Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5023 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 5023 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 29800/2019 R.G. proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME e dall’avvocato COGNOME -controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1541/2019, depositata il 26/06/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, la sostituta procuratrice generale NOME COGNOME che ha chiesto alla Corte di accogliere il terzo motivo, respinti i primi due motivi e assorbiti gli altri.
Sentiti l’avvocato NOME COGNOME delegato dal difensore del ricorrente, e l’avvocato COGNOME difensore del controricorrente, che hanno chiesto, rispettivamente, di accogliere e di respingere il ricorso.
FATTI DELLA CAUSA
Il Tribunale di Catania ha ingiunto ad NOME COGNOME il pagamento di euro 3.102 in favore di NOME COGNOME a titolo di saldo di quanto dovuto per lavori edili effettuati nell’immobile di sua proprietà. COGNOME ha proposto opposizione al decreto, chiedendo di revocarlo in quanto all’opposto nulla era dovuto; in via riconvenzionale ha chiesto di dare atto dell’intervenuta risoluzione stragiudiziale del contratto per inadempimento (a seguito della diffida ad adempiere del 9 maggio 2007) e di condannare Nucifora alla restituzione dell’acconto versato di euro 2.500 e, in subordine, di pronunciare la risoluzione del contratto, nonché di condannare il medesimo al risarcimento del danno.
Con la sentenza n. 3903/2016, il Tribunale di Catania ha revocato il decreto ingiuntivo e ha dichiarato risolto per inadempimento dell’opposto COGNOME il contratto di appalto concluso tra le parti. Ad avviso del Tribunale la sospensione dei lavori da parte dell’appaltatore, a fronte della propria mancata esecuzione dei lavori di completamento del tetto, non era giustificata, avendo il committente pagato il previsto anticipo di euro 2.500 ed essendo il pagamento successivo di euro 6.500 stato concordato appunto al completamento del tetto; l’impossibilità sopravvenuta di porre in essere il lavoro a causa delle avverse condizioni metereologiche era d’altro canto stata tardivamente allegata dall’opposto nella
comparsa conclusionale e appariva in ogni caso non provata e inverosimile, avendo il committente diffidato l’appaltatore ad adempiere nel maggio del 2007; non provate erano poi le due ulteriori circostanze allegate dall’appaltatore a giustificazione della sospensione dei lavori, la mancata fornitura di adeguata guaina bituminosa e la mancata consegna ‘in tempo’ della pavimentazione. Il Tribunale ha quindi dichiarato che il contratto si era risolto per effetto della diffida ad adempiere inviata dal committente il 9 maggio 2007; in base all’effetto retroattivo della risoluzione, vi era l’obbligo per l’appaltatore di restituire l’acconto ricevuto, detratto il valore delle opere eseguite; dato che tale valore, considerato che le opere non erano state eseguite a regola d’arte, era pari a euro 2.500, somma uguale a quella già versata, nulla era dovuto dal committente. Il Tribunale ha infine rigettato la domanda di risarcimento del danno proposta dall’opponente, non essendo il danno stato dimostrato.
2. La sentenza è stata impugnata da COGNOME, che ha denunciato l’errata ricostruzione dei fatti e l’erronea valutazione delle prove, in particolare in relazione alla fornitura della guaina e alle avverse condizioni metereologiche, così che inadempimento alcuno era imputabile all’appaltatore; il Tribunale aveva poi errato, ad avviso dell’appellante, nella determinazione dei reciproci rapporti di dare ed avere tra le parti e fatto mal governo delle norme in tema di condanna alle spese di lite.
Con la sentenza n. 1541/2019, la Corte d’appello di Catania ha accolto l’appello e ha rigettato l’opposizione a decreto ingiuntivo. La Corte ha ritenuto fondato il primo motivo, di censura di erronea ricostruzione dei fatti e valutazione delle prove: sulla base delle dichiarazioni convergenti di due testimoni è emersa, ad avviso della Corte, la prova dei lavori eseguiti e degli importi relativi, nonché delle cause che hanno giustificato il rinvio dell’esecuzione dei lavori del tetto, il mancato impiego della guaina e il ritardo per la
mancata fornitura di pavimento. La Corte d’appello ha poi ritenuto fondato il secondo motivo di gravame che contestava la mancata liquidazione dell’importo relativo ai lavori già eseguiti e ha escluso, negando valore alla perizia di parte depositata da COGNOME, ‘alcuna compensazione’ tra i vizi lamentati e il saldo dovuto per i lavori eseguiti.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità della pubblica udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è articolato in sette motivi.
Con il primo motivo si lamenta ‘ error in procedendo , nullità della sentenza impugnata per insussistenza di uno dei requisiti posti dall’art. 132 c.p.c. e dall’art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’articolo 360, n. 4 c.p.c.’: la Corte d’appello ha ‘riportato alcune circostanze di fatto’ e ha dedicato ‘una pagina intera a disquisire in ordine al valore probatorio della perizia di parte, senza minimamente illustrare l’iter logico giuridico che conduce alla incomprensibile decisione di accoglimento dell’appello e di mera conferma del decreto ingiuntivo opposto’.
Il motivo non può essere accolto. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti
perplessa e obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (cfr. la pronuncia delle sezioni unite n. 8038/2018).
Nel caso in esame, la motivazione -per quanto censurabile, v. infra , sub 2. -non può dirsi mancante o meramente apparente e neppure obiettivamente incomprensibile o fondata su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, avendo la Corte d’appello riportato i motivi di gravame e dato conto delle prove testimoniali raccolte, sulla cui base ha ritenuto fondata la pretesa monitoria (v. le pagg. 3-5 della sentenza impugnata), così che la censura finisce per risolversi in una inammissibile contestazione di insufficienza della motivazione.
Il secondo e il terzo motivo sono tra loro strettamente connessi:
il secondo motivo lamenta ‘ error in procedendo in relazione all’art. 360, n. 4 c.p.c. per omessa pronuncia del giudice d’appello in ordine alla domanda di risoluzione contrattuale’ per inadempimento del contratto di appalto proposta dall’opponente nell’atto di opposizione al decreto ingiuntivo, domanda riproposta nella comparsa di risposta d’appello e ribadita in sede di precisazione delle conclusioni;
il terzo motivo contesta ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c. e/o nullità della sentenza giusto error in procedendo in relazione all’articolo 360 n. 4 c.p.c. per travisamento della prova su un punto decisivo della controversia’; la sentenza impugnata, travisando gli elementi di prova agli atti di causa (ovvero utilizzando per fondare la decisione una informazione probatoria inconciliabile con quella contenuta in un documento in atti), ha omesso di considerare la diffida ad adempiere inviata dal ricorrente in data 9 maggio 2007 e rimasta inadempiuta da parte del destinatario e travisando inoltre
le risultanze della prova testimoniale su un punto decisivo, ovvero l’accertamento dell’inadempimento dell’appaltatore.
I motivi sono fondati con riferimento all’omesso esame da parte della Corte d’appello della diffida ad adempiere del 9 maggio 2007, così che il vizio denunciato di travisamento della prova (sul quale cfr. la recente pronuncia delle sezioni unite n. 5792/204) va piuttosto sotto tale profilo ricondotto -come sottolinea il Pubblico Ministero nelle sue conclusioni scritte -alla violazione del parametro di cui al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., trattandosi dell’omesso esame di un fatto, omesso esame che ha poi comportato il mancato esame della domanda di accertamento dell’avvenuta risoluzione stragiudiziale del contratto proposta dal ricorrente, appunto basata sulla suddetta diffida ad adempiere.
La Corte d’appello, accogliendo il primo motivo di gravame proposto dall’appaltatore che censurava l’errata ricostruzione dei fatti e l’erronea valutazione delle prove, ha riportato le dichiarazioni dei testimoni escussi in primo grado, dando di tali dichiarazioni una valutazione difforme rispetto a quella data dal primo giudice, ma -pur avendo affermato che le ‘deposizioni sono convergenti rispetto ai documenti in atti’ (v. pag. 5 della sentenza impugnata, il punto è sottolineato dal controricorrente in memoria) -non ha in alcun modo considerato la diffida ad adempiere del 9 maggio 2007. Con tale diffida (trascritta alla pag. 15 del ricorso) il ricorrente, dopo avere rilevato che l’appaltatore aveva unilateralmente e senza validi motivi interrotto i lavori di ristrutturazione del fabbricato, e avere ricordato che il contratto prevedeva l’esecuzione dei lavori entro il termine di due mesi dal loro inizio, ha diffidato l’appaltatore a riprendere i lavori immediatamente e comunque non oltre il termine di tre giorni, comunicando che ‘il contratto si intenderà comunque risolto per vostro grave inadempimento, decorsi giorni quindici dalla data odierna senza che siano ripresi i lavori’. Il giudice d’appello doveva considerare tale diffida, dedotta dal
ricorrente con l’atto di opposizione al decreto ingiuntivo e valutata dal giudice di primo grado. A fronte di reciproche deduzioni di inadempimento il giudice non può isolare singole condotte di una delle parti, ma deve, invece, procedere alla valutazione sinergica del comportamento di entrambe le parti, attraverso un’indagine globale e unitaria dell’intero loro agire, anche con riguardo alla durata del protrarsi degli effetti dell’inadempimento, perché l’unitarietà del rapporto obbligatorio a cui ineriscono le prestazioni inadempiute da ognuna di esse non tollera una valutazione settoriale della condotta di ciascun contraente, ma esige un apprezzamento complessivo (in tal senso cfr. Cass., n. 336/2013, nonché Cass., n. 7649/2023). Il giudice di merito non poteva pertanto ritenere giustificato l’inadempimento dell’appaltatore sulla scorta delle dichiarazioni testimoniali assunte, che riguardano un’epoca anteriore alla diffida, senza considerare il fatto storico della diffida ad adempiere, ma doveva appunto effettuare la valutazione dell’imputabilità dell’inadempimento al momento della scadenza della diffida stessa. Il fatto è decisivo, poiché la ratio dell’istituto di cui all’art. 1454 c.c. è quella di fissare con chiarezza la posizione delle parti rispetto all’esecuzione del contratto, mercé formale avvertimento alla parte diffidata che l’intimante non è disposto a tollerare «un ulteriore ritardo nell’adempimento» (cfr. Cass. 8844/2001, si veda anche Cass. 27530/2016). La gravità dell’inadempimento, e ancora prima la stessa sua imputabilità, andava pertanto valutata alla scadenza della diffida, con la quale erano stati assegnati quindici giorni per la ripresa dei lavori interrotti e alla infruttuosa scadenza il contratto sarebbe stato considerato come risolto di diritto, e occorreva quindi verificare se, alla scadenza fissata, sussistevano ancora gli impedimenti giudicati ostativi alla ripresa dei lavori non imputabili all’appaltatore.
L’accoglimento del secondo e del terzo motivo comporta l’assorbimento dei motivi successivi, che rispettivamente denunziano:
il quarto ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 e n. 4 c.p.c.’, per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili per avere la Corte d’appello non pronunciato in relazione alla risoluzione del contratto d’appalto e contraddittoriamente avere trattato delle questioni conseguenti alla risoluzione medesima;
il quinto ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’, per avere la Corte d’appello confermato il decreto opposto in difetto della prova del credito vantato da COGNOME;
il sesto ‘violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’, per avere la Corte d’appello ritenuto che la consulenza tecnica di parte prodotta dal ricorrente sia priva di qualsiasi valore;
il settimo ‘violazione e/o falsa applicazione degli artt. 166, 167 e 183 c.p.c., in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.’, per avere la Corte d’appello considerato una circostanza di fatto, le avverse condizioni metereologiche, allegata da controparte per la prima volta nella comparsa conclusionale.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Catania, che dovrà procedere ad una valutazione globale dell’agire delle parti, tenendo in particolare considerazione la diffida ad adempiere posta in essere dal ricorrente, alla luce dei principi di diritto sopra ricordati. Il giudice di rinvio provvederà anche in relazione alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigettato il primo e assorbiti i restanti motivi di ricorso, cassa la sentenza impugnata in
relazione ai motivi accolti e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Catania, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio seguita alla pubblica