Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 123 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 123 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5518/2022 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE, in persona del suo socio amministratore, NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Trinitapoli INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende
avverso DECRETO di CORTE D’APPELLO BARI n. 508/2020 depositata il 19/07/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/12/2023 dal Presidente, NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME in proprio e quale socio legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, adiva la Corte d’appello di Bari per ottenere l’equa riparazione ex lege n. 89/01 per la durata irragionevole della procedura fallimentare svoltasi a carico di lui e della società innanzi al Tribunale di Lucera tra il 1991 ed il 2019.
Accolta in sede monitoria la domanda del solo NOME COGNOME in proprio, la predetta società, tramite quest’ultimo, proponeva opposizione, ai sensi dell’art. 5 -ter legge cit., che la Corte d’appello rigettava con decreto del 19.7.2021.
Il collegio d’appello, pur premettendo di non ignorare la giurisprudenza di questa Corte suprema per cui il danno da durata irragionevole della procedura fallimentare va ristorato sia alla società di persone che ai soci illimitatamente responsabili, essendo distinte le due procedure concorsuali, riteneva che, dato il difetto di ‘fisicità’ della società, che ne impedisce l’ansia e il turbamento psicologico, la conclusione non poteva sottrarsi ad una rigida alternativa, comunque sfavorevole all’opponente, ossia che: a ) o non rilevava il transeunte turbamento dello stato d’animo del socio amministratore, ed allora gli unici pregiudizi non patrimoniali compatibili con l’assenza di ‘fisicità’ del soggetto di diritto non senziente non potevano che inerire ai diritti immateriali dell’ente, quali l’identità, la ragione sociale, l’immagine e la reputazione, nella specie neppure allegati; o b ) postulandosi un danno morale di tipo ‘rifrattivo’, che si ripercuote, cioè, nella sfera giuridico –
patrimoniale delle persone fisiche preposte alla gestione e alla rappresentanza della società, non potendosi né ammettere un danno in re ipsa né consentire duplicazioni risarcitorie, doveva ritenersi non assolto da parte di NOME COGNOME l’onere di provare un pregiudizio non patrimoniale ‘diverso, ulteriore, aggiuntivo, empiricamente e psichicamente distinguibile dal pregiudizio che ha già costituito oggetto di indennizzo in suo favore nella qualità di componente/persona fisica della compagine sociale’.
Avverso tale provvedimento la RAGIONE_SOCIALE di Ciccola RAGIONE_SOCIALE, propone ricorso, affidato a due motivi.
Vi resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Il primo motivo deduce, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 2 e ss. legge n. 89/01 e dell’art. 2266 c.c. Sostiene parte ricorrente che «merita censura la decisione del Giudice dell’opposizione di ritenere inammissibile la legittimazione attiva della società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ‘ e/o di ritenerla inammissibile perché rappresentata dal socio amministratore e legale rappresentante p.t. Sig. COGNOME Stefano e, di conseguenza, rigettare la domanda di indennizzo, pur avendo la società chiesto a proprio esclusivo favore il risarcimento del danno patrimoniale» (così, a pag. 12 del ricorso). Detta società, prosegue parte ricorrente, ora ed allora attiva in quanto non cancellata dal registro delle imprese, non poteva che costituirsi in giudizio in persona del socio amministratore e legale rappresentante, per far valere «un suo danno non patrimoniale distinto da e autonomo rispetto a quello del socio fallito» (v. pag. 13 del ricorso).
