Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4203 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4203 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 26236/2018 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, con sede in San Mauro Pascoli (INDIRIZZO), al INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli AVV_NOTAIOati NOME COGNOME e NOME COGNOME, con cui elettivamente domicilia presso lo studio di quest’ultimo in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del curatore AVV_NOTAIO NOME COGNOME, rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, con cui elettivamente domicilia in Roma, al INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
-controricorrente –
avverso il decreto, n. cron. 4248/2018 del TRIBUNALE DI FERMO, pubblicato il giorno 06/08/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 13/02/2024 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE chiese l’ammissione al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE per la somma di € 2.000.000,00, in chirografo, a titolo di penale ex art. 8 dell’accordo dalla stessa sottoscritto con la menzionata società in bonis il 14 settembre 2012. Dedusse che quest’ultima non aveva adempiuto al patto col quale era stata convenuta la costituzione di una nuova società, partecipata da entrambe, con il conferimento di mezzi finanziari da parte di RAGIONE_SOCIALE e con il conferiment o del marchio ‘ NOME COGNOME ‘ da parte di RAGIONE_SOCIALE
1.1. Il giudice delegato, su conformi conclusioni del curatore, respinse l’istanza, considerando i patti parasociali inopponibili al curatore perché terzo, oltre che carenti, nella specie, di data certa anteriore al fallimento, ed escludendo la sussistenza di un inadempimento imputabile alla società poi fallita. Rilevò, inoltre, che, in via subordinata, il curatore aveva eccepito che detta società, secondo i predetti patti parasociali, sarebbe stata a sua volta creditrice della penale per l’importo di € 2.000.000,00 per violazione dell’ ivi previsto art. 2, come dalla stessa già contestato il 27 settembre 2014.
Pronunciando sull’opposizione promossa avverso tale decisione, ex art. 98 l.fall., da RAGIONE_SOCIALE, l’adito Tribunale di Fermo la rigettò con ‘ ordinanza ‘ del 17 agosto 2016, n. 5127, resa nel contraddittorio con il fallimento predetto. Ritenne, infatti, che RAGIONE_SOCIALE, avendo aderito ad un accordo di ristrutturazione dei debiti di RAGIONE_SOCIALE che prevedeva che il marchio sarebbe stato parte dell’attivo da liquidare, aveva tenuto un comportamento incompatibile con la volontà di avvalersi della clausola penale.
Avverso la predetta ‘ ordinanza ‘ propose ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, per tre motivi, resistito, con controricorso dal menzionato fallimento.
3.1. Con ordinanza del 28 novembre 2017/5 febbraio 2018, n. 2739, questa Corte rigettò il primo motivo di ricorso, ne accolse gli altri due, cassò la decisione impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinviò la causa, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità, al Tribunale di Fermo in diversa composizione.
Pertanto, RAGIONE_SOCIALE riassunse il giudizio innanzi a quel tribunale, che, con decreto del 26 luglio/6 agosto 2018, n. 4248, pronunciato nel contraddittorio con il citato fallimento, rigettò l’opposizione della prima.
4.1. Per quanto qui ancora di interesse, quel giudice: i ) disattese la deduzione di quest’ultima circa la formazione del giudicato sulle eccezioni sollevate dal fallimento e non riproposte dinanzi alla Corte di cassazione con ricorso incidentale; ii ) considerò inopponibile al medesimo fallimento l’accordo del 14 settembre 2012, per mancanza della data certa, ex art. 2704 cod. civ., antecedente alla dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE (risalente al 27 gennaio 2015) e, quindi, anche la clausola penale di cui all’art. 8 del menzionato accordo.
Per la cassazione di questo decreto ha promosso ricorso RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso il fallimento RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova premettere che il ricorso per cassazione avverso la decisione pronunciata in sede di rinvio, diretto a denunciare la mancata osservanza del principio di diritto fissato con la pronuncia di annullamento o il mancato assolvimento dei compiti con essa affidati, implica il potere-dovere della Suprema Corte di interpretare direttamente il contenuto e la portata della propria precedente statuizione ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2020 del 1981; Cass. n. 5567 del 1982; Cass. n. 19212 del 2005; Cass. n. 9395 del 2006; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 32008 del 2022).
1.1. È opportuno ricordare, allora, che la pronuncia rescindente emessa da Cass. n. 2739 del 20118, decidendo sul ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE contro la ‘ ordinanza ‘ del 17 agosto 2016, n. 5127, resa dal Tribunale di Fermo, ne rigettò il primo motivo, accogliendone gli altri due.
1.1.1. Nella menzionata decisione di legittimità si legge, quanto ai motivi ivi accolti, che ( cfr . pag. 3-5): « Col secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 182 -bis legge fall., 12 preleggi, 1362 cod. civ., 115 e 116 cod. proc. civ.; sostiene di aver aderito all’accordo di ristrutturazione del debito della società poi fallita senza esser stata a conoscenza della circostanza che il piano sottostante a tale accordo, successivamente depositato ai fini dell’omologazione, prevedesse la vendita del marchio anziché il suo conferimento nella nuova società; in ogni caso, assume errata la decisione del tribunale in quanto le norme di interpretazione del contratto non consentivano di desumere dall’adesione all’accordo la rinunzia al diritto di richiedere la corresponsione della somma a titolo di penale;
col terzo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 111 Cost. e degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di fatto decisivo, poiché il tribunale avrebbe mancato di esaminare i documenti successivi all’accordo di ristrutturazione, nei quali la Tgp aveva ribadito ripetutamente la volontà di richiedere il pagamento della penale;
il secondo e il terzo motivo, suscettibili di unitario esame perché strettamente connessi, sono, nel senso che segue, manifestamente fondati;
la clausola penale mira a determinare preventivamente il risarcimento dei danni in relazione alla ipotesi pattuita, che può consistere nel ritardo nel compimento di una prestazione o nell’inadempimento (v. per tutte Cass. 23706-09, Cass. n. 23291-14);
una volta verificatosi l’inadempimento, il creditore ha diritto a ricevere la penale quale forma di risarcimento forfetario del danno preventivato al momento della stipulazione;
il creditore può certamente rinunciare a tale suo diritto; tuttavia la volontà di rinuncia, ove non espressamente manifestata, può essere apprezzata tacitamente solo se derivi da un comportamento concludente teso a rivelare in modo univoco la effettiva e definitiva volontà abdicativa di quel diritto; e né il silenzio né l’inerzia possono essere interpretati come manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto medesimo, poiché
la rinuncia non può essere oggetto di mere presunzioni (v. Cass. n. 2861-04; Cass. n. 8891-99; Cass. n. 7215-91);
la volontà abdicativa del diritto di credito, risultante da una serie di circostanze concludenti e non equivoche assolutamente incompatibili con la volontà di avvalersi del diritto stesso, deve poi avere come necessario oggetto proprio lo specifico “diritto” di cui si discorre, vale a dire, per quanto qui rileva, il diritto a ricevere la somma a titolo di penale quale risarcimento del danno nella misura forfetaria inizialmente pattuita;
non assume importanza, invece, la sorte del distinto diritto alla prestazione rimasta definitivamente inadempiuta, nel senso che la relativa rinuncia non comporta rinuncia anche al risarcimento del danno;
ciò costituisce ovvio corollario del fatto che l’inadempimento comporta la nascita di un’obbligazione altra – risarcitoria e appunto per questo definita vicaria – in luogo di quella inadempiuta, per modo che dalla rinuncia all’adempimento dell’obbligazione originaria niente è dato desumere in ordine alla seconda;
alla luce di tali principi, la motivazione del tribunale poteva nel caso di specie astrattamente sorreggere solo la conclusione di avvenuta rinuncia del diritto di Tgp a ottenere la costituzione della nuova società con il conferimento del marchio di RAGIONE_SOCIALE;
ciò in dipendenza dell’adesione al piano di ristrutturazione previdente la vendita di quel marchio;
di contro, non possiede base giuridica l’affermazione per cui la detta circostanza potesse rilevare anche come rinuncia tacita alla corresponsione della penale pattuita per l’inadempimento del patto parasociale;
in vero – e comunque – il provvedimento impugnato, a proposito dell’oggetto dell’adesione di RAGIONE_SOCIALE, indifferentemente utilizza i termini “accordo di ristrutturazione” e “piano di ristrutturazione”, quasi che siano sinonimi;
così non è in quanto, come correttamente osservato dalla ricorrente, ai sensi dell’art. 182-bis legge fall. l’adesione del creditore a una proposta di ristrutturazione del debito ordinariamente precede la predisposizione dell’apposito piano di ristrutturazione da depositare all’atto della domanda di
omologazione; sicché è assertorio sostenere – niente altro emergendo dalla motivazione – che, per il sol fatto di aver aderito all’accordo presupponente la falcidia dei crediti esistenti, il creditore sia stato già al corrente dei dettagli del piano in termini di consistenza e modalità liquidatoria dell’attivo, al punto da averlo accettato con volontà abdicativa di preesistenti diritti risarcitori ».
1.2. È noto, poi, che i limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la decisione di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, oppure per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, oppure -come chiaramente accaduto nella specie -per l’una e per l’altra ragione ( cfr . Cass. n. 12817 del 2014; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 35790 del 2022; Cass. n. 17240 del 2023). Nella prima ipotesi, il giudice è tenuto soltanto ad uniformarsi, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cod. proc. civ., al principio di diritto enunciato dalla pronuncia della Cassazione, senza possibilità di modificare l’accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 17240 del 2023; Cass. n. 35790 del 2022; Cass. nn. 12347 e 5769 del 1999; Cass. n. 188 del 1994; Cass. n. 3572 del 1987); nella seconda, invece, egli non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma può anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in relazione alla pronuncia da emettere in sostituzione di quella cassata ( cfr. Cass. n. 31901 del 2018; Cass. n. 35790 del 2022; Cass. n. 17240 del 2023); nella terza ipotesi, infine, la potestas iudicandi del giudice di rinvio, oltre ad estrinsecarsi nell’applicazione del principio di diritto, può comportare la valutazione ex novo dei fatti già acquisiti, nonché la valutazione di altri fatti, la cui acquisizione sia consentita in base alle direttive impartite dalla Corte di cassazione e sempre nel rispetto delle preclusioni e decadenze pregresse ( cfr . Cass. n. 6707 del 2004; Cass. n. 22989 del 2018; Cass. n. 27337 del 2019; Cass. n. 35790 del 2022; Cass. n. 17240 del 2023).
1.2.1. Inoltre, come ancora ribadito da Cass. n. 11202 del 2018 ( cfr . in motivazione), il giudice di rinvio non può – anche soltanto implicitamente rimettere in discussione gli enunciati contenuti nella sentenza di cassazione
o quelli che ne costituiscono il necessario presupposto ( cfr., ex aliis , Cass. n. 16171 del 2015). In altri termini, il giudizio di rinvio deve svolgersi entro i limiti segnati dalla sentenza di annullamento e non si può estendere a questioni che, pur non esaminate specificamente, in quanto non poste dalle parti o non rilevate d’ufficio, costituiscono il presupposto logico/giuridico della sentenza stessa, formando oggetto di giudicato implicito ed interno, poiché il loro riesame verrebbe a porre nel nulla o a limitare gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto col principio della loro intangibilità ( cfr . Cass. n. 7656 del 2011, nonché, in senso sostanzialmente conforme, Cass. n. 20887 del 2018; Cass. n. 636 del 2019; Cass. n. 7091 del 2022; Cass. n. 24357 del 2023). Ciò perché il giudizio di rinvio è un ” processo chiuso “, in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese né formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all’accoglimento dell’avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, così da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale ( cfr . Cass. n. 26200 del 2014; Cass. n. 18600 del 2015. In senso sostanzialmente conforme, si vedano anche le successive Cass. n. 5137 del 2019, Cass. n. 24357 del 2023 e Cass. n. 29879 del 2023).
1.3. Ne consegue, dunque, che, alla stregua delle argomentazioni esposte dalla pronuncia rescindente di Cass. n. 2379 del 2018, al giudice di rinvio spettava, nella specie, di esaminare e pronunciare nuovamente sulla opposizione ex art. 98 l.fall. promossa da RAGIONE_SOCIALE avverso l’avvenuta esclusione del passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE del proprio preteso credito di € 2.000.000,00, in chirografo, a titolo di penale ex art. 8 dell’accordo dalla stessa sottoscritto con la menzionata società in bonis il 14 settembre 2012. Il giudice di rinvio, peraltro, doveva tenere conto dell’assunto della Suprema Corte secondo cui « non possiede base giuridica » l’affermazione del provvedimento da essa cassato che l’avvenuta adesione di RAGIONE_SOCIALE al piano di ristrutturazione di RAGIONE_SOCIALE previdente la vendita del proprio marchio « potesse rilevare anche come rinuncia tacita
alla corresponsione della penale pattuita per l’inadempimento del patto parasociale », atteso che « è assertorio sostenere – niente altro emergendo dalla motivazione che, per il sol fatto di aver aderito all’accordo presupponente la falcidia dei crediti esistenti, il creditore sia stato già al corrente dei dettagli del piano in termini di consistenza e modalità liquidatoria dell’attivo, al punto da averlo accettato con volontà abdicativa di preesistenti diritti risarcitori ».
Tanto premesso, i formulati motivi di ricorso denunciano rispettivamente, in sintesi:
I) « Violazione o falsa applicazione dell’art. 384 c.p.c. e dell’art. 276 c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 , c.p.c. », perché l’impugnato decreto del tribunale ha respinto l”opposizione ex art. 98 l.fall. di RAGIONE_SOCIALE accogliendo l’eccezione del fallimento di non opponibilità ad esso della scrittura del 14 settembre 2012 perché priva di data certa ex art. 2704 cod. civ.. Si assume che « l’eccezione sollevata dalla difesa del fallimento di RAGIONE_SOCIALE non poteva essere esaminata dal Tribunale di Fermo, quale Giudice del rinvio, in quanto la questione era già stata implicitamente affrontata da Questa Ecc.ma Suprema Corte nell’ordinanza di rinvio n. 2739/2018 in atti quale presupposto necessario e logicamente inderogabile della pronuncia espressa in diritto. Il Giudice del rinvio, infatti, ha completamente omesso di tenere in considerazione che la sussistenza di data certa dell’accordo del 14.09.2012, e la conseguente opponibilità dello stesso alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, erano già state implicitamente accertate dai Tribunale di Fermo con il decreto n. 5127/2016, riformato da Questa Ecc.ma Corte con ordinanza 2739/2018. Ed invero, con riferimento alle eccezioni sollevate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in sede di formazione dello stato passivo e di giudizio di opposizione allo stato passivo, lo scrutinio dell’eccezione di inopponibilità alla RAGIONE_SOCIALE Fallimentare per mancanza di data certa dell’accordo 14.09.2012 era indubbiamente preliminare rispetto all’esame dell’eccezione di rinuncia implicita dalla penal e da parte di TGP. La penale, per essere rinunciata da TGP, doveva prima essere esigibile in ragione dell’inadempimento dell’accordo 14.09.2012 e, dunque, il Tribunale di Fermo, per poter dichiarare l’avvenuta rinuncia alla penale da
parte dell’odierna ricorrente, necessariamente aveva accertato, ancorché implicitamente, l’infondatezza dell’eccezione di inopponibilità al Fallimento G.L. dell’accordo 14.09.2012. In buona sostanza, il Tribunale di Fermo, affrontando nel decreto 5127/2016 le questioni di merito afferenti il presunto inadempimento dell’accordo 14.09.2012 da parte di RAGIONE_SOCIALE., il diritto di TGP ad esigere la penale e la (presunta) successiva rinuncia alla stessa da parte di quest’ultima, aveva già implicitamente accertato ritenuto l’opponibilità del detto accordo alla RAGIONE_SOCIALE sotto il profilo della certezza della data antecedente alla dichiarazione di fallimento. Conseguentemente, Questa Ecc.ma Suprema Corte, nell’esaminare i vari motivi del ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso il decreto 5127/2016, aveva tenuto quale fermo presupposto l’opponibilità dell’accordo 14.09.2012 alla RAGIONE_SOCIALE sotto il profilo della certezza della data antecedente alla dichiarazione di fallimento »;
II) « Violazione o falsa applicazione degli artt. 329 e 371 c.p.c., 370 e 366, comma 1, nn. 3 e 4, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4 , c.p.c. ». Ribadita la censura di erroneo accoglimento dell’eccezione di non opponibilità della scrittura del 14 settembre 2012 stante la sua mancata riproposizione in Cassazione, in via incidentale, da parte del fallimento, RAGIONE_SOCIALE contesta, conseguentement e, l’avvenuto rigetto, da parte del tribunale a quo , della propria deduzione/eccezione di formazione di ‘ giudicato ‘ sul punto;
III) « Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e degli artt. 112 e 115 c.p.c.. Omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ». Si contesta al tribunale di avere omesso di esaminare il fatto, asseritamente decisivo e discusso tra le parti, riguardante l’atto riprodotto sub doc. 31 di RAGIONE_SOCIALE nel fascicolo di opposizione allo stato passivo (n.r.g. 2189/2015 del Tribunale di Fermo) e due comunicazioni della RAGIONE_SOCIALE in bonis , del 16 e 29 luglio 2014. Si sostiene che tali documenti, il cui contenuto è stato riprodotto nel corpo del motivo, dimostravano inequivocabilmente che, nel 2014, e quindi anteriormente alla dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, l’accordo del 14 settembre 2012 era già stato sottoscritto da detta società in bonis e da RAGIONE_SOCIALE;
IV) « Violazione o falsa applicazione dell’art. 2704 c.c., dell’art. 2727 c.c., dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ». Muovendo dal presupposto per cui, alla stregua della univoca giurisprudenza di legittimità, la data della scrittura privata è certa e computabile rispetto ai terzi dal giorno in cui si verifica un fatto che stabilisca in modo certo l’anteriorità della sua formazione, e che tale fatto può essere dimostrato in qualunque modo, anche per presunzioni, si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, nel caso di specie, i documenti prodotti nel procedimento n.r.g. 2189/2015, nn. 30 e 7, da RAGIONE_SOCIALE, e n. 4 dal fallimento ivi opposto, erano idonei a dimostrare il fatto certo dell’anteriorità dell’accordo 14 settembre 2012 rispetto alla dichiarazione di fallimento di RAGIONE_SOCIALE, rientrando nell’ampia previsione dell’art. 2704 cod. civ.. Il giudice di rinvio, inoltre, aveva violato detta disposizione anche sotto un altro profilo, atteso che, ai fini della verifica della sussistenza della prova della anteriorità della data di sottoscrizione dell’accordo predetto rispetto alla menzionata dichiarazione di fallimento, aveva esaminato i singoli documenti prodotti dall’opponente singolarment e e non in modo unitario.
I primi due motivi di ricorso, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente insuscettibili di accoglimento alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
3.1. Giova premettere che costituisce orientamento di legittimità costante, e qui condiviso, quello per cui la deduzione del mancato rispetto, da parte del giudice di rinvio, del decisum della pronuncia di cassazione si risolve nella denuncia di un error in procedendo ex art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., -e (anche) come tale essa è stata prospettata in questa sede da RAGIONE_SOCIALE -consistente nell’aver operato detto giudice in àmbito eccedente i confini assegnati dalla legge ai suoi poteri. Nella verifica della sussistenza di un simile vizio, la Corte Suprema è giudice anche del fatto, disponendo di tutti i poteri necessari per la ricostruzione dei contenuti della sentenza rescindente, la quale va equiparata al giudicato, in quanto costituisce la ‘ regola del caso concreto ‘ e partecipa della qualità dei comandi
giuridici ( cfr . Cass. nn. 24357 e 19239 del 2023; Cass. n. 35301 del 2022; Cass. n. 6344 del 2019; Cass. n. 6461 del 2005).
3.2. Altrettanto consolidato e parimenti qui condiviso, inoltre, è pure l’indirizzo ermeneutico secondo cui ( cfr . tra le più recenti, Cass. n. 35844 del 2023) la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato (come nella specie) un error in procedendo , è sì anche giudice del fatto processuale ( cfr . Cass. n. 33173 del 2023; Cass. n. 28385 del 2023 Cass., SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 1738 del 1988; Cass., SU, n. 3195 del 1969) e ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa al fine di valutare la fondatezza del vizio denunciato, purché, tuttavia, lo stesso sia stato ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.; è necessario, perciò, non essendo tale vizio rilevabile ex officio , che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il fatto processuale di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni ed i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale ( cfr., ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 4391 del 2022; Cass. nn. 28072 e 15807 del 2021; Cass. n. 25432 del 2020; Cass, SU, n. 20181 del 2019; Cass. n. 7499 del 2019; Cass. n. 2771 del 2017; Cass. n. 19410 del 2015). Infatti, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte allegarli ed indicarli ( cfr . Cass. nn. 33173 e 28385 del 2023; Cass. n. 978 del 2007).
3.3. Posto, allora, che le censure in esame risultano coerenti con i principi suddetti (riportando anche, per quanto qui di interesse, -cfr . nota n. 9 alle pag. 9-10 del ricorso – la motivazione del decreto del Tribunale di Fermo n. 5127 del 2016 poi cassato dalla pronuncia rescindente resa da Cass. n. 2379 del 2018), rileva il Collegio, anche attraverso l’accesso al fascicolo di ufficio e l’esame dei corrispondenti atti, che né il decreto suddetto , né, successivamente, la Cassazione, affrontarono la questione della data certa
dell’accordo del 14 settembre 2012, recante i patti parasociali, tra cui la previsione della penale di cui oggi si discute.
3.3.1. L’ argomento della ricorrente secondo cui le decisioni del tribunale, prima, e di questa Corte, poi, avrebbero come presupposto logico l’esistenza del diritto al risarcimento cui si sarebbe rinunciato e, ancora più a monte, l’opponibilità dell’accordo in cui quel diritto sarebbe stato riconosciuto , benché sicuramente suggestive, non meritano condivisione.
3.3.2. Invero, dalla lettura del decreto del Tribunale di Fermo n. 5127 del 2016, per la parte che è stata riportata in ricorso ( cfr . nota 9, pag. 9-10 del ricorso), emerge chiaramente -come si è già anticipato -che in esso non vi è un capo relativo all’accertamento dell’esistenza, o meno, di una data certa in relazione all’accordo del 14 settembre 2012, in dividuata fonte della pretesa risarcitoria invocata con la domanda ex art. 93 l.fall.. Può ritenersi, allora, che il tribunale abbia rigettato detta domanda ricorrendo, evidentemente, al criterio cd. della ragione più liquida , così respingendo la pretesa risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE intendendola implicitamente rinunciata per effetto dell’adesione di quest’ultima ad un successivo accordo di ristrutturazione proposto da RAGIONE_SOCIALE in bonis ai propri creditori che prevedeva, tra l’altro, che il marchio ‘ NOME ‘ (che, secondo quanto stabilito nell’accordo del 14 settembre 2012, doveva essere conferito da RAGIONE_SOCIALE nella nuova società che la stessa si era impegnata a costituire con RAGIONE_SOCIALE), sarebbe stato parte dell’attivo da liquidare.
3.3.3. È noto, poi, che il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto, come accade allorquando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della ragione più liquida , basandosi la soluzione della causa su una o più questioni assorbenti ( cfr . anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 32650 del 2021; Cass. n. 20555 del 2020; Cass. n. 1828 del 2018; Cass. n. 5264 del 2015; Cass. n. 21266 del 2007). E, nel caso di specie, il tribunale non ha proceduto ad un accertamento effettivo, specifico e concreto circa la configurabilità, o non, della data certa
ex art. 2704 cod. civ. in relazione all’accordo del 14 settembre 2012 suddetto. Né di tanto si è occupata la decisione rescindente resa da Cass. n. 2739 del 2018. Dunque, al contrario di quanto ritenuto dalla ricorrente, nessun giudicato poteva ritenersi formato sul punto.
3.3.4. Conclusione, quest’ultima, avvalorata dalla significativa considerazione che il menzionato decreto del Tribunale di Fermo n. 5127/2016, -dopo aver spiegato la ragione per cui, a suo dire, l’adesione di RAGIONE_SOCIALE al successivo accordo di ristrutturazione proposto da RAGIONE_SOCIALE ai propri creditori aveva comportato la rinuncia della prima ad avvalersi della penale di cui all’accordo d el 14 settembre 1992 -si chiude con la seguente affermazione: « Ne consegue che, sia pure con altra motivazione, l’opposizione va in ogni modo respinta ». È chiarissimo che, così opinando, quel tribunale intese assolutamente tralasciare l’esame dei motivi (tra cui proprio la carenza di data certa di detto accordo del 14 settembre 2012) per cui il giudice delegato non aveva ammesso al passivo del fallimento RAGIONE_SOCIALE il credito come invocato da RAGIONE_SOCIALE.
3.5. Deve escludersi, infine, che il fallimento suddetto, interamente vincitore nel primo giudizio di opposizione ex art. 98-99 l.fall. concluso dall’indicato decreto del tribunale fermano poi cassato, avesse onere di impugnazione incidentale, su questioni, ivi non trattate espressamente, in relazione alle quali sarebbe stato soccombente.
3.5.1. In proposito, infatti, è sufficiente ricordare che, come si legge nella motivazione di Cass. n. 29662 del 2023, la parte, rimasta completamente vittoriosa nel giudizio di appello (ed altrettanto è a dirsi, per intuitiva identità di ratio , in quello di opposizione allo stato passivo), non può sollevare questioni non decise dal giudice di merito, perché ritenute assorbite. Ciò non esclude, ovviamente, la facoltà, per la stessa, di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza (cfr. Cass. n. 23548 del 2012; Cass. n. 4130 del 2014; Cass. n. 22095 del 2017; Cass. n. 11270 del 2020). Va ribadito, pertanto, il principio secondo cui il ricorso incidentale, anche se qualificato come condizionato, deve essere giustificato dalla soccombenza, cosicché è inammissibile il ricorso proposto
dalla parte che sia rimasta completamente vittoriosa nel giudizio a quo, proposto al solo scopo di risollevare questioni che non sono state decise dal giudice di merito perché assorbite dall’accoglimento di altra tesi, avente carattere preliminare, salva la facoltà di riproporle dinanzi al giudice del rinvio in caso di annullamento della sentenza ( cfr . Cass. n. 12680 del 2003. In senso sostanzialmente conforme, si vedano pure: i ] Cass. n. 15893 del 2023, che, richiamando Cass. n. 19503 del 2018, ha sancito che : ‘ Nel giudizio di cassazione, è inammissibile il ricorso incidentale condizionato con il quale la parte vittoriosa nel giudizio di merito sollevi questioni che siano rimaste assorbite, ancorché in virtù del principio cd. della ragione più liquida, non essendo ravvisabile alcun rigetto implicito, in quanto tali questioni, in caso di accoglimento del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio ‘ ; ii ] Cass. n. 14813 del 2023, che, con riferimento alla riproposizione, da parte della controricorrente, di alcune censure non esaminate dal giudice a quo , h a precisato che ‘ Nel giudizio di cassazione non trova applicazione il disposto dell’art. 346 cod. proc. civ., relativo alla rinuncia alle domande ed eccezioni non accolte in primo grado; pertanto, sulle questioni esplicitamente o implicitamente dichiarate assorbite dal giudice di merito, e non riproposte in sede di legittimità all’esito di tale declaratoria, non si forma il giudicato implicito, ben potendo le suddette questioni, in caso di accoglimento del ricorso, essere riproposte e decise nell’eventuale giudizio di rinvio ‘ ; iii ] Cass. n. 4070 del 2019, a tenore della quale, ‘ In caso di cassazione con rinvio, il giudice di merito, se è tenuto ad uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Corte per le questioni già decise, per gli aspetti della controversia rimasti impregiudicati o non definiti nelle precorse fasi del giudizio deve esaminare ex novo il fatto della lite e pronunciarsi su tutte le eccezioni sollevate e pretermesse nei precedenti stati processuali, senza che rilevi l’eventuale contumacia della parte interessata, che non può implicare rinuncia o abbandono delle richieste già specificamente rassegnate od acquisite al giudizio ‘) .
Venendo, a questo punto, al terzo ed al quarto motivo di ricorso, il Collegio ritiene opportuno ricordare, anteriormente al loro scrutinio, che l’art.
2704 cod. civ. non contiene una elencazione tassativa dei fatti in base ai quali la data di una scrittura privata non autentica deve ritenersi certa rispetto ai terzi, ma lascia al giudice di merito la valutazione, caso per caso, della sussistenza del fatto (diverso dalla registrazione) idoneo, secondo l’allegazione della parte, a dimostrare la data certa ( cfr . anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 12090 del 2023; Cass. 12959 del 2018; Cass. n. 23425 del 2016; Cass. n. 24793 del 2008; Cass. n. 23793 del 2006), sia pure con il limite del carattere obiettivo del fatto, il quale non deve essere riconducibile al soggetto che lo invoca e deve essere altresì sottratto alla sua disponibilità, di modo che il fatto atipico, da cui risulti l’anteriorità della formazione del documento, sia fornito di un livello di certezza uguale a quello dei fatti tipici menzionati nella prima parte della stessa norma ( cfr . Cass. n. 12090 del 2023; Cass. n. 27192 del 2019; Cass. n. 26115 del 2017; Cass. n. 19656 del 2015, in tema di opposizione allo stato passivo RAGIONE_SOCIALE, e Cass. n. 2299 del 2012).
4.1. Sempre in tema di opponibilità della data della scrittura privata ai terzi, è altrettanto pacifico che, qualora manchino le situazioni tipiche di certezza contemplate dall’art. 2704, comma 1, cod. civ., la prova di un fatto idoneo a stabilire in modo ugualmente certo l’anteriorità della formazione del documento può avvenire anche attraverso testimoni o presunzioni, sempre che esse evidenzino un fatto munito della specificata attitudine richiesta, e non siano rivolte, in via meramente indiziaria e induttiva, a provocare un giudizio di mera verosimiglianza della data apposta sul documento ( cfr., ex multis , Cass. n. 6985 del 2019; Cass. n. 21446 del 2023).
4.1.1. Secondo la costante giurisprudenza di legittimità, infine ( cfr ., per tutte, Cass., SU, n. 4213 del 2013, ribadita, in motivazione, dalla più recente Cas. n. 33724 del 2022) il curatore, in sede di formazione dello stato passivo, deve considerarsi terzo rispetto al rapporto giuridico posto a base della pretesa creditoria fatta valere con l’istanza di ammissione, conseguendone l’applicabilità della disposizione contenuta nell’art. 2704, comma 1, cod. civ.. Ne discende che l’onere probatorio incombente sul creditore istante in sede di ammissione al passivo può ritenersi soddisfatto ove questi produca
documentazione idonea, perché dotata di data certa antecedente all’apertura del concorso, e come tale opponibile ai creditori, a dimostrare la fondatezza della pretesa formulata.
Sulla base di tali principi, ormai consolidati, il terzo motivo di ricorso si rivela insuscettibile di accoglimento per la ragione, affatto dirimente, che, come recentemente sancito da Cass. n. 34755 del 2023 ( cfr. in motivazione), « l’istituto della data certa, ai fini della opponibilità, riguarda un atto che, con un giudizio di certezza, viene in rilievo nella sua precisa, conoscibile, dunque completa, esistenza, non è certo sufficiente, a tal fine, la mera menzione del suo contenuto in altro atto ».
5.1. Nel caso di specie, non vi sono i presupposti per il riconoscimento della data certa in relazione all’accordo del 14 settembre 2012 (che la ricorrente intende ricavare dalla documentazione descritta nella censura in esame, vale a dire l ‘atto riprodotto sub doc. 31 di RAGIONE_SOCIALE nel fascicolo di opposizione allo stato passivo, n.r.g. 2189/2015, del Tribunale di Fermo e due comunicazioni della RAGIONE_SOCIALE in bonis , del 16 e 29 luglio 2014), cioè della violazione, da parte del giudice di merito, dei criteri codicistici enunciati, in quanto: i ) il menzionato doc. n. 31, il cui contenuto è stato trascritto nell’odierno ricorso, contiene semplicemente , una menzione dell’accordo del 14 settembre 2012, peraltro neanche nella sua integralità; ii ) le due comunicazioni del 16 e 29 luglio 2019, invece, si rivelano, a loro volta, carenti di data certa, non risultandone l’avvenuta spedizione tramite posta elettronica certificata (diversamente dal già citato doc. n. 31) o altra modalità idonea a conferire certezza di data al contenuto di quelle comunicazioni.
5.1.1. Si è al cospetto, dunque, di documentazione non decisiva ai fini dell’accertamento dell’anteriorità del predetto accordo del 14 settembre 2012 rispetto alla data (16/27 gennaio 2015) della dichiarazione di fallimento della RAGIONE_SOCIALE, dovendosi solo aggiungere che, giusta la qui condivisa giurisprudenza di legittimità, il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento ( cfr . Cass. n. 16812 del 2018 e quelle ivi richiamate; Cass. n. 19150 del 2016).
Il quarto motivo di ricorso, infine, risulta inammissibile, atteso che la corrispondente doglianza involge essenzialmente una valutazione esclusivamente meritale, insuscettibile di revisione in questa sede, tenuto conto del suo tenore che prospetta unicamente profili di violazione di legge.
6.1. Basta ricordare, dunque, che:
i ) il tribunale ha certamente valutato tutta la documentazione oggi invocata dalla ricorrente, ma ne ha negato la idoneità a consentire l’affermazione della certezza di data di cui all’accordo del 14 settembre 2012 posto dalla stessa a fondamento della sua domanda ex art. 93 l.fall.;
ii ) questa Corte, ancora recentemente ( cfr ., pure nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782, 28385, 26789, 16541, 13787, 9014, 2413 e 1015 del 2023; Cass. nn. 35041, 33961 13408 del 2022), ha chiarito, tra l’altro, che: ii-a ) non integra violazione, né falsa applicazione di norme di diritto, la denuncia di una erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, poiché essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo e applicativo della norma di legge; ii-b ) il discrimine tra violazione di legge in senso proprio (per erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa) ed erronea applicazione della legge (in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta) è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, diversamente dalla prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ( cfr . Cass. n. 10313 del 2006; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010);
iii ) le doglianze attinenti non già all’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalle norme di legge, bensì all’erronea ricognizione della fattispecie concreta alla luce delle risultanze di causa, ineriscono tipicamente
alla valutazione del giudice di merito ( cfr. Cass. n. 13238 del 2017; Cass. n. 26110 del 2015);
iv ) come sancito, in motivazione, da Cass. n. 4784 del 2023, « in tema di prova per presunzioni, spetta al giudice di merito non solo la valutazione dell’opportunità di fare ricorso alla stessa, ma anche l’individuazione dei fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e l’accertamento della rispondenza degli stessi ai prescritti requisiti di gravità, precisione e concordanza: il relativo apprezzamento costituisce un giudizio di fatto, censurabile in sede di legittimità esclusivamente per vizio di motivazione, la cui denuncia non può risolversi, peraltro, nella mera prospettazione di un convincimento diverso da quello espresso nel provvedimento impugnato, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio, restando peraltro escluso che la sola mancata valutazione di un elemento indiziario possa dare luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo (cfr. Cass. n. 27070 del 2022; Cass. n. 20421 del 2022, la quale ha confermato che «gli indizi concorrenti devono essere valutati nel loro insieme, purché abbiano i requisiti della gravità, dell’univocità e della concordanza e non è necessario procedere alla valutazione complessiva degli elementi indiziari dedotti dalle parti che il giudice ritenga del tutto insussistenti, privi di significato probatorio o ambigui»; Cass. n. 5279 del 2020; Cass. n. 1234 del 2019; Cass. n. 1715 del 2007) ».
6.2. T.G.P. s.RAGIONE_SOCIALE.l. insiste, oggi, nel sostenere essere munita di data certa opponibile al fallimento, ex art. 2704 cod. civ., la documentazione dalla stessa prodotta a sostegno della propria domanda ex art. 93 l.fall., mostrando, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito, in contrario, dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. non può essere mediato dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie, ma deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti
intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . Cass. nn. 35782, 27522, 16541, 13787, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022); ii ) il ricorso per cassazione non rappresenta uno strumento per accedere ad un ulteriore grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr. ex multis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 35782, 27522, 11299 e 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., SU, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014).
6.2.1. Nella specie, peraltro, l’illustrazione de l motivo nemmeno è idonea a prospettare a ben vedere la violazione/falsa applicazione degli artt. 2727 e ss. cod. civ., nei termini come precedentemente indicati, ma si risolve nella prospettazione di pretese inferenze probabilistiche diverse sulla base della evocazione di emergenze istruttorie e nella prospettazione di una diversa ricostruzione della quaestio facti ripercorsa in relazione agli oggetti delle varie circostanze emerse, così che non presentano le caratteristiche della denuncia del vizio predetto.
6.2.2. In altri termini, RAGIONE_SOCIALE incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, – come chiarito, ancora recentemente, tra le altre, da Cass. n. 4784 del 2023 e Cass. n. 35041 del 2022 (cfr. in
motivazione) – un’autonoma questione di malgoverno de ll’art. 115 cod. proc. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge ( cfr . Cass., SU, n. 20867 del 2020, che ha pure precisato che « è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. »).
6.2.3. Del resto, affinché sia rispettata la prescrizione desumibile dal combinato disposto dell’art. 132, n. 4, e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica e adeguata all’adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse ( cfr . Cass. n. 4784 del 2023; Cass. 24434 del 2016).
6.2.4. In definitiva, la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione, non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass. n. 8758 del 2017; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 32026 e 40493 del 2021; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 15237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023).
7. In conclusione, dunque, l’odierno ricorso promosso da RAGIONE_SOCIALE deve essere respinto, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal costituitosi fallimento RAGIONE_SOCIALE, altresì dandosi atto, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del
2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della medesima ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE e la condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità sostenute dal fallimento RAGIONE_SOCIALE , liquidate in complessivi € 18.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della medesima ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile