Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 20553 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 20553 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 28261/2019 R.G. proposto da : COGNOME rappresentato e difeso dagli Avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE, NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
PROCURATORE GENERALE della REPUBBLICA presso la CORTE d’APPELLO di VENEZIA, procedura di liquidazione coatta amministrativa di BANCA POPOLARE di VICENZA s.p.a., COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– intimati
–
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 3457/2019 depositata il 2/9/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/5/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Vicenza, con sentenza n. 1/2019, dichiarava l’insolvenza della Banca Popolare di Vicenza s.p.a. in liquidazione coatta amministrativa (nel prosieguo, per brevità, BPVi).
La Corte d’appello di Venezia, a seguito del reclamo presentato da NOME COGNOME, ricordava -fra l’altro e per quanto qui di interesse -che lo stato di insolvenza di BPVi doveva essere valutato al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidaz ione, reso in data 25 giugno 2017.
Evidenziava che in quel frangente la banca aveva perso la continuità aziendale, dato che la Banca Centrale Europea, il 23 giugno 2017, aveva deciso di dichiarare la BPVi in una situazione di prossimità al dissesto, stabilendo il definitivo venir meno della continuazione dell’attività bancaria, cosicché l’indagine circa la sussistenza dello stato di insolvenza doveva essere compiuto in un ‘ottica liquidatoria e secondi criteri di liquidazione.
Riteneva che le critiche mosse alla decisione impugnata non fossero condivisibili nella parte in cui il tribunale aveva fatto proprie le conclusioni del C.T.U.
Escludeva, in particolare, l’erroneità della rettifica operata dal C.T.U. per il contributo di complessivi € 2.441 milioni riconosciuto dallo Stato in favore di Intesa Sanpaolo s.p.a. per l’acquisto dell’azienda bancaria di BPVi, in quanto l’erogazione di questo contributo, anche se avvenuta successivamente alla messa in l.c.a., aveva costituito il presupposto imprescindibile della proposta di acquisto dell’unico offerente dimostratosi disponibile a concludere l’operazione , cosicché il valore di liquidazione doveva essere parametrato al prezzo negativo di mercato riconosciuto all’«insieme aggregato» comprensivo di tale sovvenzione.
Sottolineava, inoltre, come rispondesse a una coerente logica commerciale effettuare acquisizioni cercando di non pregiudicare e mantenendo inalterato il proprio Common Equity Tier I, come pure cercare di ottenere e fissare un prezzo di acquisto che tenesse conto
degli oneri da sostenere obbligatoriamente per ristrutturare quanto acquisito.
Faceva presente che anche nelle operazioni di cessione delle banche sottoposte a risoluzione con definitiva sistemazione nel corso del primo semestre del 2017 era stato previsto che le ricapitalizzazioni anteriori ai trasferimenti di controllo venissero effettuate dopo aver incluso fra le passività gli stanziamenti per i costi di ristrutturazione previsti, aggiungendo che tanto nel caso delle banche sottoposte a procedura di risoluzione quanto nel caso delle banche assistite dallo schema volontario il cessionario si era reso disponibile ad acquistare tali complessi aziendali solo dopo l’esecuzione, a carico dei soggetti cedenti o comunque da parte dei soggetti disponibili ad assumersi un simile onere, di ricapitalizzazioni di rilevante entità, aventi funzione e significato economico pari a quello del sostegno finanziario offerto dallo Stato nel caso di BPVi.
Condivideva, pertanto, la valutazione del giudice di primo grado, ritenendo che i due contributi di complessivi € 2.441 milioni fossero rappresentativi di parte del prezzo negativo pagato dalla liquidazione coatta amministrativa e formassero, unitamente allo sbilancio di cessione, il prezzo complessivo dell’operazione di trasferimento dell’«insieme aggregato», con la conseguenza che il patrimonio netto contabile di BPVi alla data del 25 giugno 2017, pari a € 2.005 milioni, doveva essere rettificato e determ inato in termini negativi per € 436 milioni.
Reputava che la disciplina prevista dall’art. 7, commi 1 e 3, d.l. 99/2017 costituisse una normativa speciale che aveva consentito a Intesa Sanpaolo di recuperare, includendola nella good bank , una quota di attività fiscali differite ( deferred tax assets o DTA) che altrimenti, in difetto, non sarebbero state suscettibili di recupero e, dunque, di essere trasferite all’acquirente.
Evidenziava, peraltro, che nella fattispecie concreta non vi era stata una cessione d’azienda o di ramo d’azienda, bensì di un «insieme
aggregato», motivo per il quale non potevano essere condivise le osservazioni del consulente del reclamante che muovevano dal presupposto che il trasferimento delle DTA costituisse una conseguenza automatica di una serie di operazioni straordinarie quali l a cessione d’azienda, il conferimento di azienda e simili.
Giudicava che la situazione patrimoniale al 25 giugno 2017 andasse rettificata rispetto alle attività per imposte anticipate trasformabili in crediti di imposta, in un’ottica di valutazione secondo criteri di liquidazione , attraverso lo storno di € 309 milioni, tenuto conto di quanto indicato nell’allegato A della relazione dei commissari liquidatori in data 20 giugno 2018 sulla situazione patrimoniale e contabile esistente al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione.
Valutava che le DTA non iscritte nella situazione patrimoniale alla medesima data, per mancato superamento del probability test , non dovessero essere considerate, dipendendo il loro valore economico esclusivamente dall’esistenza in capo ad Intesa Sanpaolo s.p.a. di redditi imponibili futuri sufficienti a permetterne l’utilizzo, soggiungendo che una loro considerazione ai fini di determinare il prezzo di cessione sarebbe comunque dovuta avvenire nei limiti e nei termini previsti contrattualmente, vale a dire per l’importo di € 305 milioni, valore al quale le DTA in questione erano state assegnate a Intesa Sanpaolo s.p.a. nell’atto ricognitivo del 19 dicembre 2017.
Constatava che simili considerazioni non modificavano la valutazione della condizione di insolvenza in cui si era venuta a trovare BPVi al momento dell’apertura della liquidazione coatta amministrativa, stante la permanenza di un deficit patrimoniale.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di questa sentenza, pubblicata in data 2 settembre 2019, prospettando dieci motivi di doglianza.
Gli intimati Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Venezia, procedura di liquidazione coatta amministrativa di BPVi, NOME COGNOME
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME non hanno svolto difese.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità del procedimento di reclamo e della sentenza impugnata a causa della manifesta violazione degli artt. 15, 195, 202 l. fall., 82, comma 3, T.U.B., 101 e 354 cod. proc. civ., 24 e 111, comma 2, Cost., 6 CEDU e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, dato che la declaratoria di insolvenza, confermata in sede di reclamo, è stata pronunciata senza la necessaria convocazione dei cessati organi amministrativi della società debitrice in bonis , destinataria degli effetti della declaratoria di insolvenza, con la quale non è stato dunque mai instaurato il contraddittorio.
Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.
5.1. L’art. 82, comma 2, T.U.B. stabilisce, nel testo applicabile ratione temporis , che « se una banca, anche avente natura pubblica, si trova in stato di insolvenza al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa e l’insolvenza non è stata dichiarata a norma del comma 1, il tribunale del luogo in cui la banca ha la sede legale, su ricorso dei commissari liquidatori, su istanza del pubblico ministero o d’ufficio, sentiti la Banca d’Italia e i cessati rappresentanti legali della banca, accerta tale stato con sentenza in camera di consiglio. Si applicano le disposizioni dell’art. 195, terzo, quarto, quinto e sesto comma della legge fallimentare ».
Il chiaro tenore della norma -in termini analoghi e più espliciti rispetto a quanto all’epoca stabiliva il combinato disposto degli artt. 202, 195, comma 3, e 15 l. fall. per la liquidazione coatta amministrativa, disposto che è stato interpretato dalla giurisprudenza di questa Corte
nel senso che l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza necessitava che il contraddittorio fosse instaurato, per l’esercizio del diritto di difesa, nei confronti dell’organo che aveva la rappresentanza legale dell’ente alla data a cui doveva ess ere fatta risalire l’insolvenza ed era in grado di validamente interloquire su tali vicende (cfr. Cass. 24547/2010, Cass. 16746/2013, Cass. 1645/2014) -, laddove prescrive di sentire « i cessati rappresentanti legali della banca », rende necessaria l’instaur azione del contraddittorio nei confronti dei rappresentanti legali della banca al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, epoca in cui ogni organo della banca cessa le proprie funzioni, ex art. 80, comma 5, T.U.B., ed a cui si riferisce la valutazione della condizione di insolvenza , ai sensi dell’art. 82, comma 2, T.U.B.
Nel caso di specie BPVi era stata sottoposta dal Ministro dell’Economia a liquidazione coatta amministrativa, ai sensi dell’art. 80, comma 1, T.U.B., con decreto del 25 giugno 2017 e la Corte d’appello ha correttamente fatto risalire a quella data la valutazione dello stato di insolvenza.
L’applicazione dell’art 82, comma 2, T.U.B. doveva avvenire attraverso l’instaurazione del contraddittorio nei confronti del/i legale/i rappresentante/i a quell’epoca, da individuare ai sensi dell’art. 2384, comma 1, cod. civ.
La norma, per contro, non impone che il contraddittorio si instauri nei confronti di tutti i componenti dell’ultimo consiglio di amministrazione o, tanto meno, del precedente consiglio di amministrazione, come erroneamente sostiene il motivo in esame.
5.2. Fra le funzioni di cui gli amministratori sono investiti vi è anche quella di rappresentanza della società, posto che, a norma dell’art. 2384, comma 1, cod. civ., il potere di rappresentanza generale è attribuito agli amministratori individuati dallo statuto o dalla deliberazione di nomina.
Ora, lo stesso ricorrente ha ammesso che in primo grado « si costituivano in giudizio alcuni componenti del cessato c.d.a. della banca » (pag. 5 del ricorso), riconoscendo, inoltre, che « con memoria del 6 maggio 2019 si costituivano nel giudizio di reclamo anche alcuni ex consiglieri di amministrazione di BPVi » (pag. 6).
Una simile ammissione rende la doglianza in esame inammissibile per la genericità del suo contenuto.
Il mezzo, infatti, non spiega se fra i componenti del cessato consiglio di amministrazione della banca costituitisi nel giudizio di primo grado (e intervenuti in sede di reclamo) fosse o meno presente anche l’amministratore investito delle funzioni di rappresentan za della società ex art. 2384, comma 1, cod. civ., né specifica quale diverso amministratore non presente nel novero dei soggetti costituitisi in giudizio fosse dotato del potere di rappresentanza legale della società, impedendo così a questa Corte di apprezzare l’effettiva rilevanza della censura presentata.
6.1. Il secondo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 105, commi 1 e 2, e 115 cod. proc. civ., perché la Corte d’appello ha fondato il suo convincimento in ordine allo stato di insolvenza su un documento che avrebbe dovuto essere estromesso dal fascicolo, in quanto era stato prodotto da soggetti (alcuni cessati amministratori della banca) che erano privi del potere di concorrere alla formazione della prova, stante l’inammissibilità del loro intervento nel giudizio.
6.2. Il terzo motivo denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa, ex artt. 101 cod. proc. civ., 24 e 11 Cost., perché la Corte d’appello ha fondato il suo convincimento su documentazione entrata nel processo solo il giorno precedente l’udienza di discussione sul reclamo, senza che fosse data
al reclamante l’opportunità di esaminarla e di prendere posizione su di essa prima che la causa fosse trattenuta in decisione.
6.3. Il quarto motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in quanto la Corte d’appello ha fondato il suo convincimento su una bozza di relazione senza avvedersi che anche secondo i metodi di valutazione applicati dal C.T.U. nominato nell’altra causa l’importo dei contributi versati dallo Stato a favore della cessionaria delle aziende delle due banche venete poste in l.c.a. non andava detratto dal patrimonio netto della banca posta in liquidazione coatta amministrativa.
6.4. Il quinto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 101, 191, 196, 201 e 206 cod. proc. civ., perché la Corte d’appello ha eterogeneamente integrato l a consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale di Vicenza in primo grado con le risultanze della bozza di relazione peritale svolta in un diverso giudizio invece di disporre la rinnovazione o l’integrazione della C.T.U. secondo le forme e nel rispetto delle garanzie del contraddittorio previste dal codice di rito.
6.5. Il sesto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 112, 115, 116 e 195 cod. proc. civ., perché la Corte d’appello ha fondato la propria decisione sulle risultanze di una mera bozza predisposta nel giudizio riguardante Veneto Banca, senza attendere la conclusione dei lavori peritali e il deposito della C.T.U. definitiva, che non era stata vagliata da alcuno dei C.T.P. di entrambi i procedimenti.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente perché indirizzati a contestare il medesimo elemento istruttorio, risultano tutti inammissibili per mancanza di decisività.
La Corte distrettuale ha ritenuto che i contributi previsti agli artt. 2.4 e 2.5.1 del contratto di cessione dell’insieme aggregato, di complessivi
€ 2.441, fossero rappresentativi di parte del prezzo negativo pagato dalla liquidazione coatta amministrativa, perché avevano costituito il presupposto imprescindibile della proposta di acquisto di Intesa Sanpaolo s.p.a., e andassero a formare, unitamente allo sbilancio di cessione, il prezzo complessivo dell’operazione di trasferimento dell’insieme aggregato.
Il riferimento compiuto dai giudici distrettuali alla bozza della C.T.U. COGNOME è valso solo a ricondurre a un più largo quadro d’insieme la valutazione fatta in precedenza, in quanto lo stesso evidenzia come -nel contesto del sistema bancario italiano esistente nel corso del 2017 – anche nelle operazioni di cessione delle banche sottoposte a risoluzione era stato previsto che le ricapitalizzazioni anteriori ai trasferimenti di controllo venissero effettuate dopo aver incluso fra le passività (inclusione che portava ad un aumento delle ricapitalizzazioni necessarie) gli stanziamenti per i costi di ristrutturazione previsti e ricorda che tanto nelle banche sottoposte a procedura di risoluzione, quanto nelle banche assistite dallo schema volontario, il cessionario si era reso disponibile ad acquistare tali complessi aziendali solo dopo l’esecuzione, a carico dei soggetti cedenti o comunque da parte dei soggetti disponibili ad assumersi questo onere, di ricapitalizzazioni di rilevante entità.
In altri termini, il documento di cui si lamenta l’utilizzo non ha avuto un rilievo essenziale per la valutazione della sussistenza di patrimonio netto negativo per € 436 milioni, giacché la Corte distrettuale vi ha fatto riferimento nel quadro di una più ampia valutazione basata sulla consulenza tecnica svolta in primo grado e sviluppata nelle pagine precedenti a quella (pag. 20), ove soltanto è contenuto il riferimento alla C.T.U. Caprio.
Questo riferimento solo di conforto è valso a compiere un parallelismo storico con le altre operazioni di sistemazione di situazioni di crisi bancarie effettuate in quell’epoca, ma non a fondare la valutazione compiuta dai giudici distrettuali, che ha trovato giustificazione, invece,
nelle risultanze della C.T.U. svolta in quello stesso giudizio e nel fatto che tutti i contributi avevano costituito il presupposto imprescindibile della proposta di acquisto.
Ne consegue che tutte le critiche mosse alle modalità di acquisizione della bozza di C.T.U. o al contenuto della stessa non investono le ragioni che hanno fondato la decisione, ma considerazioni espresse ad abundantiam per mera completezza espositiva.
La giurisprudenza di questa Corte, a questo proposito, ha già chiarito come sia inammissibile, in sede di giudizio di legittimità, il motivo di ricorso che censuri un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad abundantiam , e pertanto non costituente una ratio decidendi della medesima; infatti, un’affermazione siffatta, contenuta nella sentenza di appello, che non abbia spiegato alcuna influenza sul dispositivo della stessa, essendo improduttiva di effetti giuridici non può essere oggetto di ricorso per cassazione, per difetto di interesse (v. Cass. 8755/2018, Cass. 23635/2010).
8.1. Il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione degli artt. 4 e 7, commi 1 e 3, d.l. 99/2017, 15 d.l. 18/2016, 2, commi 55, 56, 56bis e 56ter , d.l. 225/2010, 3 e 53 Cost., perché la Corte d’appello ha affermato che le attività fiscali di BPVi per imposte anticipate o DTA ( deferred tax assets ) dovevano essere scomputate dal patrimonio netto della banca, in quanto il trasferimento di tali attività a favore del cessionario dell’azienda sarebbe stato possibile solo grazie a una norma speciale; in questo modo la Corte distrettuale ha negato la natura meramente ricognitiva dell’art. 7, comma 3, d.l. 99/2017, attribuendo implicitamente a questa disposizione natura di legge fiscale ad personam e di aiuto di Stato in favore di Intesa Sanpaolo.
I crediti di imposta maturati da BPVi complessivamente pari a € 1.176 milioni, di cui € 524 milioni già iscritti in bilancio e € 652 milioni non ancora iscritti -costituivano, invece, una posta attiva già presente nel patrimonio della banca di cui si sarebbe dovuto tener conto nella
determinazione del valore del patrimonio netto al momento dell’apertura della liquidazione.
8.2. L’ottavo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 3 e 7, comma 2, d.l. 99/2017, 58 e 90, comma 2, T.U.B., 1322, 1323, 1325, n. 3, 1346, 1362, 1363, 1364, 1365, 1366, 1374, 2555, 2559 e 2560 cod. civ. e del D.M. 187/2017 , perché la Corte d’appello ha negato che nella fattispecie in esame si sia verificata un’operazione straordinaria di cessione d’azienda, con conseguente automatica successione del cessionario nelle attività fiscali maturate dal cedente a fronte del pagamento di imposte anticipate.
8.3. Il nono motivo si duole, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e discusso fra le parti: la Corte d’appello ha negato che nella fattispecie si fosse verificata un’operazione straordinaria di cessione di azienda, con conseguente automatica successione del cessionario in tutti i crediti d’imposta già maturati dal cedente a fronte del pagamento di imposte anticipate, in forza del principio di neutralità fiscale delle operazioni straordinarie, a dispetto dell’univoco nomen iuris assegnato dai contraenti al contratto di cessione d’azienda stipulato in data 26 giugno 2017 tra i commissari liquidatori delle banche venete ed il cessionario Intesa Sanpaolo s.p.a.
8.4. Il decimo motivo assume, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 132, comma 2, cod. proc. civ. e 111, comma 7, Cost., per insanabile illogicità o comunque contraddittorietà nella motivazione, in quanto la Corte d’appello ha affermato che, in difetto di una norma speciale che ne consentisse il trasferimento a un terzo, le attività fiscali maturate da BPVi dovevano essere scomputate dal valore dell’azienda bancaria.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per il rapporto di connessione che li unisce, risultano tutti inammissibili.
Non vi è dubbio che la Corte d’appello abbia aderito a una tesi interpretativa dell’art. 7 d.l. 99/2017 diversa da quella del reclamante, in quanto mentre quest’ultimo sosteneva che la norma, anche in virtù del richiamo all’art. 15 d.l. 18/2016, avesse un mero valore ricognitivo della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti dell’azienda ceduta in capo all’avente causa, i giudici distrettuali hanno ritenuto, invece, che solo grazie al carattere eccezionale di questa norma era possibile il trasferimento in capo a Intesa Sanpaolo s.pRAGIONE_SOCIALE delle DTA.
Ai fini dell’apprezzamento del ricorrere di una situazione di insolvenza questa dissonanza di idee, a ben vedere, è del tutto priva di decisività, perché secondo entrambe le prospettive interpretative il cessionario aveva la possibilità di recuperare le DTA, almeno in parte.
Invero la Corte di merito, sebbene abbia sostenuto che « è solo grazie al DL n. 99/2017 che è stato possibile il trasferimento in capo a Intesa San Paolo delle DTA » (v. pag. 23 della sentenza impugnata), non ha del tutto trascurato le DTA, ma le ha considerate ai fini di determinare il valore del patrimonio netto rettificato.
La questione dotata di reale decisività stava nella misura del recupero, che la Corte d’appello ha preso in esame distinguendo le attività per imposte anticipate (DTA) iscritte nella situazione patrimoniale al 25 giugno 2017 e le attività non iscritte in tale situazione.
Per le prime i giudici distrettuali hanno ritenuto di operare uno storno di € 309 milioni dopo aver preso in esame un allegato alla relazione dei commissari liquidatori, con una valutazione di merito che non è stata in alcun modo impugnata dall’odierno ric orrente.
Per le seconde la Corte di appello ha sostenuto che quand’anche si fosse voluto considerare tali DTA ai fini di determinare il prezzo di cessione di BPVi, questo riconoscimento doveva avvenire non per la loro totalità, come pretendeva il reclamante, bensì in coerenza con la volontà delle parti, che avevano assegnato le DTA convenzionali a Intesa Sanpaolo un valore di € 305 milioni.
Anche questa valorizzazione non è stata in alcun modo contestata, nello specifico, dall’odierno ricorrente.
Ne discende l’inammissibilità di tutte le doglianze in esame per mancanza di un concreto interesse alla loro proposizione, poiché si sviluppano in termini astratti e risultano tutte parimenti inidonee ad inficiare in qualche maniera la valutazione (di merito) compiuta dalla Corte territoriale in ordine al permanere, una volta considerate le DTA iscritte o non ancora iscritte a bilancio, di un deficit patrimoniale di BPVi alla data di avvio della liquidazione coatta amministrativa.
Giova solamente aggiungere, da ultimo, che l’ottavo e il nono motivo non solo non si correlano alla ratio della decisione impugnata, laddove la Corte distrettuale ha acclarato il venir meno del presupposto della continuità aziendale (v. pag. 10 della decisione impugnata), ma intendono pure porre in contestazione la qualificazione attribuita al contratto del 26 luglio 2017, malgrado la stessa, involgendo un accertamento di fatto, costituisse una valutazione riservata al giudice del merito.
10. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.
La mancata costituzione in questa sede di tutte le parti intimate esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma in data 28 maggio 2025.