-Il secondo mezzo lamenta, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., l’omesso esame del fatto, dedotto nel ricorso in opposizione, costituito dal danno d’immagine e alla reputazione commerciale che
la società ha subìto in virtù della durata irragionevole della procedura concorsuale svoltasi a suo carico. La società non ha dedotto, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte distrettuale, un pregiudizio di tipo ‘rifrattivo’, né mai ha collegato la lesione sofferta al turbamento psicologico del suo socio amministratore, fallito in proprio, «ma, al contrario, ha fatto valere un danno non patrimoniale proprio, quale conseguenza del danno all’immagine e alla reputazione commerciale che aveva reso difficile/impossibile per la società RAGIONE_SOCIALE mantenere i rapporti con i clienti». E una volta accertata la durata irragionevole della procedura, il danno avrebbe dovuto essere considerato esistente come sua conseguenza normale, secondo il costante indirizzo della giurisprudenza, per cui la società era «legittimata e titolata (…) a chiedere il ristoro del danno patrimoniale ex L. n. 89/01 per la durata irragionevole della procedura fallimentare apertasi, in primis , in suo danno» (v. pag. 16 del ricorso).
-I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro allegazione complementare, sono fondati.
Al netto dell’ondivaga deduzione della natura del danno subìto dalla società ricorrente – qualificato nel ricorso ora come ‘non patrimoniale’ (v. pagg. 13 e 14), ora come ‘patrimoniale’ (v. pagg. 12 e 16) – le predette censure richiamano espressamente la giurisprudenza di questa Corte, la quale, superando le iniziali incertezze e uniformandosi alle pronunce della Corte EDU (ampiamente citate nella motivazione di Cass. n. 13504/04), ormai da tempo ha affermato che anche le società, siano o non provviste di personalità giuridica, sono soggetti attivi della pretesa indennitaria di cui alla legge n. 89/01.
È costante, infatti, l’orientamento secondo cui anche per le persone giuridiche (e, più in generale, per i soggetti collettivi) il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo, è, tenuto conto della giurisprudenza della CEDU, e non diversamente
da quanto avviene per gli individui persone fisiche, conseguenza normale, ancorché non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, di cui all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri; sicché, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno non patrimoniale in re ipsa -ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione -, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che l’altra parte non dimostri che sussistono, nel caso concreto, circostanze particolari, le quali facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (v. n. 12015/05; conformi, ex multis nn. 13163/04, 13504/04, 3396/05, 24841/05, 17500/05, 7145/06, 25730/11, 13986/13 e 7034/20).
3.1. -La Corte territoriale, pur richiamando espressamente la sentenza n. 15254/13 di questo S.C., secondo cui, anche ai fini applicativi della legge n. 89/01 i fallimenti di una società in nome collettivo e del socio illimitatamente responsabile sono autonomi e pongono separate aspettative soggettive di definizione delle relative procedure concorsuali in tempi ragionevoli, per cui il relativo danno va integralmente ristorato per ciascuna procedura, ne ha poi dato un’applicazione incoerente. Infatti, ne ha limitato la portata ai soli diritti c.d. immateriali della società, riferendo, invece, l’indennizzo del danno morale soggettivo alla sfera di tutela della (sola) persona fisica. E da ciò ha dedotto che, escluso un danno in re ipsa e dovendosi impedire una duplicazione ‘risarcitoria’ del pregiudizio già indennizzato all’amministratore e legale
rappresentante della società, di tali diritti questi avrebbe dovuto operare precisa allegazione e fornire specifica prova.
L’errore su cui si basa tale ragionamento del giudice di merito risiede nel non considerare che dietro ogni ente od organismo collettivo non agisce solo il suo legale rappresentante, ma tutte le persone fisiche che variamente risentono, in maniera diretta o riflessa, delle vicende societarie. Ne deriva che la sfera dei diritti patrimoniali e non patrimoniali che vi ineriscono, e che rilevano ai fini applicativi della legge n. 89/01, è complessa al pari di quella delle persone fisiche che in essa operano. Estrapolarne i soli diritti c.d. immateriali, per poi inferirne la non soggezione al regime agevolato della prova, che in materia è proprio della sola sofferenza morale, equivale a contraddire le stesse proposizioni di base da cui, pure, la pronuncia impugnata ha dichiarato di prendere avvio.
-In accoglimento del ricorso, il decreto impugnato è cassato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che si atterrà ai principi di diritto sopra richiamati e provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa il provvedimento impugnato con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Bari, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda