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Danno non patrimoniale società: la Cassazione decide

Una società in nome collettivo ha richiesto un’equa riparazione per la durata irragionevole di una procedura fallimentare a suo carico, durata quasi trent’anni. La Corte d’Appello aveva rigettato la domanda, sostenendo che una società, non avendo ‘fisicità’, non potesse subire un turbamento psicologico. La Corte di Cassazione ha ribaltato questa decisione, affermando che anche le persone giuridiche hanno diritto al risarcimento del danno non patrimoniale società. La Suprema Corte ha chiarito che tale danno non è limitato alla sola lesione della reputazione, ma comprende anche i disagi e i turbamenti subiti dalle persone fisiche che gestiscono l’ente, derivanti dalla violazione del diritto a un processo di ragionevole durata. Ha quindi cassato il provvedimento e rinviato il caso alla Corte d’Appello per una nuova valutazione.

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Danno non Patrimoniale Società: la Cassazione apre alla Tutela

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale: il riconoscimento del danno non patrimoniale società a seguito della durata irragionevole di un processo. La Corte di Cassazione, con una decisione di grande rilevanza, stabilisce che anche le persone giuridiche, come le società, hanno diritto a un risarcimento per il pregiudizio morale subito a causa delle lungaggini della giustizia, un diritto distinto e autonomo da quello spettante ai singoli soci o amministratori.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di una società in nome collettivo e del suo socio amministratore, entrambi coinvolti in una procedura fallimentare durata quasi tre decenni, dal 1991 al 2019. Per ottenere un’equa riparazione per l’eccessiva durata del procedimento, ai sensi della Legge n. 89/2001 (nota come ‘Legge Pinto’), si rivolgevano alla Corte d’Appello.

Inizialmente, la Corte accoglieva la domanda del solo socio amministratore in quanto persona fisica, ma rigettava quella della società. La società proponeva quindi opposizione, ma la Corte d’Appello confermava la sua decisione negativa, motivandola con un’argomentazione netta: una società, essendo priva di ‘fisicità’, non può provare l’ansia e il turbamento psicologico tipici della sofferenza morale.

La Visione Ristretta della Corte d’Appello

Secondo i giudici di merito, il pregiudizio risarcibile per un ente collettivo poteva limitarsi solo ai diritti immateriali come l’identità, l’immagine o la reputazione, che però, nel caso specifico, non erano stati specificamente allegati. Inoltre, per evitare duplicazioni risarcitorie con l’indennizzo già concesso al socio, la Corte riteneva che la società non avesse assolto all’onere di provare un danno ‘diverso, ulteriore e aggiuntivo’ rispetto a quello subito dal suo rappresentante legale.

Il Danno non Patrimoniale Società nell’Analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione ha completamente ribaltato questa prospettiva, accogliendo il ricorso della società. I giudici supremi hanno censurato il ragionamento della Corte d’Appello come incoerente e basato su un errore di fondo. L’errore risiede nel non considerare che dietro ogni ente o organismo collettivo operano persone fisiche le cui vicende e sofferenze si intrecciano inevitabilmente con quelle della società stessa.

La sfera dei diritti di una società, secondo la Cassazione, è complessa tanto quanto quella delle persone fisiche che la compongono. Isolare i soli diritti immateriali (come la reputazione) e negare la possibilità di un danno morale soggettivo significa contraddire i principi consolidati, anche a livello europeo (CEDU).

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha ribadito un orientamento ormai costante: anche le persone giuridiche e i soggetti collettivi sono titolari del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. Questo danno è la conseguenza normale, sebbene non automatica, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo. Si manifesta attraverso i disagi e i turbamenti che la lesione di tale diritto provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente.

È cruciale il passaggio in cui la Corte chiarisce la natura della prova. Pur escludendo un danno in re ipsa (cioè automatico e implicito nella violazione), il giudice deve ritenerlo esistente, a meno che la controparte non dimostri la presenza di circostanze particolari che ne escludano la sussistenza. Non è corretto, quindi, richiedere alla società una ‘precisa allegazione e specifica prova’ di un turbamento psicologico, ma bisogna riconoscere che la sofferenza dei suoi rappresentanti si riflette sull’ente stesso.

In sostanza, limitare il risarcimento del danno morale alla sola persona fisica e concedere alla società solo il ristoro per danni immateriali come l’immagine (peraltro da provare puntualmente) rappresenta un’applicazione errata e restrittiva della legge.

Conclusioni

Con questa ordinanza, la Corte di Cassazione rafforza un principio di giustizia sostanziale: una società non è un’entità astratta e slegata dalle persone che la animano. Il pregiudizio derivante da un processo ingiustamente lungo si ripercuote sull’intera compagine sociale e sull’ente stesso, generando una sofferenza meritevole di tutela. La decisione impugnata è stata quindi cassata con rinvio ad un’altra sezione della Corte d’Appello, che dovrà attenersi ai principi enunciati e riconoscere la piena legittimità della richiesta di risarcimento avanzata dalla società.

Una società può subire un danno non patrimoniale a causa della durata irragionevole di un processo?
Sì. La Corte di Cassazione ha affermato che anche le società e altri enti collettivi sono soggetti attivi della pretesa indennitaria per il danno non patrimoniale derivante dalla violazione del diritto a un processo di ragionevole durata.

Il danno non patrimoniale della società è identico a quello del suo socio amministratore?
No, sono distinti. La Corte chiarisce che le procedure concorsuali a carico della società e del socio illimitatamente responsabile sono autonome. Di conseguenza, il danno subito da ciascuno deve essere ristorato in modo integrale e separato, evitando duplicazioni ma riconoscendo la specificità di ogni pregiudizio.

La società deve fornire una prova specifica del turbamento psicologico subito?
No. Sebbene il danno non sia automatico (in re ipsa), una volta accertata la durata irragionevole del processo, il danno non patrimoniale si presume esistente. Spetta alla controparte (in questo caso, il Ministero) dimostrare l’eventuale assenza di tale danno, non alla società fornire la prova di una sofferenza morale come se fosse una persona fisica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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