applicabile alle azioni proposte a tutela dei diritti reali’, che non era ‘ammissibile una condanna per equivalente pronunciata in assenza di una espressa domanda del danneggiato (Cass. 29.10.1997, n. 10694; Cass. 20.5.2016, n.10499; Cass. 20.1.2017, n.1607)’;
ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. è stata formulata proposta di definizione del giudizio per inammissibilità o comunque manifesta infondatezza del ricorso. Il ricorrente ha depositato istanza di decisione;
il ricorrente ha depositato memoria; considerato che:
1.preliminarmente, il Collegio, richiamando la sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 9611 del 10 aprile 2024, precisa che non sussiste alcuna incompatibilità del consigliere delegato che ha formulato la proposta di definizione accelerata, rispetto alla composizione del collegio che definisce il giudizio ai sensi dell’art.380 -bis.1, atteso che la proposta non ha funzione decisoria e non è suscettibile di assumere valore di pronuncia definitiva, né la decisione in camera di consiglio conseguente alla richiesta del ricorrente si configura quale fase distinta del giudizio di cassazione,
con carattere di autonomia e contenuti e finalità di riesame e di controllo sulla proposta stessa;
2. il primo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione dell’art. 907 c.c. con riferimento al punto 3 dell’art.360, primo comma, c.p.c.’.
Sotto questa rubrica il ricorrente deduce che ‘lo stato dei luoghi è di fatto ostativo all’applicazione della norma’; che, in particolare, i balconi delle due unità immobiliari ‘sono contigui’, che l’art. 907 c.c. postula ‘l’esistenza di una veduta diretta che formi anche una veduta obliqua’ mentre nel caso di specie la veduta esercitabile dalla controparte era solo obliqua.
Il motivo è inammissibile.
Premesso in linea di diritto che ‘L’obbligo di mantenere la distanza di tre metri anche dalla finestra da cui si esercita la veduta obliqua, previsto dall’art. 907, comma 2, c.c., sussiste solo ove tale veduta sia al contempo diretta e obliqua sullo stesso fondo, mentre ove sia soltanto obliqua, la distanza è quella di settantacinque centimetri dal più vicino lato della finestra stessa, come prescritto dall’art. 906 c.c.’ (Cass. Sez. 2 – , n.29742 del 19/11/2024; Sez. 2 – , n.79 del 03/01/2013; Sez. 2, n.12479 del 26/08/2002; Sez. 2, n.20699 del 22/11/2012), il motivo, al di là della apparente denuncia di violazione di legge, si riduce alla prospettazione di una situazione fattuale diversa da quella accertata dai giudici di merito.
Il ricorrente sostiene che dalle prove in atti emergerebbe che il diritto di veduta vantato dal COGNOME era esercitabile solo in obliquo.
La Corte di Appello (v. pagina 6 della sentenza impugnata), ha invece accertato, sulla scorta delle fotografie e delle risultanze della CTU, che la veduta de qua era ‘diretta, obliqua e laterale’.
E’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deduce violazione di legge, a cui sia sottesa una struttura argomentativa come quella di specie: poiché il giudice di merito ha
accertato i fatti X e tale accertamento è erroneo (cioè non corrisponde alla realtà delle cose), allora sono state violate le norme giuridiche Y. Tale struttura scambia il ruolo della Corte di cassazione per quello di una terza istanza di merito.
‘Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione’ (Cass, n.32505 del 22/11/2023).
‘Il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (Sez. 1, n.3340 del 05/02/2019 (Rv. 652549 – 02);
3. il secondo motivo di ricorso è rubricato ”violazione dell’art.2933 c.c. e 2058 c.c., violazione dell’art. 34 TU edilizia, con riferimento al punto 3 dell’art.360, primo comma, c.p.c.’.
Sotto questa rubrica si deduce che la demolizione ordinata dai giudici di merito potrebbe comportare il crollo dell’intero edificio ‘in
cui vivono ben due famiglie’, che si tratterebbe di un intervento impedito sia dall’art. 2058 c.c. in quanto caratterizzato da ‘eccessiva onerosità per il pubblico interesse e per la collettività’ sia dall’art. 2933 c.c. siccome determinativo di pregiudizio per ‘l’economia nazionale valutarsi in senso ragionevole operando una corretta comparazione degli opposti interessi’, come ricavabile anche dall’art. 34 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Il motivo è inammissibile essendo basato su prospettazioni, involgenti fatti, nuove.
Deve poi ricordarsi che il concetto di pregiudizio all’economia nazionale, ai sensi della previsione di cui all’art. 2933, secondo comma, cod. civ., che limita l’eseguibilità in forma specifica degli obblighi di non fare, si riferisce ‘esclusivamente alle cose insostituibili ovvero di eccezionale importanza per l’economia nazionale la cui perdita risulti pregiudizievole per l’intera collettività là dove viene ad incidere sulle fonti di produzione o di distribuzione della ricchezza, a tale stregua pertanto non invocabile (nemmeno in tempi di crisi edilizia) al fine di evitare la demolizione totale o parziale di un edificio ad uso di abitazione’ (Cass. Sez. 2, n.3004 del 17/02/2004);
4. il terzo motivo di ricorso è rubricato ‘violazione dell’art.907 c.c. e dell’art. 873 c.c., con riferimento al punto 3 dell’art.360, primo comma, c.p.c.’.
Sotto questa rubrica si deduce che la Corte di Appello avrebbe omesso di considerare che l’intervento edilizio ritenuto non rispettoso dell’art. 907 c.c. è stato invece ‘realizzato in conformità alla normativa edilizia nonché civilistica’.
Si sostiene che l’intervento edilizio è conforme alle norme -l’art. 873 c.c. come integrato dalle norme tecniche di attuazione del piano regolatore del Comune di Ruvo di Puglia- relative alle distanze tra edifici e che l’affermazione della Corte di Appello per cui detto intervento violerebbe l’art. 907 c.c. è basata su una
‘valutazione personale ed erronea’ della stessa Corte e sul recepimento parziale ed acritico di contraddittorie conclusioni del CTU.
Il motivo è inammissibile.
Come ricordato dalla Corte di Appello sul corretto richiamo a Cass. n.16808/2016 e n.11226/2019, la disciplina sulle distanze delle costruzioni dalle vedute, di cui all’art. 907 c.c., ha natura giuridica, presupposti di fatto e contenuto precettivo diversi da quelli della disciplina delle distanze tra costruzioni, di cui all’art. 873 c.c., poiché la prima disposizione mira a tutelare il proprietario del bene dall’indiscrezione del vicino, mentre la seconda è volta ad evitare la formazione di intercapedini dannose. Ne consegue che le argomentazioni svolte dal ricorrente in ordine al rispetto dell’art. 873 c.c. e norme integrative sono inconferenti rispetto alla ratio della decisione.
Quanto poi alla deduzione per cui la Corte di Appello sarebbe giunta ad affermare che l’intervento violerebbe l’art. 907 c.c. in ragione di una ‘valutazione personale ed erronea’ sul recepimento parziale ed acritico di contraddittorie conclusioni del CTU, si tratta di deduzione inammissibile perché involgente prospettazioni in fatto. Si richiamano le osservazioni fatte a proposito della inammissibilità del primo motivo di ricorso;
5.in conclusione, sussistendo i presupposti per la declaratoria dell’inammissibilità di ciascuno dei motivi di ricorso, il ricorso va dichiarato inammissibile;
all’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente alle spese.
la trattazione è stata chiesta ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. a seguito di proposta di inammissibilità o comunque infondatezza del ricorso e poiché la Corte ha deciso in conformità alla proposta, va fatta applicazione del terzo e del quarto comma
dell’art. 96 cod. proc. civ., in assenza di indici che possano far propendere per una diversa applicazione della norma;
8.sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in €3 .000,00 per compensi professionali, €200,00 per esborsi oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e altri accessori di legge se dovuti;
condanna il ricorrente al pagamento, ai sensi dell’art. 96, comma terzo, cod. proc. civ., della somma di €3 .000,00 in favore del controricorrente nonché, ai sensi dell’art. 96, comma quarto, cod. proc. civ., di un’ulteriore somma di €3 .000,00 in favore della cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME