Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20122 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20122 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
RISOLUZIONE CONTRATTO -DIFFIDA AD ADEMPIERE
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26079/2020 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO, con domicilio telematico all’indirizzo PEC de l proprio difensore
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio telematico all’indirizzo PEC del proprio difensore
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 329/2020 della CORTE DI APPELLO DI TRIESTE, depositata il giorno 21 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10 aprile 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che
RAGIONE_SOCIALE, gestore di apparecchi di gioco previsti dall’art. 110 del T.U.L.P.S. (c.d. AWP), stipulò nel luglio 2012 con NOME COGNOME,
titolare di un esercizio commerciale (bar), contratto per l’installazione di apparecchi AWP, della durata di trentasei mesi, automaticamente prorogato annualmente salvo tempestiva disdetta, con la previsione: (a) di un corrispettivo per il gestore costituito da una percentuale sulle somme incassate dagli AWP; (b) di un incentivo (chiamato « bonus ») in favore dell’installatore in caso di ininterrotta installazione degli AWP per almeno trentasei mesi; (c) di una penale (in misura di euro 100 pro die per ogni A WP) a carico dell’installatore in caso di violazione della esclusiva e di dismissione anticipata degli apparecchi; (d) di una clausola risolutiva espressa, valevole per ambedue i contraenti, in ipotesi di inadempimento delle obbligazioni assunte;
dopo lo scambio di missive recanti contestazioni di reciproche inadempienze contrattuali, NOME COGNOME domandò giudizialmente la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento del saldo dei compensi e dell’incentivo commerciale;
nel resistere, la convenuta, oltre alla reiezione delle avverse istanze, propose domanda riconvenzionale per il pagamento delle penali contrattualmente previste per l’ingiustificata interruzione del rapporto, sull’assunto della illegittimità dell’invocata risoluzione;
all’esito del giudizio di prime cure, l’adito Tribunale di Udine accolse tanto la domanda attorea, condannando la convenuta al pagamento della somma di euro 7.187,14, quanto quella riconvenzionale, condannando l’attrice al pagamento della somma di euro 20.000;
sull’appello interposto da NOME COGNOME, la decisione in epigrafe indicata, ravvisato un inadempimento non lieve del gestore RAGIONE_SOCIALE e ritenuto il contratto risolto per effetto della diffida ad adempiere ex contractu prevista inviata dall’installatore NOME COGNOME , ha, riforma della sentenza di prime cure, rigettato la domanda riconvenzionale dell’originaria convenuta;
r.g. n. 26079/2020 Cons. est. Raffaele AVV_NOTAIO
ricorre per cassazione la RAGIONE_SOCIALE, articolando quattro motivi, cui resiste, con controricorso, NOME COGNOME; ambedue le parti hanno depositato memoria illustrativa;
Considerato che
il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1454 e 1455 cod. civ. nonché nullità della sentenza per « incongruità della motivazione e vizi logici e giuridici »;
secondo parte ricorrente, la Corte d’appello ha errato nel ravvisare un inadempimento del gestore grave e rilevante ai fini della risoluzione del contratto, benché la « mancata o tardiva prestazione » non avesse « inciso in maniera apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto in modo da dar luogo ad uno squilibrio sensibile del vincolo corrispettivo delle obbligazioni »;
il motivo è inammissibile, per plurime ragioni;
innanzitutto, perché non attinge criticamente la ratio decidendi della impugnata pronuncia: in questa, infatti, la Corte triestina, dopo aver riscontrato un inadempimento non lieve del gestore, ha dichiarato la risoluzione del vincolo contrattuale in conseguenza del decorso di quindici giorni dalla diffida ad adempiere giustificata da una clausola contrattuale (non ulteriormente qualificata sub specie iuris dal giudice territoriale) in caso di « qualsiasi inadempimento »;
rispetto al descritto percorso argomentativo risulta allora eccentrica l’argomentazione del ricorrente concernente la gravità ovvero la rilevanza dell’inadempimento, posto che una connotazione del genere non eveva incidenza ai fini dell’ attivazione del meccanismo risolutorio della diffida ad adempiere, siccome accertata come pattiziamente praticabile in presenza di « qualsiasi inadempimento »;
in secondo luogo e ad ogni buon conto, perché la censura richiede a questa Corte una valutazione circa la gravità di un inadempimento contrattuale: ma un apprezzamento di tal fatta rappresenta un tipico
apprezzamento di fatto (tra le tante, Cass. 22/06/2020, n. 12182; Cass. 30/03/2015, n. 6401), riservato al giudice di merito e sindacabile in sede di legittimità soltanto nei circoscritti limiti delle anomalie motivazionali rilevanti ai sensi dell’art. 360 , primo comma, num. 5, cod. proc. civ., nel caso nemmeno adombrate;
il secondo motivo prospetta « vizio di motivazione per violazione o falsa applicazione di norma di legge in tema di esecuzione del contratto secondo buona fede (artt. 1175 e 1375 cod. civ.) »;
l’impugnante sostiene che la controparte si sia avvalsa della facoltà attribuitale dalla clausola risolutiva espressa « per uno scopo diverso da quello contemplato nel contratto », ovvero al fine di interrompere lo stesso, con condotta contraria a buona fede, sicché la risoluzione non poteva essere accordata;
il motivo è inammissibile;
esso pone per la prima volta in sede di legittimità una questione nuova ed involgente accertamenti di fatto, estranea al thema decidendum dei precedenti gradi e non esaminata nella pronuncia gravata, quindi inammissibile, non avendo parte ricorrente specificato l’avvenuta deduzione davanti al giudice di merito della questione ed indicato in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito ( ex multis, Cass. 31/01/2024, n. 2887; Cass. 17/11/2022, n. 33925; Cass. 30/01/2020, n. 2193; Cass. 13/08/2018, n. 20712; Cass. 06/06/2018, n. 14477);
ad ogni buon conto – volendo accedere ad un vaglio di merito della doglianza l’apprezzamento di gravità dell’inadempimento del gestore operato dal giudice territoriale esclude in radice una qualificazione della condotta dell’installatore in termini di contrarietà a buona fede;
con il terzo motivo, rubricato « omesso esame di un fatto decisivo del giudizio (art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ.) -nullità
della sentenza (art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) », si sostiene che la Corte d’appello sia incorsa in un « errore grave » nel ritenere il mancato pagamento dei compensi da parte dell’installatore, considerato che al 7 settembre 2015, data della lettera di risoluzione, gli aggi relativi al mese di agosto erano stati corrisposti mentre quelli inerenti al mese di settembre non erano ancora maturati;
anche questo motivo è inammissibile;
premesso che esso, a dispetto della formulazione della rubrica, denuncia una (asseritamente) errata valutazione delle emergenze istruttorie, alcun accertamento circa il versamento dei compensi è compiuto nella sentenza gravata: quest’ultima, invero, si limita a dare atto che la statuizione sul punto contenuta nella pronuncia di prime cure « non è stata oggetto di impugnazione e si è formato il giudicato interno », ragion per cui la doglianza dell’odierno ricorrente è del tutto fuori fuoco e – a tutto concedere – andava formulata in sede di appello;
con il quarto motivo, per « vizio di motivazione per violazione o falsa applicazione di norma di legge (art. 132 cod. proc. civ.) -nullità della sentenza (art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.) », si deduce che la sentenza impugnata « nulla accerta e dichiara nel dictum in merito alla risoluzione del contratto », per cui « la riforma in punto di pagamento delle penali contrattuali è una statuizione viziata dalla mancata declaratoria della risoluzione contrattuale »;
il motivo è radicalmente infondato;
la Corte d’appello triestina, riscontrato il corretto uso dello strumento risolutorio della diffida ad adempiere convenzionalmente stabilita, ha esplicitamente concluso nel senso che « il contratto si deve quindi intendere risolto per fatto e colpa di RAGIONE_SOCIALE », su tale assunto giustificando la non debenza delle penali contrattuali da parte di NOME COGNOME, thema dell’appello da quest’ultima dispiegato;
in definitiva, il ricorso è rigettato;
il regolamento delle spese del giudizio di legittimità segue il principio della soccombenza;
a tteso l’esito del ricorso, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 – di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma d ell’art. 1-bis dello stesso art. 13;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla refusione in favore della parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.000 (duemila) per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori, fiscali e previdenziali, di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento al competente ufficio di merito da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione